Un amore proibito, una vendetta crudele, un lamento che attraversa i secoli. Così vive – e muore – il fantasma più dolente della Val Vezzeno.
Nel cuore della rigogliosa Val Vezzeno, dove le colline piacentine si stringono attorno a boschi fitti e torrenti impetuosi, si erge il Castello di Gropparello, un maniero millenario che ancora oggi sembra scrutare il paesaggio con l’inquietudine di chi custodisce un segreto antico e lacerante. Le sue pietre, scure e massicce, raccontano una storia che si perde nel tempo, tra battaglie medievali, casate nobiliari e passioni consumate nel sangue.
Ma tra le tante vicende che hanno attraversato le sue mura, ce n’è una che resiste all’oblio con la forza del mito: la leggenda di Rosania Fulgosio, la bella consorte di Pietrone da Cagnano, murata viva dal marito per aver amato un altro uomo. Una storia d’amore e morte che ancora oggi inquieta chi si avventura tra le torri e i corridoi del castello.
Era il XIII secolo quando Pietrone da Cagnano, signore del castello, partì per una lunga campagna militare, lasciando la giovane moglie Rosania sola a presidiare la roccaforte. Ma la solitudine fu presto interrotta dall’arrivo di Lancillotto Anguissola, un capitano di ventura al servizio dei Pallavicino, e – soprattutto – antico amore della castellana.
La scintilla mai sopita fra i due si riaccese immediatamente. Mentre la guerra infuriava lontano, il castello diventò rifugio per una passione proibita: per giorni e notti Rosania e Lancillotto vissero un amore clandestino tra le mura spesse del maniero. Ma la felicità fu effimera. Chiamato altrove dal destino delle armi, Lancillotto partì, lasciando Rosania sola e vulnerabile.
Al ritorno dalla guerra, Pietrone apprese del tradimento. Non vi fu confronto, né pietà. Solo la furia cieca dell’onore ferito. Secondo quanto narra la leggenda, il signore del castello fece costruire una stanza segreta nei sotterranei. Organizzò un fastoso banchetto, offrì alla moglie un calice drogato e, quando questa perse conoscenza, la fece murare viva nella cella. Di quella stanza, nei secoli, non si è mai più trovata traccia.
Da allora, la leggenda racconta che l’anima di Rosania non abbia mai trovato pace. Quando le raffiche tagliano la valle e il vento fischia tra i merli del castello, un lamento straziante si leva tra le pietre. È una voce femminile, implorante, che chiama aiuto da una prigione invisibile. Non sono solo suggestioni popolari: turisti e abitanti affermano da decenni di aver udito urla provenire dalla torre o di aver scorto una figura evanescente – una donna in abiti d’epoca – aggirarsi per la sala d’armi, mesto teatro dei suoi ultimi momenti di libertà.
Alcuni testimoni giurano che l’incontro con questa presenza li abbia scossi profondamente: più che paura, avrebbero provato un’immensa tristezza, un senso di ingiustizia, come se la giovane Rosania cercasse non vendetta, ma redenzione. Altri raccontano di luci che si accendono e si spengono senza motivo, di rumori inspiegabili, di oggetti che cambiano posizione, come se un’anima inquieta volesse attirare l’attenzione.
Il Castello di Gropparello, oggi perfettamente restaurato e sede di eventi e visite turistiche, ha fatto del mistero una delle sue attrattive principali. Ma dietro l’aspetto da favola, conserva il peso di una memoria antica. Rosania Fulgosio non è soltanto un fantasma romantico, ma un simbolo della condizione femminile in un’epoca in cui l’onore maschile si affermava con la violenza, e le donne, pur di amare, rischiavano la vita.
La sua storia si inserisce nel ricco mosaico delle leggende italiane legate ai castelli, dove l’elemento soprannaturale funge da specchio alle tensioni umane: passione, colpa, potere, morte. La vicenda di Rosania ha attraversato secoli e superstizioni, mantenendosi viva non solo nel folklore, ma nella coscienza collettiva di un territorio che non ha dimenticato.
Il fascino sinistro del Castello di Gropparello non risiede solo nella sua architettura fortificata o nella bellezza selvaggia della Val Vezzeno. Risiede soprattutto in quella voce nel vento, in quella figura vestita di dolore che ancora oggi sembra cercare una via d’uscita da un muro che nessuno è riuscito ad abbattere.
Che sia mito o verità, il lamento di Rosania continua a echeggiare. Ed è forse proprio questo l’incantesimo più potente del castello: costringere chi vi entra a fermarsi, ad ascoltare, e a chiedersi se, dietro le storie di fantasmi, non ci sia il riflesso di ferite che il tempo non ha mai veramente sanato.
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