domenica 5 luglio 2020
sabato 4 luglio 2020
Lovecraft
Azatoth
Antiche scritture
Chtulu
Il mondo che ha creato e le opere
derivate che sono state quindi ispirate dalle sue opere.
L'idea che esistano esseri oltre la
nostra comprensione che possono distruggerci, in qualsiasi momento,
perché gli va, è una cosa che ribalta qualsiasi idea che ti puoi
fare della vita.
Tipicamente più uno si addentra nel
Mythos e più impazzisce. Perché qualunque cosa tu faccia, un essere
antico ti può schiacciare, mangiare la mente o intrappolarti in un
incubo, e tu non puoi farci nulla.
Non ci sono eroi. A volte i cattivi
sembrano pure buoni. In una storia ambientata in questo mondo, una
setta di un dio antico cercava in tutti i modi di sterminare
l'umanità entro il 1950 anni. Perché il loro dio gli aveva
confidato che sarebbe venuto all'alba del 51° anno, e avrebbe
trasformato la Terra nel suo personale inferno.
Per cui la setta cercando di uccidere
tutti, cercava di evitare all'umanità un destino di sofferenze.
Infatti morendo, le loro anime sarebbero state invece divorate dal
Nulla, anch'esso un dio antico, ma più clemente.
Alcuni elementi frequenti sono il
Necronomicon, una sorta di bibbia/grimorio, ambientazioni nei primi
del '900, manicomi, allucinazioni, creature informi e aggressive e
altre di dimensioni titaniche senzienti e con poteri psichici.
venerdì 3 luglio 2020
La Fonte della giovinezza è una
leggendaria sorgente simbolo d'immortalità e di eterna gioventù che
appare nella mitologia medievale e classica di molte culture.
Secondo la leggenda l'acqua della
fonte, le cui sorgenti si troverebbero nel giardino dell'Eden,
guarisce dalla malattia e ringiovanisce chi ci si bagna.
La locazione della mitica fonte è
stata oggetto di discussioni sin dai tempi antichi, ma dopo la
scoperta delle Americhe si è creduto che essa potesse trovarsi in
Florida, terra scoperta all'inizio del XVI secolo dall'esploratore
spagnolo Juan Ponce de León in occasione di una delle tante
esplorazioni a nord di Cuba proprio alla ricerca della mitica fonte.
È tuttavia da chiarire che i resoconti
riportati dagli esploratori spagnoli dopo il contatto con le civiltà
native dell'America sono stati modificati nel corso del tempo e
quindi la leggenda originale è stata soggetta a profondi
cambiamenti.
Il racconto di Juan Ponce de León
Gli scritti stilati dall'esploratore
Juan Ponce de León parlano della favolosa ricerca della fonte della
giovinezza, già tentata da molti uomini prima di lui. Il primo
governatore di Porto Rico sarebbe andato alla ricerca della fonte
insieme ai propri cartografi nell'arcipelago dei Caraibi, poiché la
credenza originale vedeva la fonte nascosta sopra un monte
invalicabile situato in un'isola perduta. Affascinato dai racconti
dei nativi portoricani e aiutato da carteggi di antichi saggi,
l'esploratore partì con la propria flotta alla ricerca della fonte,
ma dalle esplorazioni scoprì però la Florida.
Nel libro Memoir (1575) di
Hernando de Escalante Fontaneda si diede credibilità al mito della
fonte, aggiungendo che León era sulla strada giusta, poiché la
mitica fonte si troverebbe in realtà in Florida. Fontaneda visse per
17 anni a Puerto Rico e in età adulta il mercantile che lo
trasportava naufragò vicino alla Florida: da qui inizia il racconto
dell'italo-americano. Nel libro si parla del fiume Giordano, un corso
d'acqua che attraversa la penisola paludosa e le cui acque dotate di
poteri curativi e benefici venivano usate dai popoli indigeni per
curare le ferite e le malattie; tuttavia Fontaneda durante l'intero
racconto sottolinea il proprio scetticismo circa queste storie, ma
non critica la buona volontà di Juan Ponce de Leòn.
Lo storico Antonio de Herrera y
Tordesillas nel libro Historia general de los hechos de los
Castellanos en las islas y tierra firme del Mar Oceano sostiene
l'operato di De León, narrando di indiani della Florida che
regolarmente si recavano alla fonte per tornare giovani e avere
figli. Una testimonianza dello stesso Herrera parla di uomini anziani
arrecanti i segni di una lunga vita, che per quanto malandati
tornavano giovani, forti e fertili una volta bagnatisi con l'acqua
della fonte.
Altre versioni della leggenda
Altre versioni della leggenda molto
diverse da quelle caraibiche sono presenti nelle culture della
civiltà europea e asiatica, nell'epoca antica e medievale.
Una prima leggenda narrata da Erodoto
parla di una fonte sotterranea introvabile situata in Etiopia, era
infatti creduto che gli etiopi e gli abitanti dell'africa centrale in
generale fossero molto longevi e con questo racconto si tentava di
darne una spiegazione.
Altri racconti concernenti una fonte di
acqua miracolosa sono contenuti nei testi del Romanzo di Alessandro,
e molti ricercatori di tesori sino all'età delle scoperte ne hanno
letto i contenuti per trovare un'indicazione precisa.
Nel racconto mediorientale e asiatico
del romanzo di Alessandro si parla dell'"Acqua della vita",
una mitica fonte possibile da trovare solo dopo aver superato le
"Terre oscure", un mitico tratto dell'Abcasia che si
racconta essere patria di mostri e spiritelli.
Al mito della fonte della giovinezza si
aggiungono altre leggende europee legate all'immortalità, come la
Panacea dell'antica Grecia, la pietra filosofale di Nicolas Flamel
fino all'elisir di lunga vita.
Un ulteriore racconto che si aggiunge
alla lunga lista di fonti miracolose è la Piscina di Betzaeta, luogo
cui si racconta nel Vangelo secondo Giovanni della guarigione operata
da Gesù su un uomo colpito da paralisi.
Durante il medioevo, il Prete Gianni ha
ridato notorietà alla leggenda così come altre storie mitiche
circolanti intorno alla sua figura, aiutato anche dal romanzo Travels
of Sir John Mandeville di John Mandeville.
Alcune storie riportate da esploratori
spagnoli e portoghesi raccontano di sorgenti mitiche situate nel
cuore dell'Amazzonia e dell'Etiopia di Prete Gianni; le versioni
cinesi e giapponesi parlano del giardino dell'Eden nascosto nell'Asia
centrale.
giovedì 2 luglio 2020
Dakuwaqa

Nella mitologia
figiana, Daquwaka
è un dio squalo. Riceveva grande rispetto dai pescatori, che ne
invocavano la protezione contro i pericoli rappresentati dal mare e
dai suoi abitanti.
Coraggioso, testardo e geloso delle sue
prerogative, sta a guardia dei varchi nella barriera corallina.
Diverse leggende locali lo dipingono in lotta con altri guardiani,
come la piovra che lo imprigionò tra i suoi tentacoli a Kadavu dopo
un'estenuante tenzone, costringendolo alla resa e a promettere che
avrebbe vegliato sull'isola e i suoi abitanti.
mercoledì 1 luglio 2020
Perché la città di Benevento è associata alle streghe
Ecco un paio di succose leggende in
merito.
Unguento, unguento, portami al noce di
Benevento,
Supra l'acqua e supra lu ventu,
et supre at omne malo tempo.
E' la formula magica che la strega
recita prima di prendere il volo e recarsi al Sabba, rituale
consistente in una danza sfrenata in qui e' presente Lucifero in
persona dall'aspetto di un caprone e un nutrito numero di altri
demoni.
Benevento, anticamente chiamata
Maleventum, era capoluogo di un ducato Longobardo.
I
Longobardi erano pagani e
adoravano il dio Odino.
Per onorarlo si riunivano davanti
a un grande albero di noce, nei pressi del fiume Sabato. Il
rito pagano, essendo loro un popolo guerriero, consisteva
nell’appendere pelli di montone ai rami e colpirli con lance e
frecce, mentre cavalcavano al contrario, in sella ai loro cavalli,
riducendo le pelli in pezzi piccolissimi, che poi finivano per
mangiare. Assistevano a tali riti anche le donne longobarde, che
gridavano e incitavano gli uomini a consumare il rito.
Per ottenere l’appoggio della Chiesa
per sconfiggere i Bizantini, il Duca longobardo, Romualdo,
accettò di essere convertito al Cristianesimo
e con lui, tutti i Longobardi.
Il grande albero di noce attorno al
quale si consumava il rito pagano per il dio Odino fu abbattuto e la
leggenda narra che, appena l’albero cadde in terra, ne uscii fuori
una vipera, simbolo di un legame satanico.
Anche dopo la conversione, i Longobardi
di Benevento
non rinunciarono ai loro riti pagani
e continuarono a praticarli di notte. Intorno alle campagne, fuori
dalle mura, tra fuochi e grida. Gli abitanti di Benevento scambiarono
gli uomini e le donne longobarde con demoni e streghe. Le
notti del Sabba
continuarono.
Le
streghe di Benevento
erano di tre tipi: la Zoccolara,
la Janara e la Manolonga.
Le
Zoccolare
erano streghe che di notte
correvano per i vicoli, facendo riecheggiare il rumore dei loro
zoccoli e attaccando i passanti alle spalle. Le Janare,
invece, erano le donne nate la mezzanotte di Natale e che non avevano
ricevuto il sacramento della cresima in modo corretto (per esempio
errori di formule da parte del sacerdote). Di giorno si confondevano
tra le donne comuni, sebbene avessero un carattere aggressivo, e la
notte si ricoprivano di un unguento magico che consentiva loro di
volare e di diventare incorporee. Erano streghe “solitarie” al
contrario delle altre che la notte usavano dedicarsi a
banchetti, danze, orge con il
Diavolo
(le notti del Sabba) prima di
maledire e torturare i malcapitati.
Le Janare, quindi, si recavano nelle
case di coloro verso cui nutrivano del risentimento, passando da
sotto la porta. Si sedevano sul petto del malcapitato, mentre
dormiva, impedendogli di respirare. Andavano a far visita alla stessa
persona per tre notti di seguito, per poter rinsaldare il maleficio.
Altre notti rubavano i bambini e li rendevano storpi. Infine solevano
intrufolarsi nelle stalle e cavalcare le giumente fino a che, per lo
sfinimento, queste morivano. Per lasciare traccia del loro passaggio,
le Janare facevano delle treccine al crine della cavalla. Durante le
persecuzioni delle streghe, le
Janare di Benevento
venivano indicate come origine del
male e, senza mezzi termini, da sterminare.
La
Manolonga
(Maria la longa) era invece una
donna che era morta cadendo in un pozzo e, poiché non aveva trovato
pace, si divertiva a tirare giù nel pozzo chi si affacciava. Nota la
filastrocca che di bocca in bocca si passavano le streghe di
Benevento e non solo, come simbolo di appartenenza:
“nguento ‘nguento, manname a lu
nocio ‘e Beneviente, sotto ll’acqua e sotto o viento, sotto a
ogne maletiempo”.
Benevento è stata nella credenza
popolare sempre la capitale delle streghe,
in quel territorio contadino e
genuino dove le leggende e le tradizioni hanno un peso, le janare
erano la specie piu feroce di quelle streghe.
Esse si riunivano sotto quel noce
famoso ancora esistente ed in prossimità del fiume sabato per
celebrare le loro malvagità notturne, tra quei falò accesi e quelle
vittime sacrificali che spesso erano animali rubati nei campi dei
contadini.
Nella provincia di Avellino poi al
confine con quel Beneventano
le streghe prendevano il nome
di "maciare", che erano come le "janare" ma
piu dispettose e più adatte a quelle malocchiature che portavano a
situazioni negative in particolar modo in amore. Infatti esistevano
quelle neutrallizatrici, tra le donne anziane, di quegli effetti
malefici delle maciare.
Era uso comune quando si rompevano
fidanzamenti o matrimoni dire è stata "la maciara".
Si racconta che agli inizi del '900 in
una zona di campagna abbastanza impervia, lì dove quegli alberi
dominavano, vi era un rustico, una casa di campagna dove vivevano due
sorelline Anna ed Alessia, la loro vita era scandita da quei ritmi
caratteristici di quelle zone contadine, allo studio ed all'amore per
quegli animali della loro stalla tra cui uno splendido pony.
Le sorelline erano abbastanza grandi da
conoscere chi erano le janare, ne erano affascinate e nel
contempo quel fascino superava quella forte paura, più volte avevano
chiesto alla madre ed ai contadini delle terre attigue di avere
spiegazioni su quelle
credenze su quelle streghe,
su cosa facevano, sulle, loro malvagità ed abitudini, quindi avevano
appreso una buona parte di conoscenza di quelle credenze popolari che
talvolta si catalizzano in quella realtà diventando un tutt'uno.
Un giorno quel pony scomparve dalla
stalla e la disperazione delle due sorelline fu tanta, quel pony era
diventato ormai per loro un compagno di giochi ed a nulla valsero le
ricerche che furono fatte anche tra i compaesani in quelle campagne.
Allora decisero, pensando che fosse
stato
rapito dalle streghe, di
recarsi la notte seguente all'albero di noce, all'insaputa dei
genitori che erano tranquilli sapendo che le ragazzine dormivano
nella loro stanzetta.
Cosi tra boschi e campagne la sera
seguente s'incamminarono con due torce per farsi luce e per
raggiungere il posto maledetto. Si recarono quindi alla foce di quel
fiume ovvero, in prossimità di quell'albero di noce li dove la
leggenda narra che avvenivano quei riti malefici, quei
sabba delle streghe.
Il cammino fu notevole ma la
perseveranza delle ragazzine fu premiata e quando incominciarono a
vedere dei fuochi e sentire delle urla disumane capirono di essere
vicine.
Giunsero quindi a poche decine di metri
da quel sabba di malvagità in atto e nel mentre erano intente,
nascoste tra gli alberi, a cercare dove fosse il loro pony, furono
rapite da Sarminia.
Sarminia era quella più anziana,
il suo aspetto incuteva timore finanche da lontano, quei capelli
lunghissimi sporchi e impettinabili, quegli occhi che parevano due
fiamme accese e quello sguardo cattivo di malvagità fatte, e da
fare.
Furono così imprigionate in una
gabbia, nel mentre le altre streghe decidevano cosa fare di quelle
prede, di sicuro sarebbero state sacrificate la notte seguente in uno
di quei sabba infernali sotto quell'albero di noce.
All'alba, le streghe, però, si
dovevano ritirare lontano da quella luce, infatti
le streghe non potevano vivere
alla luce diurna,
uscivano solo di notte. Usanza
nota era in quei tempi di mettere fuori l'uscio di casa un scopa di
baggina ovvero intrecciata di fili di paglia ed un sacchetto di sale
a piccolissimi granuli, affinché nel perdere tempo a contare questi,
ovvero i granuli ed i fili di paglia, le streghe all'avvicinarsi
della luce del giorno scappassero via.
Quando il giorno dopo iniziò a calare
l'oscurità, le ragazzine prigioniere erano ben consapevoli di
quanto, da lì a poco, sarebbe avvenuto. Con molta difficoltà ed
astuzia riuscirono ad aprire quella gabbia che le impriggionava con
una forcina che portavano sempre nei loro capelli lunghi, e
finalmente riuscirono a scappare.
Quando le janare si accorsero che erano
fuggite, le loro urla furono terrificanti, si oscurarono le stelle
nel cielo che sovrastava quelle campagne, i lupi iniziarono ad
ululare, il cielo si trasformò all'improvviso in un covo di lampi,
anche gli uccelli notturni presero il volo da quei luoghi.
Era l'ira delle janare l'ira per la
fuga delle due prigioniere. Le urla si ascoltavano anche quando
queste erano ormai lontane:
unguento unguento,
siam le streghe di benevento,
supra acqua e supra vento e supra
omne maltempo,
vi verremo a prendereeeeeeeeee
domani notte verremo alla vostra
abitazione
Si sentì così rimbombare in
quell'oscurità e tra quegli alberi che parevano terrificati anche
loro, in quelle foglie e quei rami immobili nonostante il forte
vento.
Appena arrivarono a casa, le sorelline
distrutte, si tuffarono nel letto e senza dormire per la paura
incominciaro a studiare un piano diabolico. Prima dell'imbrunire del
nuovo giorno, quando era stato profetizzato che sarebbero arrivate le
janare a riprenderle, decisero di sistemare fuori all'uscio di casa
due scope di baggina e due sacchetti grossi di sale a granuli
piccoli.
Al mattino, finalmente col sole, senza
aver dormito tutta la notte per la paura, uscirono di casa e
trovarono davanti alla porta d'ingresso una quantità notevole di
cenere ancora fumante.
Le streghe avevano perso moltissimo
tempo a contare i fili
di quelle scope ed i granuli di quei
sacchetti di sale messi lì per ingannarle, e senza accorgersi del
sorgere di quella luce del giorno mortale per loro, finirono
incenerite.
Si racconta ancora che da quella cenere
seminata in quella terra vennero fuori dieci arbusti fortemente
spinosi, mai tolti che mai più sono morti e dopo centinaia di anni
sono ancora presenti.
Ma questo..., è un sogno fatto, una
leggenda o realtà?
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