lunedì 25 luglio 2022

Eric Stenbock , un vero Conte forse Vampiro.

Per fare un passo in avanti nel vostro viaggio alla ricerca del vero volto di Vlad III l’Impalatore aggiungerei un’ipotesi degna di venire presa in considerazione da quanti si sono come chi scrive appassionati alla vita, alle opere dello scrittore irlandese che mai viaggiò per le nebbiose contrade della Transilvania, ma che ebbe la capacità di suscitare nei lettori del suo immortale romanzo la curiosità, l’interesse per quelle contrade, per le locali leggende, per le inconsuete tradizioni popolari.

A sinistra, una delle tante, inquietanti, raffigurazioni di Vlad III l’Impalatore, il vero “Dracula”. A destra, il dottor Roberto Volterri sull’isolotto di Snagov (Romania) dove sarebbe sepolto il vero personaggio fonte di ispirazione per lo scrittore irlandese Bram Stoker.


D’altra parte Bram Stoker e lo stranissimo Conte Eric Magnus Andreas Harry Stenbock che ora incontrerete vissero a Londra nello stesso periodo e non credo sia da rigettare a priori l’idea che l’irlandese abbia avuto sentore che nella stessa città in cui abitava faceva parlare di se uno strambo aristocratico che amava uscire solo di notte, illuminava la sua dimora – abitata anche da serpenti, lucertole, salamandre e rospi! – solo con candele nere, riceveva gli ospiti seduto in una bara e non pranzava se il suo batrace preferito non si appollaiava sulla sua spalla mentre un allegro serpente si arrotolava ai suoi piedi. O almeno così si narrava in città…

Se questa fosse una storia vera potremmo affermare con qualche probabilità di essere nel giusto affermando che Bram Stoker, l’indimenticabile, “immortale”, autore del “Dracula” più celebre tra tutti i “Dracula” sorti dal 1897 in poi si sia ispirato – almeno in minima parte – proprio ad un curioso personaggio che visse in quegli anni a Londra: il Conte (vero Conte!) Eric Magnus Andreas Harry Conte di Stenbock, Barone di Torpa e… molto altro ancora.

Ma questa è una storia vera!

Foto giovanile del Conte Eric Magnus Andreas Harry Stenbock e un suo strano, rarissimo, libro… sulla morte.


Bram Stoker quasi certamente avrà sentito parlare di un giovane nobile, nato da un’antica famiglia dell’Estonia, ormai avviata verso la decadenza, arrivato in Inghilterra per seguire un regolare corso di studi ad Oxford, celebre università da cui viene regolarmente espulso per un comportamento che non lascia presagire nulla di buono.

Il Conte Stenbock – tralasciamo la lunga sfilza di altri nomi e titoli nobiliari! – nasce un lontano lunedì 12 Marzo 1860 a Cheltenham , nel Gloucestershire, dal Conte Eric Friedrich Diederich Magnus, passato a miglior vita a soli ventisei anni, quando il suo quasi omonimo figliuolo è venuto al mondo da pochi mesi.

La madre si chiama Lucy Sophia Frerichs, inglese, e ben presto si consola con tale Frank Mowatt, subito cordialmente odiato dal futuro aspirante “vampiro”.

Divenuto adulto, in possesso di una discreta rendita familiare, il nostro Conte frequenta il Balliol College di Oxford mietendo clamorosi… insuccessi.

Alto, molto magro, con un’inquietante pallore del volto, i capelli fluenti, indossa perennemente un abito da sera ovviamente… nero! – ed uno svolazzante mantello.

Nella sua stanza ama circondarsi di serpenti, lucertole, salamandre e rospi e i suoi interessi si rivolgono ben presto verso il tema della morte e della decadenza del corpo umano. Quando viaggia porta con se un cane ed una scimmia…

La morte e alcuni inconsueti aspetti della religione sembrano ossessionarlo poiché ama sostenere che

La morte è una sporca entrata per una bella religione in cui non ci saranno né la nebbia di Londra né alcuno dei mali che agitano i poeti e gli artisti di qui.

Il lettore interpreti come vuole tale criptica affermazione…

Come ogni “vampiro” che si rispetti, il Conte Stenbock esce soltanto di notte ed illumina la sua cupa dimora con candele rigorosamente nere.

Nel suo strano appartamento londinese riceve gli amici seduto in una bara, tenendo così si mormora… un rospo su una spalla, rospo che non lo abbandona mai anche quando il Conte siede a tavola mentre un serpente si arrotola sulle sue caviglie…

Si mormora anche, le solite “malelingue” ovviamente! Che egli si dedichi a riti di Magia Nera. Naturalmente le droghe, oppio in particolare non mancano nella sua quotidiana ricerca del “diverso” in ogni sua manifestazione, e ben presto diventa un forte bevitore.

Ben poco lodevoli attività, queste, che lo spingono a creare il “Club degli Idioti”, frequentato suppongo da altri individui che definire eccentrici suonerebbe come un inno al culto per le perifrasi…


Il “Club degli Idioti” fondato dallo strano Conte Stenbock

Stenbock, molto seriamente, afferma che anche in Estonia, terra d’origine dei suoi avi, esistono simili “Club” i cui membri, sentenzia senza alcun intento ironico “…sono più morti che vivi…”.

Le sue stranezze inducono ben presto i suoi fratellastri ad allontanarsi da lui, forse temendo qualche improvviso e irreversibile accesso di follia.



Il “Club degli Idioti” fondato dallo strano Conte Stenbock.

Il Conte, proprio per non lasciare che trapelino dubbi sulla sua pazzia, viaggia con una sorta di bambola che egli battezza “Piccolo Conte”, si interessa vivamente del fenomeno del “vampirismo” e ne dà ampia testimonianza in alcune sue opere poetiche tra cui “The lunatic lover”, in cui un “non-morto” raggiunge le sue prede “viaggiando” in una dimensione onirica, “L’ombra della morte”, in “A dream” e nel racconto breve intitolato “La vera storia di un Vampiro”.



“Parce sepulto”… Sotto questa croce, ormai divelta dal tempo e dall’incuria, giace l’aspirante “vampiro” Conte Eric Magnus Andreas Harry Stenbock.

Non facendo certamente onore alla conclamata “immortalità” del personaggio al quale ha ispirato alcune sfaccettature della sua esistenza, Il Conte Eric Magnus Andreas Harry, Barone di Torpa… e altro ancora, lascia definitivamente questa “valle di lacrime” un triste venerdì 26 Aprile 1895.

Ha soli 35 anni, gran parte dei quali trascorsi in una dimensione del tutto irreale…

Gli viene estratto il cuore che viene inviato in Estonia per essere conservato insieme a simili resti dei suoi avi.

Possiamo sospettare che Stoker abbia sentito parlare di questo stranissimo personaggio, autore del breve racconto sui “vampiri” che abbiamo appena menzionato, pubblicato nel dicembre del 1894 – tre anni prima del ben più celebre “Dracula” stokeriano – in una antologia sinistramente intitolata “Studi sulla Morte”?

Forse sì, forse no.


domenica 24 luglio 2022

Sati – il macabro sacrificio delle vedove.

I riti legati alla morte costituiscono, da millenni, uno degli aspetti più intriganti del vasto universo antropologico. Questi rituali non solo hanno lo scopo primario di onorare e ricordare i defunti, ma anche di esorcizzare la morte stessa. Dalle grandi civiltà alle più sperdute tribù, dalla più remota antichità ai giorni nostri: molteplici sono i rituali elaborati dagli uomini di ieri e di oggi.

Rituali, tuttavia, che sovente sfociano nel macabro, nell’invasamento, nel fanatismo, nel gore e – a seconda delle leggi in vigore – nell’illegalità più spinta.

Quello che andremo ad illustrare è, senza dubbio, uno dei rituali funebri più cruenti ed efferati. Destinazione India, alla scoperta della macabra pratica della Sati.


Da divinità a pratica terrena

In sanscrito è सती. Sati.

È da questa antica divinità induista che deriva il nome della omonima, macabra pratica funeraria. Per comprendere appieno le origini di questo rituale occorre, almeno in estrema sintesi, addentrarci all’interno del complesso e variegato mondo del pantheon induista e delle più radicate tradizioni filosofiche e religiose indiane ed orientali.

Sati è la personificazione della Prakṛti: un’astrazione di pensiero di difficile comprensione la quale, per semplificazione, può essere associata al nostro concetto di “Natura” o, meglio ancora, “forza motrice primordiale”, citando la “Bhagavadgītā”, divenuta un autentico testo sacro benché parte del poema epico “Mahābhārata”.

A volere che la “Natura” prendesse forma umana è Brahmā, il creatore dell’Universo.

Sati è figlia di Dakṣa – uno dei figli di Brahmā e di Prasūti. Sati diventerà moglie di Siva, una delle divinità maschili più importanti dell’Induismo. Il matrimonio, tuttavia, è osteggiato invano da Dakṣa.

Il seguente episodio scaturirà l’origine della pratica del rituale. Dakṣa osa non invitare Sati e Siva ad un Yajña, un particolare rituale di sacrificio. Sati, tuttavia, decide di recarsi comunque al rito e di affrontare suo padre. L’episodio genera una lite tra Dakṣa e Sati, la quale profondamente ferita dal comportamento del proprio padre si immola, iniziando a bruciare dalle viscere del proprio corpo. Un’altra versione della storia afferma che Sati si getta tra le fiamme dei fuochi sacrificali impiegati durante lo Yajña.

Siva, in quel momento in meditazione sul monte Kailash, percepisce l’accaduto. Genera, allora, Virabhadra, un demone vendicativo il quale farà strage di tutti coloro i quali si sono opposti a Sati e Siva stesso. Anche Dakṣa non verrà risparmiato e verrà decapitato.


Sati, il sacrificio delle vedove



Il mito e i racconti legati a Sati non si esauriscono con il suo sacrificio ma, nel nostro caso, è sufficiente soffermarsi sul particolare madre di questo mito, ossia l’immolazione di Sati. Un episodio mitologico dal quale, tuttavia, nasce la pratica – assolutamente reale – della Sati.

Sembra che le prime tracce documentali di questa macabra pratica funeraria risalgano attorno al 510 a.C.; un indizio in tal senso ci viene da una stele eretta nella antica città di Eran, situata nell’attuale Madhya Pradesh, India.

In cosa consiste il rito funerario della Sati? Il rituale prevede che, morto il marito, la vedova si getti viva tra le fiamme della pira funebre allestita per il marito. Un’autentica immolazione, un suicidio rituale.

Esistono, in antichità, varie tipologie “ufficiose” del rituale. Nel nord dell’India, la donna viene legata ad un palo ed arsa viva mediante un braciere in bambù e legna colmo di sostanze grasse, così da rendere più efficiente la combustione.

Nel Bengala, sulle rive del Gange, si consuma un’altra forma del rituale: la donna, cosparsa di sostanze combustibili, è legata al corpo del proprio defunto marito e data alle fiamme in un braciere di paglia e palme. In altri luoghi dell’India, invece, il braciere è interrato.

Il suicidio rituale delle vedove è, evidentemente, un profondo, supremo atto di devozione coniugale verso il proprio consorte. Nei fatti si tratta di un suicidio ma, nei panni delle genti indiane, il termine “suicidio” appare improprio. Per le donne, anzi, la pratica funeraria della Sati è motivo di vanto e riscatto sociale: non tutte le donne possono ambire alla Sati e quelle che compiono la propria immolazione sono particolarmente meritevoli.

Tutte le caste sociali indiane abbracciano tale pratica ma, poiché i beni della vedova sono devoluti in eredità alla famiglia del marito defunto, la Sati si estende soprattutto tra le caste più benestanti e socialmente influenti, tra cui sacerdoti e militari.

Non tutta la multiforme India accetta questa pratica. Sikh, islamici della dinastia Moghul, molteplici induisti vietano o rifiutano tale pratica, da molti – già in passato – definita barbara e inutile.

L’occidentalizzazione dell’India – divenuta, nei secoli, colonia dei più importanti Paesi europei – conduce ad una graduale messa al bando della pratica della Sati.

È Lord William Bentinck, Governatore generale del Bengala dal 1828 al 1835 ad abolire per legge nel 1829 la pratica della Sati, operazione supportata anche dal Raja Ram Mohan Roy, personalità di spicco del riformismo indiano.

L’abolizione, tuttavia, non sortisce l’effetto sperato. In alcune zone dell’India (specie quelle a minor alfabetizzazione), la pratica resiste, anche sotto forma di coercizione nei confronti delle vedove, costrette con la forza ad immolarsi.

Le cronache redatte dalla Compagnia Britannica delle Indie Orientali offrono la misura del “fenomeno Sati”: dal 1813 al 1828, si calcolano in media circa 600 casi di immolazioni Sati all’anno. Si tratta, altresì, di cifre verosimilmente al ribasso: la pratica della Sati era, infatti, ben più estesa.

Il fenomeno, dal 1829, andrà gradualmente a scemare; in epoca contemporanea, si contano oltre 50-60 casi documentati a partire dal 1947-1950. Documentati, appunto: i casi di Sati non accertati, ignoti o interrotti potrebbero, anzi, sono molti di più.

Come negli anni successivi alla sua abolizione, la Sati è ancora oggi eseguita in zone particolarmente povere e sperdute. I casi certi, inoltre, aprono discussioni e dibattiti, anche al livello politico, circa la legittimità o meno di una pratica funeraria radicata nelle tradizioni e nel tessuto sociale più profondo dell’India. Documentati i controversi casi di Roop Kanwa (diciottenne immolatasi nel 1987), Charan Shah (55 anni, 1999), Vidyawati (35 anni, 2006), Janakrani (40 anni, 2006).

Sati: da divinità a macabro sacrificio. Fanatismo religioso, cieca esaltazione, viscerale, impenetrabile devozione: ingredienti di quella macabra suggestione chiamata Sati.

Questa pratica viene descritta anche nel libro “Il giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne.


sabato 23 luglio 2022

Kuchisake - onna: la storia della donna dalla bocca spaccata.


Oggi parliamo di uno dei tanti spiriti maligni che, secondo la leggenda, infestano le strade del Giappone. Questa è la storia di Kuchisake-onna, ovvero la donna dalla bocca spaccata. Diffusasi nel 1979, la storia racconta di una donna mutilata dal marito, tornata per perseguitare vittime innocenti. In patria, il racconto ha causato molto scalpore, tanto che ai bambini veniva permesso di tornare a casa da scuola solo in gruppo e accompagnati dalle insegnanti.


Le origini di Kuchisake-onna.

Kuchisake-onna una donna bellissima vissuta tra il 1603 e il 1868 (periodo Edo o Tokugawa), andava in giro per il villaggio in cui abitava chiedendo agli abitanti se la trovassero bella. Ovviamente, tutti gli uomini non potevano che rispondere affermativamente. La giovane si sposò con un samurai, ma presto iniziò una relazione clandestina con un soldato. Quando il marito scoprì del tradimento, chiese all’amante perché avesse scelto proprio lei. L’altro rispose che sua moglie era stupenda e non si sarebbe mai sognato di rifiutarla.

Il samurai, apprezzando l’onestà dell’uomo, lo risparmiò e decise di vendicarsi sulla propria sposa. Le tolse l’unica cosa a cui teneva veramente, cioè la sua bellezza. Infatti, tornato a casa, prese un paio di forbici e le taglio' la bocca da orecchio a orecchio (creando una specie di Glasgow smile). La donna, addolorata dalla perdita di ciò che aveva di più caro, si tolse la vita con un colpo di pistola e cadendo da un ponte.

Il suo spirito, però, si aggira sulla terra, condannato a vendicare il suo dolore. Si impossessa di un corpo che le assomiglia e viaggia, ancora oggi, nel mondo. Impossibile sapere dove avverrà il prossimo avvistamento.


Le due leggende su Kuchisake-onna.

Esistono due leggende che riguardo questa anima tormentata. Entrambe hanno dei punti in comune, ma alcuni aspetti sono molto più macabri.

Partiamo, quindi, con quella più tradizionale. Secondo la leggenda, la donna, con indosso una mascherina, si avvicinerà ai poveri sprovveduti per chiedere se la trovano bella. A quel punto il fantasma si toglierà ciò che le copre il volto e lo chiederà un’altra volta. Se la persona davanti a lei urlerà o risponderà di sì, lei le squarcerà la bocca per farla assomigliare alla sua. Se, invece, risponderà di no, la donna seguirà il malcapitato a casa e lo assassinerà in modo brutale.

In base alla leggenda moderna, però, Kuchisake-onna indossa una mascherina che si usa negli ospedali. Quando si avvicina alle potenziali vittime con la solita domanda, se queste rispondono negativamente, lei le ucciderà con un paio di forbici. Se, invece, risponderà di no dopo la rimozione della maschera, la persona davanti a lei verrà tagliata a metà. Nel caso in cui risponda affermativamente, come in precedenza, sarà sfigurata con l’uso delle forbici.


I metodi per sfuggirle.

Le vittime sembrerebbero non avere scampo. Tuttavia, ci sono dei modi attraverso i quali si può confondere lo spettro. Secondo entrambe le versioni della leggenda, basterebbe rispondere alla domanda con un “forse”, oppure lanciarle delle caramelle o denaro che lei si metterà a raccogliere. Avrete così il tempo di scappare senza farvi inseguire, evitando di venire uccisi a casa vostra quella stessa sera.


Gli avvistamenti.

Nel corso degli anni, Kuchisake-onna (o chi si spacciava lei) è stata avvistata. Nel 2004, in Corea del sud, una donna ha iniziato a inseguire i bambini per le strade, coprendosi il viso con una maschera rossa.

Negli anni ’70, periodo in cui ha cominciato a diffondersi la leggenda, una donna era solita a inseguire i bambini per le strade. Questa, però, fu investita da una macchina e morì. Il suo viso aveva lacerazioni che andavano da orecchio a orecchio.

L’ultimo avvistamento risalirebbe al 2018, in Texas. Qui una donna avrebbe mostrato il terrificante sorriso a un bambino, dopo essersi tolta una mascherina chirurgica.


venerdì 22 luglio 2022

Mothman: la leggenda dell’Uomo Falena.

Quella che andrò a trattare è una moderna storia che mescola folklore e mistero, una contemporanea leggenda metropolitana che vede come protagonista una strana creatura, una presenza oscura ed inquietante. “Urban legend” statunitense attorno alla quale si è fantasticato e si fantasticherà ancora a lungo. Icona di un territorio, di genti, di città. Sinonimo di sventura. Inspiegabile, imperscrutabile.

La leggenda del Mothman – l’Uomo Falena – rientra in quelle storie sempre in grado di solleticarmi, di incuriosirmi, di inquietarmi come poche altre sanno riuscirci. L’origine della passione per la leggenda del Mothman è presto detta: “The Mothman Prophecies – Voci dall’ombra”, film del 2002 diretto da Mark Pellington il cui protagonista – Richard Gere nel ruolo di John Klein, giornalista del “Washington Post” – si trova suo malgrado alle prese con il mistero del Mothman.

Il film è tratto dall’omonimo romanzo "The Mothman Prophecies" (1975), opera del giornalista e scrittore statunitense John Alva Keel (New York, 25 marzo 1930-New York, 3 luglio 2009), appassionato di ufologia, paranormale e misteri ed egli stesso attivo nelle vicende investigative inerenti al Mothman.

È grazie a questo splendido film che la storia dell’Uomo Falena ha fatto breccia in me. Più di altri racconti del mistero, più di tante macabre storie dell’umana follia, più di tanti film horror in cui sangue e violenza si susseguono facendo fede ad uno scontato canovaccio, sovente inutilmente urlato e quindi inefficace. Mi ha travolto come una tempesta, devo ammetterlo. Ricordo ancora la prima volta che lo vidi: di sera, da solo, incollato allo schermo, tanto intimorito quanto calamitato da una narrazione affatto banale. Un “rito” che ripeto e perpetro ogni volta che il film è trasmesso in TV.

Una pellicola che suscita dubbio, inquietudine, angoscia, fascino, pathos. Bravura del regista e di tutto lo staff tecnico impegnato nella realizzazione del film, abili a trasportare sul grande schermo – con brivido e tensione degni dei migliori horror – una leggenda metropolitana nata e sviluppatasi nei nostri tempi, nei nostri giorni, nella società moderna. Ogni scena, ogni dialogo alimenta gli stati d’animo descritti appena sopra, i quali si mantengono vivi ad ogni visione.

Ecco, dunque, la storia del Mothman, l’Uomo Falena.


I primi avvistamenti: nasce la leggenda del Mothman

West Virginia, seconda metà degli Anni ’60. Piccole città e comunità, improvvisamente, si trovano al centro delle cronache nazionali a stelle e strisce.

12 novembre 1966, Clendenin, piccola località nella Contea di Kanawha. Mentre stanno allestendo una tomba in un cimitero, cinque uomini divengono i protagonisti di quello che è, nella sostanza, il primo avvistamento ufficiale e documentato dell’età contemporanea del Mothman, l’Uomo Falena. Una creatura apparentemente umana, di colore scuro, provvista di ali, di grande statura, in grado di volare. La segnalazione, benché alquanto singolare, viene ignorata dalla stampa locale. Mitomani, si pensa. Passano pochi giorni ed ecco che il Mothman riappare.

15 novembre 1966. Sede dell’avvistamento è la cittadina di Point Pleasant, nella Contea di Mason, West Virginia. Ad avvistare il presunto Uomo Falena sono due coppie: Roger e Linda Scarberry e Steve e Mary Mallette. Si trovano a bordo di un’auto nei pressi di una ex fabbrica di munizioni, la cosiddetta “TNT area”. Le quattro persone coinvolte nell’”incontro ravvicinato” descrivono alla polizia la bizzarra creatura: dalle fattezze apparentemente umane, di statura imponente, occhi rossi, lunghe ali. Terrorizzate, le due coppie risalgono in auto e imboccano la Statale 62. Qui, rivedono la creatura, in piedi, la quale seguirà l’automobile per qualche chilometro.

La descrizione combacia con quanto avvistato dai cinque uomini appena pochi giorni prima. E, come si saprà, con quanto avvistato da altre persone giorni, mesi, anni prima. Le voci attorno all’Uomo Falena, infatti, affondano le proprie radici in epoche assai precedenti a quel 1966.

Una falena. Una falena gigante antropomorfa. Mothman, appunto.

Gli avvistamenti si susseguono martellanti. Il fenomeno sembra inarrestabile. E subito l’opinione pubblica si divide: bufala o realtà? Gli scienziati cercano di dare volto e nome plausibili all’essere che terrorizza le località della West Virginia. Una rara gru di sabbia che ha smarrito la propria via? Un uccello notturno di qualche tipo? Una sorta di immaginazione collettiva? Un sentire popolare che ha nuovamente acquistato vigore? O una bufala costruita e confezionata ad arte, per così dire, a scopo di lucro? Zoologi, cripto-zoologi, ufologi, semplici appassionati partoriscono le più disparate congetture, oggi come ieri. Le ipotesi si moltiplicano al pari degli avvistamenti. Incessanti. Nel bimestre novembre-dicembre 1966, si contano almeno venti segnalazioni degne di nota.

Gli avvistamenti del Mothman coprono un arco temporale che va, all’incirca, dal settembre 1966 al novembre 1967. Ventisei gli avvistamenti più significativi, tra cui le importanti segnalazioni del 12 e 15 novembre 1966. La cosiddetta “TNT area” e le zone attorno a Point Pleasant, in particolare, ricorrono più spesso e in modo deciso e decisivo. Tutti avvistano e possono avvistare il Mothman, senza distinzioni di sesso, professione, età, ceto sociale. E tutti si imbattono nella medesima creatura: una sorta di essere antropomorfo alto circa 2 metri, occhi assai luminosi e di colore rosso, in grado di muoversi in posizione eretta ma con passo che definiremmo “strascicato”, ali simili a quelle di una falena (da qui, il nome Mothman: moth, in inglese, vuol dire falena) ma che non vengono battute in fase di volo (almeno così percepiscono e riportano i testimoni oculari), capacità di librarsi in aria ad elevate velocità (riesce a seguire le automobili), emissione di particolari ronzii metallici.


Il Mothman: tra scienza, profezie e teorie del complotto.

Volenti o nolenti, il fenomeno del Mothman si allarga a macchia d’olio, pur rimanendo circoscritto,in modo particolare, al West Virginia e alle zone attorno a Point Pleasant. Anche lo Stato dell’Ohio – confinante con la West Virginia, è teatro di avvistamenti del Mothman.

Il fenomeno esiste, certamente, ma il punto è il seguente: cos’è o chi è il Mothman? È possibile accertare l’esatta e la concreta natura di questa creatura?

Lo sappiamo: costruire una leggenda metropolitana – oggi, queste leggende a sfondo horror e paranormale si chiamano creepypasta – è relativamente semplice. Ancora più facile alimentarla e cavalcarla. Lo scopo delle indagini attorno al Mothman è, dunque, cercare di districarsi tra leggenda, suggestione collettiva, mitomani, false testimonianze ed una presunta, eventuale realtà che ci narrerebbe di un essere antropomorfo a noi sconosciuto, volatilizzatosi nel nulla (almeno nell’area presa in esame) dopo la lunga scia di avvistamenti tra il 1966 ed il 1967.

Le tesi scientifiche e razionali, ovviamente, escludono la componente paranormale. Grandi esemplari di gufi e barbagianni costituiscono gli indiziati più accreditati e plausibili. Non una misteriosa creatura a metà tra una falena ed un uomo, bensì i più classici volatili notturni, caratterizzati da peculiarità riconducibili al Mothman. Il Committee for Skeptical Inquiry (noto in passato col nome di Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal – Comitato per l’Indagine Scientifica delle Affermazioni sul Paranormale) sostiene la tesi del grosso gufo scambiato per una sorta di “Uomo Falena”.

Nel 2016, WCHS-TV (TV locale del West Virginia dell’area di Charleston-Huntington) pubblica una foto del presunto Mothman, nuovamente avvistato da un testimone anonimo sulla West Virginia Route 2. La foto desta curiosità e clamore ma sembra si tratti del solito gufo. Insomma, la scienza, la approfondita conoscenza della zoologia ed un pensiero razionale ci conducono verso spiegazioni altrettanto razionali. Vi sono, poi, spiegazioni squisitamente culturali legate a quei territori. Racconti folkloristici che narrano del Mothman ben prima che questo si palesi tra il 1966 ed il 1967. Leggenda, folklore, mitologia locale: è sufficiente mescolare elementi popolari preesistenti a nuovi avvistamenti “terrorizzanti” di animali locali – poco noti o mai visti sino a quel momento – per produrre terrore, paura e per far sì che il mito del Mothman riprenda vita e si alimenti di nuova linfa.

Vi è poi la tesi della bufala costruita ad arte, scherzi ben compiuti ed eseguiti da “buontemponi”. Scherzi e bufale divenuti, successivamente e ben presto, virali.

La spiegazione scientifica, fredda e razionale, è, senza dubbio, quella più verosimile. Ma perché accantonare e disdegnare in modo preventivo e prevenuto spiegazioni ed ipotesi decisamente più ardite? Del resto, la nostra società accetta, ad esempio, le visioni delle figure legate alla Fede cristiana, benché ultraterrene e non dimostrabili mediante rigorose indagini scientifiche. Le accetta come possibili, anzi, come esistenti. Perché, quindi, scartare a priori la esistenza di entità “aliene” e di fenomeni sovrannaturali non legati alla Fede?

La cripto-zoologia è ancora considerata una pseudo-scienza, un castello di teorie ed ipotesi spesso tanto fantasiose quanto sognatrici atte a dimostrare l’esistenza di animali “misteriosi” e mitologici. In questo senso, il Mothman sarebbe una cripto-creatura: un animale ancora a noi ignoto ma che paleserebbe legami con altre creature della umana mitologia: il Thunderbird dei nativi americani (Wakinyan per i Lakota, Hohoq per i Kwakiuti, Kw-Uhnx-Wa per i Nootka o Nuu-chah-nulth), Garuḍa nella cultura orientale. Un legame, tuttavia, probabilmente non diretto: infatti, “l’uccello di tuono” tipico della cultura indigena americana può essere verosimilmente identificato con alcuni rapaci diversi dai gufi e dai barbagianni (animali identificati come il presunto Mothaman), quali, ad esempio, aquile, condor o alcuni uccelli oggi estinti, la cui memoria, però, si è tramandata di generazione in generazione attraverso miti e racconti. Del resto, ogni cultura narra di uccelli straordinari, enormi e dalle caratteristiche divine, dal Roc (o Rok) al Mothman. E non manca il collegamento ad un’altra figura mitologica, quello Spring-heeled Jack – creatura folkloristica inglese del periodo vittoriano, le cui apparizioni si collocano, specie a Londra, tra il 1837 ed i primi del Novecento – che, in alcuni tratti, ricorda molto da vicino il Mothman.

Il già citato John Alva Keel, autore del libro “The Mothman Prophecies”, sviluppa un pensiero di tipo cosmologico-parafisico-filosofico del tutto inedito e personale circa la reale natura degli UFO e degli avvistamenti di esseri non identificati; esseri che lo scrittore definisce efficacemente “ultraterrestri”.

Non più, dunque, visitatori provenienti da altri pianeti (questa è la classica rappresentazione degli UFO sostenuta dagli ufologi in senso stretto, ossia oggetti volanti non identificati provenienti dallo spazio cosmico, da altre galassie ed altri pianeti), bensì “ultraterrestri” provenienti da dimensioni parallele".

Keel arriverà ad ipotizzare, dunque, una correlazione tra i fenomeni paranormali e l’esistenza di “ultraterrestri” provenienti dalle suddette dimensioni parallele. Non più esseri extraterrestri (citando la tipica locuzione ufologica) , bensì extradimensionali.

La teoria delle dimensioni parallele, tuttavia, viene superata e modificata dallo stesso Keel. Fenomeni paranormali ed esseri “ultraterrestri”, allora, sono entrambi emanazione del cosiddetto “superspettro”, una energia-realtà di tipo elettromagnetico situata, però, in una frequenza diversa rispetto a quella che noi umani possiamo percepire. Non più dimensioni parallele, non più universi paralleli ma una frequenza situata nel nostro stesso Universo ma non percepibile coi e dai nostri sensi e non misurabile dai nostri strumenti. Una teoria al contempo complessa ed affascinante, la quale dipinge questo “superspettro” come luogo-entità dal quale nascono fenomeni paranormali ed ogni genere di creatura “ultraterrestre”, Mothman compreso. Il “superspettro”, dunque, manipolerebbe e condizionerebbe la realtà umana e la vita degli uomini attraverso la propria influenza. Una teoria cospirazionista alquanto personale, non v’è dubbio.


Il crollo del Silver Bridge

Il Mothman, secondo le più elaborate teorie, non è solo una creatura a noi ignota, bensì una entità “ultraterrestre” il cui scopo è segnalare qualcosa all’umanità. Una entità preposta ad avvisare l’umanità circa un imminente pericolo o essa stessa portatrice di sventura? In questo senso, il crollo del ponte Silver Bridge si inserisce in questo scenario parafisico.

Il Silver Bridge è un ponte sul fiume Ohio, a collegare – mediante il passaggio della U.S. Route 35 – le città di Point Pleasant (West Virginia) e Gallipolis, in Ohio (il Memorial Sign indica Kanauga, Contea di Gallia, Ohio, comunità confinante con Gallipolis). Eretto nel 1928, questo ponte collassa improvvisamente il 15 dicembre 1967, provocando la morte di 46 persone. 31 le automobili precipitate nel fiume, 9 i feriti. Una tragedia. Sono trascorse da poco le 5 del pomeriggio. I corpi di due vittime non verranno mai più ritrovati: sono entrambi cittadini di Point Pleasant, Kathy Byus e Maxine Turner.

Perizie tecniche ed inchieste hanno accertato che cedimenti strutturali dovuti ai forti carichi (ben superiori rispetto a quanto calcolato all’origine del progetto), un difetto di uno degli “eyebar” e la scarsa manutenzione decretano il tragico crollo del ponte.

La disgrazia del Silver Bridge avviene al tramonto dei mesi, a cavallo tra il 1966 ed il 1967, caratterizzati dai reiterati avvistamenti del Mothman. Quale, allora, il nesso tra il Mothman ed il collasso del Silver Bridge? Ebbene, secondo teorie molto ardite, l’Uomo Falena si palesa in occasione di particolari sventure. Una sorta di entità premonitrice. Un autentico demone, secondo alcuni. Non a caso, il Mothman viene avvistato nei momenti antecedenti e successivi al crollo del ponte. Apparizione peraltro accompagnata – stando alle testimonianza oculari – da una intensa fenomenologia di luci rosse in cielo, in corrispondenza della “TNT area” e Point Pleasant.

Le teorie, come vedete, si susseguono e si accavallano senza soluzione di continuità. E quando si entra nel mito, nel paranormale, nel sovrannaturale, ogni ipotesi ha ragion d’esistere: non c’è, infatti, una teoria più valida dell’altra, poiché tutte non sono scientificamente verificabili.

In questo mare di ipotesi, non poteva mancare la maledizione. Nella fattispecie, a lanciare il malaugurio sarebbe stato Hokoleskwa (Cornstalk, Gambo di Mais), nato attorno al 1720, carismatico capo indiano della tribù degli Shawnee (o Shawano), originaria dell’Ohio, Kentucky e Pennsylvania. Gambo di Mais, peraltro, è sepolto proprio a Point Pleasant (qui svetta la sua lapide). Non ci sono fonti storiche che accertano e certificano la maledizione lanciata in punto di morte dal capo indiano, ma è bastata la modalità della sua morte per innescare questo processo che oscilla tra storia e leggenda. Gambo di Mais, infatti, viene assassinato il 10 novembre 1777 da soldati della Militia of the United States di Fort Randolph (West Virginia, dove verrà edificata Point Pleasant, luogo già protagonista, il 10 ottobre del 1774, della cosiddetta “Battaglia di Point Pleasant”), in occasione di una visita diplomatica. I soldati uccidono Cornstalk, suo figlio Elinipsico ed altri due Shawnee in segno di vendetta: nativi americani, infatti, avevano precedentemente ucciso dei soldati americani. L’episodio, benché aspramente criticato dalle autorità americane, non porta ad alcuna condanna: tutti i militari coinvolti nell’omicidio, infatti, vengono assolti. L’ira dei nativi americani è furibonda.

A 190 anni esatti di distanza dalla morte di Gambo Di Mais (1777-1967), ecco che quello stesso territorio è vittima di una sciagura – il crollo del Silver Bridge – ed il Mothman imperversa tra Ohio e West Virginia, terrorizzando innocenti cittadini e manifestando la propria angosciosa presenza con fenomeni poltergeist, UFO, presenza di uomini non identificati. Incastri e coincidenze degni, appunto, di una potente ed oscura maledizione.

Il film, “The Mothman Prophecies – Voci dall’ombra”: chi è Indrid Cold?

Le vicende legate alle apparizioni del Mothman trovano nel film "The Mothman Prophecies-Voci dall'ombra" non solo una congeniale trasposizione cinematografica – che ambienta e riadatta le vicende del 1967 ai giorni nostri – ma anche una formidabile occasione per riportare alla ribalta una così interessante storia.

Nel film, John Klein (il giornalista interpretato da Richard Gere) viene contattato telefonicamente da Indrid Cold (curiosità: la voce di Indrid Cold è quella del regista, Mark Pellington). Un personaggio non umano, una entità “ultraterrestre”, una voce metallica e distorta. Questa entità onnisciente e dotata di poteri sovrannaturali sembra avvertire John Klein circa i drammatici fatti che stanno per sconvolgere Point Pleasant, ossia il crollo del Silver Bridge. Ebbene, Indrid Cold non è una invenzione cinematografica del regista, bensì una identità ignota realmente “esistita”. A narrarci di Indrid Cold è Woodrow Derenberger.

2 novembre 1966, ore 19:30 circa. Woodrow Derenberger – agente di commercio di Mineralwells, West Virginia – è in viaggio in auto da Marietta, Ohio, a casa. Ad un tratto, mentre sta percorrendo la Route 77 nei pressi di Parkersburg (West Virginia), avvista uno strano oggetto volante, un UFO dalla insolita forma allungata. Questo scende, affianca l’auto di Woodrow, quindi un uomo scende dal mezzo. All’apparenza un uomo di circa 1,85 m, di carnagione olivastra, capelli castano scuro, una giacca di color blu scuro metallizzato. L’uomo non emette parole dalla bocca ma comunica con Woodrow mediante telepatia. L’uomo si presenta col nome di “Cold”, Indrid Cold. Indrid appare cortese, amichevole: non ha intenzione di far del male. Woodrow, intimorito, interagisce con Indrid Cold per circa dieci minuti, prima che questi scompaia. Una conversazione bizzarra, nella quale Indrid Cold pone strane domande alle quali Woodrow risponde con stupore e terrore.

A stretto giro, la storia diventa di dominio pubblico. Media ed esperti del settore, compreso Keel, si interessano al racconto di Woodrow Derenberger.

La vita di Woodrow Derenberger, tuttavia, è per sempre segnata, nella psiche e nel fisico, dall’incontro con Indrid Cold. Quest’ultimo contatta più volte Woodrow: strane telefonate anonime, ronzii metallici, suoni distorti o solo silenzio. A nulla serve cambiar numero di telefono: le telefonate non cessano.

Anche la moglie e i figli di Woodrow Derenberger affermano di essere venuti in contatto con Indrid Cold e altri “uomini”, esseri in grado di “mimetizzarsi” quotidianamente tra gli uomini.

“Uomini” che, sempre più prepotentemente, entrano nella vita della famiglia di Woodrow Derenberger: i proverbiali, i famigerati “Men in Black”, terminologia coniata proprio da John Keel. Men in Black, la cui presenza è registrata e documentata almeno dagli Anni ’50.

Men in Black: umani (agenti governativi, servizi segreti molto speciali e “non ufficiali”) interessati agli avvistamenti del Mothman o anch’essi “ultraterrestri”, questi ultimi i quali cercano di “mimetizzarsi” – spesso in modo buffo e anacronistico, secondo le numerose testimonianze – nella umana vita quotidiana? Umani intenti a insabbiare fenomeni UFO e paranormali o alieni che agiscono per il medesimo scopo? Le svariate correnti ufologiche si dividono e si scontrano da decenni. In ogni caso, si tratta di personaggi che intimoriscono le persone con cui vengono in contatto. E nei giorni degli avvistamenti del Mothman, in tanti vengono avvicinati da questi Men in Black: dalla giornalista Mary Hyre (coinvolta nelle cronache del Mothman e che morirà il 15 febbraio 1970) a Linda Scarberry, dagli stessi Steve e Mary Mallette a Faye Dewitt-Leport, da Marcella Bennett a Connie Carpenter, tutti testimoni della comparsa del Mothman. “Uomini” a bordo di Cadillac e Volkswagen nere provviste di targhe mai registrate, vestiti con abiti sovente anacronistici e desueti, descritti come non a conoscenza di banali usanze ed abitudini umane, ad esempio, lo stringere la mano in segno di saluto. Uomini che non sbattono mai le palpebre ed ingoiano il cibo senza masticarlo. Che controllano abitazioni, telefoni, case, persone, spesso minacciandole. Uomini, dunque, solo in apparenza. Lo stesso John Keel, dapprima diffidente verso coloro i quali raccontavano di questi curiosi e minacciosi uomini, entra in contatto con i MIB.

MIB, secondo il pensiero di Keel, anch’essi facenti parte di quel mondo a noi ignoto il quale, però, interagisce costantemente con la nostra realtà. I Men in Black, pertanto, denunciano una origine parafisica.

Nel film “The Mothman Prophecies – Voci dall’ombra”, il personaggio di Gordon Smallwood (interpretato da Will Patton) evoca in modo netto ed evidente la vicenda di Woodrow Derenberger: anch’egli, infatti, è ripetutamente contattato da Indrid Cold, anch’egli ha una vita compromessa a seguito dei recidivi contatti da parte di Indrid Cold stesso. Una insanabile sofferenza fisica e psicologica che condurrà Gordon alla morte per ipotermia, in una notte gelida.

Ebbene, Indrid Cold si identificherebbe con il Mothman, creatura in grado di condizionare l’umanità e di palesarsi in circostanze particolari, prossime a imminenti disastri. Una creatura capace di ammonire ed avvertire l’umanità attraverso segnali criptici e spesso indecifrabili? O il Mothman-Indrid Cold si materializzerebbe in occasione di eventi luttuosi, non per avvertirci – e quindi aiutarci – ma in quanto sorta di demone? E, a quanto pare, il Mothman ed Indrid Cold vengono in contatto con numerose persone: innumerevoli, infatti, gli avvistamenti del Mothman e di uomini inquietanti. Il tutto accompagnato da avvistamenti di strani oggetti volanti e fenomeni poltergeist.

Nel film, infatti, anche l’agente Connie Mills (interpretata da Laura Linney) avverte in sogno la presenza del Mothman-Indrid Cold: “Sveglia, numero 37”, le pronuncia in sogno. 37, nel film, è l’ammontare delle vittime del crollo del ponte (nella realtà, ricordiamo, i deceduti sono 46).

Gordon, dal canto suo, rivela a John Klein che “99 moriranno”, come in precedenza riferitogli da Indrid Cold. Pochi giorni dopo, un incidente aereo mieterà 99 vittime.

La stessa vita di Klein, in realtà, è già stata sconvolta e segnata dalla presenza del Mothman. Assieme alla moglie, Mary (interpretata da Debra Messing), è vittima di un incidente automobilistico. L’incidente è causato dalla improvvisa comparsa, nell’oscurità della sera, di una figura inquietante, la quale fa perdere il controllo dell’auto alla donna. È la donna, infatti, la sola ad aver visto lo strano essere. Ricoverata, le verrà diagnosticato un tumore incurabile al cervello. John Klein, afflitto dalla morte della amata consorte, viene a conoscenza di alcuni strani disegni eseguiti dalla moglie stessa. I disegni ritraggono la strana figura avvistata quella sera: il Mothman. Da quel momento, la vita di John Klein sarà condizionata dalla oscura presenza dell’Uomo Falena, entità energetica che condurrà il giornalista – in modo inequivocabilmente paranormale – sino a Point Pleasant e ai suoi abitanti: fenomeni paranormali, incomprensibili eventi ed energie maligne, eventi luttuosi puntualmente verificatisi.


Il Mothman: è sempre stato tra noi?

Chi o cosa è il Mothman? Se è impossibile stabilire cosa realmente e fisicamente sia, è certamente verosimile valutare e decretare cosa esso rappresenti ed incarni nella cultura popolare. Il Mothman è una sorta di metafora della vita, un monito, una oscura presenza pronta a far sentire il proprio leggendario, mortale peso in occasione di tragici eventi. C’è chi dice, ad esempio, di aver visto il Mothman nei giorni della tragedia di Chernobyl e durante altri eventi luttuosi, dall’America all’Asia. Si è giunti persino a stilare una lista (l’autore è Loren Coleman) di decessi connessi, in qualche modo, al Mothman: non solo morti riconducibili agli eventi datati 1966-1967 (su tutti, il collasso del Silver Bridge), ma anche decessi avvenuti a seguito della uscita e della visione del film. Lutti che hanno colpito anche persone che hanno lavorato al film stesso. Semplici coincidenze del trascorrere degli anni o esiste davvero qualcosa di sovrannaturale che non riusciamo a percepire, a cogliere?

Animale ignoto, creatura “ultraterrestre” proveniente da un presunto “superspettro”, UFO, presenza di Men in Black, espressione maligna e tangibile delle umane disgrazie, ennesima rappresentazione della Morte. Il Mothman è tutto questo e molto altro ancora.

Oscuri presagi e precognizione accompagnano e caratterizzano la leggenda dell’Uomo Falena.

Una storia che – al pari di altre vicende sovrannaturali – fa traballare anche uno scettico ed una mente razionale come la mia. La sua inquietante e tetra raffigurazione, le storie e gli accadimenti che ruotano attorno alle sue apparizioni: elementi inquietanti, che si creda o no alla presenza fisica ed “in carne ed ossa” di un sedicente Uomo Falena. Impossibile non provare almeno un brivido di angoscia, di primitiva ansia. L’inspiegabile, in fondo, spaventa.

Pura inquietudine: che sia questa la reale eredità, la cruda essenza del Mothman?

giovedì 21 luglio 2022

Fantasmi – la vera storia di Jackie Hernandez.


Quello di Jackie Hernandez è uno dei casi di poltergeist più documentati e famosi. Fantasmi senza testa, attacchi a persone e sangue dai muri: questo è il caso di Jackie Hernandez.

Tutto comincia nel novembre 1988, quando Jackie Hernandez lascia il marito dopo una vita di abusi e si trasferisce, incinta e insieme a suo figlio di due anni, a San Pedro, California.

Non appena si trasferisce nella sua nuova casa comincia a notare strani fenomeni. All’inizio sono solo strani rumori che provengono dalla soffitta e Jackie pensa che siano topi.

Poi però cominciano ad accadere cose sempre più strane e spaventose. Un giorno, mentre sta lavando i piatti insieme a un’amica, vede una strana sostanza rossastra colare da un muro.

I rumori in soffitta si trasformano piano piano in voci e tutto peggiora nel 1989, quando nasce sua figlia Samantha. Alcuni oggetti cominciano a volare per casa e Jackie comincia a vedere la figura di un uomo, vestito come si usava negli anni ’30, che spariva dopo qualche secondo.

In soffitta, Jackie vede anche una testa mozzata che sparisce poco dopo. La donna non è l’unica a vedere le apparizioni, anche i suoi vicini le vedono.

In effetti sono proprio loro che decidono di chiamare un investigatore del paranormale, dato che Jackie non vuole farlo per paura di essere presa per pazza.


Le indagini


Ad investigare è il famoso parapsicologo Dr. Barry Taff, che aveva investigato anche il caso di Doris Bither.

Appena giunto a casa di Jackie inseme ai suoi collaboratori, sente subito degli strani rumori in soffitta. La padrona di casa sostiene che si tratti del corpo a cui appartiene la testa che aveva visto nei giorni precedenti.

La squadra di Taff sente tutti i rumori descritti da Jackie e vede anche la strana sostanza che esce dai muri. Dopo averla fotografata la portano in un laboratorio e scoprono che si tratta di plasma umano, un componente del sangue.

Taff visita la casa più di una volta, e ogni volta succedono fenomeni molto strani. Ad esempio, le videocamere smettono di funzionare non appena vengono portate in soffitta. Non importa quante volte provino, le videocamere in soffitta danno problemi, per poi tornare a funzionare solo una volta tornati in casa.


Gli attacchi a uno dei fotografi

Il primo attacco

Uno dei fenomeni più eclatanti è stato l’attacco che il fantasma ha lanciato contro il fotografo Jeff Wheatcraft.

Jeff e un collega si trovano in soffitta cercando di fare qualche foto. Dopo averne scattate tre, Jeff sente un rumore provenire da dietro di sé. Si gira di scatto e scatta una foto, ma non appena preme il pulsante una forza gli strappa la macchina fotografica di mano, gettandola lontano.

I due scendono in casa, ma poi decidono di tornare a prendere la macchina fotografica. La trovano nascosta in un angolo della soffitta, senza lenti, che verranno ritrovate poco distante.

Di nuovo tornano in casa e a quel punto cominciano a sentire un odore nauseabondo provenire dalla soffitta. Jeff decide di andare a vedere.

Il fotografo sente una mano ossuta poggiarsi sulla sua schiena e decide di tornare in casa, ma proprio in quel momento vede apparire tre luci e poi una sagoma scura. Purtroppo le videocamere erano inutilizzabili e non esiste un filmato del fenomeno.

Qualche giorno dopo, Jeff sente un forte dolore alla schiena e decide di rivolgersi al suo medico, il quale gli dice che sono presenti delle contusioni. Il pensiero di Jeff va subito alla mano ossuta da cui si era sentito toccare.


Il secondo attacco



Circa un mese dopo, Jackie chiama di nuovo il Dr. Taff, impaurita. Gli strani fenomeni sono tornati più forti di prima.

Il parapsicologo torna a casa di Jackie con la sua squadra. Non appena entrano sentono un rumore simile a qualcuno che schiocca le dita.

Vanno di nuovo in soffitta ed è qui che si verifica l’attacco più eclatante. Da una delle travi del soffitto sporge un chiodo da cui pende una cordicella per stendere il bucato.

Jeff non ricorda esattamente cosa sia successo, ma i suoi colleghi ricordano di averlo sentito emettere degli strani suoni, di essere andati verso di lui e di averlo trovato impiccato alla cordicella per il bucato.

Subito un collega riesce a liberarlo, mentre un altro riesce a scattare alcune foto. Esiste un filmato in cui si vede Jeff scendere dalla soffitta con la cordicella al collo e un segno rosso sulla pelle.


Jackie Hernandez oggi

Dopo questo episodio, Jackie si è trasferita, ma vive sempre a San Pedro. La casa in cui viveva invece è continuamente oggetto di indagini paranormali e chi vi si trasferisce non dura più di sei mesi. Tutti coloro che la visitano riportano di vedere e sentire gli stessi fenomeni che vi avvenivano nel 1989.


mercoledì 20 luglio 2022

Il Mistero di Atlantide e dell’Antica Città Perduta.

Mille ipotesi, nessuna certezza.

In un tempo lontano, fatto di miti e leggende, di eroi mortali e dèi capricciosi, al di là delle Colonne d’Ercole “avvennero terribili terremoti e diluvi” e, in un solo giorno e una sola notte, l’isola-continente di Atlantide sprofondò negli abissi dell’oceano. Secondo Platone, tutto ciò ebbe luogo 9.000 anni prima della nascita di Solone, colui che il filosofo ateniese indicò come sua fonte principale e iniziatore del mito di Atlantide.


Mappa immaginaria di Atlantide


Il mito di Atlantide secondo Platone

La storia di Atlantide ebbe inizio con il Timeo e il Crizia, due dialoghi scritti da Platone intorno al 360 a.C. Attraverso i personaggi di Socrate, Ermocrate, Timeo di Locri e Crizia, suo antenato e capo dei Trenta Tiranni di Atene, il filosofo raccontò di Atlantide, un’isola-continente “più grande della Libia e dell’Asia”, all’epoca il Nord Africa e l’Anatolia, che si trovava nell’Oceano Atlantico e al di là delle Colonne d’Ercole.

Busto di Solone


La fonte di Platone era il politico Solone, che ne aveva scoperto l’esistenza durante un viaggio in Egitto: il sacerdote Sonchis gli parlò di un’antica battaglia fra Atene e Atlantide.


Statua di Poseidone


In origine, gli dèi si divisero le terre. A Poseidone toccò Atlantide e nella parte centrale dell’isola c’era una pianura, dove abitava una fanciulla di nome Clito. Il dio del mare se ne innamorò e con lei generò cinque coppie di gemelli; poi fortificò la pianura con cinque cerchi concentrici, due di terra e tre di mare, e rese Atlantide un regno fertile e prosperoso, che divise in dieci regioni, ognuna con a capo uno dei suoi figli con Clito.


Schema della regione centrale di Atlantide. La capitale aveva attorno cinque cerchi concentrici, due di terra (in bianco) e tre di acqua (in azzurro)

Come i contemporanei di Platone vedevano il mondo e le terre conosciute


Ma col passare dei secoli i re persero di vista i principi di giustizia ed equità e si macchiarono di egoismo.

L’opulenza e la distruzione di un impero. Dipinto di Thomas Cole


Quando però la parte di divino venne estinguendosi in loro, mescolata più volte con un forte elemento di mortalità e il carattere umano ebbe il sopravvento, allora, ormai incapaci di sostenere adeguatamente il carico del benessere di cui disponevano, si diedero a comportamenti sconvenienti”.


L’opulenza e la distruzione di un impero. Dipinto di Thomas Cole


Il pomo della discordia fu la guerra con Atene. Atlantide cercò senza successo di invaderla e si procurò l’ira di Zeus, che ne ordinò la distruzione. In un solo giorno e una sola notte, terremoti e tsunami si abbatterono sull’isola-continente, i suoi territori sprofondarono e restò solo un ammasso di fango che rese le acque impraticabili.


Illustrazione delle Colonne d’Ercole


L’America e la Svezia.

In età antica, e durante il Medioevo, Atlantide non suscitò grande interesse, ma, quando Colombo scoprì l’America qualcuno ipotizzò che l’esploratore fosse partito per provarne l’esistenza. In quest’ottica la leggendaria isola-continente, o, almeno, ciò che ne restava, era proprio l’America, e i nativi americani rappresentavano i superstiti del disastro naturale.


Mappa delle ipotetiche posizioni di Atlantide nel mondo


Anche se il filosofo ateniese aveva indicato la posizione di Atlantide vicino alle Colonne d’Ercole, ovvero l’odierna Gibilterra, la fantasia degli studiosi si scatenò.

Olaus Rudbeck


A fine XVII secolo, lo scienziato svedese Olaus Rudbeck spostò Atlantide nelle regioni scandinave e, per giustificare il passaggio della Svezia a grande potenza europea, la identificò con la sua madre patria.

La Svezia al massimo dell’espansione territoriale, a seguito del Trattato di Roskilde nel 1658 – Immagine di MPorciusCato


Rudbeck scrisse che l’Atlantide nordica era stata la culla della civiltà, il luogo dove erano vissuti Adamo ed Eva e dove si parlava lo svedese, dal quale erano derivati l’ebraico e il latino.

Olaus Rudbeck svela ai suoi “predecessori” Esiodo, Platone, Aristotele, Apollodoro, Tacito, Odisseo, Tolomeo, Plutarco e Orfeo la “verità” su Atlantide.


L’Atlantide iperborea di Bailly.

Nel Settecento il francese Jean Sylvain Bailly unì il mito di Atlantide a un altro mito greco, quello della leggendaria Iperborea, e alle ipotesi paleoclimatiche di Jean Jacques Dortous de Mairan e Georges-Louis Leclerc de Buffon.

Jean Jacques Dortous de Mairan


Per Mairan e Buffon in origine la terra era incandescente e inabitabile, e solo col passare dei secoli si era raffreddata fino a raggiungere le temperature a noi conosciute.

Georges-Louis Leclerc de Buffon


L’unica zona mite era l’estremo nord dell’Eurasia, la Siberia, dove, secondo Bailly, sorse la società atlantidea-iperborea, che creò le arti e la scienza e, quando il pianeta cominciò a raffreddarsi, si spostò verso sud per civilizzare i cinesi e gli egizi.


Jean Sylvain Bailly


L’Atlantide antidiluviana di Donnelly.

Nel 1882, lo statunitense Ignatius Donnelly pubblicò Atlantis: The Antidiluvian World, un trattato pseudo-archeologico in cui riportò Atlantide nell’Oceano Atlantico, dove era stata una prosperosa culla della civiltà, poi distrutta da una catastrofe naturale.

La caduta di Atlantide in un dipinto di Monsù Desiderio.


L’esodo dei sopravvissuti aveva dato vita al mito del diluvio universale e gli stessi dèi greci, indù, fenici e scandinavi erano i re, le regine e gli eroi dell’isola, la cui memoria aveva subito delle storpiature attraverso la tradizione orale.

Testa ritraente Platone, rinvenuta nel 1925 nell’area sacra del Largo Argentina a Roma e conservata ai Musei Capitolini.


Donnelly rielaborò anche diversi capitoli di storia. Gli atlantidei erano stati i primi a lavorare il bronzo e il ferro, avevano creato un alfabeto da cui era derivato quello fenicio, capostipite di tutti gli alfabeti europei, e avevano trasmesso parte della loro cultura ai Maya.


Ignatius Donnelly.


La teoria teosofica delle razze-radice

Sempre in quegli anni, il mito di Atlantide divenne oggetto di studio della teosofia e, grazie ad alcuni suoi esponenti, come Helena Blavatsky, Annie Besant e Rudolf Steiner, si giunse alla cosiddetta tesi delle razze-radici.

Sempre in quegli anni, il mito di Atlantide divenne oggetto di studio della teosofia e, grazie ad alcuni suoi esponenti, come Helena Blavatsky, Annie Besant e Rudolf Steiner, si giunse alla cosiddetta tesi delle razze-radici.

La teosofa Helena Blavatsky.


I teosofi, la cui dottrina filosofico-religiosa mischiava misticismo e indagine scientifica, pensavano che l’umanità fosse divisa in sette razze-radice e a ciascuna di esse corrispondesse sia un’epoca storica sia un tipo di sviluppo delle capacità umane. Le prime cinque razze di questa teoria sono la Polare, l’Iperborea, la Lemuriana, l’Atlantidea e l’Ariana.


Ipotetica mappa di Atlantide realizzata nel Seicento.


Quest’ultima è la nostra razza attuale e le ultime due ancora non sono comparse, ma porteranno le persone a trascendere la loro natura umana per trasformarsi in esseri divini. Ogni razza-radice, a sua volta, ha sette sotto-razze e noi della razza Ariana deriviamo dalla quinta sotto-razza degli Atlantidei, i Protosemiti. La prima sotto-razza atlantidea erano i Rmoahals, che svilupparono il linguaggio; seguirono i Tlavatli, gli artefici della nascita della memoria, e i Tolteki, la cui civiltà corrispondeva al periodo di massimo splendore di Atlantide.


Illustrazione ipotetica della città principale di Atlantide.

La decadenza ebbe inizio con i Turanici, puniti con terremoti e tsunami per il loro egoismo. Le ultime tre sotto-razze erano i Protosemiti, gli Accardi e i Mongoli, che cercarono di porre rimedio agli errori dei predecessori.


Mappa della presunta estensione dell’Impero Atlantideo.


Il punto in comune di queste sotto-razze è che tutti gli Atlantidei possedevano poteri sovrannaturali e la distruzione dell’isola fu colpa dei Turanici, che iniziarono ad abusare della magia per scopi personali e a mettersi gli uni contro gli altri.

Il teosofo Rudolf Steiner.


La teoria delle razze-radice ebbe un seguito con il Terzo Reich,il cui interesse per l'esoterismo e ben noto. Alcuni gerarchi nazisti, fra cui Alfred Rosenberg ed Heinrich Himmler, diedero adito alla leggenda della discendenza atlantidea degli ariani e, per cercare i resti dei loro mitologici antenati, promossero una serie di spedizioni, ovviamente infruttuose.

Alfred Rosenberg.


L’eruzione del Thera e la distruzione di Santorini.

Misticismo e razze a parte, qualcuno ipotizzò che l’impossibilità di giungere a una localizzazione certa fosse imputabile a Solone, ovvero alla fonte storica di Platone, e che i sacerdoti egizi che gliene avevano parlato fra il VII e VI secolo a.C. avevano sbagliato a tradurre le date: anziché esser stata distrutta 9.000 anni prima, Atlantide era affondata 900 anni prima.

Le rovine di Atlantide in un’illustrazione di Alphonse de Neuville ed Edouard Riou.


Questo dubbio sulla datazione ci porta intorno al 1628 a.C., quando, nel mar Egeo, Santorini fu vittima di una violentissima eruzione del vilcano Thera, a cui seguì un terribile maremoto, che fece collassare la parte centrale dell’isola, lasciò intatte le zone esterne e le diede l’attuale conformazione.

L’isola di Santorini.


Si presume che l’eruzione del Thera abbia contribuito alla fine della civiltà minoica, e alcuni superstiti sarebbero fuggiti in Egitto, dove i sacerdoti ne tramandarono i racconti attraverso una veste mitologica.

Il cratere centrale a Nea Kameni, nella caldera di Santorini.


La Sardegna.

Un’altra teoria identifica Atlantide con la Sardegna e si basa su una serie di analogie con i dialoghi di Platone. Il filosofo parla delle Colonne d’Ercole, ma anziché dello stretto di Gibilterra potrebbe trattarsi del canale di Sicilia.


Vista della Rocca di Gibilterra


Le fonti egizie del II millennio a.C., infatti, citano gli Shardana, presunti antenati dei sardi, come uno dei Popoli del Mare che, sul finire dell’età del Bronzo, invasero l’Anatolia, la Siria, la Palestina, Cipro e l’Egitto.


Mappa delle ipotetiche posizioni di Atlantide nel Mediterraneo.


La stessa Sardegna ha una conformazione del territorio che ben si sposa con la descrizione di Atlantide, e la grande pianura centrale dove Poseidone incontrò Clito corrisponderebbe alla pianura del Campidano. La capitale protetta da cinque cerchi concentrici di acqua e di terra coinciderebbe con la città di Santadi, che a livello urbanistico si sviluppa in cerchi concentrici con porzioni montuose. Ma anche l’intera zona ha continui rimandi toponomastici al testo di Platone e agli interventi del dio del mare.


La pianura del Campidano.


Il filosofo scrisse: “Egli stesso poi abbellì facilmente, come può un dio, l’isola nella sua parte centrale, facendo scaturire dalla terra due sorgenti di acqua, una che sgorgava calda dalla fonte, l’altra fredda”.


Veduta di Santadi.


Nei pressi di Santadi, il comune di Nuxis ha tre frazioni che si chiamano Acquacadda, S'acqua callenti de basciu, e S'acqua callenti de susu, , rispettivamente acqua calda, l’acqua calda di sotto e l’acqua calda di sopra. Spostandoci più a nord, dalle parti di Siliqua, troviamo le sorgenti d’acqua di Zinnigas e il Castello di Acquafredda.


Le rovine del castello di Acquafredda.


L’utopia del governo ideale e la Sicilia.

In questo mare di ipotesi, però, tutti gli studi relativi alla teoria della deriva dei continenti hanno escluso che possa essere esistita una terra emersa e affondata come quella di Atlantide, e gli unici ragionamenti sensati appartengono alla vera natura dei dialoghi platonici.

Manoscritto medievale con la traduzione del Timeo in latino.


Nel 404 a.C., Atene perse la guerra del Peloponneso contro Sparta e nella polis si insediò un governo di oligarchi, i famosi Trenta Tiranni, poi rovesciati da una rivolta civile che ristabilì la repubblica. Tutti questi sconvolgimenti spinsero Platone a elaborare una sua teoria politica, con i filosofi al vertice della piramide sociale perché garanti della giustizia e dell’armonia fra le classi, ma quel governo ideale non era attuabile ad Atene.

Particolare della Scuola di Atene di Raffaello. A sinistra c’è Platone, ritratto con il volto di Leonardo da Vinci, e a destra c’è Aristotele.


Dal 390 al 360 a.C., compì tre viaggi a Siracusa e tentò, senza successo, di influenzare i due tiranni della città, Dionisio I e Dionisio II. Nemmeno in Sicilia la sua utopia trovò spazio e, quando tornò ad Atene, scrisse i dialoghi di Timeo e Crizia per mostrare, attraverso il mito di Atlantide, cosa succede a una società altamente civilizzata se si ha la decadenza dei costumi.

Un dipinto con Dionisio II (in piedi).


L’intento allegorico dei dialoghi è quasi universalmente condiviso, ma ciò non esclude che, per creare Atlantide, Platone abbia comunque preso spunto dalla realtà. Se il mito del cataclisma assomiglia agli eventi che portarono alla distruzione di Santorini, sul fronte geografico, il filosofo mise insieme diversi elementi della Sicilia, che ebbe modo di visitare in lungo e largo durante i tre soggiorni siracusani.

La Piana di Catania.


Atlantide aveva una grande pianura, proprio come la Sicilia ha la piana di Catania, che si estende per 430 km².


L’isola di Ortigia.


Il palazzo reale atlantideo si trovava in una zona decentrata, con attorno cinque cerchi concentrici; una posizione che sembra richiamare l’isola di Ortigia, dove vi era il palazzo dei tiranni di Siracusa, e, per come è collocata all’interno della laguna dello Stagnone di Marsala, l’antica isola di Mozia, oggi San Pantaleo.


L’isola di San Pantaleo (in giallo) e le altre isole dello Stagnone di Marsala.


Ma giunti a questo punto, l’unico pensiero che ben si sposa con la storia di Atlantide e la sua affascinante civiltà, è di un allievo di Platone.

Busto di Aristotele.


È inutile arrovellarsi su dove si trovasse e su cosa le sia successo. Come disse Aristotele:

Atlantide, chi l’ha inventata, l’ha fatta anche scomparire.


 
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