martedì 10 giugno 2025

L’Ulivo, l’Albero dell’Umanità: Perché È Diventato il Simbolo Sacro delle Civiltà Mediterranee

 


C’è un albero che attraversa i millenni, i deserti e le Scritture. È l’ulivo, pianta tanto umile quanto potente, che ha saputo conquistare il cuore delle religioni, dei popoli e delle terre più inospitali del Mediterraneo. Non è un caso che venga citato nella Bibbia, tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento, né che fosse venerato nella Grecia classica e ancor prima nelle civiltà della Mezzaluna Fertile. La spiegazione più lucida e affascinante la offre Marco Belpoliti, scrittore e saggista, che ricostruisce il mito e la funzione simbolica dell’olivo con un’analisi di straordinaria profondità: «L’olivo ha contribuito in modo decisivo alla vittoria dell’uomo in un ambiente ostile e avverso».

Questo albero, resistente e tenace, affonda le radici in quella fascia di terra tra il Tigri e l’Eufrate da cui nacque l’agricoltura e si irradiò la prima vera civiltà sedentaria. È lì che l’uomo, smettendo di vagare nella foresta, imparò a coltivare, a costruire città, a scrivere. E fu proprio l’olivo, secondo Belpoliti, la pianta-simbolo di questa rivoluzione: “L’olivo è la pianta prediletta della nuova civiltà, contrapposta alla quercia, che apparteneva all’età in cui anche gli uomini mangiavano le ghiande”.

È un passaggio simbolico e culturale di grande forza: l’olivo, frutto della domesticazione agricola, rappresenta l’uomo che vince la natura non distruggendola, ma trasformandola. Al contrario della quercia, totem selvatico dell’uomo pre-agricolo, l’olivo è l’albero della misura, della durata, del lavoro paziente. Richiede anni per dare frutti, ma poi vive secoli, generando olio, calore, energia.

È qui che si compie il miracolo dell’ulivo: la sua duplice – anzi triplice – natura. Belpoliti lo definisce un frutto “che è tre cose insieme: cibo, medicinale, paesaggio”. L’olio d’oliva è stato per secoli l’unico grasso vegetale nelle diete mediterranee, ma anche la base di pomate, unguenti, rituali di purificazione. Nel cristianesimo è l’olio dell’unzione, della benedizione, della salvezza. E nel paesaggio, l’olivo è ciò che disegna l’orizzonte: basse colline, terra rossa, luce che filtra tra i rami tortuosi.

Non solo. È anche un simbolo politico e culturale. Nella mitologia greca, Atena dona l’olivo ad Atene per renderla città di sapere e civiltà. E ancora oggi, nel linguaggio delle nazioni, un ramo d’olivo è emblema di pace e di tregua.

La Bibbia conferma il prestigio ancestrale dell’ulivo. Dopo il Diluvio, Noè riceve la colomba con un ramoscello d’olivo nel becco: segno che la vita può ricominciare. Gesù prega nel Getsemani, un uliveto, prima di essere arrestato. Gli olivi diventano così silenziosi testimoni della passione umana e divina. Nell’ebraismo, l’olio dell’olivo unge i re, i profeti, i sacerdoti. Nella tradizione islamica, il frutto e la pianta sono anch’essi lodati nel Corano.

Dunque l’ulivo non è solo una pianta: è un ponte tra la terra e il cielo, tra l’uomo e la storia, tra il mito e l’agricoltura. Non sorprende che sia diventato l’albero sacro per eccellenza. In un tempo come il nostro, in cui i legami con la natura sembrano spezzati e la sacralità è spesso svuotata di senso, ricordare il valore dell’ulivo è un atto quasi rivoluzionario.

Più che una pianta, è una lezione di civiltà.




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