giovedì 20 gennaio 2022

Numero della Bestia

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Il Numero della Bestia, indicato anche col numero 666 (ma è attestato anche come 616 e in un codice compare come 665) è un concetto che nel cristianesimo si riferisce a Satana.
Appare in un solo passo del Nuovo Testamento nella Apocalisse di Giovanni ed è riferito a una bestia che sale dal mare e devasta la Terra:

«Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della Bestia o il numero del suo nome (ἔχων τὸ χάραγμα, τὸ ὄνομα τοῦ θηρίου ἢ τὸν ἀριθμὸν τοῦ ὀνόματος αὐτοῦ). Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della Bestia (ἔχων νοῦν ψηφισάτω τὸν ἀριθμὸν τοῦ θηρίου): infatti è numero d'uomo (ἀριθμὸς γὰρ ἀνθρώπου ἐστίν), e il suo numero è seicentosessantasei (καὶ ὁ ἀριθμὸς αὐτοῦ ἑξακόσιοι ἑξήκοντα ἓξ).» (Apocalisse 13,16-18)

Esso appare anche in altri due passi dell'Antico Testamento:

«Il re Salomone diede alla regina di Saba quanto essa desiderava e aveva domandato, oltre quanto le aveva dato con mano regale. Quindi essa tornò nel suo paese con i suoi servi. La quantità d'oro che affluiva nelle casse di Salomone ogni anno era di seicentosessantasei talenti, senza contare quanto ne proveniva dai trafficanti e dai commercianti, da tutti i re dell'Arabia e dai governatori del paese. Il re Salomone fece duecento scudi grandi d'oro battuto, per ciascuno dei quali adoperò seicento sicli d'oro, e trecento scudi piccoli d'oro battuto, per ciascuno dei quali adoperò tre mine d'oro, e il re li collocò nel palazzo della Foresta del Libano.» (1 Re 10,13:16)


«Ora il peso dell’oro che giungeva ogni anno a Salomone, era di seicentosessantasei talenti, oltre quello che percepiva dai trafficanti e dai negozianti che gliene portavano, da tutti i re d’Arabia e dai governatori del paese che recavano a Salomone dell’oro e dell’argento. E il re Salomone fece fare duecento scudi grandi d’oro battuto, per ognuno dei quali impiegò seicento sicli d’oro battuto, trecento altri scudi d’oro battuto, per ognuno dei quali impiegò trecento sicli d’oro; e il re li mise nella casa della "Foresta del Libano"» (2 Cronache 9,13:14)

Il numero è indirettamente ripreso nei versi successivi che parlano del trono con sei gradini e dodici leoni ai due lati, quindi sei per parte.
Sono state proposte numerose altre interpretazioni simboliche, molte delle quali non riferite al contesto storico del Libro dell'Apocalisse. In particolare, in epoca contemporanea, il numero è diventato simbolo del Diavolo.
Nel Sistema di numerazione greco, la Gematrìa del numero 666 è data dalle lettere greche χ (chi) = 600, ξ (csi) = 60 e ϝ (digamma) o ϛ (stigma) = 6.

Le ipotesi

Interpretazione storica

L'apocalisse del Nuovo Testamento, attribuibile alla scuola evangelica giovannea (cioè associata a Giovanni) fu ipoteticamente scritta in esilio, nell'isola greca di Patmos, intorno al 95-100 d.C. durante una delle persecuzioni dei cristiani, probabilmente quella di Domiziano o, meno probabilmente, quella precedente di Nerone. Secondo molti studiosi infatti, la persona rappresentata dal citato "Numero della Bestia" altri non è che il multi-gramma di cabala ebraica attribuibile all'imperatore Nerone, autore della persecuzione nella quale morirono sia Pietro che Paolo.
Come in greco antico, così anche in alfabeto ebraico i numeri venivano scritti usando le lettere, secondo, appunto la cabala ebraica. Se quindi si utilizzano le consonanti ebraiche del nome QeSaR NeRON (קסר נרון) si ha:
  • Q (qof) = 100
  • S (sameckh) = 60
  • R (resh) = 200
  • N (nun) = 50
  • R (resh) = 200
  • O (waw) = 6
  • N (nun) = 50
che sommate, danno appunto 666. Una sola nota merita la vocale O che è in realtà legata alla consonante W che è una mater lectionis, cioè una consonante che serviva a evitare equivoci nella lettura.
Critiche a questa interpretazione arrivano dal fatto che tutti gli scritti di Giovanni sono in greco antico, non in ebraico e notoriamente in questa lingua si scrivono solo le consonanti, mentre le vocali vengono solo pronunciate: la o (waw) dovrebbe essere esclusa dal computo. Inoltre, la lettera "S" (sigma, in greco) di "Caesar" (Καίσαρ, Kaisar) va tradotta con la lettera ebraica Šin = 300, che invece viene sostituita in questa interpretazione con Samekh = 60: nel sistema di numerazione greco la lettera csi equivale anch'essa al valore 60, e normalmente è fatta corrispondere all'ebraico Samekh. Per cui:
NRN QSR (Neron Caesar): n=50+r=200+n=50+q=100+s=300+r=200: Totale = 900
Dato, però, che l'Apocalisse sembra essere stata scritta al tempo di Domiziano (95 d.C. circa), un'altra corrente di pensiero punta ad interpretare il numero 666 come un riferimento allo stesso Domiziano. Si osservi, tuttavia, che la gematria, cioè l'utilizzo della corrispondenza fra numeri e lettere dell'alfabeto ebraico, greco o latino può produrre molti risultati diversi e costituisce più un gioco intellettuale utilizzato spesso a scopo polemico (nei secoli ognuno ha cercato di trovarvi il nome del proprio avversario), che uno strumento d'indagine.
L'ipotesi della gematria ebraica ad opera degli esegeti dette luogo a una ricca serie di dibattiti in merito all'interpretazione simbolica ed esoterica del numero. Oggi, alimentate anche da una buona e proliferata corrente di pensiero New Age, numerose e varie interpretazioni del numero non ci mancano. Ad esempio, quella per cui la gematria ebraica (così come greci e latini) comprendeva già il conteggio matematico posizionale delle decine e delle centinaia, ma il sistema di pura sommatoria algebrica - da noi oggi ereditato - fu solo quello arabo, introdotto per noi dai persiani soltanto dopo il 750 d.C.; tale puntualizzazione dà corpo all'ipotesi che il "6-6-6", nella cabala ebraica, sia solo e semplicemente la sequenza delle lettere waw-waw-waw e quindi, nel nostro mondo, corrispondente al "www" di internet. Pochi anni dopo gli scritti di Patmos, il vescovo teologo e padre della chiesa S. Ireneo di Lione, studioso di gematria ebraica, battezzò il 666 come il "Numero della Bestia" e cioè il Numero dell'"anti-Cristo", simbolo del male e del disordine, attraverso tre ipotesi teologiche:
  • nella Bibbia il numero sette è sempre indicato come il numero della perfezione e della natura divina; il numero sei è quindi il numero dell'imperfezione e della natura umana, incline al peccato, alla passioni disordinate e alla disobbedienza alle leggi di Dio.
  • in base all'alfabeto greco dal 666 si possono ottenere altri nomi: Euanthas, Lateinos e Teitan.
  • se il 6-6-6, come dice l'Apocalisse, è un numero ed un nome di uomo, sappiamo che, secondo le culture dell'epoca, esso indicherebbe sia l'uomo che la sua precisa missione. Il numero di uomo potrebbe essere quindi il simbolo di un dualismo 3-3-3 x 2 legato all'oscillazione tra bene e male, e alla precisa missione simbolica di una specie di "anti-Trinità" (ripresa altresì nella Apocalisse al capitolo 16). In pratica, Drago-antiCristo-falso profeta, contrapposti a Padre-Figlio-Spirito Santo, sulla corrente della allora contemporanea prima dottrina teologica sulla Trinità cristiana (ad opera di Teofilo di Antiochia e di Tertulliano, II secolo d.C.)
Da allora, l'interpretazione del 666 fu attribuito, in generale, al simbolo del male.

Altra interpretazione secondo la Qabbalah

secondo altre interpretazioni di stampo filo-ebraico e tradizione semitica, il numero corrisponderebbe al nome Sorat - un demone di tipo solare - contrapposto allo spirito solare di "Cristo" e quindi Anti-Cristo. Secondo uno studio basato sulla Qabbalah (cabala), è l'espressione in parole del numero 666, attraverso:
400 + 200 + 6 + 60 = 666
ת ר ו ס
tav resc vav sameh
T Ra O S = SORAT

Interpretazione allegorica

Senza avventurarci troppo nella Ghematriah e nella cabala, si osservi che i numeri della Bibbia hanno sempre un valore simbolico. Ad esempio il sette indica la completezza (anche il mondo fu creato in 7 giorni). Il numero 6 si avvicina al numero 7, senza raggiungerlo. Così il triplo sei potrebbe indicare la suprema imperfezione, l'arroganza e la malvagità umana contrapposte alla perfezione divina.

Interpretazione numerologica

La numerologia cristiana, derivata da quella pitagorica, vede il 3 come numero perfetto, legato al concetto della Trinità. Tre volte tre fa 9, quindi il nove era la quintessenza di questa perfezione, a maggior ragione se ripetuto tre volte, 999. Il nove rovesciato è il 6, numero dell'anti-dio, quindi di Satana, e il sei ripetuto tre volte ne è l'emblema. Tuttavia questa interpretazione presuppone l'adozione dei numeri arabi in occidente, che avvenne solo nel X secolo ed è quindi impensabile per l'Apocalisse.
L'Apocalisse, scritta nel 95 d.C da Giovanni, in (18, 21) si riferisce ad una Bestia che era comparsa, non è più, riapparirà dopo secoli. Il Regno di Israele (e il tempio di Gerusalemme) era stato distrutto una prima volta nel 495 a.C. da re Nabucodonosr, ristabilito nel 37 a.C. da Erode il Grande sotto i Romani, distrutto una seconda volta dall'imperatore romano Tito nell'anno 70 d.C.
Sotto re Salomone, Israele aveva raggiunto l'apice della sua ricchezza, estensione geografica, potenza: il peso dell'oro, pari a 666 talenti, che entravano ogni giorno nelle casse del re, è il simbolo del Grande Israele, che si pone in continuità con il regno distrutto. Il 666 è un “numero d'uomo” (13,18), a significare che questa Bestia è il simbolo di un gruppo umano.

Interpretazione escatologica

Sono state fatte varie ipotesi nel corso dei secoli.

Tolstoj

Il grande scrittore russo indica nel suo capolavoro Guerra e pace un metodo per identificare la Bestia con Napoleone.

Chiesa cristiana avventista del settimo giorno

Ellen Gould White, tra i fondatori della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno, indicava nel Papa la Bestia, usando i numeri romani nella formula "Vicarius filii Dei" (V + I + C + I + V + I + L + I + I + D + I = 666), dato che nel latino classico non c'era distinzione tra "U" e "V".

Ipotesi d'interpretazione letterale

Poiché in greco antico, cioè nella lingua con cui ha scritto Giovanni, prima dell'introduzione dei numeri arabi, venivano usate le lettere dell'alfabeto, il numero 666 (hexakosioi hexekonta hex) apparirebbe come χξϝʹ chi xi digamma oppure χξϛʹ chi xi stigma (in caratteri latini Ch X V oppure Ch X ST), che potrebbero corrispondere alle iniziali di un personaggio noto. Considerando poi che la prima e terza lettera sono tradizionalmente abbreviazione di Christos mentre la lettera di mezzo somiglia ad un serpente, altri hanno scorto nella forma greca del numero 666 una raffigurazione dell'assalto del dragone a Cristo.

Codici a barre e carta Visa

Secondo una leggenda metropolitana, nei codici a barre che si trovano sui prodotti sarebbe nascosto il Numero della Bestia. E da questo alcuni vedrebbero il compiersi della profezia dell'Apocalisse di San Giovanni (13:16-18) secondo cui Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della Bestia o il numero che corrisponde al suo nome.
Il numero "666" si anniderebbe, secondo i sostenitori di tale teoria, nelle coppie di righe sottili all'estrema destra, all'estrema sinistra e al centro di ogni codice esistente. Difatti, la cifra 6 è indicata in questo sistema di codifica da due righe sottili che sono per l'appunto simili alle righe estreme e centrali; tuttavia, queste ultime non rappresenterebbero alcuna cifra all'interno del codice stesso, in quanto sono semplicemente linee di riferimento utilizzate dai dispositivi di lettura per capire dove inizia e dove finisce lo stesso.
Una teoria analoga a quella riguardante i codici a barre afferma che la carta di credito del circuito Visa, diffusa in moltissimi paesi del mondo, sarebbe altresì una forma cifrata per rendere il numero 666, così composta:
VI-S-A
VI è infatti notoriamente il sei romano, mentre l'S rappresenta lo stigma greco, sempre corrispondente al numero 6; infine l'A finale rappresenta il 60 nel sistema cuneiforme babilonese.

Varianti: 616 e 665

Nei manoscritti che riportano il testo dell'Apocalisse si possono trovare due varianti per il Numero della Bestia, il 616 (con attestazioni significative) e il 665.

616

Nel Papiro 115 (uno dei papiri di Ossirinco) e nel codice C (Codex Ephraemi Rescriptus) compare il numero 616 al posto del 666.
Alcuni studiosi hanno proposto la teoria secondo cui il Numero della Bestia, il 616, corrisponderebbe al "Paraclito", ovvero avvocato difensore, consolatore, Spirito di Verità. Nel Nuovo Testamento il paraclito corrisponde allo Spirito Santo. Il termine 'paraclito' in greco risulta παράκλητος: sommando i valori alle lettere, si ottiene appunto il numero 616. In greco il numero 616 si scriveva XIC (chi + iota + stigma), come si vede nell'immagine a fianco.
π α ρ α κ λ η τ ο ς Tot
80 1 100 1 20 30 8 300 70 6 616

665

Nel codice 2344 (datato all'XI secolo) il Numero della Bestia è indicato come 665.



mercoledì 19 gennaio 2022

Falso profeta

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Falso profeta è un titolo che si dà ad una persona che illegittimamente si proclama detentrice di particolari conoscenze o messaggi divini.
La Bibbia parla sovente di falsi profeti, ovvero di persone che, in modo improprio, attribuiscono a sé stessi il titolo di profeta (cfr. Matteo 7,15; Luca 6,26).
Il più famoso falso profeta che la Bibbia ci presenta è il personaggio descritto dall'Apocalisse di Giovanni.

Nell'Apocalisse

Nell'Apocalisse di Giovanni il Falso profeta (o Bestia della terra) è una misteriosa creatura mitologica.
La creatura viene prima introdotta come Bestia della terra (Ap. 13,11) e poi come falso profeta (Ap. 16,13; 19,20 e 20,10).
Viene chiamata Bestia della terra per distinguerla da quella introdotta appena prima (Ap. 13,1) e che viene comunemente chiamata Bestia del mare.

Descrizione

La bestia viene così descritta (Ap. 13,11):
  • sale dalla terra;
  • ha due corna, simili a quelle di un agnello;
  • parla come un drago.
Viene presentata sempre insieme alla Bestia del mare ed alla fine perirà insieme (Ap. 20,10).

Interpretazione

È sempre particolarmente difficile comprendere a chi o a che cosa si riferisse Giovanni nel descrivere questa ed altre creature. Non aiuta certamente il genere letterario tipico dell'Apocalisse. Possono essere comunque utili queste osservazioni:
  • è una bestia del male che combatte ed alla fine viene vinta dalle forze del bene;
  • all'apparenza può ingannare: per certi aspetti assomiglia ad un agnello e per altri ad un drago; si presenta come profeta (= uno che parla a nome di Dio) ma non lo è;
  • durante il medioevo la figura del Falso Profeta venne spesso associata a Maometto.

Nell'Ebraismo

Nella religione ebraica, un falso profeta è colui che afferma falsamente di possedere il dono della profezia o ispirazione divina, o chi usa tale dono per motivi malvagi. Spesso qualcuno che viene considerato un "vero profeta" da alcuni, viene simultaneamente considerato un "falso profeta" da altri, anche nell'ambito della stessa religione. Il termine è a volte applicato al di fuori della religione per descrivere qualcuno che promuove fervorosamente una teoria che altri considerano falsa

«Qualora si alzi in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un prodigio e il segno e il prodigio annunciato succeda ed egli ti dica: Seguiamo dei stranieri, che tu non hai mai conosciuti, e rendiamo loro un culto, tu non dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore; perché il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima. Seguirete il Signore vostro Dio, temerete lui, osserverete i suoi comandi, obbedirete alla sua voce, lo servirete e gli resterete fedeli. Quanto a quel profeta o a quel sognatore, egli dovrà essere messo a morte, perché ha proposto l'apostasia dal Signore, dal vostro Dio, che vi ha fatti uscire dal paese di Egitto e vi ha riscattati dalla condizione servile, per trascinarti fuori della via per la quale il Signore tuo Dio ti ha ordinato di camminare. Così estirperai il male da te.» (Deuteronomio 13:1–5)




I Libri dei Re narrano la storia in cui il profeta Michea, costretto da Acab, descrive Dio che richiede informazioni dai suoi consiglieri celesti su cosa debba fare di una corte di falsi profeti. Tale descrizione è illustrata in 1 Re 22:19-23:
Michea disse: "Per questo, ascolta la parola del Signore. Io ho visto il Signore seduto sul trono; tutto l'esercito del cielo gli stava intorno, a destra e a sinistra. Il Signore ha domandato: Chi ingannerà Acab perché muova contro Ramot di Gàlaad e vi perisca?
"Chi ha risposto in un modo e chi in un altro. Infine si è fatto avanti uno spirito che - postosi davanti al Signore - ha detto: Lo ingannerò io.
Il Signore gli ha domandato: Come?
Ha risposto: Andrò e diventerò spirito di menzogna sulla bocca di tutti i suoi profeti.
"Quegli ha detto: Lo ingannerai senz'altro; ci riuscirai; va' e fa' così.
Ecco, dunque, il Signore ha messo uno spirito di menzogna sulla bocca di tutti questi tuoi profeti; ma il Signore a tuo riguardo preannunzia una sciagura".
È possibile che Michea intendesse descrivere i falsi profeti come un test da YHWH. È anche possibile che fosse inteso come un insulto a profeti di Acab, come Sedecìa, figlio di Chenaana.
La punizione per falsa profezia è quella capitale (secondo Deuteronomio 18:20).


«Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dei, quel profeta dovrà morire.» (Deuteronomio 18:20)




In conclusione, gli standard biblici per i falsi profeti affermano chiaramente che è proibito parlare in nome di un dio che non sia YHWH. Similmente, se un profeta fa una profezia in nome di YHWH che poi non si avvera, quello è un altro segno che tale profeta non è stato commissionato da Dio e il popolo non deve temere il falso profeta.

«Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l'ha detta il Signore; l'ha detta il profeta per presunzione; di lui non devi aver paura.» (Deuteronomio 18:22)

Altro ancora

Il termine greco Koinè pseuoprophetes lo si trova nel Septuaginta Geremia 6:13,33:8,11-34:7,36:1,8, 13:2, Flavio Giuseppe Antichità giudaiche 8-13-1,10-7-3, La guerra giudaica 6-5-2, e Filone d'Alessandria Leggi specifiche 3:8. Gli scrittori classici pagani usano il termine pseudomantis.

martedì 18 gennaio 2022

Presagio

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Il termine praesagium (antico praesagum) deriva dalla locuzione "omnes prae sagum parvi futuros", che in latino significa "tutti, in presenza dei sacerdoti (lett.: di chi indossa il saio) sarebbero stati tenuti in piccolo conto".
Chi dice di avere presagi sente di poter prevedere eventi futuri.
I presagi, che hanno caratterizzato anche la parola dei Profeti, erano considerati messaggi inviati dagli dei, e quindi forme di divinazione.

Nell'antica Roma

L'antica religione romana aveva due distinte figure per l'interpretazione dei presagi. Gli auguri interpretavano il volo degli uccelli, mentre gli aruspici traevano le previsioni usando le interiora degli animali sacrificati.

Astrologia

In astrologia, le eclissi solari e lunari (insieme alla comparsa di comete, ma anche alla ricorrenza della Luna piena) erano spesso considerate presagi di nascite, morti od eventi importanti.

lunedì 17 gennaio 2022

Contattista

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Contattista è un termine col quale, in ufologia, si indica un soggetto che afferma di essere entrato in contatto con asserite intelligenze aliene.
Il caso del contattista si differenzia da quello dell'"contattato", soprattutto dell "rapito" (cioè chi si dichiara vittima di un presunto rapimento alieno), perché questi ultimi subiscono un'esperienza casuale non pianificata e perché i suoi contatti con i presunti alieni non avverrebbero in modo coatto ma consensuale e perché spesso egli si dichiara latore di un messaggio per l'umanità. L'asserita visita che il contattista compie a bordo di un oggetto non identificato è indicato con il termine "ride", che in lingua inglese significa letteralmente "passaggio", "corsa", o "giro". Generalmente, il contattista descrive questi esseri come di natura benevola.
Le affermazioni di numerosi contattisti comprendono anche una sorta di preavviso telepatico da parte delle creature extraterrestri. Gli incontri con gli alieni avvengono senza la presenza di altri testimoni e in luoghi appartati.
Il contattista, sovente, scrive libri su quanto afferma gli sia accaduto o fonda movimenti, anche religiosi, dichiarandosi una sorta di ambasciatore degli extraterrestri e portavoce di loro messaggi al mondo.
Fra i più celebri contattisti: Claude Vorilhon, sedicente ultimo messia o profeta e fondatore del Movimento Raeliano, George Adamski, Billy Meier, Carlos Diaz, Fernando Sesma Manzano (protagonista di un presunto contatto con gli Ummiti), Elizabeth Klarer, Orfeo Angelucci, Riley Martin, Eugenio Siragusa.
Jacques Vallée, ufologo, ha affermato che "nessun investigatore serio si è mai preoccupato delle affermazioni dei contattati".
Nessun contattista ha mai esibito prove dimostrabili dei propri asseriti incontri con forme di vita aliene. Inoltre, mentre i contattati cercano talvolta di dar credibilità ai propri racconti mediante elementi indiretti a supporto delle proprie tesi, i contattisti non invocano quasi mai testimonianze indipendenti o prove indiziarie su quanto riferiscono.

domenica 16 gennaio 2022

Tarocchi





I tarocchi sono un mazzo di carte da gioco, generalmente composto da 78 carte utilizzate per giochi di presa, la cui origine risale alla metà del XV secolo nell'Italia settentrionale. Si diffusero in varie parti d'Europa e raggiunsero il periodo di maggior diffusione a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, dopodiché il loro uso è andato calando.
A partire dalla fine del XVIII secolo i tarocchi furono associati alla cabala e ad altre tradizioni mistiche. Lo sviluppo di queste teorie fu avviato dal massone francese Antoine Court de Gébelin, che senza alcuna base storica fece risalire i tarocchi all'Antico Egitto, ed ebbe nuovo impulso nella metà dell'Ottocento con l'occultista Eliphas Lévi, che indicò la loro origine nella Cabala ebraica. Negli anni a cavallo tra la fine dell'Ottocento ed i primi del Novecento le dottrine esoteriche sui tarocchi furono fissate definitivamente dagli occultisti francesi Papus (pseudonimo di Gérard Encausse) e Oswald Wirth in una serie di celebri opere ancora in auge. Nei primi decenni del Novecento la "Scuola francese dei Tarocchi" cominciò ad essere soppiantata dalla "Scuola inglese" nata in seno all'Ordine Ermetico dell'Alba Dorata.
Il tipico mazzo di tarocchi è composto da un mazzo di carte tradizionale a cui si aggiungono ventuno carte dette Trionfi e una carta singola detta Il Matto. Il mazzo di carte tradizionale è diviso in quattro semi (italiani o francesi) di quattordici carte, dall'asso al dieci più quattro figure, dette anche "onori" o "carte di corte": Re, Regina, Cavaliere e Fante. I trionfi sono generalmente illustrati con figure umane, animali e mitologiche e numerati da 1 a 21, spesso in numeri romani). Esistono varianti in cui il numero di carte viene ridotto, per esempio il tarocchino bolognese o il tarocco siciliano, o aumentato come nelle minchiate. Nella terminologia introdotta dalle teorie esoteriche i Trionfi e il Matto sono detti collettivamente arcani maggiori e le carte rimanenti arcani minori.

Etimologia

Alla loro comparsa nel XV secolo questo tipo di mazzo era detto trionfi. Tuttavia, l'origine del termine è da sempre controversa. Sono state ipotizzate alcune possibilità:
  1. un rapporto diretto con il poemetto allegorico I Trionfi di Francesco Petrarca, le cui sei allegorie sono state spesso rappresentate in modo simile alle icone trionfali dei tarocchi: Trionfo dell'Amore = Amanti, Trionfo della Castità = Temperanza, Trionfo della Morte = Morte, Trionfo della Fama = Giudizio, Trionfo del Tempo = Eremita, Trionfo dell'Eternità = Mondo. Ma mentre nelle allegorie del Petrarca le figure allegoriche sono sempre a bordo di un carro trionfale, questo non avviene per le figure dei tarocchi, inoltre i trionfi del Petrarca sono solo sei contro i ventuno trionfi dei tarocchi ed è difficile trovare una corrispondenza per trionfi come la Papessa o L'Appeso
  2. un rapporto con i carri trionfali che nel Medioevo accompagnavano le processioni carnevalesche.
Nel XVI secolo in contemporanea con la comparsa di diversi giochi detti anch'essi "Trionfi", che assegnano il ruolo di atout ricoperto dai trionfi dei tarocchi a carte normali, compare per la prima volta il termine "tarocco". La sua prima occorrenza è in un inventario della corte di Ferrara del dicembre 1505, ma dello stesso anno è anche la prima occorrenza dell'equivalente francese Taraux, per cui è stato teorizzato che il termine italiano potrebbe derivare da quello francese, piuttosto che il contrario. La prima occorrenza in un testo stampato è nel Gioco della Primiera del poeta Francesco Berni nel 1526 e per il XVI secolo aveva soppiantato "Trionfi". L'origine del termine "tarocco" è tuttora ignota, sebbene siano state avanzate alcune congetture, tra cui che potrebbe derivare dal processo di decorazione delle carte, dal nome del fiume Taro, un affluente del Po. Nel tentativo di sostenere un'origine antica dei tarocchi alcune ipotesi esoteriche ipotizzano connessioni con antiche civiltà o con termini della Cabala, per esempio Antoine Court de Gébelin ipotizzò che derivasse dall'egiziano "Ta-Rosh" ("via regale"), Samuel Liddell MacGregor Mathers che derivasse dall'egiziano "taru" (che significherebbe "consultare") mentre per Gérard Encausse da un tetragramma cabalistico ("Tora", "Rota" o altre varianti.).


Storia

Origini

Non ci sono dati certi sull'origine delle carte da gioco occidentali, i primi indizi della loro esistenza cominciano a comparire in documenti risalenti alla fine del XIII secolo. La teoria più diffusamente accettata è che queste siano arrivate in Europa attraverso i contatti con i Mamelucchi egiziani, e per quell'epoca avevano già assunto una forma molto simile a quella odierna. In particolare il mazzo dei Mamelucchi conteneva quattro semi: bastoni da polo, denari, spade e coppe simili a quelli ancora utilizzati nelle carte tradizionali italiane, spagnole e portoghesi, con la sola sostituzione dei bastoni da polo con i bastoni, ed ogni seme aveva tre figure di corte, anche qui come nei mazzi tradizionali occidentali.
La teoria generalmente accettata è che le carte dei tarocchi derivino dall'aggiunta dei trionfi al normale mazzo di carte da gioco italiane. Il primo riferimento alla loro esistenza sono un paio di citazioni nei registri della corte estense di Ferrara del 1442, ulteriori riferimenti compaiono in annotazioni del 1452, 1454 e 1461. Il confronto tra le due registrazioni del 1442, la prima relativa al pagamento del pittore di corte Jacopo da Sagramoro per la decorazione di quattro mazzi di trionfi destinati al signore di Ferrara Leonello d'Este, mentre la seconda relativa all'acquisto ad un prezzo molto minore di alcuni mazzi destinati ai fratelli di Leonello indicherebbe che all'epoca erano già diffusi mazzi economici e che quindi questi erano già prodotti da alcuni anni. Un'altra prima testimonianza è l'affresco Il gioco dei tarocchi in uno dei cortili interni di Palazzo Borromeo a Milano, di attribuzione incerta e datato alla fine degli anni quaranta del XV secolo

Primi mazzi

Una prima descrizione di "carte de trionfi" compare nella lettera che accompagnava un mazzo di carte inviato dal capitano Jacopo Antonio Marcello a Isabella di Lorena, consorte di Renato d'Angiò nel 1449. Il mazzo non è giunto fino a noi, ma allegata alla lettera c'era un trattato in latino di Marziano da Tortona, segretario di Filippo Maria Visconti, duca di Milano. Marziano descrive esplicitamente solo ventiquattro carte del mazzo: sedici carte illustrate con immagini di divinità greche e quattro carte illustrate con Re, ma si può dedurre dal contenuto che con tutta probabilità a esse si aggiungevano un mazzo di carte tradizionali i cui semi erano però rappresentati da uccelli. Nonostante le diversità rispetto al mazzo di tarocchi tradizionali è comunque un esempio dell'evoluzione dei mazzi del periodo. Nel suo trattato Marziano attribuisce l'idea del mazzo al duca Filippo Maria Visconti e la sua illustrazione a Michelino da Besozzo. In base a quest'ultimo punto si può datare il mazzo ad un periodo tra il 1414 e il 1425.
I mazzi più antichi ancora esistenti sono stati realizzati per la famiglia Visconti e sono generalmente attribuiti al pittore di corte Bonifacio Bembo. Le carte sono miniate col fondo in foglia d'oro o d'argento e lavori di punzonatura, il loro prezzo non è pervenuto ma era certamente molto alto. Il più antico dei tre è detto Tarocchi Visconti di Modrone (dal nome del ramo cadetto dei Visconti che l'ha posseduto) o anche Cary-Yale (poiché è conservato nella collezione Cary della Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell'Università di Yale). La sua struttura differisce lievemente da quella dei mazzi correnti, ogni seme contiene sei figure di corte (tre maschili e tre femminili) anziché quattro e negli undici trionfi rimasti ce ne sono alcuni non entrati nella tradizione, come tre dedicati a virtù cardinali (fede, speranza e carità). Un secondo mazzo, i Tarocchi Brera-Bambrilla, di cui i trionfi rimasti sono solo due (La Ruota della Fortuna e L'Imperatore) viene datato tra il 1442 e il 1445. Il terzo e più completo mazzo, detto Tarocchi Visconti-Sforza, fu realizzato per Francesco Sforza e la moglie Bianca Maria Visconti. Di quest'ultimo sopravvivono diciannove trionfi (mancano Il Diavolo e La Torre), anche se sei di esse (Temperanza, Forza, La Stella, La Luna e Il Mondo) sono carte aggiunte successivamente e dipinte da un altro pittore.
Ulteriori frammenti di mazzi sono di origine ferrarese: per esempio i tarocchi detti di Carlo VI conservati alla Bibliothèque nationale de France; quelli detti "di Alessandro Sforza" conservati al Museo di Castello Ursino a Catania; quelli di Ercole I d'Este conservati alla Yale University Library. Il fatto che quasi tutti questi giochi (ed altri più recenti) siano giunti incompleti è evidentemente legato alla fragilità del supporto cartaceo ed alle citate persecuzioni che subirono le carte da gioco (spesso soggette a roghi oppure sciolte nel macero per ricavarne cartapesta da riutilizzare).
Questi mazzi e le loro varianti si diffusero nell'Italia settentrionale con diverse interpretazioni illustrative: per esempio, nella versione ferrarese la Luna è rappresentata da uno o due astrologi, mentre in quella viscontea una donna tiene una mezza luna nella mano destra; nei tarocchi ferraresi il Matto è un buffone tormentato da alcuni bambini mentre in quelli lombardi è un mendicante gozzuto (evidente allusione al gozzo, cioè la tipica malattia dei montanari della zona prealpina). A volte i mazzi erano realizzati in occasione di matrimoni signorili ed in tal caso gli emblemi dei due sposi erano dipinti sulla carta dell'Innamorato.

Funzione delle carte

Ci sono numerose testimonianze che i tarocchi fossero usati originariamente come carte da gioco, già il trattato di Marziano descrive alcune delle regole del gioco, anche se non in maniera sufficientemente dettagliata da ricostruirlo completamente, comunque le prime descrizioni sufficientemente complete delle regole di gioco risalgono al XVI secolo e non divennero comuni prima del XVII secolo. I giochi erano giochi di presa, come per esempio la briscola, giocati in una sequenza di mani in cui i trionfi che comandano sulle carte numerali, sulle figure e sui trionfi di valore inferiore. Il Matto è generalmente usato per evitare di dover giocare una carta dello stesso seme o uno dei trionfi quando non lo si desidera. Il punteggio viene calcolato a fine partita in base alle carte ottenute, ma il metodo esatto di conteggio varia da gioco a gioco.
Nei primi secoli non ci sono resoconti che attestino l'uso dei tarocchi per scopi esoterici o di divinazione, l'unico riferimento ai tarocchi come mezzo di lettura del carattere delle persone è in un'opera di narrativa, il Caos del tri per uno del monaco Merlin Cocai, in cui uno dei personaggi compone dei sonetti che descrivono il carattere di altri personaggi basandosi sulle carte dei Trionfi.
Oltre a questo tipo di passatempo, i tarocchi furono utilizzati come giochi di abilità verbale. Nelle lunghe serate a corte, infatti, non di rado si utilizzavano le figure per comporre frasi e motti che dovevano ispirarsi alle carte estratte ed i 22 Trionfi potevano anche essere abbinati (o appropriati, come si diceva) a persone e gruppi, specialmente gentildonne oppure note cortigiane. Molti di questi sonetti sono giunti fino a noi: poesiole comiche, satiriche, mordaci, scritte solitamente in ambiente cinquecentesco. Probabilmente, in questo ambito colto vanno a collocarsi due mazzi: i cosiddetti Tarocchi del Mantegna (una serie di cinquanta incisioni che non costituiscono in realtà un mazzo di tarocchi, né sono opera del Mantegna) ed il Tarocco Sola-Busca, realizzato con la tecnica dell'acquaforte tra il XIV e il XV secolo. In quest'ultimo le 22 carte dei Trionfi raffigurano guerrieri dell'antichità classica e biblica, mentre le carte numerali rappresentano scene della vita quotidiana.
Anche Pietro Aretino si occupò di tarocchi nella sua opera Le carte parlanti che ebbe un discreto successo e godette di varie ristampe.

Diffusione del gioco

Per la metà del XV secolo le figure che comparivano sui trionfi si era ormai stabilizzata e il gioco si diffuse a partire dai tre principali centri di Ferrara, Milano e Bologna. In quest'epoca i trionfi non erano ancora numerati ed i giocatori dovevano memorizzare l'ordine di precedenza, che presentava alcune differenze tra città e città: a Bologna la carta di maggior valore era l'Angelo, seguito da Il Mondo e quindi dalle tre virtù (Giustizia, Temperanza e Forza), a Milano le tre virtù avevano valori inferiori mentre a Ferrara la carta di maggior valore era il Mondo, seguito dalla Giustizia, dal Mondo e le altre due virtù avevano valori molto inferiori.
Da Ferrara, prima di estinguersi all'inizio del XVII secolo, il gioco si trasmise a Venezia e a Trento, senza però attecchire. A Bologna il gioco rimase popolare fino ai giorni nostri nella forma del tarocchino bolognese e da qui si diffuse a Firenze dove invece nacque la variante delle Minchiate che utilizza un mazzo espanso di 97 carte. Da Firenze il gioco si diffuse a Roma e da qui nel XVII secolo in Sicilia. Fu comunque da Milano che il gioco si diffuse nel resto d'Europa, prima in Francia e in Svizzera i cui soldati vennero in contatto con il gioco durante l'occupazione francese di inizio del XVI secolo e da queste nazioni si sparse nel resto d'Europa.
Tarocchi marsigliesi (mazzo di Jean Dodal, 1701 circa), a sinistra L'Imperatrice, a destra L'Imperatore
In Francia il gioco è giocato con il mazzo detto dei tarocchi di Marsiglia, la cui principale differenza è l'uso dei semi francesi (cuori, quadri, fiori e picche) al posto di quelli italiani. Il gioco è documentato in diversi brani della letteratura francese del XVI secolo, e compare nel capitolo risalente al 1534 del Gargantua e Pantagruel in cui Rabelais elenca i giochi giocati da Gargantua. Una prima descrizione delle regole è contenuta in un libretto stampato a Nevers intorno al 1637. Il gioco è apparentemente molto diffuso, tanto che il gesuita François Garasse scrive nel 1622 che in Francia è più popolare degli Scacchi, ma per il 1725 la sua diffusione si è ridotta alla Francia Orientale, dove persiste fino ai giorni nostri ed incontra un generale revival nel XX secolo. In Francia si aggiungono alcune nuove regole ai giochi di tarocchi, la possibilità ottenere un bonus per possedere certe combinazioni di carte in apertura di partita, bonus o penalità per vincere o perdere una mano con certe carte (per esempio vincere con il Pagat - il Bagatto italiano o perdere uno dei Re).
In Germania il gioco arriva intorno all'inizio del XVII secolo, probabilmente importato dalla Francia, vista l'attestazione nel gergo dei giocatori tedeschi di numerosi termini che sono corruzioni dei corrispondenti francesi e per la metà del secolo è ampiamente diffuso. Non è comunque certo il periodo e canale di arrivo del gioco.
L'apice della diffusione del gioco è dal 1730 al 1830, in questo periodo era giocato nell'Italia settentrionale, Francia orientale, Svizzera, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Austro-Ungheria, Svezia e Russia e sebbene rimanesse un gioco a diffusione locale le regole erano abbastanza omogenee con piccole differenze locali, sia che si giocasse con un mazzo con semi italiani che con uno con semi francesi.
L'uso dei tarocchi come carte da gioco si trova ancor oggi in alcune aree italiane e francesi. Il tarocco siciliano è ancora giocato in quattro paesi della Sicilia: Barcellona Pozzo di Gotto, Calatafimi, Tortorici e Mineo. A Bologna si usa il tarocchino bolognese, le cui regole originali sono conservate dall'Accademia del tarocchino bolognese. A Pinerolo si usa il tarocco ligure-piemontese. In Francia è attiva una Fédération Française de Tarot il cui regolamento usa i Tarot nouveau.

Tecniche di stampa

Le tecniche che nel corso dei secoli si sono susseguite per la creazione dei tarocchi e per le carte da gioco sono state innumerevoli. È presumibile che anticamente fossero vergati su pergamena o incisi su tavolette di legno; nei secoli successivi, si passò dall'uso degli stampi in legno di pero (o affini per morbidezza e robustezza) come matrice per i tratti, congiuntamente agli stampini (i cosiddetti pochoirs o stencil) per l'applicazione dei colori. Verso la metà del XV secolo, le tecniche di stampa furono perfezionate prima con la xilografia, poi con la calcografia e, alla fine del secolo, con l'invenzione dei caratteri mobili.
Il progresso della stampa fece nascere le prime fabbriche di mazzi di tarocchi, che erano stampati su foglio unico, numerati, rozzamente colorati e tagliati. Il prezzo era superiore alle carte comuni, dato il maggior numero, come ci informa un registro fiscale bolognese del 1477. Tuttavia la stampa introdusse sul mercato mazzi a basso costo che favorirono la diffusione del gioco. Nell'Ottocento, in concomitanza con la rivoluzione industriale, si passò all'uso delle macchine di stampa quadricromiche (che modificarono notevolmente i colori più antichi di certi cartai) ed oggigiorno i tarocchi sono disegnati e riprodotti soprattutto mediante tecnologia informatica (penne grafiche e digitalizzazione).



Tarocchi occulti

I primi usi documentati dei tarocchi come strumento per la cartomanzia risalgono al XVII secolo a Bologna. Comunque la loro diffusione moderna in cartomanzia e l'associazione con l'occultismo risalgono alla fine del XVIII secolo e sono dovuti principalmente ad Antoine Court de Gébelin e di Etteilla. Il primo nell'VIII volume della sua opera Le Monde primitif pubblicato nel 1781 incluse due saggi nel quale si sosteneva che i tarocchi fossero in realtà i Libri di Thot codificati dai sacerdoti egizi nelle immagine simboliche dei trionfi per tramandarlo segretamente sotto l'aspetto innocuo di carte da gioco, il secondo pubblicò una serie di libri (Manière de se récréer avec le jeu de cards nommées Tarots) tra il 1783 e il 1785 nei quali riprese a approfondì il legame dei tarocchi con i Libri di Toth e descrisse un metodo per il loro uso in cartomanzia.
Gérard Encausse, sotto lo pseudonimo di Papus (1865-1917), seguendo le idee di Lévi, si permise di creare tarocchi con i personaggi egizi illustranti una struttura cabalistica.
Arthur Edward Waite, per far combaciare i tarocchi con le 22 vie dell'Albero della Vita che uniscono le 10 sephirot della medesima Tradizione cabalistica, scambiò il numero VIII della Giustizia con il numero XI della Forza; trasformò l'Innamorato in Gli Amanti; rivisitò a suo modo il Matto, spogliandolo di qualunque valenza esoterica, falsificando in questo modo il significato di tutti gli arcani.
Aleister Crowley, occultista appartenente all'Ordo Templi Orientis, cambiò anche i nomi, i disegni (e quindi il significato) e l'ordine delle carte: la Giustizia diventa il Giudizio; Temperanza diventa l'Arte; il Giudizio diventa Eone ed i Fanti ed i Cavalieri, eliminati, sono sostituiti da Principi e Principesse.
Oswald Wirth, occultista svizzero massone e membro della Società Teosofica, disegnò da sé i propri tarocchi introducendo negli arcani non soltanto abiti medievali, sfingi egizie, numeri arabi e lettere ebraiche al posto dei numeri romani, simboli taoisti e la versione alchemica del Diavolo inventata da Éliphas Lévi, ma si ispirò anche alla grossolana versione di Court de Gébelin.
All'inizio del Novecento un noto autore, Paul Marteau, nel suo libro Le Tarot de Marseille riprodusse le sue carte. Questo evento, insieme a tutte le deviazioni di cui sono stati oggetto i tarocchi in questi ultimi due secoli, ha rappresentato il "colpo di grazia" per i tarocchi di Marsiglia. Infatti Marteau, commise due grandi errori: per un verso il suo mazzo è soltanto un'approssimazione dell'originale (i disegni sono, infatti, l'esatta riproduzione dei tarocchi di Besançon pubblicati da Grimaud alla fine del XIX secolo, che a sua volta riproducono altri tarocchi di Besançon pubblicati da Lequart e firmati "Arnault 1748." ); inoltre, modificò alcuni dettagli originali, forse per imprimere il proprio marchio e poter commercializzare il "prodotto" incassandone i diritti d'autore. Per di più, conservò i quattro colori di base imposti dai macchinari tipografici invece di rispettare gli antichi colori delle copie dipinte a mano.

I mazzi storici

I tarocchi del Mantegna

I cosiddetti tarocchi del Mantegna sono due serie distinte di 50 incisioni risalenti al XV secolo, denominate serie "E" e serie "S", opera di due distinti artisti di scuola ferrarese rimasti anonimi, che per secoli sono state attribuite ad Andrea Mantegna. Le due serie ritraggono gli stessi soggetti raggruppati tematicamente in cinque gruppi (le condizioni dell'uomo, Apollo e le muse, le arti liberali, i principi cosmici e le virtù cristiane) e non costituiscono in realtà neanche un mazzo di tarocchi, poiché mancano completamente le carte di semi e i soggetti pur presentando in alcuni casi delle somiglianze iconografiche con quelli dei tarocchi tradizionali sono comunque diversi. Si ignora l'uso a cui era destinato il mazzo, sembrerebbero essere stati un'opera didattica e istruttiva.

I tarocchi di Marsiglia

Non abbiamo riferimenti per la datazione dei tarocchi di Marsiglia così chiamati per la città della Francia che ha goduto di una posizione di monopolio nella produzione di questo tipo di carte pur non avendole inventate; sebbene i primi mazzi conosciuti risalgano al XVIII secolo, lo stile delle carte a semi italiani fa propendere per l'origine latina di questo tipo di mazzo, probabilmente diffusosi dalla Lombardia in territorio francese. Uno dei modelli più conosciuti dei tarocchi di Marsiglia fu inciso su legno dal francese Claude Burdel nel 1751.
Egli aveva contrassegnato Il Carro con le sue iniziali, mentre la sua firma per esteso compare sul 2 di denari. Le figure sono intere, e - relativamente agli Arcani maggiori - recano la denominazione in francese e sono contrassegnati da numeri romani. La morte non aveva nome. Le scritte erano in un francese sgrammaticato, spesso privo di accenti e apostrofi. Gli abiti delle figure, pur nella loro forte stilizzazione, si riferiscono a prototipi rinascimentali. Il mazzo fu poi rielaborato correttamente dal francese Grimaud, e ristampato nel XIX secolo.

I tarocchi di Besançon

Come per Marsiglia, la città non può vantare la paternità di queste carte da tarocco a semi italiani. Il più antico mazzo di questo genere databile con certezza risale al 1746, e ne conosciamo sia il fabbricante - Nicolas Laudier - sia l'incisore, Pierre Isnard. Le eccezioni più notevoli sono i Trionfi II, la Papessa, trasformata in Giunone, e il V, il Papa, diventato Giove tonante.

La composizione dei Trionfi marsigliesi

È questa forse la principale forma definitiva attualmente usata. Molti tarocchi fantastici si ispirano a quelli marsigliesi. Vale quindi la pena di darne una descrizione più accurata:
  • I - Il Bagatto (le Bateleur). La parola ha origini latine e sta ad indicare "figura da poco", "bagatella", cosa di nessun conto. Rappresenta un giovane uomo con un grande cappello e abiti vistosi, posto in piedi davanti a un tavolo, su cui figurano monete, vasetti, dadi, coltelli, una borsa. L'uomo regge nella mano sinistra un bastone dorato.
  • II - La Papessa (La Papesse). È forse una delle figure che ha dato luogo a maggiori discussioni, dal momento che nessuna donna ha mai avuto accesso al soglio di Pietro. In taluni mazzi è stata sostituita da Divinità o altre carte. La donna ha un triregno in capo, è seduta su un trono ricoperto da un velo e ha in mano un libro aperto.
  • III - L'Imperatrice (L'Imperatrice). Una donna in trono, con la corona in testa, ha in mano uno scettro col globo sormontato dalla croce (da sempre simbolo di impero). Regge con la mano destra uno scudo con un'aquila araldica, e ha due ali aperte sulla schiena.
  • IV - L'Imperatore (L'Empereur). Un uomo barbuto, seduto in trono di profilo, con una gamba incrociata sull'altra, regge uno scettro con la destra. Sotto al Trono è appoggiato uno scudo con un'aquila araldica. La carta è evidentemente collegata col potere terreno.
  • V - Il Papa (Le Pape). Seduto in posizione frontale, il Pontefice col Triregno regge un pastorale a croce con tre traverse. Ai suoi piedi, di statura notevolmente inferiore, sono inginocchiati due chierici. Il Papa ha la barba canuta, probabile allusione alla sua saggezza.
  • VI - L'innamorato (L'Amoreux). Sotto un grande cupido alato, pronto a scoccare la sua freccia, un giovane sta in piedi tra due figure femminili, una vestita più poveramente dell'altra. I critici sono concordi nell'identificare questa lama col mito di Ercole, che dovette scegliere tra Vizio e Virtù.
  • VII - Il Carro (Le Chariot). Un carro visto in modo rigidamente frontale, è condotto da un giovane guerriero incoronato, mentre trattiene saldamente due cavalli, uno blu ed uno rosso, che tendono a scartare in posizioni opposte.
  • VIII - La Giustizia (la Justice). È questa una delle quattro Virtù cardinali citate nel mazzo, da cui manca la Prudenza. Una donna in trono regge con la mano sinistra una bilancia dai piatti allineati, e con la destra una spada. Questo Trionfo contiene in sé l'idea di equilibrio e di punizione.
  • IX - L'Eremita (L'Hermite). Un vecchio barbuto, appoggiandosi ad un bastone, avanza reggendo una lampada. Non si può fare a meno di pensare a Diogene che, reggendo una lampada affermava di cercare l'uomo.
  • X - La Ruota della Fortuna (La Roue de Fortune). Questa immagine, largamente conosciuta e rappresentata nel Medioevo, raffigura una ruota sormontata da una sfinge alata con corona e spada, con due esseri mezzo uomo e mezzo animale arrampicati ai suoi lati. Già in epoca medievale la Ruota era usata per ricordare la vanità delle conquiste e dei beni terreni.
  • XI - La Forza (La Force). Una donna con un ampio cappello in testa chiude le fauci di un leone. È una delle quattro Virtù cardinali raffigurata nel mazzo.
  • XII - L'Appeso (Le Pendu). Un uomo è appeso per un piede a un palo retto da nodose travi di legno. La gamba libera è piegata verso l'interno. La carta raffigura una pena praticata realmente durante il Medioevo, sia dal vero sia in effigie, a chi si rendeva reo di tradimento. Questo tipo di pittura, detta infamante, era solitamente affidata a mestieranti, ma a volte ad artisti di rilievo, come Sandro Botticelli e Andrea del Sarto.
  • XIII - La Morte (a volte lasciata senza scritta) - Uno scheletro con una falce cammina in un campo cosparso di mani e di teste. La figura è collegata con l'iconografia medievale del Trionfo della Morte molto diffusa nel Medioevo e nel Rinascimento, in cui uno o più scheletri si trascinano, in fila o in una danza macabra, regnanti, Papi e altri soggetti solitamente di alto livello sociale.
  • XIV - La Temperanza (La Temperance). Altra virtù cardinale. Un Angelo con la veste bipartita in due zone di colore blu e rosso, versa un liquido da un'anfora all'altra reggendole entrambe con le mani.
  • XV - Il Diavolo (Le Diable). Un essere cornuto dal viso sghignazzante, le ali di pipistrello, i seni femminili, i genitali maschili, le gambe caprine, sta in cima a un piccolo ceppo a cui sono legati due diavoletti. Gli zoccoli e il ghigno osceno sono mutuati dalle classiche immagini greche del dio Pan.
  • XVI - La Casa Dio (La Maison Dieu). Una torre che ha come tetto una corona, viene scoperchiata da una lingua di fuoco, mentre due figure umane cadono al suolo e piccole sfere riempiono l'aria. La costruzione evoca la Biblica torre di Babele, talmente alta che Dio punì gli uomini confondendo il loro linguaggio.
  • XVII - La Stella (L'étoile). Con questa carta si abbandona il mondo umano e si entra in quello spiritualmente superiore. Otto stelle, di cui la centrale molto più grande, sormontano una donna nuda che versa per terra acqua da due anfore. Sul fondo, un minuscolo albero su cui canta un piccolo uccello.
  • XVIII - La Luna (La Lune). Seconda lama della serie degli astri la Luna splende rotonda in cielo ma con il volto raffigurato di profilo, mentre gocce colorate partono dalla terra verso di essa. In primo piano un Gambero, legato zodiacalmente al segno del Cancro, esce da una pozza d'acqua. Due cani ululano e due torri sullo sfondo sembrano custodire il paesaggio.
  • XIX - Il Sole (Le Soleil). Un grande sole radiante sparge gocce su due gemelli ritti in piedi vicino a un basso muretto in mattoni.
  • XX - Il Giudizio (Le Jugement). Un angelo esce da un nembo colorato suonando la tromba, mentre tre piccoli corpi sorgono da un avello. Anche questa immagine, frequentissima nel Medioevo, può farsi risalire ai numerosi miti sulla fine del mondo presenti in molte religioni antiche. Il più importante riferimento è certamente l'Apocalisse di Giovanni, ultimo libro del Nuovo Testamento. Questa carta corrisponde all'Angelo di altri mazzi da gioco.
  • XXI - Il Mondo (Le Monde). La carta rappresenta una donna seminuda che regge due bastoncini nelle mani. Essa è circondata da una mandorla di foglie, mentre ai quattro lati della carta compaiono i simboli Tetramorfi degli Evangelisti: un Angelo (San Matteo) un'Aquila (San Giovanni) un Toro (San Luca) e un Leone (San Marco). La carta compendia, se pur in forma elementare due figure geometriche, il cerchio e il quadrato, che erano considerate il simbolo della perfezione.
  • Il Matto (Le Fou). La lama non è numerata e può essere inserita sia all'inizio sia alla fine del mazzo. Un giullare girovago, col cappello a sonagli, che regge su una spalla un fagottino con le sue poche cose, si avvia verso una strada non meglio identificata, rincorso da un cane che gli sta lacerando una calza. Una figura analoga si trova nel tarocco del Mantegna, ma è chiamato il Misero.

Le Minchiate

Comparso a Firenze, questo curioso mazzo di novantasette carte fu chiamato così con probabile attinenza al membro virile, ma anche per indicare che il gioco di carte non era da prendersi sul serio. Godette di grande fortuna soprattutto nell'Italia centro settentrionale, ma fu poi gradualmente abbandonato. Le Minchiate sono una curiosa variante regionale, completamente alterata, del tarocco tradizionale. Le prime trentacinque carte, dette Papi sono seguite da cinque carte chiamate Arie: la Stella, la Luna, il Sole, il Mondo e il Giudizio finale detto Le trombe. I semi sono Denari, Coppe, Bastoni, Spade. Gli onori sono detti Cartiglia e presentano centauri al posto dei cavalieri. Tra le altre carte mancano la Papessa e il Papa, mentre sono stati aggiunti il Granduca, le quattro Virtù Cardinali, le tre Teologali, i quattro Elementi, i dodici Segni zodiacali.

Il tarocchino bolognese

Bologna, che è stata uno dei centri in cui il gioco era più attivamente praticato, non ci ha lasciato alcun mazzo completo prima del XVII secolo. I questo periodo si giocava una nuova forma di tarocco a mazzo ridotto di 62 carte, anche se non abbiamo indicazioni precise sulla data in cui vennero eliminate determinate carte. I tagli erano relativi alle carte numerali, ad esclusione degli Assi. Né il tarocchino è l'unico esempio di contrazione del mazzo: a Venezia il gioco della trappola prevedeva trentasei carte.
Il tarocchino bolognese trionfò in questo periodo grazie a vicissitudini particolari: tra il 1663 e il 1669 un artista bolognese fantasioso e versatile, Giuseppe Maria Mitelli (1634 - 1718) incise un libro sui tarocchini dedicato a Prospero Bentivoglio. I fogli dovevano poi essere tagliati e incollati dal giocatore.
In periodo della Controriforma e con sensibilità tutta barocca, il Mitelli trasformò il mazzo eliminando la figura della Papessa e ridisegnando i Trionfi. Così l'Appeso è un uomo condannato alla pena capitale che aspetta che il boia gli fracassi il cranio con un martello; la Stella è un mendicante che avanza nella notte con una lanterna; la Luna e il Sole sono ispirati ad Artemide e ad Apollo, il mondo è un globo sorretto da un gigantesco Atlante. Anche le carte numerali hanno disegni fantasiosi, mentre nell'Asso di denari l'artista ha inciso il suo ritratto con la firma.
Un altro tipo di tarocchino bolognese, che non è mai stato usato neppure per la divinazione, risale al 1725 e fu ideato dal canonico Montieri. L'autore aveva indicato le diverse forme di stati europei, audacemente situando Bologna sotto un governo misto, laico-clericale. Dal momento che la città era inserita nei domini dello Stato Pontificio, la cosa fu giudicata irrispettosa e l'audace prelato fu incarcerato.
Il senato bolognese trovò un accordo facendo sostituire le icone irriverenti con figure di mori. In una data non precisata della seconda metà del Settecento, il tarocchino fu uno dei primi mazzi che suddivise le figure in due metà speculari.

Il tarocco Piemontese

Grazie alla sua vicinanza con il Ducato di Milano, dove il gioco dei Tarocchi molto probabilmente ebbe origine, il Piemonte conobbe e usò ben presto queste carte; il documento piemontese più antico è il Discorso sopra l'ordine delle figure dei Tarocchi, scritto da Francesco Piscina da Carmagnola e pubblicato nel 1565 a Monte Regale (oggi Mondovì).
Intorno al 1830 una famiglia di Torino, i Vergnano, avviò la produzione di un nuovo modello, oggi definito "Tarocco piemontese", simile ai Tarocchi cosiddetti “di Marsiglia. Tuttavia, come ha rilevato lo storico Giordano Berti, i Tarocchi di Vergnano si distinguono dalla produzione francese per lo stile e per il contenuto di alcune carte, in particolare per il Matto, vestito con i pantaloni a sbuffo, che insegue una farfalla; per il Bagatto, che ha sul tavolo gli strumenti del calzolaio; per il Diavolo, che ha un muso di felino che spunta dall'addome; per il Giudizio, detto Angelo, dove i morti emergono dalle fiamme, collegandosi con l'iconografia popolare delle anime del Purgatorio; per l'Asso di Coppe, un vaso colmo di fiori e frutti.
Altra variazione rispetto al mazzo "marsigliese" è l'uso dei numeri arabi al posto di quelli romani.
Nella seconda metà di quel secolo, sulla base del mazzo di Vergnano fu introdotto il modello a due teste, senza dubbio utile ai giocatori che non dovevano girare le carte ogni volta che si presentavano rovesciate.

I tarocchi contemporanei

Lo straordinario interesse che si è sviluppato intorno ai tarocchi dall'Ottocento in avanti ha spinto numerosi artisti contemporanei a reinterpretare le misteriose figure. Fra gli italiani si possono ricordare Franco Gentilini, Renato Guttuso, Emanuele Luzzati, Ferenc Pinter e Sergio Toppi. Fra gli artisti non italiani spiccano Salvador Dalí e Niki de Saint Phalle, autrice del fantastico Giardino dei Tarocchi costruito a Garavicchio, presso Capalbio.
Numerosi illustratori hanno realizzato nuovi mazzi, talvolta in collaborazione con storici e letterati. Per esempio, i Tarocchi di Dario Fo sono stati dipinti dal figlio Jacopo su progetto del Premio Nobel Dario Fo, Michele Marzulli ha ideato, disegnato e realizzato i Tarocchi Massonici, mentre allo scrittore Giordano Berti si deve la sceneggiatura di dieci mazzi realizzati da vari illustratori.
A Riola, in provincia di Bologna, è stato istituito da tempo un Museo dei Tarocchi con un'ampia raccolta di carte.

Tarocchi e fumetti

Dalla fine degli anni 1980 numerosi fumettisti si sono cimentati nella creazione di nuovi mazzi di Tarocchi, soffermandosi solitamente sui 22 Arcani Maggiori.
Le mangaka CLAMP hanno basato sui tarocchi la loro opera X, collegata a temi mistici e strutturata in una serie di 22 volumi, di cui 21 di fumetto e uno illustrato, ognuno dei quali è introdotto da un Arcano maggiore interpretato da un personaggio della serie. Hirohiko Araki a partire dalla terza serie del manga Le bizzarre avventure di JoJo, introduce il concetto di "Stand", materializzazione fisica dei poteri psichici di ciascun personaggio, attribuendogli i nomi e le sembianze degli arcani maggiori.


 
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