domenica 16 gennaio 2022

Tarocchi





I tarocchi sono un mazzo di carte da gioco, generalmente composto da 78 carte utilizzate per giochi di presa, la cui origine risale alla metà del XV secolo nell'Italia settentrionale. Si diffusero in varie parti d'Europa e raggiunsero il periodo di maggior diffusione a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, dopodiché il loro uso è andato calando.
A partire dalla fine del XVIII secolo i tarocchi furono associati alla cabala e ad altre tradizioni mistiche. Lo sviluppo di queste teorie fu avviato dal massone francese Antoine Court de Gébelin, che senza alcuna base storica fece risalire i tarocchi all'Antico Egitto, ed ebbe nuovo impulso nella metà dell'Ottocento con l'occultista Eliphas Lévi, che indicò la loro origine nella Cabala ebraica. Negli anni a cavallo tra la fine dell'Ottocento ed i primi del Novecento le dottrine esoteriche sui tarocchi furono fissate definitivamente dagli occultisti francesi Papus (pseudonimo di Gérard Encausse) e Oswald Wirth in una serie di celebri opere ancora in auge. Nei primi decenni del Novecento la "Scuola francese dei Tarocchi" cominciò ad essere soppiantata dalla "Scuola inglese" nata in seno all'Ordine Ermetico dell'Alba Dorata.
Il tipico mazzo di tarocchi è composto da un mazzo di carte tradizionale a cui si aggiungono ventuno carte dette Trionfi e una carta singola detta Il Matto. Il mazzo di carte tradizionale è diviso in quattro semi (italiani o francesi) di quattordici carte, dall'asso al dieci più quattro figure, dette anche "onori" o "carte di corte": Re, Regina, Cavaliere e Fante. I trionfi sono generalmente illustrati con figure umane, animali e mitologiche e numerati da 1 a 21, spesso in numeri romani). Esistono varianti in cui il numero di carte viene ridotto, per esempio il tarocchino bolognese o il tarocco siciliano, o aumentato come nelle minchiate. Nella terminologia introdotta dalle teorie esoteriche i Trionfi e il Matto sono detti collettivamente arcani maggiori e le carte rimanenti arcani minori.

Etimologia

Alla loro comparsa nel XV secolo questo tipo di mazzo era detto trionfi. Tuttavia, l'origine del termine è da sempre controversa. Sono state ipotizzate alcune possibilità:
  1. un rapporto diretto con il poemetto allegorico I Trionfi di Francesco Petrarca, le cui sei allegorie sono state spesso rappresentate in modo simile alle icone trionfali dei tarocchi: Trionfo dell'Amore = Amanti, Trionfo della Castità = Temperanza, Trionfo della Morte = Morte, Trionfo della Fama = Giudizio, Trionfo del Tempo = Eremita, Trionfo dell'Eternità = Mondo. Ma mentre nelle allegorie del Petrarca le figure allegoriche sono sempre a bordo di un carro trionfale, questo non avviene per le figure dei tarocchi, inoltre i trionfi del Petrarca sono solo sei contro i ventuno trionfi dei tarocchi ed è difficile trovare una corrispondenza per trionfi come la Papessa o L'Appeso
  2. un rapporto con i carri trionfali che nel Medioevo accompagnavano le processioni carnevalesche.
Nel XVI secolo in contemporanea con la comparsa di diversi giochi detti anch'essi "Trionfi", che assegnano il ruolo di atout ricoperto dai trionfi dei tarocchi a carte normali, compare per la prima volta il termine "tarocco". La sua prima occorrenza è in un inventario della corte di Ferrara del dicembre 1505, ma dello stesso anno è anche la prima occorrenza dell'equivalente francese Taraux, per cui è stato teorizzato che il termine italiano potrebbe derivare da quello francese, piuttosto che il contrario. La prima occorrenza in un testo stampato è nel Gioco della Primiera del poeta Francesco Berni nel 1526 e per il XVI secolo aveva soppiantato "Trionfi". L'origine del termine "tarocco" è tuttora ignota, sebbene siano state avanzate alcune congetture, tra cui che potrebbe derivare dal processo di decorazione delle carte, dal nome del fiume Taro, un affluente del Po. Nel tentativo di sostenere un'origine antica dei tarocchi alcune ipotesi esoteriche ipotizzano connessioni con antiche civiltà o con termini della Cabala, per esempio Antoine Court de Gébelin ipotizzò che derivasse dall'egiziano "Ta-Rosh" ("via regale"), Samuel Liddell MacGregor Mathers che derivasse dall'egiziano "taru" (che significherebbe "consultare") mentre per Gérard Encausse da un tetragramma cabalistico ("Tora", "Rota" o altre varianti.).


Storia

Origini

Non ci sono dati certi sull'origine delle carte da gioco occidentali, i primi indizi della loro esistenza cominciano a comparire in documenti risalenti alla fine del XIII secolo. La teoria più diffusamente accettata è che queste siano arrivate in Europa attraverso i contatti con i Mamelucchi egiziani, e per quell'epoca avevano già assunto una forma molto simile a quella odierna. In particolare il mazzo dei Mamelucchi conteneva quattro semi: bastoni da polo, denari, spade e coppe simili a quelli ancora utilizzati nelle carte tradizionali italiane, spagnole e portoghesi, con la sola sostituzione dei bastoni da polo con i bastoni, ed ogni seme aveva tre figure di corte, anche qui come nei mazzi tradizionali occidentali.
La teoria generalmente accettata è che le carte dei tarocchi derivino dall'aggiunta dei trionfi al normale mazzo di carte da gioco italiane. Il primo riferimento alla loro esistenza sono un paio di citazioni nei registri della corte estense di Ferrara del 1442, ulteriori riferimenti compaiono in annotazioni del 1452, 1454 e 1461. Il confronto tra le due registrazioni del 1442, la prima relativa al pagamento del pittore di corte Jacopo da Sagramoro per la decorazione di quattro mazzi di trionfi destinati al signore di Ferrara Leonello d'Este, mentre la seconda relativa all'acquisto ad un prezzo molto minore di alcuni mazzi destinati ai fratelli di Leonello indicherebbe che all'epoca erano già diffusi mazzi economici e che quindi questi erano già prodotti da alcuni anni. Un'altra prima testimonianza è l'affresco Il gioco dei tarocchi in uno dei cortili interni di Palazzo Borromeo a Milano, di attribuzione incerta e datato alla fine degli anni quaranta del XV secolo

Primi mazzi

Una prima descrizione di "carte de trionfi" compare nella lettera che accompagnava un mazzo di carte inviato dal capitano Jacopo Antonio Marcello a Isabella di Lorena, consorte di Renato d'Angiò nel 1449. Il mazzo non è giunto fino a noi, ma allegata alla lettera c'era un trattato in latino di Marziano da Tortona, segretario di Filippo Maria Visconti, duca di Milano. Marziano descrive esplicitamente solo ventiquattro carte del mazzo: sedici carte illustrate con immagini di divinità greche e quattro carte illustrate con Re, ma si può dedurre dal contenuto che con tutta probabilità a esse si aggiungevano un mazzo di carte tradizionali i cui semi erano però rappresentati da uccelli. Nonostante le diversità rispetto al mazzo di tarocchi tradizionali è comunque un esempio dell'evoluzione dei mazzi del periodo. Nel suo trattato Marziano attribuisce l'idea del mazzo al duca Filippo Maria Visconti e la sua illustrazione a Michelino da Besozzo. In base a quest'ultimo punto si può datare il mazzo ad un periodo tra il 1414 e il 1425.
I mazzi più antichi ancora esistenti sono stati realizzati per la famiglia Visconti e sono generalmente attribuiti al pittore di corte Bonifacio Bembo. Le carte sono miniate col fondo in foglia d'oro o d'argento e lavori di punzonatura, il loro prezzo non è pervenuto ma era certamente molto alto. Il più antico dei tre è detto Tarocchi Visconti di Modrone (dal nome del ramo cadetto dei Visconti che l'ha posseduto) o anche Cary-Yale (poiché è conservato nella collezione Cary della Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell'Università di Yale). La sua struttura differisce lievemente da quella dei mazzi correnti, ogni seme contiene sei figure di corte (tre maschili e tre femminili) anziché quattro e negli undici trionfi rimasti ce ne sono alcuni non entrati nella tradizione, come tre dedicati a virtù cardinali (fede, speranza e carità). Un secondo mazzo, i Tarocchi Brera-Bambrilla, di cui i trionfi rimasti sono solo due (La Ruota della Fortuna e L'Imperatore) viene datato tra il 1442 e il 1445. Il terzo e più completo mazzo, detto Tarocchi Visconti-Sforza, fu realizzato per Francesco Sforza e la moglie Bianca Maria Visconti. Di quest'ultimo sopravvivono diciannove trionfi (mancano Il Diavolo e La Torre), anche se sei di esse (Temperanza, Forza, La Stella, La Luna e Il Mondo) sono carte aggiunte successivamente e dipinte da un altro pittore.
Ulteriori frammenti di mazzi sono di origine ferrarese: per esempio i tarocchi detti di Carlo VI conservati alla Bibliothèque nationale de France; quelli detti "di Alessandro Sforza" conservati al Museo di Castello Ursino a Catania; quelli di Ercole I d'Este conservati alla Yale University Library. Il fatto che quasi tutti questi giochi (ed altri più recenti) siano giunti incompleti è evidentemente legato alla fragilità del supporto cartaceo ed alle citate persecuzioni che subirono le carte da gioco (spesso soggette a roghi oppure sciolte nel macero per ricavarne cartapesta da riutilizzare).
Questi mazzi e le loro varianti si diffusero nell'Italia settentrionale con diverse interpretazioni illustrative: per esempio, nella versione ferrarese la Luna è rappresentata da uno o due astrologi, mentre in quella viscontea una donna tiene una mezza luna nella mano destra; nei tarocchi ferraresi il Matto è un buffone tormentato da alcuni bambini mentre in quelli lombardi è un mendicante gozzuto (evidente allusione al gozzo, cioè la tipica malattia dei montanari della zona prealpina). A volte i mazzi erano realizzati in occasione di matrimoni signorili ed in tal caso gli emblemi dei due sposi erano dipinti sulla carta dell'Innamorato.

Funzione delle carte

Ci sono numerose testimonianze che i tarocchi fossero usati originariamente come carte da gioco, già il trattato di Marziano descrive alcune delle regole del gioco, anche se non in maniera sufficientemente dettagliata da ricostruirlo completamente, comunque le prime descrizioni sufficientemente complete delle regole di gioco risalgono al XVI secolo e non divennero comuni prima del XVII secolo. I giochi erano giochi di presa, come per esempio la briscola, giocati in una sequenza di mani in cui i trionfi che comandano sulle carte numerali, sulle figure e sui trionfi di valore inferiore. Il Matto è generalmente usato per evitare di dover giocare una carta dello stesso seme o uno dei trionfi quando non lo si desidera. Il punteggio viene calcolato a fine partita in base alle carte ottenute, ma il metodo esatto di conteggio varia da gioco a gioco.
Nei primi secoli non ci sono resoconti che attestino l'uso dei tarocchi per scopi esoterici o di divinazione, l'unico riferimento ai tarocchi come mezzo di lettura del carattere delle persone è in un'opera di narrativa, il Caos del tri per uno del monaco Merlin Cocai, in cui uno dei personaggi compone dei sonetti che descrivono il carattere di altri personaggi basandosi sulle carte dei Trionfi.
Oltre a questo tipo di passatempo, i tarocchi furono utilizzati come giochi di abilità verbale. Nelle lunghe serate a corte, infatti, non di rado si utilizzavano le figure per comporre frasi e motti che dovevano ispirarsi alle carte estratte ed i 22 Trionfi potevano anche essere abbinati (o appropriati, come si diceva) a persone e gruppi, specialmente gentildonne oppure note cortigiane. Molti di questi sonetti sono giunti fino a noi: poesiole comiche, satiriche, mordaci, scritte solitamente in ambiente cinquecentesco. Probabilmente, in questo ambito colto vanno a collocarsi due mazzi: i cosiddetti Tarocchi del Mantegna (una serie di cinquanta incisioni che non costituiscono in realtà un mazzo di tarocchi, né sono opera del Mantegna) ed il Tarocco Sola-Busca, realizzato con la tecnica dell'acquaforte tra il XIV e il XV secolo. In quest'ultimo le 22 carte dei Trionfi raffigurano guerrieri dell'antichità classica e biblica, mentre le carte numerali rappresentano scene della vita quotidiana.
Anche Pietro Aretino si occupò di tarocchi nella sua opera Le carte parlanti che ebbe un discreto successo e godette di varie ristampe.

Diffusione del gioco

Per la metà del XV secolo le figure che comparivano sui trionfi si era ormai stabilizzata e il gioco si diffuse a partire dai tre principali centri di Ferrara, Milano e Bologna. In quest'epoca i trionfi non erano ancora numerati ed i giocatori dovevano memorizzare l'ordine di precedenza, che presentava alcune differenze tra città e città: a Bologna la carta di maggior valore era l'Angelo, seguito da Il Mondo e quindi dalle tre virtù (Giustizia, Temperanza e Forza), a Milano le tre virtù avevano valori inferiori mentre a Ferrara la carta di maggior valore era il Mondo, seguito dalla Giustizia, dal Mondo e le altre due virtù avevano valori molto inferiori.
Da Ferrara, prima di estinguersi all'inizio del XVII secolo, il gioco si trasmise a Venezia e a Trento, senza però attecchire. A Bologna il gioco rimase popolare fino ai giorni nostri nella forma del tarocchino bolognese e da qui si diffuse a Firenze dove invece nacque la variante delle Minchiate che utilizza un mazzo espanso di 97 carte. Da Firenze il gioco si diffuse a Roma e da qui nel XVII secolo in Sicilia. Fu comunque da Milano che il gioco si diffuse nel resto d'Europa, prima in Francia e in Svizzera i cui soldati vennero in contatto con il gioco durante l'occupazione francese di inizio del XVI secolo e da queste nazioni si sparse nel resto d'Europa.
Tarocchi marsigliesi (mazzo di Jean Dodal, 1701 circa), a sinistra L'Imperatrice, a destra L'Imperatore
In Francia il gioco è giocato con il mazzo detto dei tarocchi di Marsiglia, la cui principale differenza è l'uso dei semi francesi (cuori, quadri, fiori e picche) al posto di quelli italiani. Il gioco è documentato in diversi brani della letteratura francese del XVI secolo, e compare nel capitolo risalente al 1534 del Gargantua e Pantagruel in cui Rabelais elenca i giochi giocati da Gargantua. Una prima descrizione delle regole è contenuta in un libretto stampato a Nevers intorno al 1637. Il gioco è apparentemente molto diffuso, tanto che il gesuita François Garasse scrive nel 1622 che in Francia è più popolare degli Scacchi, ma per il 1725 la sua diffusione si è ridotta alla Francia Orientale, dove persiste fino ai giorni nostri ed incontra un generale revival nel XX secolo. In Francia si aggiungono alcune nuove regole ai giochi di tarocchi, la possibilità ottenere un bonus per possedere certe combinazioni di carte in apertura di partita, bonus o penalità per vincere o perdere una mano con certe carte (per esempio vincere con il Pagat - il Bagatto italiano o perdere uno dei Re).
In Germania il gioco arriva intorno all'inizio del XVII secolo, probabilmente importato dalla Francia, vista l'attestazione nel gergo dei giocatori tedeschi di numerosi termini che sono corruzioni dei corrispondenti francesi e per la metà del secolo è ampiamente diffuso. Non è comunque certo il periodo e canale di arrivo del gioco.
L'apice della diffusione del gioco è dal 1730 al 1830, in questo periodo era giocato nell'Italia settentrionale, Francia orientale, Svizzera, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Austro-Ungheria, Svezia e Russia e sebbene rimanesse un gioco a diffusione locale le regole erano abbastanza omogenee con piccole differenze locali, sia che si giocasse con un mazzo con semi italiani che con uno con semi francesi.
L'uso dei tarocchi come carte da gioco si trova ancor oggi in alcune aree italiane e francesi. Il tarocco siciliano è ancora giocato in quattro paesi della Sicilia: Barcellona Pozzo di Gotto, Calatafimi, Tortorici e Mineo. A Bologna si usa il tarocchino bolognese, le cui regole originali sono conservate dall'Accademia del tarocchino bolognese. A Pinerolo si usa il tarocco ligure-piemontese. In Francia è attiva una Fédération Française de Tarot il cui regolamento usa i Tarot nouveau.

Tecniche di stampa

Le tecniche che nel corso dei secoli si sono susseguite per la creazione dei tarocchi e per le carte da gioco sono state innumerevoli. È presumibile che anticamente fossero vergati su pergamena o incisi su tavolette di legno; nei secoli successivi, si passò dall'uso degli stampi in legno di pero (o affini per morbidezza e robustezza) come matrice per i tratti, congiuntamente agli stampini (i cosiddetti pochoirs o stencil) per l'applicazione dei colori. Verso la metà del XV secolo, le tecniche di stampa furono perfezionate prima con la xilografia, poi con la calcografia e, alla fine del secolo, con l'invenzione dei caratteri mobili.
Il progresso della stampa fece nascere le prime fabbriche di mazzi di tarocchi, che erano stampati su foglio unico, numerati, rozzamente colorati e tagliati. Il prezzo era superiore alle carte comuni, dato il maggior numero, come ci informa un registro fiscale bolognese del 1477. Tuttavia la stampa introdusse sul mercato mazzi a basso costo che favorirono la diffusione del gioco. Nell'Ottocento, in concomitanza con la rivoluzione industriale, si passò all'uso delle macchine di stampa quadricromiche (che modificarono notevolmente i colori più antichi di certi cartai) ed oggigiorno i tarocchi sono disegnati e riprodotti soprattutto mediante tecnologia informatica (penne grafiche e digitalizzazione).



Tarocchi occulti

I primi usi documentati dei tarocchi come strumento per la cartomanzia risalgono al XVII secolo a Bologna. Comunque la loro diffusione moderna in cartomanzia e l'associazione con l'occultismo risalgono alla fine del XVIII secolo e sono dovuti principalmente ad Antoine Court de Gébelin e di Etteilla. Il primo nell'VIII volume della sua opera Le Monde primitif pubblicato nel 1781 incluse due saggi nel quale si sosteneva che i tarocchi fossero in realtà i Libri di Thot codificati dai sacerdoti egizi nelle immagine simboliche dei trionfi per tramandarlo segretamente sotto l'aspetto innocuo di carte da gioco, il secondo pubblicò una serie di libri (Manière de se récréer avec le jeu de cards nommées Tarots) tra il 1783 e il 1785 nei quali riprese a approfondì il legame dei tarocchi con i Libri di Toth e descrisse un metodo per il loro uso in cartomanzia.
Gérard Encausse, sotto lo pseudonimo di Papus (1865-1917), seguendo le idee di Lévi, si permise di creare tarocchi con i personaggi egizi illustranti una struttura cabalistica.
Arthur Edward Waite, per far combaciare i tarocchi con le 22 vie dell'Albero della Vita che uniscono le 10 sephirot della medesima Tradizione cabalistica, scambiò il numero VIII della Giustizia con il numero XI della Forza; trasformò l'Innamorato in Gli Amanti; rivisitò a suo modo il Matto, spogliandolo di qualunque valenza esoterica, falsificando in questo modo il significato di tutti gli arcani.
Aleister Crowley, occultista appartenente all'Ordo Templi Orientis, cambiò anche i nomi, i disegni (e quindi il significato) e l'ordine delle carte: la Giustizia diventa il Giudizio; Temperanza diventa l'Arte; il Giudizio diventa Eone ed i Fanti ed i Cavalieri, eliminati, sono sostituiti da Principi e Principesse.
Oswald Wirth, occultista svizzero massone e membro della Società Teosofica, disegnò da sé i propri tarocchi introducendo negli arcani non soltanto abiti medievali, sfingi egizie, numeri arabi e lettere ebraiche al posto dei numeri romani, simboli taoisti e la versione alchemica del Diavolo inventata da Éliphas Lévi, ma si ispirò anche alla grossolana versione di Court de Gébelin.
All'inizio del Novecento un noto autore, Paul Marteau, nel suo libro Le Tarot de Marseille riprodusse le sue carte. Questo evento, insieme a tutte le deviazioni di cui sono stati oggetto i tarocchi in questi ultimi due secoli, ha rappresentato il "colpo di grazia" per i tarocchi di Marsiglia. Infatti Marteau, commise due grandi errori: per un verso il suo mazzo è soltanto un'approssimazione dell'originale (i disegni sono, infatti, l'esatta riproduzione dei tarocchi di Besançon pubblicati da Grimaud alla fine del XIX secolo, che a sua volta riproducono altri tarocchi di Besançon pubblicati da Lequart e firmati "Arnault 1748." ); inoltre, modificò alcuni dettagli originali, forse per imprimere il proprio marchio e poter commercializzare il "prodotto" incassandone i diritti d'autore. Per di più, conservò i quattro colori di base imposti dai macchinari tipografici invece di rispettare gli antichi colori delle copie dipinte a mano.

I mazzi storici

I tarocchi del Mantegna

I cosiddetti tarocchi del Mantegna sono due serie distinte di 50 incisioni risalenti al XV secolo, denominate serie "E" e serie "S", opera di due distinti artisti di scuola ferrarese rimasti anonimi, che per secoli sono state attribuite ad Andrea Mantegna. Le due serie ritraggono gli stessi soggetti raggruppati tematicamente in cinque gruppi (le condizioni dell'uomo, Apollo e le muse, le arti liberali, i principi cosmici e le virtù cristiane) e non costituiscono in realtà neanche un mazzo di tarocchi, poiché mancano completamente le carte di semi e i soggetti pur presentando in alcuni casi delle somiglianze iconografiche con quelli dei tarocchi tradizionali sono comunque diversi. Si ignora l'uso a cui era destinato il mazzo, sembrerebbero essere stati un'opera didattica e istruttiva.

I tarocchi di Marsiglia

Non abbiamo riferimenti per la datazione dei tarocchi di Marsiglia così chiamati per la città della Francia che ha goduto di una posizione di monopolio nella produzione di questo tipo di carte pur non avendole inventate; sebbene i primi mazzi conosciuti risalgano al XVIII secolo, lo stile delle carte a semi italiani fa propendere per l'origine latina di questo tipo di mazzo, probabilmente diffusosi dalla Lombardia in territorio francese. Uno dei modelli più conosciuti dei tarocchi di Marsiglia fu inciso su legno dal francese Claude Burdel nel 1751.
Egli aveva contrassegnato Il Carro con le sue iniziali, mentre la sua firma per esteso compare sul 2 di denari. Le figure sono intere, e - relativamente agli Arcani maggiori - recano la denominazione in francese e sono contrassegnati da numeri romani. La morte non aveva nome. Le scritte erano in un francese sgrammaticato, spesso privo di accenti e apostrofi. Gli abiti delle figure, pur nella loro forte stilizzazione, si riferiscono a prototipi rinascimentali. Il mazzo fu poi rielaborato correttamente dal francese Grimaud, e ristampato nel XIX secolo.

I tarocchi di Besançon

Come per Marsiglia, la città non può vantare la paternità di queste carte da tarocco a semi italiani. Il più antico mazzo di questo genere databile con certezza risale al 1746, e ne conosciamo sia il fabbricante - Nicolas Laudier - sia l'incisore, Pierre Isnard. Le eccezioni più notevoli sono i Trionfi II, la Papessa, trasformata in Giunone, e il V, il Papa, diventato Giove tonante.

La composizione dei Trionfi marsigliesi

È questa forse la principale forma definitiva attualmente usata. Molti tarocchi fantastici si ispirano a quelli marsigliesi. Vale quindi la pena di darne una descrizione più accurata:
  • I - Il Bagatto (le Bateleur). La parola ha origini latine e sta ad indicare "figura da poco", "bagatella", cosa di nessun conto. Rappresenta un giovane uomo con un grande cappello e abiti vistosi, posto in piedi davanti a un tavolo, su cui figurano monete, vasetti, dadi, coltelli, una borsa. L'uomo regge nella mano sinistra un bastone dorato.
  • II - La Papessa (La Papesse). È forse una delle figure che ha dato luogo a maggiori discussioni, dal momento che nessuna donna ha mai avuto accesso al soglio di Pietro. In taluni mazzi è stata sostituita da Divinità o altre carte. La donna ha un triregno in capo, è seduta su un trono ricoperto da un velo e ha in mano un libro aperto.
  • III - L'Imperatrice (L'Imperatrice). Una donna in trono, con la corona in testa, ha in mano uno scettro col globo sormontato dalla croce (da sempre simbolo di impero). Regge con la mano destra uno scudo con un'aquila araldica, e ha due ali aperte sulla schiena.
  • IV - L'Imperatore (L'Empereur). Un uomo barbuto, seduto in trono di profilo, con una gamba incrociata sull'altra, regge uno scettro con la destra. Sotto al Trono è appoggiato uno scudo con un'aquila araldica. La carta è evidentemente collegata col potere terreno.
  • V - Il Papa (Le Pape). Seduto in posizione frontale, il Pontefice col Triregno regge un pastorale a croce con tre traverse. Ai suoi piedi, di statura notevolmente inferiore, sono inginocchiati due chierici. Il Papa ha la barba canuta, probabile allusione alla sua saggezza.
  • VI - L'innamorato (L'Amoreux). Sotto un grande cupido alato, pronto a scoccare la sua freccia, un giovane sta in piedi tra due figure femminili, una vestita più poveramente dell'altra. I critici sono concordi nell'identificare questa lama col mito di Ercole, che dovette scegliere tra Vizio e Virtù.
  • VII - Il Carro (Le Chariot). Un carro visto in modo rigidamente frontale, è condotto da un giovane guerriero incoronato, mentre trattiene saldamente due cavalli, uno blu ed uno rosso, che tendono a scartare in posizioni opposte.
  • VIII - La Giustizia (la Justice). È questa una delle quattro Virtù cardinali citate nel mazzo, da cui manca la Prudenza. Una donna in trono regge con la mano sinistra una bilancia dai piatti allineati, e con la destra una spada. Questo Trionfo contiene in sé l'idea di equilibrio e di punizione.
  • IX - L'Eremita (L'Hermite). Un vecchio barbuto, appoggiandosi ad un bastone, avanza reggendo una lampada. Non si può fare a meno di pensare a Diogene che, reggendo una lampada affermava di cercare l'uomo.
  • X - La Ruota della Fortuna (La Roue de Fortune). Questa immagine, largamente conosciuta e rappresentata nel Medioevo, raffigura una ruota sormontata da una sfinge alata con corona e spada, con due esseri mezzo uomo e mezzo animale arrampicati ai suoi lati. Già in epoca medievale la Ruota era usata per ricordare la vanità delle conquiste e dei beni terreni.
  • XI - La Forza (La Force). Una donna con un ampio cappello in testa chiude le fauci di un leone. È una delle quattro Virtù cardinali raffigurata nel mazzo.
  • XII - L'Appeso (Le Pendu). Un uomo è appeso per un piede a un palo retto da nodose travi di legno. La gamba libera è piegata verso l'interno. La carta raffigura una pena praticata realmente durante il Medioevo, sia dal vero sia in effigie, a chi si rendeva reo di tradimento. Questo tipo di pittura, detta infamante, era solitamente affidata a mestieranti, ma a volte ad artisti di rilievo, come Sandro Botticelli e Andrea del Sarto.
  • XIII - La Morte (a volte lasciata senza scritta) - Uno scheletro con una falce cammina in un campo cosparso di mani e di teste. La figura è collegata con l'iconografia medievale del Trionfo della Morte molto diffusa nel Medioevo e nel Rinascimento, in cui uno o più scheletri si trascinano, in fila o in una danza macabra, regnanti, Papi e altri soggetti solitamente di alto livello sociale.
  • XIV - La Temperanza (La Temperance). Altra virtù cardinale. Un Angelo con la veste bipartita in due zone di colore blu e rosso, versa un liquido da un'anfora all'altra reggendole entrambe con le mani.
  • XV - Il Diavolo (Le Diable). Un essere cornuto dal viso sghignazzante, le ali di pipistrello, i seni femminili, i genitali maschili, le gambe caprine, sta in cima a un piccolo ceppo a cui sono legati due diavoletti. Gli zoccoli e il ghigno osceno sono mutuati dalle classiche immagini greche del dio Pan.
  • XVI - La Casa Dio (La Maison Dieu). Una torre che ha come tetto una corona, viene scoperchiata da una lingua di fuoco, mentre due figure umane cadono al suolo e piccole sfere riempiono l'aria. La costruzione evoca la Biblica torre di Babele, talmente alta che Dio punì gli uomini confondendo il loro linguaggio.
  • XVII - La Stella (L'étoile). Con questa carta si abbandona il mondo umano e si entra in quello spiritualmente superiore. Otto stelle, di cui la centrale molto più grande, sormontano una donna nuda che versa per terra acqua da due anfore. Sul fondo, un minuscolo albero su cui canta un piccolo uccello.
  • XVIII - La Luna (La Lune). Seconda lama della serie degli astri la Luna splende rotonda in cielo ma con il volto raffigurato di profilo, mentre gocce colorate partono dalla terra verso di essa. In primo piano un Gambero, legato zodiacalmente al segno del Cancro, esce da una pozza d'acqua. Due cani ululano e due torri sullo sfondo sembrano custodire il paesaggio.
  • XIX - Il Sole (Le Soleil). Un grande sole radiante sparge gocce su due gemelli ritti in piedi vicino a un basso muretto in mattoni.
  • XX - Il Giudizio (Le Jugement). Un angelo esce da un nembo colorato suonando la tromba, mentre tre piccoli corpi sorgono da un avello. Anche questa immagine, frequentissima nel Medioevo, può farsi risalire ai numerosi miti sulla fine del mondo presenti in molte religioni antiche. Il più importante riferimento è certamente l'Apocalisse di Giovanni, ultimo libro del Nuovo Testamento. Questa carta corrisponde all'Angelo di altri mazzi da gioco.
  • XXI - Il Mondo (Le Monde). La carta rappresenta una donna seminuda che regge due bastoncini nelle mani. Essa è circondata da una mandorla di foglie, mentre ai quattro lati della carta compaiono i simboli Tetramorfi degli Evangelisti: un Angelo (San Matteo) un'Aquila (San Giovanni) un Toro (San Luca) e un Leone (San Marco). La carta compendia, se pur in forma elementare due figure geometriche, il cerchio e il quadrato, che erano considerate il simbolo della perfezione.
  • Il Matto (Le Fou). La lama non è numerata e può essere inserita sia all'inizio sia alla fine del mazzo. Un giullare girovago, col cappello a sonagli, che regge su una spalla un fagottino con le sue poche cose, si avvia verso una strada non meglio identificata, rincorso da un cane che gli sta lacerando una calza. Una figura analoga si trova nel tarocco del Mantegna, ma è chiamato il Misero.

Le Minchiate

Comparso a Firenze, questo curioso mazzo di novantasette carte fu chiamato così con probabile attinenza al membro virile, ma anche per indicare che il gioco di carte non era da prendersi sul serio. Godette di grande fortuna soprattutto nell'Italia centro settentrionale, ma fu poi gradualmente abbandonato. Le Minchiate sono una curiosa variante regionale, completamente alterata, del tarocco tradizionale. Le prime trentacinque carte, dette Papi sono seguite da cinque carte chiamate Arie: la Stella, la Luna, il Sole, il Mondo e il Giudizio finale detto Le trombe. I semi sono Denari, Coppe, Bastoni, Spade. Gli onori sono detti Cartiglia e presentano centauri al posto dei cavalieri. Tra le altre carte mancano la Papessa e il Papa, mentre sono stati aggiunti il Granduca, le quattro Virtù Cardinali, le tre Teologali, i quattro Elementi, i dodici Segni zodiacali.

Il tarocchino bolognese

Bologna, che è stata uno dei centri in cui il gioco era più attivamente praticato, non ci ha lasciato alcun mazzo completo prima del XVII secolo. I questo periodo si giocava una nuova forma di tarocco a mazzo ridotto di 62 carte, anche se non abbiamo indicazioni precise sulla data in cui vennero eliminate determinate carte. I tagli erano relativi alle carte numerali, ad esclusione degli Assi. Né il tarocchino è l'unico esempio di contrazione del mazzo: a Venezia il gioco della trappola prevedeva trentasei carte.
Il tarocchino bolognese trionfò in questo periodo grazie a vicissitudini particolari: tra il 1663 e il 1669 un artista bolognese fantasioso e versatile, Giuseppe Maria Mitelli (1634 - 1718) incise un libro sui tarocchini dedicato a Prospero Bentivoglio. I fogli dovevano poi essere tagliati e incollati dal giocatore.
In periodo della Controriforma e con sensibilità tutta barocca, il Mitelli trasformò il mazzo eliminando la figura della Papessa e ridisegnando i Trionfi. Così l'Appeso è un uomo condannato alla pena capitale che aspetta che il boia gli fracassi il cranio con un martello; la Stella è un mendicante che avanza nella notte con una lanterna; la Luna e il Sole sono ispirati ad Artemide e ad Apollo, il mondo è un globo sorretto da un gigantesco Atlante. Anche le carte numerali hanno disegni fantasiosi, mentre nell'Asso di denari l'artista ha inciso il suo ritratto con la firma.
Un altro tipo di tarocchino bolognese, che non è mai stato usato neppure per la divinazione, risale al 1725 e fu ideato dal canonico Montieri. L'autore aveva indicato le diverse forme di stati europei, audacemente situando Bologna sotto un governo misto, laico-clericale. Dal momento che la città era inserita nei domini dello Stato Pontificio, la cosa fu giudicata irrispettosa e l'audace prelato fu incarcerato.
Il senato bolognese trovò un accordo facendo sostituire le icone irriverenti con figure di mori. In una data non precisata della seconda metà del Settecento, il tarocchino fu uno dei primi mazzi che suddivise le figure in due metà speculari.

Il tarocco Piemontese

Grazie alla sua vicinanza con il Ducato di Milano, dove il gioco dei Tarocchi molto probabilmente ebbe origine, il Piemonte conobbe e usò ben presto queste carte; il documento piemontese più antico è il Discorso sopra l'ordine delle figure dei Tarocchi, scritto da Francesco Piscina da Carmagnola e pubblicato nel 1565 a Monte Regale (oggi Mondovì).
Intorno al 1830 una famiglia di Torino, i Vergnano, avviò la produzione di un nuovo modello, oggi definito "Tarocco piemontese", simile ai Tarocchi cosiddetti “di Marsiglia. Tuttavia, come ha rilevato lo storico Giordano Berti, i Tarocchi di Vergnano si distinguono dalla produzione francese per lo stile e per il contenuto di alcune carte, in particolare per il Matto, vestito con i pantaloni a sbuffo, che insegue una farfalla; per il Bagatto, che ha sul tavolo gli strumenti del calzolaio; per il Diavolo, che ha un muso di felino che spunta dall'addome; per il Giudizio, detto Angelo, dove i morti emergono dalle fiamme, collegandosi con l'iconografia popolare delle anime del Purgatorio; per l'Asso di Coppe, un vaso colmo di fiori e frutti.
Altra variazione rispetto al mazzo "marsigliese" è l'uso dei numeri arabi al posto di quelli romani.
Nella seconda metà di quel secolo, sulla base del mazzo di Vergnano fu introdotto il modello a due teste, senza dubbio utile ai giocatori che non dovevano girare le carte ogni volta che si presentavano rovesciate.

I tarocchi contemporanei

Lo straordinario interesse che si è sviluppato intorno ai tarocchi dall'Ottocento in avanti ha spinto numerosi artisti contemporanei a reinterpretare le misteriose figure. Fra gli italiani si possono ricordare Franco Gentilini, Renato Guttuso, Emanuele Luzzati, Ferenc Pinter e Sergio Toppi. Fra gli artisti non italiani spiccano Salvador Dalí e Niki de Saint Phalle, autrice del fantastico Giardino dei Tarocchi costruito a Garavicchio, presso Capalbio.
Numerosi illustratori hanno realizzato nuovi mazzi, talvolta in collaborazione con storici e letterati. Per esempio, i Tarocchi di Dario Fo sono stati dipinti dal figlio Jacopo su progetto del Premio Nobel Dario Fo, Michele Marzulli ha ideato, disegnato e realizzato i Tarocchi Massonici, mentre allo scrittore Giordano Berti si deve la sceneggiatura di dieci mazzi realizzati da vari illustratori.
A Riola, in provincia di Bologna, è stato istituito da tempo un Museo dei Tarocchi con un'ampia raccolta di carte.

Tarocchi e fumetti

Dalla fine degli anni 1980 numerosi fumettisti si sono cimentati nella creazione di nuovi mazzi di Tarocchi, soffermandosi solitamente sui 22 Arcani Maggiori.
Le mangaka CLAMP hanno basato sui tarocchi la loro opera X, collegata a temi mistici e strutturata in una serie di 22 volumi, di cui 21 di fumetto e uno illustrato, ognuno dei quali è introdotto da un Arcano maggiore interpretato da un personaggio della serie. Hirohiko Araki a partire dalla terza serie del manga Le bizzarre avventure di JoJo, introduce il concetto di "Stand", materializzazione fisica dei poteri psichici di ciascun personaggio, attribuendogli i nomi e le sembianze degli arcani maggiori.


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