Nell'antica Roma, le defixiones
(defissioni; al singolare defixio = defissione) erano
testi di contenuto magico, spesso contenenti maledizioni, scritti su
tavolette (le tabellae defixionum) costituite da lamine di
piombo incise a graffio. Tale pratica fu descritta dallo storico
Plinio il Vecchio.
Il nome deriva dal latino defigere
(inchiodare, conficcare, immobilizzare), con evidente allusione alla
volontà di immobilizzare le capacità fisiche e mentali della
persona oggetto della maledizione, nonché all'atto pratico di
trafiggere il supporto scrittorio con chiodi, attuando così una
sorta di effetto simpatetico (di identificazione tra l'atto fisico
della trafittura e l'invocazione del castigo divino).
La defissione definisce la pratica
magica collegata al rito della penetrazione con un chiodo della
lamina arrotolata su se stessa, su cui era scritto il nome del
destinatario della maledizione o su cui era inciso semplicemente il
testo dell'anatema. La tavoletta inchiodata era posta in una buca che
si credeva potesse comunicare con gli Inferi.
Le tabellae costituiscono un
reperto importante non solo dal punto di vista linguistico (ne sono
state ritrovate scritte in greco, latino, etrusco, osco, celtico,
iberico, punico), ma anche paleografico perché consentono una
conoscenza più ampia delle scritture corsive nell'antichità.
A seconda del contesto e dell'attività
svolta dalla vittima delle maledizioni si sono tentate delle
classificazioni di defixiones: maledizioni agonistiche,
amorose, politiche, giudiziarie.
Descrizione
Gran parte dei testi contengono
maledizioni rivolte verso personaggi precisi, il cui nome era ben
indicato per garantire l'efficacia del rito. Spesso non si richiedeva
la morte del proprio avversario, anzi si prediligeva piuttosto
richiedere alle potenze infernali che un individuo ostile fosse
portato in punto di morte ma non ucciso. Tali testi dopo esser stati
scritti erano nascosti presso tutti quei luoghi che si ritenevano
spazi privilegiati di contatto tra il mondo terreno e ultraterreno:
in particolare grotte, fonti, templi e soprattutto tombe di individui
morti prematuramente o violentemente. Questo atto rispondeva a due
necessità: da un lato, celare l'iscrizione agli occhi indiscreti di
lettori viventi, dall'altro affidare la propria maledizione alle
forze infere (non necessariamente divinità) o alle anime dei
defunti.
Da precisare il fatto che si sia
ipotizzata l'esistenza di individui specializzati nella stesura dei
testi di maledizione: in tal senso non mancano testimonianze nella
letteratura (Platone, La Repubblica 364 a.C.), né in
defixiones greche dove vengono menzionati dei molubdokopoi
(incisori del piombo).
Il testo di queste maledizioni può
essere molto vario: si può passare dalla semplice indicazione del
nome della persona da affliggere sino a formule molto lunghe e
complesse che alludono esplicitamente alla parte del corpo o
all'abilità dell'avversario che dev'essere colpita dalla magia.
Unico dato che non viene mai nominato nelle defixiones è il nome
dell'autore e questo per evidenti timori di ritorsione: le vittime
possono essere designate con indicazione precise di nomi, soprannomi,
professioni, indicazione dei genitori. Molto spesso le maledizioni
sono incise deliberatamente in maniera da essere difficilmente
leggibili: frequenti soprattutto in ambito greco sono il ricorso a
scritture bustrofediche, retrograde o ad andamento a spirale attuate
sia per rendere difficile la lettura ad un eventuale lettore vivente,
sia per effetto della pratica di magia simpatetica (ad esempio
scrittura distorta laddove si invochi la distorsione della lingua di
una persona).
Tali invocazioni costituivano forme di
goezia, magia nera, nettamente distinta dalla teurgia ("scienza
divina", magia bianca), che nel mondo pagano e nel contesto del
neoplatonismo attirava a sé anche filosofi e studiosi. Al pari di
quest'ultima la goetia era ugualmente diffusa (e non solo a livello
popolare) soprattutto nel tardo impero, come si deduce dalle condanne
dei padri della Chiesa (rivolte per la verità contro entrambe le
pratiche).
Nel mondo greco e romano questo tipo di
tavolette erano diffusissime, e ne sono state ritrovate numerose sia
in greco che in latino. Un famoso esempio sono quelle che, insieme a
resti di cadaveri, ceneri e macchie di sangue furono trovate sotto i
pavimenti della residenza del principe Germanico e che, secondo
l'intenzione degli artefici, ne causarono la morte. Ma erano anche
usate per scopi più quotidiani, come danneggiare i fantini rivali
alle corse dei cavalli, prassi che, a giudicare dal numero di nomi di
cavalli che ci è rimasto, doveva essere molto frequente.
Nel IV secolo, con l'avvento del
cristianesimo, ogni forma di goetia fu proibita sotto pena di morte e
numerose sono le attestazioni di condanna della prassi. Un decreto di
Teodosio I era ad esempio diretto proprio contro gli aurighi e fonti
antiche riportano le atroci morti di celebri guidatori giudicati
colpevoli di questa antica forma di doping.
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