lunedì 15 agosto 2022

Runa delle Streghe

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La Runa delle Streghe (Witches Rune in originale) chiamata anche Cantico delle Streghe è uno dei principali testi sacri della religione wicca. Essa è un brano poetico solitamente recitato e cantato da tutti i partecipanti ai rituali e spesso accompagnato da una Danza a spirale ed usato per innalzare dei cosiddetti coni di potere. La Runa delle Streghe fu scritta a due mani da Doreen Valiente e Gerald Gardner ed inserita nel più antico ed originario Libro delle Ombre della tradizione Gardneriana

domenica 14 agosto 2022

Quali miti mostrati nei film di fantascienza sono decisamente improbabili?

Le invasioni aliene e le battaglie interstellari



La realtà è che lo spazio è così vasto e pieno di pianeti e risorse che attaccare una civiltà è letteralmente il metodo più pericoloso, dispendioso e costoso che si possa immaginare per ottenere qualunque risorsa una civiltà aliena possa desiderare. Nella vita reale non esiste un dannato motivo per combattere.

Se riesci a trovare e raggiungere la Terra attraverso un viaggio interstellare, puoi sicuramente trovare un pianeta disabitato da colonizzare e qualsiasi deposito minerale o acqua di cui potresti aver bisogno. Tutto ciò di cui una civiltà può aver bisogno è là fuori in attesa di essere scoperto senza che sia necessario combattere nessuno per questo. L'universo ha, per tutti gli scopi pratici, una scorta illimitata di praticamente tutto.

Non ci sono scarse risorse quando puoi viaggiare ovunque nella galassia, che ha circa 400.000.000 di stelle. Nel vero universo, le battaglie interstellari sono inutili.

Una civiltà aliena dovrebbe essere inimmaginabilmente stupida per costruire una flotta di invasione e attaccarci. (Il che potrebbe spiegare il motivo per cui in Independence Day il laptop di Jeff Goldblum del 1995, con il suo disco rigido da 8 MB e nessuna funzione wifi è stato in grado di far crollare una flotta aliena.)


L'incredibile somiglianza degli alieni con la razza umana

Alieni fatti cosi:


Sono troppo simili agli umani. Le probabilità che gli alieni (ammesso che esistano) assomiglino alla nostra razza sono estremamente basse.

sabato 13 agosto 2022

Chi era Cernunno?

Cernunno era una divinità celtica con l'aspetto di un uomo dalle corna di cervo, infatti il suo nome in lingua celtica karnon significa infatti "uomo dalle corna".

Era spesso rappresentato in una posizione seduta e circondato da animali selvatici di ogni tipo. Era infatti una divinità legata alla natura, la fertilità e virilità.



Solitamente era rappresentato con in mano un serpente con le corna (animale della mitologia celtica) e un torques, cioè una collana d'oro.



venerdì 12 agosto 2022

Uomo di medicina

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"Uomo di medicina" o "donna di medicina" sono locuzioni, calchi delle espressioni inglesi medicine man o medicine woman, usate per descrivere guaritori tradizionali e leader spirituali dei nativi nordamericani e di altri popoli indigeni o aborigeni. Gli antropologi e gli storici delle religioni tendono a preferire il termine "sciamano", un termine specifico per indicare un mediatore spirituale dei popoli tungusi della Siberia.

L'"uomo" e la "donna di medicina" nel Nord America
Ruolo nella società nativa
La funzione principale di questi "anziani di medicina" (che non sono necessariamente sempre di sesso maschile) è di assicurare l'aiuto del mondo degli spiriti, incluso quello del Grande Spirito (Wakan Tanka nel linguaggio dei Lakota, appartenenti al gruppo Sioux), a beneficio dell'intera comunità. L'"uomo di medicina" in lingua lakota è chiamato pʿejúta wicʿaša ovvero wicʿaša wakan o wapʿíya wicʿaša.
Talora l'aiuto cercato può riguardare la cura di malattie fisiche, talvolta quella di malattie psichiche, altre volte ancora l'obiettivo è quello di promuovere l'armonia tra gruppi umani o tra umani e natura. Così, il termine "uomo/donna di medicina" non è del tutto appropriato ma semplifica enormemente e distorce anche la rappresentazione della gente, il cui ruolo nella società è complementare a quello del capo.
Per essere riconosciuto come persona che adempie questa funzione di collegamento tra il mondo naturale e quello spirituale a beneficio della comunità, un individuo deve essere convalidato nel suo ruolo dal parere di quella comunità. Uomini e donne di medicina acquisiscono le loro conoscenze da altri sciamani o da un singolo maestro.

Contesto culturale
Il termine "gente di medicina" (medicine people) è comunemente usato nelle comunità native nordamericane. Per esempio, quando Arwen Nuttall (Cherokee) del National Museum of the American Indian scrive: "La conoscenza posseduta dal medicine people è un privilegio, e sovente rimane all'interno di particolari famiglie."
I nativi nordamericani tendono a essere abbastanza riluttanti a discutere di questioni mediche o di medicina popolare con i non-nativi. In alcune culture, la gente non discute mai di simili argomenti coi nativi di altre tribù. In numerose tribù, inoltre, gli anziani sciamani non si aspettano si faccia loro pubblicità in alcun modo. Come Nuttall scrive: "Domande a un nativo su credenze o cerimonie religiose sono spesso viste con sospetto". Un esempio appropriato su questo aspetto era il laccio di medicina Apache, o Izze-kloth, la cui funzione e le cui modalità d'uso da parte degli anziani sciamani Apache erano un mistero per gli etnologi del XIX secolo, perché "gli Apache considerano tali lacci talmente sacri che agli stranieri non è consentito vederli, tanto meno toccarli e parlare di essi."
La versione del 1954 del Webster's New World Dictionary of the American Language, rifletteva la inadeguata percezione di base di quelle persone che usavano a quel tempo il termine "Uomo di medicina": "un uomo che si presume abbia poteri soprannaturali di curare malattie e controllare gli spiriti". In effetti, ogni definizione finiva con non spiegare appropriatamente ciò che erano questi "medici popolari" per le loro comunità, riferendo invece il consenso di osservatori socialmente e psicologicamente estranei che tentavano di categorizzare questi individui. Il termine "uomo/donna di medicina", come il termine "sciamano", sono criticati dai nativi nordamericani, come pure da altri specialisti del campo della storia delle religioni e dell'antropologia culturale.
L'espressione "uomo/donna di medicina" è altresì usato da europei per riferirsi a guaritori tradizionali africani, anche noti come "stregoni" o "Uomo/donna feticisti".


giovedì 11 agosto 2022

Rākṣasa

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Il termine sanscrito rākṣasa (anche rakṣas; devanāgarī: राक्षसः; kannada: ರಾಕ್ಷಸ; indonesiano: raksasa; assamese: ৰাক্ষস; tibetano: སྲིན་པོ་ srinpo; cinese: 羅剎 pinyin luóchà Wade-Giles lo-ch'a; coreano: 나찰 nachal, giapponese: 羅刹 rasetsu; vietnamita: la sát) intende, nelle religioni induista e buddhista, quegli spiriti disturbatori e malefici che avviano le loro attività demoniache in particolar modo la notte (cfr, ad esempio, Manusmṛti, III, 280):
(SA)
« rātrau śrāddhaṃ na kurvīta rākṣasī kīrtitā hi sā
saṃdhyayor ubhayoś caiva sūrye caivācirodite »
(IT)
« Non deve compiere il rito per i defunti di notte, giacché questa appartiene ai rākṣasa, e neppure durante i due crepuscoli o subito dopo il tramonto. »
(Manusmṛti, III, 280; traduzione di Federico Squarcini e Daniele Cuneo. Torino, Einaudi, 2010, p. 75)



Induismo

Secondo il Ramayana furono creati dai piedi di Brahma, ma alcune tradizioni popolari attribuiscono la loro nascita a Pulastya, Khasa o Nirriti. Molti Rakshasa, nella precedente reincarnazione, erano esseri umani particolarmente crudeli. Sono noti per la loro abitudine nel rovinare cerimonie sacre, dissacrare tombe, molestare sacerdoti, possedere esseri umani: le loro unghie sono velenose, si nutrono di carne umana e di tutto ciò che è marcio. Hanno l'abilità di cambiare aspetto, fare magie, e spesso assumono la forma di esseri umani, di cani, e di grandi uccelli. Sempre nel Ramayana, quando Hanuman visita il loro villaggio nell'isola di Lanka, osserva che i demoni si presentano sotto ogni aspetto immaginabile. Una delle loro tipiche raffigurazioni li descrive come esseri spaventosi, giallastri, con denti granitici, capelli arruffati, cinque piedi e grandi ventri.
Re di Rakshasa era il grande demone dalle dieci teste Ravana, nemico di Rama. Suo fratello minore Vibhishana era considerato uno dei pochi Rakshasa buoni; fu infatti esiliato dal re suo fratello, che ne deprecava il comportamento. Vibhishana si alleò successivamente con Rama e re di Lanka. Tra gli altri Rakshasa famosi citiamo il dio guardiano Nairitya, associato al Sud-Ovest. Il termine ha, stranamente, un'etimologia in comune con rakṣa, che significa "protettore".
I Rakshasa sono una famiglia che comprende diverse razze di demoni che si cibano di carne umana. Alcune razze (come i vampiri) non possono esporsi alla luce solare perché le parti anatomiche che li compongono ne verrebbero disintegrate in pochi secondi, ma la maggior parte di loro, tra cui (orchi e streghe) non possiedono questo limite. I Rakshasa, a differenza dei diavoli, sono creature del caos, portate alla guerra, al furto, alla devastazione per il puro piacere che ne traggono. Sono molto esperti nell'arte dell'uccidere e del torturare. Le Rakshasi, sono tutte ninfe e prima di divorare la vittima ignara ci si accoppiano. Rakshasa e Diavoli pur appartenendo entrambi al regno delle tenebre, si odiano profondamente per il diverso approccio che hanno con il modo di vivere.

I Veda / Storie dai Purana

L'antica storia Vedica afferma che un tempo esistevano sulla terra solo due popoli: gli Asura e i Deva. Solo molto più tardi venne introdotto un principio secondo il quale era permesso considerare i Rakshasa appartenenti al popolo degli Asura. La parola con la quale gli si definisce venne storicamente introdotta solo molto più tardi. Solo gli Asura al pari dei Deva potevano risalire ai tempi Vedici.
Per comprendere l'origine dei Rakshasa è necessario risalire ai tempi di Kaśyapa, considerato secondo la letteratura Post-Vedica come il padre dell'umanità. Era sposato con tredici figlie Daksha, tra cui: Aditi, Diti e Danu; fu così il padre di una prole numerosa:
  • I figli di Kashyapa concepiti con Danu furono chiamati Danava.
  • I figli di Kashyapa concepiti con Diti furono chiamati Daitya.
  • I figli di Kashyapa concepiti con Aditi furono chiamati Aditya.
Gli Aditya erano considerate delle vere e proprie divinità.
Altri Rakshasa sono spesso raffigurati come esseri feroci, brutti, giganti, neri come la fuliggine, con due zanne situate nella parte superiore della bocca sporgenti verso il basso, con unghie affilate simili ad artigli, ringhianti come bestie. Sono anche descritti come cannibali con una fame insaziabile, in grado di captare a distanza l'odore degli animali, degli uomini o della carne putrefatta. Alcuni di quelli più feroci sono descritti aventi occhi rossi e capelli fiammeggianti, mentre bevono sangue con le palme delle mani o da un teschio umano. In generale, secondo queste l'iconografia vedica, hanno il potere di volare, di svanire e anche mutare le loro dimensioni. Possono anche assumere a loro piacimento la forma di qualsiasi animale, di qualsiasi essere umano, o di altra cosa. Questi poteri sono chiamati Maya.

I Rakshasa nei poemi epici hindu

Nel mondo del Ramayana e del Mahabharata i Rakshasa sono considerati come una razza umanoide dotata di poteri soprannaturali. Nelle guerre Vediche erano schierati su entrambi i fronti, chi per il bene, chi per il male, e, come guerrieri combatterono a fianco degli eserciti di entrambe le parti. Erano guerrieri valorosi, maghi, esperti illusionisti, e mutaforma, ma non è chiaro se l'epica indù si riferisse ad una effettiva mutazione fisica o metaforica. Come illusionisti erano in grado di creare apparizioni, reali per le loro vittime.
Nonostante che l'epica vedica citi, senza nomi, la loro presenza nei ranghi militari, si raccontano le storie di alcuni dei loro membri, storie salite alla ribalta quasi tutte aventi come protagonista un eroe negativo.

I Rakshasa nel Ramayana

Si racconta di una battaglia, avvenuta a Lanka, fra un esercito di Rakshasa al comando di Ravana, contro un esercito di Vanaras o scimmie al comando di Rama e Sugriva.
  • Ravana, re dei Rakshasa dalle 10 teste, era il nemico mortale di Rama, eroe del Ramayana. Nel Mahabarata, il Saggio Markandeya racconta la storia di come Ravana aveva rapito Sītā, la moglie di Rama, del suo viaggio verso la roccaforte di Lanka, e di come Rama, aiutato dal re delle scimmie Surgriva e dal suo esercito di scimmie, assediarono Lanka, uccisero Ravana e liberarono Sita.
  • Vibhishana era il fratello minore di Ravana. Tra i Rakshana rappresentava una vera e propria anomalia, in quanto era di buon cuore, bello, pio e assiduo nelle osservanze religiose. Quando Brahma gli concesse un favore, Vibishana gli chiese di poter mai deviare dal sentiero della rettitudine e di essere illuminato dalla conoscenza divina. Vibhishana si alleò con Rama nella sua campagna contro il fratello Ravana, e aiutò l'esercito di Rama ad attraversare l'oceano tra l'India e Lanka. Quando Rakshasa invisibili, si infiltrarono nel campo di Rama, Vibhishana li smascherò rendendoli visibili, consentendo ai soldati di Rama di ucciderli. Dopo la vittoria finale di Rama su Ravana, il leale Vibhishana fu incoronato re di Lanka.
  • Kumbhakarna era l'altro fratello di Ravana. Era un temibile guerriero, maestro dell'illusione, ma per gran parte della battaglia di Lanka dormì a causa di un dono chiesto e ricevuto da parte di Brahma: un lungo sonno, ma si alzò, e scese in campo quando Ravana lo svegliò con notizie allarmanti circa le sorti del conflitto. Una volta fuori città, venne immediatamente circondato dalle scimmie di Rama che lo distrassero e lo fecero ridere, seminando panico e confusione fra le sue truppe. Quando il re delle scimmie Sugriva lo attaccò, Kumbhakarna riuscì ad afferrarlo trascinandolo via. A quel punto Rama e suo fratello Lakshmana lanciarorno sui Rakshasa un'arma segreta chiamata brahmastra ("arma di Brahma") uccidendo Kumbhakarna, così come un fulmine colpisce un albero e lo spezza in due.
Nel Ramayana appaiono altri Rakshasa: Kabandha, Tataka, Surpanakha, Maricha, Subahu, Khara, Indrajit, Prahasta, Akshayakumara e Atikaya.

Rakshasa nel Mahabharata

L'eroe Pandava Bhima rappresentava la nemesi della foresta-dimora nella quale viveva il Rakshasa che cenava con i corpi dei viaggiatori, terrorizzando gli insediamenti umani.
  • Hidimba era un Rakshasa cannibale ucciso da Bhima. Il Mahabharata lo descrive come un cannibale crudele con denti lunghi ed affilati e dotato di una forza prodigiosa. Quando Hidimba vide le Pandava che dormivano nella sua foresta, decise di cibarsene. Fece l'errore di inviare sua sorella Hidimbi a esplorare l'insediamento, ma la fanciulla si innamorò del bel Bhima, il quale fu avvertito del pericolo. Infuriato, Hidimba si dichiarò pronto a uccidere non solo il Pandava, ma anche sua sorella, ma venne ostacolato dall'eroismo di Bhima, che sconfisse uccidendolo in un duello.
  • Ghatotkacha, era il figlio di Bhima e di Hidimbi. Il suo nome si riferisce alla sua testa rotonda calva, formato dalle parole : ghata il cui significato è vaso e la parola utkacha, testa in sanscrito, ossia testa a forma di vaso. Durante l'infanzia Ghatotkacha, visse con sua madre Hidimbi, quando un giorno ebbe un litigio con Abhimanyu, suo cugino, senza sapere che era il figlio di Arjuna. Ghatotkacha era considerata una figura umile e leale. Sia lui che chi i suoi seguaci erano in qualsiasi momento a completa disposizione di suo padre Bhima. Come suo padre, Ghatotkacha combatteva principalmente con la mazza. Sua moglie si chiamava Ahilawati e suo figlio Barbarika.
Nel Mahabharata, Ghatotkacha venne invitato da Bhima a combattere dalla parte dei Pandava nella battaglia di Kurukshetra. Invocando i suoi poteri magici, contribuì notevolmente alla disfatta dell'esercito dei Kaurava, in particolare durante la notte e dopo la morte di Jayadratha, quando i suoi poteri erano maggiori.
Quasi al termine della battaglia, il capo dei Kaurava Duryodhana, poco prima della disfatta, fece appello al suo miglior combattente, Karna, ordinandogli di uccidere Ghatotkacha. Karna possedeva una arma divina, chiamata Shakti e concessa dal dio Indra. Poteva essere utilizzato una sola volta, e Karna l'aveva tenuta in serbo per utilizzarla contro il miglior combattente dei Pandava, Arjuna il suo più acerrimo nemico.
Impossibilitato a rifiutare la richiesta di Duryodhana, Karna uccise Ghatotkacha usando la Shakti. Questo venne considerato il punto di svolta della guerra. Dopo la sua morte, infatti, il consigliere dei Pandava Krishna, sorrise considerando che la guerra di fatto venne vinta dai Pandava in quanto Karna non possedeva più quell'arma divina che avrebbe potuto utilizzare nella lotta contro Arjuna.
A Manali vi è un tempio chiamato Himachal Pradesh costruito per onorare Ghatotkacha. Questo tempio si trova vicino ad un altro tempio, l'Hidimba Devi.
  • Kamsa era fratello di Devaki. Kamsa era un rakshasa così crudele che uccise i figli di sua sorella, perché pensava che in futuro sarebbe morto a causa di uno di essi. Vasudeva, marito di Devaki venuto a conoscenza del complotto, fu in grado di salvare solo uno dei suoi figli, Krishna.
  • Bakasura era un cannibale che viveva nella foresta-dimora, uno dei diversi Rakshasa che terrorizza gli uomini, costringendoli a turno a offrigli regolari consegne di prodotti alimentari, comprese vite umane. Sfortunatamente per Bakasura, Bhima, il Pandava, era in viaggio nella zona venendo ospitato da un bramino locale dal quale era giunto per una commissione. Nel momento in cui il bramino e la sua famiglia stavano discutendo chi fra di loro avrebbe dovuto sacrificarsi per Bakasura, il robusto Bhima si offrì di occuparsi della questione. Andò nella foresta a consegnare il cibo, ma si prese l'iniziativa di mangiarlo lungo la strada al fine di provocare il Rakhasa. Lo impegnò così in una lotta feroce, che si concluse con la vittoria di Bhima nel momento in cui gli ruppe la schiena. La gente del paese era stupita e grata al Pandava. Così i Rakshasa locali invocarono a Bhima la sua pietà, che gliela concesse, a condizione che rinunciassero al cannibalismo. Questi accettarono la proposta, facendo ben presto acquisire a Bhima la reputazione di essere benevolo verso gli esseri umani.
  • Kirmira è il fratello di Bakasura, cannibale ed maestro illusionista. Il suo luogo di caccia era il bosco di Kamyaka dove si cibava principalmente dei esseri umani. Come prima di lui suo fratello, Kirmira commise l'errore fatale di combattere Bhima, l'eroe Pandava, che lo uccise con le sue stesse mani.
  • Jatasura fu un astuto Rakshasa, che, travestito da bramino, tentò di rubare le armi del Pandava e di rapire la moglie di Bhima, Draupadi. Bhima giunse appena in tempo per intervenire, uccidendo Jatasura in un duello. Il figlio Jatasura si chiamava Alamvusha, entrambi combatterono a Kurukshetra, dalla parte dei Kaurava.
Eroi Rakshasa combattono su entrambi i fronti durante la battaglia di Kurukshetra.
  • L'eroe Ghatotkacha, combatteva dalla parte dei Pandava: figlio di Bhima e della donna Rakshasa, Hidimbi, sorella di un Rakshasa ucciso dallo stesso Bhima. Dopo molti duelli, combattimenti ed imprese eroiche contro numerosi altri grandi guerrieri (tra cui il Rakshasa Alamvusha, l'elefante condotto dal re Bhagadatta e Aswatthaman, il figlio di Drona), Ghatotkacha fu egli stesso ucciso dall'eroe umano Karna. Per sconfiggere Ghatotkacha, Karna si trovò costretto a usare un'arma segreta, utilizzabile solo una vota, che aveva riservato per sconfiggere il suo acerrimo rivale Arjuna. Fu grazie all'aver precedentemente utilizzato quest'arma segreta che Karna venne sconfitto da Arjuna.
  • Alamvusha era un Rakshasa abile nel combattere sia con armi convenzionali che i poteri magici. Secondo il Mahabharata ha combattuto dalla parte dei Kaurava. Sia Arjuna che Abhimanyu lo sconfissero in un duello. Tuttavia, Alamvusha fu in grado di uccidere Iravan, un figlio di Arjuna, avuto da una Naga, la principessa Ulupi, assumendo con la magia la forma di Garuda. Alamvusha fu sconfitto anche da Bhima, ma venne poi ucciso dal Rakshasa Ghatotkacha

I Rakshasa nella tradizione buddhista

Nella letteratura buddista Theravada

Nel Maha Samaya Sutta, un antagonista sconfitto di Buddha, il demone Mara conosciuto anche come Namuci o l'Oscuro è descritto come un Asura, il cui esercito era composto di "passioni sensuali, malcontento, fame, sete, brama, pigrizia, sonnolenza, terrore, incertezza, ipocrisia, caparbietà, guadagno, sacrificio, fama e status sociali indebitamente acquisiti, e da coloro che vogliono lodare se stessi e denigrare gli altri". Gli Asura cercavano di catturare i Deva per legarli.
Il Sutta Alavaka del Canone Pali descrive una storia in cui Buddha viene molestato da un Rakshasa, che lo obbliga ad andarsene per ritornare più e più volte. Il Buddha si rifiutò, a quel punto il Rakshasa lo minacciò se non fosse stato in grado di rispondere alle sue domande. Il resto della sutra si dipana attraverso la domanda del Rakshasa e la risposta del Buddha: alla fine la risposta del Buddha è tale che il demone diventa un suo seguace. Uno dei dieci epiteti del Buddha è Sasta Deva Manusanam, o Maestro degli Dei e degli Uomini.

I Rakshasa nella letteratura buddhista Mahayana

Qui Ravana è menzionato nel famoso Sutra buddista, Sutra Lankavatara, come omaggio al Buddha. Nel capitolo 26 del Sutra del Loto, è presente un dialogo tra il Buddha e un gruppo di figlie Rakshasa, che giurano di sostenere e proteggere il Sutra del Loto. Esse insegnano anche il magico dharani per proteggere anche i seguaci che sostengono il sutra. Nel testo Il nato nel Loto: la storia della vita di Padmasambhava, scritta da Yeshe Tsogyal, Padmasambhava riceve l'epiteto di Demone Rakshasa per stigmatizzare le sue sfuriate volte a sottomettere i buddisti eretici.

Raffigurazioni artistiche e folcloristiche dei Rakshasa

Raffigurazioni dei Rakshasa di Angkor in Cambogia

  • Gli artisti di Angkor in Cambogia hanno spesso raffigurato Ravana con sculture in pietra e a bassorilievo.
    • Il "ponte Naga" si trova all'ingresso della città risalente al XII secolo di Angkor Thom ed è
    • fiancheggiata da statue in pietra di grandi dimensioni di Deva e Asura mentre partecipano alla zangolatura e al sollevamento della testa del serpente, fratello di Ravana. Le dieci teste di Ravana vengono visualizzate all'ancoraggio della linea di Asura.
    • Analoga figura si può trovare in un bassorilievo del XII secolo situato nel tempio di Angkor Wat.




mercoledì 10 agosto 2022

Gerarchia dei demoni

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Per gerarchia dei demoni s'intende l'ordine secondo cui sono classificati i demoni della mitologia esoterica.
Esistono varie tipi di classificazione poiché i demoni sono presenti nella mitologia cristiana, ebraica, pagana, musulmana, indiana, turca, cinese e giapponese.

Classificazione occidentale

Spesso le classificazioni si sono fondate a contraltare delle gerarchie degli angeli, soprattutto ad opera di teologi e scrittori cristiani. Basandosi sugli scritti di San Paolo si pensò che la corte angelica, divisa per la prima volta nel IV secolo, fosse costituita da tre gerarchie, ognuna delle quali a sua volta comprendeva un certo numero di categorie; così fu fatto anche per i demoni. Nel V secolo i demoni furono divisi in cinque categorie, quattro aggregate agli altrettanti elementi fondamentali (acqua fuoco aria terra), la quinta residente nell'aldilà. Nell'XI secolo secondo Michele Psello i demoni si dividono in cinque classi alle quali se ne aggiunge una sesta riferita ai demoni ombra, dall'aspetto di fantasmi. Sant'Agostino riuniva tutti i demoni nella sesta categoria dello Psello. Durante il Medioevo e il primo rinascimento, per il rinnovato interesse verso le arti magiche e lo sviluppo di una stregoneria tutta europea, fu necessario tracciare dei sistemi di gerarchie più organizzate, che delineassero l'esatta posizione e caratteristica di ogni immaginabile demone. La lista più famosa è quella fornita dal medico e mago inglese Johann Weyer nel suo "Pseudomonarchia daemonum" (1563), secondo cui i demoni erano 7.409.127, comandati da settantanove principi e specificando l'aspetto e il carattere di ciascun demone. Molte furono le enumerazioni dei demoni in quel periodo ed ogni demonologo forniva la propria basata su sistemi numerologici differenti. Di grande interesse è anche l'elenco contenuto nel grimorio anonimo Lemegeton (o Clavicula Salomonis). Trattandosi di un manuale operativo, il grimorio specifica le attitudini di ogni demone e il modo per evocarlo.
All'inizio del XIX secolo l'inglese Francis Barrett pubblicò un libro intitolato il mago, nel quale propose la seguente classificazione ottenuta dividendo tutti gli spiriti maligni in nove gradi:
  • falsi dei o demoni che vogliono essere adorati
  • spiriti mendaci che ingannano gli uomini con divinazioni e predizioni
  • vasi di scelleratezza o vasi di collera, inventori di cose malvagie
  • vendicatori del male
  • ingannatori
  • potenti dell'aria
  • furie
  • accusatori o inquisitori
  • templari o seduttori
Nella schiera di demoni la distinzione fondamentale è quella tra "incubi" (dal latino "incumbere" = giacere sopra) e "succubi" (dal latino succumbere= giacere sotto).
I primi erano considerati di genere maschile e si pensava che visitassero le donne durante il sonno e si posizionassero sopra esse inducendole al peccato di lussuria; esisteva però un altro genere di demoni incubi (identificati in forma di folletti o piccoli mostri) che si pensava si sedesse sul petto degli uomini impedendo loro la respirazione (spiegazione delle apnee notturne). Per quanto riguarda i demoni succubi, questi avevano aspetto femminile e visitavano il sonno degli uomini anche qui per indurli al peccato di lussuria con essi. In qualche caso si riteneva che questi amplessi tra uomini, donne e demoni fossero fertili, quindi che esistessero dei figli dei demoni; il più celebre tra essi è, nel libro "An admirable story". Esistono raffigurazioni di questi demoni, la più celebre è probabilmente quella del pittore tedesco John Henry Fuseli L'incubo'. Secondo diverse tradizioni e leggende, la morte di un demone può avvenire in diversi modi: 1) Trapassandolo con una spada con l'elsa a forma di croce e bagnata con acqua santa. 2) Attirandolo su terra consacrata (verrebbe incenerito all'istante). 3) Espondendolo alla luce proveniente da una croce. 4) I proiettili benedetti da un santo riuscirebbero a ucciderlo (se colpito da proiettili "normali" ritornerebbe in vita). 5) Durante lo scontro con un demone di più alto grado nella gerarchia infernale, o, ancora, durante il combattimento con un demone appartenente ad un elemento contrario (esempio: "demone di fuoco" vs. "demone d'acqua"). 6) Colpendolo con oggetti provenienti da una chiesa.

Classificazione della cabala

  1. Secondo la cabala esistono sette categorie di demoni:
  • Demoni del fuoco: abitano le regioni più lontane degli Inferi.
  • Demoni dell'aria: dimorano e volano intorno agli uomini
  • Demoni della terra: essi si mescolano agli uomini con il compito di tentarli e ammaliarli.
  • Demoni dell'acqua: vivono negli oceani, nei mari e nei fiumi provocando burrasche e naufragi.
  • Demoni sotterranei: si celano nei pozzi e sono la causa di terremoti e delle eruzioni vulcaniche.
  • Demoni delle tenebre: devono il loro nome al fatto che vivono lontani dal sole.
  • Demoni del ghiaccio: devono il loro nome al fatto che abitano i ghiacciai.
La cabala divide queste categorie di demoni in 10 gruppi, ciascuno guidato da un demonio particolare:
  1. Thamiel: i bicefali. Spiriti in rivolta dominati da Moloch.
  2. Chaigidel: Spiriti di menzogna guidati da Belzebù.
  3. Satariel: i velatori. Spiriti della falsità, retti da Lucifero.
  4. Gamchicolh: i perturbatori di anime. Spiriti impuri governati da Astaroth.
  5. Galb: gli incendiari. Spiriti della collera dominati da Asmodeo.
  6. Tagaririm: i litigiosi. Sono gli spiriti della discordia guidati da Belphegor.
  7. Harab: i corvi della morte. Spiriti ribelli governati da Baal.
  8. Samael: i battaglieri. Spiriti della ferocia guidati da Adramelech.
  9. Iamaliel: gli osceni. Spiriti capeggiati da Lilith.
  10. Reshaim: i malvagi. Spiriti crudeli governati da Nahenia. In quest'ultima sono presenti 3 sottocategorie:
    1. Gheburim - i violenti.
    2. Raphaim - i vili.
    3. Anacim - gli anarchici.


martedì 9 agosto 2022

Excalibur

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Excalibur è la più nota delle mitologiche spade di re Artù.
La storia e la leggenda di re Artù sono intimamente legate alla magica e misteriosa spada Excalibur. Come il mago Merlino aveva annunciato, solamente l'uomo in grado di estrarre la spada nella roccia sarebbe diventato re. Artù, inginocchiato di fronte alla roccia, fece proprio questo: prese la spada, la portò con sé fino alla Cattedrale e la depose sull'altare. Artù fu unto con l'olio santo e, alla presenza di tutti i baroni e della gente comune, giurò solennemente di essere un sovrano leale e di difendere la verità e la giustizia per tutti i giorni della sua vita. Sebbene Excalibur sia identificata con la spada nella roccia, specie nelle versioni recenti del mito arturiano, in numerose opere sono due spade distinte. La leggenda e la storia si sono mischiate tra loro nel tempo e per questo re Artù, i Cavalieri della Tavola Rotonda e la magica spada Excalibur, sono giunte intimamente unite fino ai nostri giorni.
Il nome Excalibur significa in grado di tagliare l'acciaio. La prima traduzione, chiamava la spada Caliburn; una spada magica venuta da Avalon. Nella tradizione celtica il nome originale era Caledfwlch. La versione in cui Artù estraeva la spada dalla roccia apparve per la prima volta nel racconto in versi francese Merlino, di Robert de Boron. Ma l'autore inglese sir Thomas Malory, ne La morte di Artù, scrisse che la spada che Artù aveva estratto dalla roccia non era Excalibur, poiché Artù aveva rotto la sua prima spada in uno scontro con re Pellinor; lo stesso viene affermato nella francese Suite du Merlin (Prosa di Merlino) nel 1240 circa . Poco dopo, Artù ricevette una nuova spada dalla Dama del Lago, e questa era chiamata esplicitamente Excalibur: una spada diversa, secondo Malory, dalla prima.
La spada viene citata anche da Chrétien de Troyes nella seconda parte del Perceval: Galvano, partito dalla corte di Artù per rispondere alle accuse che gli sono state mosse da Guingabresil, usa Excalibur per difendersi dall'attacco dei borghigiani che intendono vendicare la morte del loro signore (v. 5828 nell'edizione del ms. 354 di Berna a cura di Méla).
Il fodero di Excalibur aveva il potere magico di proteggere il suo proprietario dall'essere ferito; è il furto del fodero da parte di Morgana la Fata che porta, alla fine, alla morte di Artù. In Morte Arthure (circa 1400), si dice che Artù avesse due spade; la seconda era Clarent, rubata dal malvagio Mordred, che con essa diede ad Artù il colpo mortale.
La parola Excalibur ha origini molto controverse, che possono farsi risalire a due ceppi linguistici ben differenti: quello latino e quello sassone. Dal latino abbiamo diversi significati, ma quello più plausibile deriva da un'antica popolazione di fabbri chiamati "Calibi", Excalibur si può quindi scindere in due parole ex (con ablativo): dai e Calibs: Calibi, quindi tradotto letteralmente il significato diventerebbe "forgiata dai Calibi". Altre sfumature latine riportano alla capacità della spada e al suo aspetto come, per esempio, ex "calibro" che tradotto significa in perfetto equilibrio. Dal ramo celtico il nome deriverebbe da Caliburn, arcaico nome della leggendaria spada, che in antichità significava "acciaio lucente" o "acciaio indistruttibile" e potrebbe quindi così ricondursi allo stesso etimo latino.


 
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