Déjà
vu è la sensazione di aver vissuto prima la situazione presente.
Questa è una
locazione francese che si traduce letteralmente in "già visto".
Sebbene alcuni interpretino il déjà vu in un contesto paranormale,
gli approcci scientifici tradizionali rifiutano la spiegazione del
déjà vu come "precognizione" o "profezia". È
un'anomalia della memoria per cui, nonostante il forte senso di
raccoglimento, il tempo, il luogo e il contesto pratico
dell'esperienza "precedente" sono incerti o ritenuti
impossibili.
Si riconoscono due
tipi di déjà vu: il déjà vu patologico solitamente associato
all'epilessia o quello che, quando insolitamente prolungato o
frequente, o associato ad altri sintomi come le allucinazioni, può
essere un indicatore di malattia neurologica o psichiatrica, e il
tipo non patologico caratteristico delle persone sane, circa due
terzi delle quali hanno avuto esperienze di déjà vu.
Le persone che
viaggiano spesso o guardano spesso i film hanno maggiori probabilità
di sperimentare il déjà vu rispetto ad altre. Inoltre, le persone
tendono anche a sperimentare di più il déjà vu in condizioni di
fragilità o ad alta pressione, e la ricerca mostra che anche
l'esperienza di déjà vu diminuisce con l'età.
L'esperienza del
déjà vu
è
accompagnata da un forte senso di familiarità, ma di solito anche
dalla consapevolezza che non corrisponde realmente ad una esperienza
vissuta (e quindi si vive un senso di "soprannaturalità",
"stranezza" o "misteriosità"): l'esperienza
"precedente" è perlopiù attribuita ad un sogno. In alcuni
casi invece c'è una ferma sensazione che l'esperienza sia
"genuinamente accaduta" nel passato.
Per tentare di spiegare
scientificamente il fenomeno, una possibile ipotesi generale (di
basso livello interpretativo o inferenziale) sembra essere quella di
una falsa sensazione di familiarità (e quindi di "già visto"),
e cioè dovuta ad una alterazione (patologica o momentanea; selettiva
o pervasiva) delle funzioni cognitive di riconoscimento
(attenzione) e recupero (memoria). Questo senso di familiarità, ad
alto valore emotivo, si può estendere (in maniera pervasiva) a tutti
gli elementi presenti in quel momento nell'ambiente percepibile,
anche se nuovi. Altresì potrebbero rimanere normali (selettivamente)
altre funzioni cognitive: da ciò proverrebbe, ad esempio, la
consapevolezza per cui "ma no, non è vero: non l'ho già
vissuto" che in molti casi si prova, in discordanza con la
sensazione.
La difficoltà di riprodurre in
laboratorio il fenomeno del déjà vu rende molto difficili
la ricerca e gli studi empirici.
Il déjà vu sembra essere un
fenomeno molto comune. In una ricerca del 2003 Alan S. Brown,
psicologo alla Southern Methodist University, stima che il 60% della
popolazione abbia avuto almeno una volta nella vita un'esperienza
di déjà vu.
Negli ultimi anni, il déjà vu è
stato oggetto di vari studi ed
esperimenti psicologici e neuropsicologici. La
spiegazione più accreditata, secondo gli scienziati di questi campi,
è che il déjà vu non è un atto di "precognizione"
o di "profezia", ma è in realtà un'anomalia della
memoria; è l'impressione di "richiamare alla memoria"
un'esperienza che è falsa. Ciò è confermato dal fatto che nella
maggior parte dei casi il senso di "reminiscenza" nel
momento del déjà vu è forte, ma alcune circostanze
dell'esperienza "precedente" (quando, dove e come è
accaduta) restano incerte. Allo stesso modo, col passare del tempo,
dei soggetti possono mostrare un ricordo forte di aver avuto lo
"sconvolgente" déjà vu, ma uno debole o nullo dei
dettagli dell'evento/i che stavano "ricordando" quando
hanno avuto il déjà vu, e, in particolare, questo potrebbe
risultare da una sovrapposizione tra i sistemi neurologici
responsabili della memoria a breve termine (eventi che si
percepiscono come presenti) e quelli responsabili della memoria
a lungo termine (eventi che si percepiscono come passati). Con
il termine déjà vu si intende paramnesia, ovvero un ricordo
errato o inesatto ed impropriamente localizzato nella dimensione
spazio-temporale.
Alan S. Brown nel suo studio riporta
le maggiori teorie:
1. Teorie neurologiche.
Si tratterebbe di
un'epilessia breve e circoscritta che causa una disfunzione
del sistema nervoso. Il medico austriaco Josef
Spatt ha collocato la sede nella corteccia
paraippocampale (in particolare nel giro paraippocampale e
nelle sue connessioni con la neocorteccia), associata con la
capacità di giudicare la familiarità. L'ipotesi sembra supportata
da evidenze sperimentali perché, al verificarsi del fenomeno,
l'attivarsi della corteccia paraippocampale può essere
escluso selettivamente dal funzionamento normale di altre strutture
cerebrali (la corteccia prefrontale e
l'ippocampo propriamente detto), legate alle funzioni
mnemoniche e cognitive.
2. Teoria
del processamento duale. Pierre Gloor spiegherebbe il deja-vu
come una momentanea e rara (o, per i suoi studi su pazienti cronici,
patologica) disattivazione del sistema di recupero della memoria -
distinto e indipendente da un altro sistema amnestico di sensazione
di familiarità, che rimane attivo e causa il fenomeno ("sto
già vedendolo, so che l'ho già visto, ma non riesco a
recuperarlo").
3. Teoria attenzionale.
Un'interruzione (un "black
out" o un "reset") nella continuità dell'attenzione
causerebbe un riprocessamento dell'informazione. L'interruzione ne
avrebbe fatto dimenticare la presenza e non è consapevole; la
percezione - o meglio la sensazione della percezione - invece
permarrebbe attraverso un altro canale non cosciente. Da qui la
sensazione di familiarità ("l'ho già visto un attimo prima").
4. Teorie amnestiche.
All'interno del campo di
attenzione ci sarebbe un elemento appartenente a un ricordo
realmente memorizzato (e probabilmente avvenuto); questo elemento
però, a causa di un errore di memoria per cui non si riesce a
richiamare anche il contesto complessivo, sarebbe sufficiente a
richiamare la sensazione di familiarità ("c'è qualcosa in
questa situazione che mi ricorda... no, ho già vissuto questo
giorno/situazione").
Un'ultima e recente teoria che rientra
in quest'area (ma anche nelle altre teorie, non escludentisi a
vicenda) è quella proposta da Susumu Tonegawa (premio
Nobel in medicina, ricercatore del MIT) per cui la causa
del deja-vu risiederebbe in una temporanea incapacità della memoria
episodica (2006). Il riscontro oggettivo è ipotizzabile ancora nel
giro dentato ippocampale ed in particolare in un gruppo
di neuroni denominati "place cells" che si
attiverebbero per riconoscere un luogo come già noto, e per cui non
occorre ricostruire una rappresentazione (una mappa neurale). Il
ricercatore comunque ha cercato (e trovato) evidenze sperimentali in
animali (topi) e non nell'uomo.
È stata trovata una correlazione
clinica tra déjà vu e disturbi mentali come la schizofrenia e
l'ansietà (in particolare in situazioni di attacchi di
panico contraddistinte da intensità e breve durata, 2-8
minuti), la probabilità di sperimentarne cresce considerevolmente
con soggetti in queste condizioni. Tuttavia, la più forte
associazione patologica del déjà vu è con l'epilessia del
lobo temporale.
La possibilità di una correlazione ha
condotto alcuni ricercatori ad ipotizzare che il déjà vu è forse
un'anomalia legata ad una temporanea e scorretta diffusione degli
impulsi neurali nell'encefalo. Poiché la maggior parte delle persone
soffre di qualche lieve, cioè non patologico, episodio epilettico
(ad esempio l'improvvisa "scossa", tecnicamente uno spasmo
ipnico, che si prova talvolta prima di addormentarsi), si pensa che
una simile (lieve) aberrazione capiti occasionalmente durante il
fenomeno del déjà vu, con il risultato di un "ricordo"
erroneo.
In questo contesto, sono state
sollevate alcune ipotesi pseudoscientifiche. Il déjà vu sarebbe
associato a presunti fenomeni
di precognizione, chiaroveggenza o percezioni
extrasensoriali, ed è stato frequentemente citato in tale ambito
come una presunta "evidenza" delle abilità "psichiche"
della popolazione generale. Altre spiegazioni non-scientifiche
attribuiscono questa esperienza a profezie, visioni (ad esempio
ricevute in sogni) o memorie di vite passate.
Alcuni ritengono che il déjà vu sia
il ricordo di sogni. L'ipotesi è che, se non si ricordano prima del
risveglio, i sogni possano lasciare qualche traccia non comune
all'esperienza presente nella memoria a lungo termine. In questo
caso, il déjà vu potrebbe essere il ricordo di un sogno dimenticato
con elementi in comune all'esperienza presente.
Déjà rêvé:
la sensazione di aver gia
visto in sogno un fatto che si sta svolgendo.
Déjà véçu:
la sensazione di aver già
vissuto un fatto che si sta svolgendo.
Jamais vu:
esplicitamente il non ricordare
di aver visto qualcosa prima. La persona sa che è successo prima,
ma l'esperienza non le è familiare.
Presque vu: il ricordare
quasi, ma non del tutto, qualcosa. È la sensazione del "ce
l'ho sulla punta della lingua".
Déjà visité: la strana
conoscenza di un posto nuovo. Qualcuno potrebbe avere l'impressione
di conoscere la strada da percorrere in una nuova città o in un
nuovo ambiente, sapendo contemporaneamente che questo non dovrebbe
essere possibile. Oltre ai sogni, per spiegare questo fenomeno si
sono evocate ipotesi pseudoscientifiche, quali la reincarnazione ed
anche il viaggio fuori dal corpo.
Déjà senti: il sentire
qualcosa come se lo si avesse già sentito. Al contrario del déjà
vu e del déjà vécu, che implicano la precognizione, questo si
riferisce in modo specifico ad una sensazione mentale.
Alcune persone sofferenti di epilessia del lobo temporale potrebbero
fare un'esperienza del genere.
Déjà éprouvé: "già
provato a fare".
L'esprit de l'escalier: il
ricordare qualcosa quando è troppo tardi, ad esempio una risposta
intelligente ad un commento critico.