giovedì 21 luglio 2022

Fantasmi – la vera storia di Jackie Hernandez.


Quello di Jackie Hernandez è uno dei casi di poltergeist più documentati e famosi. Fantasmi senza testa, attacchi a persone e sangue dai muri: questo è il caso di Jackie Hernandez.

Tutto comincia nel novembre 1988, quando Jackie Hernandez lascia il marito dopo una vita di abusi e si trasferisce, incinta e insieme a suo figlio di due anni, a San Pedro, California.

Non appena si trasferisce nella sua nuova casa comincia a notare strani fenomeni. All’inizio sono solo strani rumori che provengono dalla soffitta e Jackie pensa che siano topi.

Poi però cominciano ad accadere cose sempre più strane e spaventose. Un giorno, mentre sta lavando i piatti insieme a un’amica, vede una strana sostanza rossastra colare da un muro.

I rumori in soffitta si trasformano piano piano in voci e tutto peggiora nel 1989, quando nasce sua figlia Samantha. Alcuni oggetti cominciano a volare per casa e Jackie comincia a vedere la figura di un uomo, vestito come si usava negli anni ’30, che spariva dopo qualche secondo.

In soffitta, Jackie vede anche una testa mozzata che sparisce poco dopo. La donna non è l’unica a vedere le apparizioni, anche i suoi vicini le vedono.

In effetti sono proprio loro che decidono di chiamare un investigatore del paranormale, dato che Jackie non vuole farlo per paura di essere presa per pazza.


Le indagini


Ad investigare è il famoso parapsicologo Dr. Barry Taff, che aveva investigato anche il caso di Doris Bither.

Appena giunto a casa di Jackie inseme ai suoi collaboratori, sente subito degli strani rumori in soffitta. La padrona di casa sostiene che si tratti del corpo a cui appartiene la testa che aveva visto nei giorni precedenti.

La squadra di Taff sente tutti i rumori descritti da Jackie e vede anche la strana sostanza che esce dai muri. Dopo averla fotografata la portano in un laboratorio e scoprono che si tratta di plasma umano, un componente del sangue.

Taff visita la casa più di una volta, e ogni volta succedono fenomeni molto strani. Ad esempio, le videocamere smettono di funzionare non appena vengono portate in soffitta. Non importa quante volte provino, le videocamere in soffitta danno problemi, per poi tornare a funzionare solo una volta tornati in casa.


Gli attacchi a uno dei fotografi

Il primo attacco

Uno dei fenomeni più eclatanti è stato l’attacco che il fantasma ha lanciato contro il fotografo Jeff Wheatcraft.

Jeff e un collega si trovano in soffitta cercando di fare qualche foto. Dopo averne scattate tre, Jeff sente un rumore provenire da dietro di sé. Si gira di scatto e scatta una foto, ma non appena preme il pulsante una forza gli strappa la macchina fotografica di mano, gettandola lontano.

I due scendono in casa, ma poi decidono di tornare a prendere la macchina fotografica. La trovano nascosta in un angolo della soffitta, senza lenti, che verranno ritrovate poco distante.

Di nuovo tornano in casa e a quel punto cominciano a sentire un odore nauseabondo provenire dalla soffitta. Jeff decide di andare a vedere.

Il fotografo sente una mano ossuta poggiarsi sulla sua schiena e decide di tornare in casa, ma proprio in quel momento vede apparire tre luci e poi una sagoma scura. Purtroppo le videocamere erano inutilizzabili e non esiste un filmato del fenomeno.

Qualche giorno dopo, Jeff sente un forte dolore alla schiena e decide di rivolgersi al suo medico, il quale gli dice che sono presenti delle contusioni. Il pensiero di Jeff va subito alla mano ossuta da cui si era sentito toccare.


Il secondo attacco



Circa un mese dopo, Jackie chiama di nuovo il Dr. Taff, impaurita. Gli strani fenomeni sono tornati più forti di prima.

Il parapsicologo torna a casa di Jackie con la sua squadra. Non appena entrano sentono un rumore simile a qualcuno che schiocca le dita.

Vanno di nuovo in soffitta ed è qui che si verifica l’attacco più eclatante. Da una delle travi del soffitto sporge un chiodo da cui pende una cordicella per stendere il bucato.

Jeff non ricorda esattamente cosa sia successo, ma i suoi colleghi ricordano di averlo sentito emettere degli strani suoni, di essere andati verso di lui e di averlo trovato impiccato alla cordicella per il bucato.

Subito un collega riesce a liberarlo, mentre un altro riesce a scattare alcune foto. Esiste un filmato in cui si vede Jeff scendere dalla soffitta con la cordicella al collo e un segno rosso sulla pelle.


Jackie Hernandez oggi

Dopo questo episodio, Jackie si è trasferita, ma vive sempre a San Pedro. La casa in cui viveva invece è continuamente oggetto di indagini paranormali e chi vi si trasferisce non dura più di sei mesi. Tutti coloro che la visitano riportano di vedere e sentire gli stessi fenomeni che vi avvenivano nel 1989.


mercoledì 20 luglio 2022

Il Mistero di Atlantide e dell’Antica Città Perduta.

Mille ipotesi, nessuna certezza.

In un tempo lontano, fatto di miti e leggende, di eroi mortali e dèi capricciosi, al di là delle Colonne d’Ercole “avvennero terribili terremoti e diluvi” e, in un solo giorno e una sola notte, l’isola-continente di Atlantide sprofondò negli abissi dell’oceano. Secondo Platone, tutto ciò ebbe luogo 9.000 anni prima della nascita di Solone, colui che il filosofo ateniese indicò come sua fonte principale e iniziatore del mito di Atlantide.


Mappa immaginaria di Atlantide


Il mito di Atlantide secondo Platone

La storia di Atlantide ebbe inizio con il Timeo e il Crizia, due dialoghi scritti da Platone intorno al 360 a.C. Attraverso i personaggi di Socrate, Ermocrate, Timeo di Locri e Crizia, suo antenato e capo dei Trenta Tiranni di Atene, il filosofo raccontò di Atlantide, un’isola-continente “più grande della Libia e dell’Asia”, all’epoca il Nord Africa e l’Anatolia, che si trovava nell’Oceano Atlantico e al di là delle Colonne d’Ercole.

Busto di Solone


La fonte di Platone era il politico Solone, che ne aveva scoperto l’esistenza durante un viaggio in Egitto: il sacerdote Sonchis gli parlò di un’antica battaglia fra Atene e Atlantide.


Statua di Poseidone


In origine, gli dèi si divisero le terre. A Poseidone toccò Atlantide e nella parte centrale dell’isola c’era una pianura, dove abitava una fanciulla di nome Clito. Il dio del mare se ne innamorò e con lei generò cinque coppie di gemelli; poi fortificò la pianura con cinque cerchi concentrici, due di terra e tre di mare, e rese Atlantide un regno fertile e prosperoso, che divise in dieci regioni, ognuna con a capo uno dei suoi figli con Clito.


Schema della regione centrale di Atlantide. La capitale aveva attorno cinque cerchi concentrici, due di terra (in bianco) e tre di acqua (in azzurro)

Come i contemporanei di Platone vedevano il mondo e le terre conosciute


Ma col passare dei secoli i re persero di vista i principi di giustizia ed equità e si macchiarono di egoismo.

L’opulenza e la distruzione di un impero. Dipinto di Thomas Cole


Quando però la parte di divino venne estinguendosi in loro, mescolata più volte con un forte elemento di mortalità e il carattere umano ebbe il sopravvento, allora, ormai incapaci di sostenere adeguatamente il carico del benessere di cui disponevano, si diedero a comportamenti sconvenienti”.


L’opulenza e la distruzione di un impero. Dipinto di Thomas Cole


Il pomo della discordia fu la guerra con Atene. Atlantide cercò senza successo di invaderla e si procurò l’ira di Zeus, che ne ordinò la distruzione. In un solo giorno e una sola notte, terremoti e tsunami si abbatterono sull’isola-continente, i suoi territori sprofondarono e restò solo un ammasso di fango che rese le acque impraticabili.


Illustrazione delle Colonne d’Ercole


L’America e la Svezia.

In età antica, e durante il Medioevo, Atlantide non suscitò grande interesse, ma, quando Colombo scoprì l’America qualcuno ipotizzò che l’esploratore fosse partito per provarne l’esistenza. In quest’ottica la leggendaria isola-continente, o, almeno, ciò che ne restava, era proprio l’America, e i nativi americani rappresentavano i superstiti del disastro naturale.


Mappa delle ipotetiche posizioni di Atlantide nel mondo


Anche se il filosofo ateniese aveva indicato la posizione di Atlantide vicino alle Colonne d’Ercole, ovvero l’odierna Gibilterra, la fantasia degli studiosi si scatenò.

Olaus Rudbeck


A fine XVII secolo, lo scienziato svedese Olaus Rudbeck spostò Atlantide nelle regioni scandinave e, per giustificare il passaggio della Svezia a grande potenza europea, la identificò con la sua madre patria.

La Svezia al massimo dell’espansione territoriale, a seguito del Trattato di Roskilde nel 1658 – Immagine di MPorciusCato


Rudbeck scrisse che l’Atlantide nordica era stata la culla della civiltà, il luogo dove erano vissuti Adamo ed Eva e dove si parlava lo svedese, dal quale erano derivati l’ebraico e il latino.

Olaus Rudbeck svela ai suoi “predecessori” Esiodo, Platone, Aristotele, Apollodoro, Tacito, Odisseo, Tolomeo, Plutarco e Orfeo la “verità” su Atlantide.


L’Atlantide iperborea di Bailly.

Nel Settecento il francese Jean Sylvain Bailly unì il mito di Atlantide a un altro mito greco, quello della leggendaria Iperborea, e alle ipotesi paleoclimatiche di Jean Jacques Dortous de Mairan e Georges-Louis Leclerc de Buffon.

Jean Jacques Dortous de Mairan


Per Mairan e Buffon in origine la terra era incandescente e inabitabile, e solo col passare dei secoli si era raffreddata fino a raggiungere le temperature a noi conosciute.

Georges-Louis Leclerc de Buffon


L’unica zona mite era l’estremo nord dell’Eurasia, la Siberia, dove, secondo Bailly, sorse la società atlantidea-iperborea, che creò le arti e la scienza e, quando il pianeta cominciò a raffreddarsi, si spostò verso sud per civilizzare i cinesi e gli egizi.


Jean Sylvain Bailly


L’Atlantide antidiluviana di Donnelly.

Nel 1882, lo statunitense Ignatius Donnelly pubblicò Atlantis: The Antidiluvian World, un trattato pseudo-archeologico in cui riportò Atlantide nell’Oceano Atlantico, dove era stata una prosperosa culla della civiltà, poi distrutta da una catastrofe naturale.

La caduta di Atlantide in un dipinto di Monsù Desiderio.


L’esodo dei sopravvissuti aveva dato vita al mito del diluvio universale e gli stessi dèi greci, indù, fenici e scandinavi erano i re, le regine e gli eroi dell’isola, la cui memoria aveva subito delle storpiature attraverso la tradizione orale.

Testa ritraente Platone, rinvenuta nel 1925 nell’area sacra del Largo Argentina a Roma e conservata ai Musei Capitolini.


Donnelly rielaborò anche diversi capitoli di storia. Gli atlantidei erano stati i primi a lavorare il bronzo e il ferro, avevano creato un alfabeto da cui era derivato quello fenicio, capostipite di tutti gli alfabeti europei, e avevano trasmesso parte della loro cultura ai Maya.


Ignatius Donnelly.


La teoria teosofica delle razze-radice

Sempre in quegli anni, il mito di Atlantide divenne oggetto di studio della teosofia e, grazie ad alcuni suoi esponenti, come Helena Blavatsky, Annie Besant e Rudolf Steiner, si giunse alla cosiddetta tesi delle razze-radici.

Sempre in quegli anni, il mito di Atlantide divenne oggetto di studio della teosofia e, grazie ad alcuni suoi esponenti, come Helena Blavatsky, Annie Besant e Rudolf Steiner, si giunse alla cosiddetta tesi delle razze-radici.

La teosofa Helena Blavatsky.


I teosofi, la cui dottrina filosofico-religiosa mischiava misticismo e indagine scientifica, pensavano che l’umanità fosse divisa in sette razze-radice e a ciascuna di esse corrispondesse sia un’epoca storica sia un tipo di sviluppo delle capacità umane. Le prime cinque razze di questa teoria sono la Polare, l’Iperborea, la Lemuriana, l’Atlantidea e l’Ariana.


Ipotetica mappa di Atlantide realizzata nel Seicento.


Quest’ultima è la nostra razza attuale e le ultime due ancora non sono comparse, ma porteranno le persone a trascendere la loro natura umana per trasformarsi in esseri divini. Ogni razza-radice, a sua volta, ha sette sotto-razze e noi della razza Ariana deriviamo dalla quinta sotto-razza degli Atlantidei, i Protosemiti. La prima sotto-razza atlantidea erano i Rmoahals, che svilupparono il linguaggio; seguirono i Tlavatli, gli artefici della nascita della memoria, e i Tolteki, la cui civiltà corrispondeva al periodo di massimo splendore di Atlantide.


Illustrazione ipotetica della città principale di Atlantide.

La decadenza ebbe inizio con i Turanici, puniti con terremoti e tsunami per il loro egoismo. Le ultime tre sotto-razze erano i Protosemiti, gli Accardi e i Mongoli, che cercarono di porre rimedio agli errori dei predecessori.


Mappa della presunta estensione dell’Impero Atlantideo.


Il punto in comune di queste sotto-razze è che tutti gli Atlantidei possedevano poteri sovrannaturali e la distruzione dell’isola fu colpa dei Turanici, che iniziarono ad abusare della magia per scopi personali e a mettersi gli uni contro gli altri.

Il teosofo Rudolf Steiner.


La teoria delle razze-radice ebbe un seguito con il Terzo Reich,il cui interesse per l'esoterismo e ben noto. Alcuni gerarchi nazisti, fra cui Alfred Rosenberg ed Heinrich Himmler, diedero adito alla leggenda della discendenza atlantidea degli ariani e, per cercare i resti dei loro mitologici antenati, promossero una serie di spedizioni, ovviamente infruttuose.

Alfred Rosenberg.


L’eruzione del Thera e la distruzione di Santorini.

Misticismo e razze a parte, qualcuno ipotizzò che l’impossibilità di giungere a una localizzazione certa fosse imputabile a Solone, ovvero alla fonte storica di Platone, e che i sacerdoti egizi che gliene avevano parlato fra il VII e VI secolo a.C. avevano sbagliato a tradurre le date: anziché esser stata distrutta 9.000 anni prima, Atlantide era affondata 900 anni prima.

Le rovine di Atlantide in un’illustrazione di Alphonse de Neuville ed Edouard Riou.


Questo dubbio sulla datazione ci porta intorno al 1628 a.C., quando, nel mar Egeo, Santorini fu vittima di una violentissima eruzione del vilcano Thera, a cui seguì un terribile maremoto, che fece collassare la parte centrale dell’isola, lasciò intatte le zone esterne e le diede l’attuale conformazione.

L’isola di Santorini.


Si presume che l’eruzione del Thera abbia contribuito alla fine della civiltà minoica, e alcuni superstiti sarebbero fuggiti in Egitto, dove i sacerdoti ne tramandarono i racconti attraverso una veste mitologica.

Il cratere centrale a Nea Kameni, nella caldera di Santorini.


La Sardegna.

Un’altra teoria identifica Atlantide con la Sardegna e si basa su una serie di analogie con i dialoghi di Platone. Il filosofo parla delle Colonne d’Ercole, ma anziché dello stretto di Gibilterra potrebbe trattarsi del canale di Sicilia.


Vista della Rocca di Gibilterra


Le fonti egizie del II millennio a.C., infatti, citano gli Shardana, presunti antenati dei sardi, come uno dei Popoli del Mare che, sul finire dell’età del Bronzo, invasero l’Anatolia, la Siria, la Palestina, Cipro e l’Egitto.


Mappa delle ipotetiche posizioni di Atlantide nel Mediterraneo.


La stessa Sardegna ha una conformazione del territorio che ben si sposa con la descrizione di Atlantide, e la grande pianura centrale dove Poseidone incontrò Clito corrisponderebbe alla pianura del Campidano. La capitale protetta da cinque cerchi concentrici di acqua e di terra coinciderebbe con la città di Santadi, che a livello urbanistico si sviluppa in cerchi concentrici con porzioni montuose. Ma anche l’intera zona ha continui rimandi toponomastici al testo di Platone e agli interventi del dio del mare.


La pianura del Campidano.


Il filosofo scrisse: “Egli stesso poi abbellì facilmente, come può un dio, l’isola nella sua parte centrale, facendo scaturire dalla terra due sorgenti di acqua, una che sgorgava calda dalla fonte, l’altra fredda”.


Veduta di Santadi.


Nei pressi di Santadi, il comune di Nuxis ha tre frazioni che si chiamano Acquacadda, S'acqua callenti de basciu, e S'acqua callenti de susu, , rispettivamente acqua calda, l’acqua calda di sotto e l’acqua calda di sopra. Spostandoci più a nord, dalle parti di Siliqua, troviamo le sorgenti d’acqua di Zinnigas e il Castello di Acquafredda.


Le rovine del castello di Acquafredda.


L’utopia del governo ideale e la Sicilia.

In questo mare di ipotesi, però, tutti gli studi relativi alla teoria della deriva dei continenti hanno escluso che possa essere esistita una terra emersa e affondata come quella di Atlantide, e gli unici ragionamenti sensati appartengono alla vera natura dei dialoghi platonici.

Manoscritto medievale con la traduzione del Timeo in latino.


Nel 404 a.C., Atene perse la guerra del Peloponneso contro Sparta e nella polis si insediò un governo di oligarchi, i famosi Trenta Tiranni, poi rovesciati da una rivolta civile che ristabilì la repubblica. Tutti questi sconvolgimenti spinsero Platone a elaborare una sua teoria politica, con i filosofi al vertice della piramide sociale perché garanti della giustizia e dell’armonia fra le classi, ma quel governo ideale non era attuabile ad Atene.

Particolare della Scuola di Atene di Raffaello. A sinistra c’è Platone, ritratto con il volto di Leonardo da Vinci, e a destra c’è Aristotele.


Dal 390 al 360 a.C., compì tre viaggi a Siracusa e tentò, senza successo, di influenzare i due tiranni della città, Dionisio I e Dionisio II. Nemmeno in Sicilia la sua utopia trovò spazio e, quando tornò ad Atene, scrisse i dialoghi di Timeo e Crizia per mostrare, attraverso il mito di Atlantide, cosa succede a una società altamente civilizzata se si ha la decadenza dei costumi.

Un dipinto con Dionisio II (in piedi).


L’intento allegorico dei dialoghi è quasi universalmente condiviso, ma ciò non esclude che, per creare Atlantide, Platone abbia comunque preso spunto dalla realtà. Se il mito del cataclisma assomiglia agli eventi che portarono alla distruzione di Santorini, sul fronte geografico, il filosofo mise insieme diversi elementi della Sicilia, che ebbe modo di visitare in lungo e largo durante i tre soggiorni siracusani.

La Piana di Catania.


Atlantide aveva una grande pianura, proprio come la Sicilia ha la piana di Catania, che si estende per 430 km².


L’isola di Ortigia.


Il palazzo reale atlantideo si trovava in una zona decentrata, con attorno cinque cerchi concentrici; una posizione che sembra richiamare l’isola di Ortigia, dove vi era il palazzo dei tiranni di Siracusa, e, per come è collocata all’interno della laguna dello Stagnone di Marsala, l’antica isola di Mozia, oggi San Pantaleo.


L’isola di San Pantaleo (in giallo) e le altre isole dello Stagnone di Marsala.


Ma giunti a questo punto, l’unico pensiero che ben si sposa con la storia di Atlantide e la sua affascinante civiltà, è di un allievo di Platone.

Busto di Aristotele.


È inutile arrovellarsi su dove si trovasse e su cosa le sia successo. Come disse Aristotele:

Atlantide, chi l’ha inventata, l’ha fatta anche scomparire.


martedì 19 luglio 2022

Le straordinarie avventure di tre esploratori verso la leggendaria Timboctù.

La ricerca delle sorgenti del fiume Niger

Londra, 1788 – Non era passato molto tempo dalla fondazione dell’African Association quando, a pochi giorni dalla prima riunione, era già stato trovato un volontario pronto a partire per un viaggio di esplorazione: si trattava di Simon Lucas, ex commerciante di vino che, dopo essere stato catturato dai pirati e da questi venduto come schiavo, era diventato un diplomatico presso la corte imperiale del Marocco. Lucas tuttavia si ammalò prima della partenza, per cui la scelta ricadde su un secondo candidato, l’americano John Ledyard. Visto il curriculum di quest’ultimo, difficilmente si sarebbe potuto considerare un ripiego: giunto in Europa su un mercantile, si era prima arruolato nella Royal Navy e in seguito aveva fatto parte dell’equipaggio del capitano Cook.


John Ledyard


Ledyard quindi, appena tornato da un viaggio di esplorazione in Siberia, fu ingaggiato per intraprendere “un’avventura quasi altrettanto pericolosa di quella da cui era appena tornato”.

L’esploratore si sarebbe dovuto imbarcare a Marsiglia alla volta dell’Egitto, viaggiare verso La Mecca, da dove avrebbe dovuto raggiungere la Nubia, attraversare il deserto e arrivare fino al fiume Niger: più di 20 mila chilometri da percorrere dopo essere tornato da un viaggio di 11 mila durato due anni. Sfortunatamente quell’uomo che sembrava essere stato “creato per trionfare su privazioni e pericoli” trovò la morte a seguito delle infauste cure a cui si sottopose per guarire dei crampi allo stomaco dovuti forse a un’intossicazione alimentare. Il nostro eroe non era riuscito a spingersi oltre a Il Cairo.


Mappa del fiume Niger.



Nemmeno il terzo volontario ebbe maggiore fortuna: di Daniel Houghton, ex soldato irlandese, si perse ogni traccia nel 1791, ad un anno dalla sua partenza.


Mungo Park.

Tuttavia per il successo non si sarebbe dovuto attendere ancora molto: il quarto candidato si sarebbe presto messo in viaggio. Nonostante gli incredibili pericoli corsi, Mungo Park riuscì infatti a raggiungere il Niger e a fare ritorno in patria sano e salvo.


Mungo Park


Durante il suo viaggio Park si ammalò di malaria e fu fatto prigioniero dal crudele sovrano del Ludamar (luogo dove scoprì essere morto Houghton).

Dopo aver subito numerose minacce di morte, nonché umiliazioni, l’esploratore riuscì a fuggire e ad arrivare alla sua prima meta: la sorgente del grande fiume Niger. Da qui proseguì per Ségou, capitale della Nazione Bambara e città di grande “civiltà e magnificenza”, senza tuttavia riuscire ad ottenere dal sovrano Masong l’autorizzazione ad entrare. Park cercò quindi ospitalità in un villaggio vicino, ospitalità che i diffidenti abitanti si rifiutarono tuttavia di fornire. Solo la pietà di una donna di ritorno dai campi lo salvò da una notte all’addiaccio, alla mercé delle bestie feroci.

Le figlie della padrona di casa intonarono anche una canzone in onore dell’ospite, il quale, comprensibilmente si commosse:

Il vento urlava e cadeva la pioggia; debole e stanco, il povero uomo bianco è venuto a sedersi sotto il nostro albero; non ha una mamma che gli porti il latte né una moglie che gli macini il grano. Ritornello: Compatiamo l’uomo bianco una mamma lui non ha”.


Tracciato delle due spedizioni di Mungo Park sul Niger.


A seguito di questi eventi Park proseguì fino a raggiungere Silla dove ottenne preziose informazioni su quella che sarebbe dovuta essere la sua meta finale: la leggendaria Timbuctù. La pericolosità del viaggio e la prospettiva di portarsi nella tomba tutte le scoperte faticosamente conquistate indussero tuttavia l’esploratore a iniziare il viaggio di ritorno. Park nel 1797, a due anni e sette mesi dalla sua partenza, sbarcò a Falmouth facendo ritorno nel Regno Unito.


René Caillié

2 Luglio 1816 – La fregata Méduse naufraga al largo del Senegal; alle scialuppe di salvataggio l’arduo compito di portare al sicuro i membri dell’equipaggio. Ma non tutti sono così fortunati da riuscire a trovare posto, anzi. Ben 147 persone saranno relegate su una zattera di fortuna. Soltanto 15 di loro sarebbero sopravvissute e tra queste c’è René Caillié, di appena 16 anni.


René Caillié, olio su tela – 1830 circa.


Il ragazzo, figlio di un detenuto e orfano dall’età di 11 anni, aveva preso parte a quello sfortunato viaggio dopo essere scappato di casa con l’intento di esplorare il continente africano. In seguito il giovane rischiò nuovamente la vita dopo essersi unito ad una carovana destinata a portare rifornimenti ad una spedizione inglese. La compagnia infatti non affrontò il viaggio del deserto con sufficienti scorte di acqua e molti dei suoi componenti, disperati, furono costretti a bere la propria urina. Lo stesso Caillié sopravvisse a febbre e disidratazione riuscendo miracolosamente a fare ritorno a Parigi.

Disavventure di questo genere avrebbero fatto tentennare chiunque dai propri propositi di esplorazione. Non Caillié, che evidentemente possedeva una determinazione fuori dal comune. Non soltanto sarebbe ripartito alla volta del continente nero, ma lo avrebbe fatto da solo. Convinto del fatto che nei precedenti viaggi aveva rischiato la vita per via dell’incompetenza dei propri superiori, decise di organizzare lui stesso una spedizione.

Gli Inglesi avevano tentato l’esplorazione dell’Africa contando sulla propria potenza militare ed economica, mentre Caillié, uomo di umili origini, fece invece affidamento unicamente sul proprio ingegno. Il francese programmò quindi di fingersi un egiziano povero in viaggio verso Alessandria. Allo scopo di rendere credibile la propria copertura si preparò per tre anni, imparando l’arabo e studiando i testi sacri dell’Islam.


René Caillié in abito arabo.


La copertura si sarebbe rivelata preziosa: un poveretto, specie se musulmano, non era certo una preda appetibile per i predoni. Caillié, grazie alla sua astuzia, riuscì quindi a raggiungere la propria destinazione arrivando nella leggendaria Timbuctù.


La casa in cui René Caillié visse a Timbuctù, come era visibile nel 1905.


Le recenti spedizioni britanniche, costate l’astronomica cifra di 750.000 sterline, erano fallite miseramente. Caillié invece aveva raggiunto la meta contando unicamente sulle proprie forze, e aveva destinato poi la ricompensa ottenuta (10.000 franchi) dalla Société de Géographie alla sorella, che viveva in povertà. René Caillié fu quindi il primo europeo dai tempi di Leone l’africano (XVI sec.) a raggiungere Timbuctù e fare ritorno a casa sano e salvo.


Vista panoramica di Timboctù – 1860 circa.


Alexander Gordon Laing

Un paio d’anni prima un altro esploratore era riuscito a raggiungere la città, venendo tuttavia assassinato durante il viaggio di ritorno.

Alexander Gordon Laing aveva intrapreso la carriera militare, ottenendo la carica di maggiore nell’esercito inglese. Nonostante fosse, a detta di Sir Charler Turner, suo ufficiale in comando durante la stanza in Sierra Leone, “un individuo incauto e poco virile” Laing riuscì ad ingraziarsi Lord Bathurst, ministro della guerra e delle colonie, che lo pose a capo della missione Timbuctù. A differenza di Caillié, Laing non aveva alcuna intenzione di celare la propria identità, né tantomeno di fingersi musulmano per nascondere la sua reale fede.


Alexander Gordon Laing


Un atteggiamento tanto imprudente finì quindi per complicare un viaggio già di per sé colmo di insidie. Shaykh Babani, mercante di schiavi e guida di Laing verso Timbuctù, avrebbe reso la vita dell’esploratore molto difficile. Babani, “un tipo imbelle, tranquillo e innocuo” per Laing , “una delle persone più squisite che avessi mai visto, dal carattere estremamente mite e un volto amabilissimo”, secondo il console britannico a Tripoli Hanmer Warrington, in realtà consegnò l’esploratore inglese ad un gruppo di predoni Tuareg, i quali lo sorpresero nella notte colpendolo con 24 coltellate.

Laing, gravemente ferito ma miracolosamente vivo, riuscì comunque a percorrere i 640 chilometri che lo separavano dal territorio dello sceicco Sidi Muhammad, guadagnandosi la protezione di quest’ultimo. Sfortunatamente le sventure del povero Laing erano tutt’altro che concluse. Durante il suo periodo di permanenza nella zona, un morbo simile alla febbre gialla colpì la popolazione locale mietendo molte vittime, tra le quali appunto il generoso sceicco. Lo stesso esploratore fu colpito dalla malattia, riuscendo tuttavia a sopravvivere.


Riva del Niger vicino a Timboctù.



Le condizioni di salute di Laing erano precarie, la strada da percorrere ancora lunga e abitata da popolazioni ostili ai “visitatori” europei. Eppure, nonostante i numerosi avvertimenti ricevuti dal primogenito di Sidi Muhammad, l’esploratore fu irremovibile: bisognava arrivare a destinazione.

Laing credeva da tempo di essere un predestinato e l’esser sopravvissuto a tutte le sciagure che gli erano capitate fino a quel momento non aveva fatto altro che rafforzare la propria convinzione. Grazie a una determinazione che rasentava la follia Laing arrivò a Timbuctù, di fatto il primo europeo in grado di raggiungere la città ed inviare un resoconto in patria.


La casa di Gordon Laing a Timbuctù.


Il prezzo da pagare per un’impresa tanto coraggiosa sarebbe stato tuttavia altissimo: durante il viaggio di ritorno deviò nel deserto al fine di evitare l’ostilità degli uomini del Re musulmano Lobbo, ma qui trovò la morte, probabilmente per mano della sua nuova guida e dei suoi servi.



 
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