Un’immensa voragine, abitata da dannati, demoni e fiamme eterne, descritta nei secoli da poeti, artisti e teologi. Ma se l’Inferno non fosse soltanto una metafora o un luogo spirituale, bensì uno spazio misurabile? Se avesse dimensioni precise, coordinate astronomiche e una folla infernale da censire con metodo scientifico? È la sfida — a metà tra erudizione, immaginazione e rigore accademico — affrontata dallo studioso Matteo Al Kalak, esperto di storia religiosa, che ha provato a rispondere alla più assurda (e affascinante) delle domande: quanto è grande l’Inferno?
Il suo studio, pubblicato recentemente e accolto con curiosità nel mondo accademico e mediatico, parte da una premessa insolita ma sorprendentemente fondata: se esiste una geografia dell’aldilà, descritta da opere immortali come la Divina Commedia, la si può tentare di quantificare. Così, partendo dalle proporzioni dell’Inferno dantesco e incrociandole con fonti medievali, rappresentazioni pittoriche e teorie teologiche patristiche, Al Kalak ha tracciato una mappa immaginaria — ma coerente — dell’abisso.
Secondo i suoi calcoli, l’Inferno avrebbe una circonferenza di oltre 12.000 chilometri e un diametro che supera i 4.000. La struttura sarebbe conica, come nei modelli medievali, e profondissima: un anti-mondo scolpito sotto la crosta terrestre, con i suoi nove cerchi ben definiti, ciascuno dedicato a un tipo diverso di peccatore, in base alla gravità del reato commesso. Una forma ispirata a Dante, ma elaborata anche attraverso la simbologia numerica degli scritti agostiniani e le descrizioni visionarie della Summa Theologiae.
Il dato più vertiginoso, però, riguarda la distanza da percorrere per risalire verso la salvezza. Se un’anima, come quella del poeta fiorentino nella Commedia, riuscisse a risalire dal centro dell’Inferno fino al Paradiso, il tragitto non sarebbe una semplice camminata di redenzione, ma un pellegrinaggio cosmico: ben 1.799.953.758,25 miglia, ovvero 3.333.246.167 chilometri. Una distanza che supera l’orbita di Plutone, rendendo la via verso la beatitudine non solo simbolicamente impervia, ma anche fisicamente inimmaginabile.
Ma l’aldilà non sarebbe vuoto: a popolarlo ci sarebbe una legione immensa di ex angeli ribelli, sconfitti nella caduta primordiale e condannati a tormentare i dannati per l’eternità. Anche qui, Al Kalak azzarda un numero preciso: 47.168.616 diavoli, ciascuno incaricato di una funzione, di un cerchio o di una pena. Un apparato burocratico infernale, quasi una gerarchia spirituale alternativa, che rispecchia la perfezione celeste in forma grottesca e perversa.
Il lavoro di Al Kalak non è un gioco — o almeno, non solo. È una riflessione culturale profonda sull’immaginario religioso, sulle paure e le speranze che l’uomo ha proiettato nei millenni oltre la soglia della morte. “L’Inferno — ha dichiarato lo studioso — è stato, nei secoli, più reale del Paradiso. È il luogo delle conseguenze, della memoria dei crimini e del bisogno di giustizia. Dargli una forma e una misura è un modo per comprendere quanto ci abiti ancora, nelle nostre coscienze collettive.”
Il progetto ha suscitato reazioni contrastanti. C’è chi lo ha definito “una trovata suggestiva ma futile” e chi, al contrario, ne loda il tentativo di restituire concretezza all’immaginario religioso in un’epoca secolarizzata. Nei commenti online, c’è chi suggerisce di mappare anche il Purgatorio con dati GPS, o di calcolare il numero esatto dei beati, “giusto per par condicio”.
Ma al di là dell’ironia, resta un dato inquietante: se l’Inferno esistesse davvero con le proporzioni immaginate da Al Kalak, sarebbe immensamente più esteso, più popolato e più dettagliato del Paradiso. Un mondo ordinato dal disordine, abitato da milioni di anime e da legioni di demoni, in cui ogni pena è calcolata, ogni spazio destinato.
Forse non è un caso. Forse è proprio nel bisogno di misurare l’orrore, di organizzarne la logica, che l’uomo cerca di esorcizzarlo. Con il metro, con la matematica, con la cultura. Anche all’Inferno.
0 commenti:
Posta un commento