Perché i racconti sulle creature metà donna e metà pesce affascinano l’umanità da secoli
Da secoli, marinai di ogni parte del mondo raccontano storie di creature meravigliose: donne dai lunghi capelli e coda di pesce, avvistate mentre emergono dalle acque per incantare gli uomini del mare. Le sirene popolano da sempre l’immaginario collettivo — eppure, ancora oggi, ci si domanda: esistono davvero?
I primi resoconti scritti di simili apparizioni risalgono all’antichità. Omero, nell’Odissea, narra di esseri marini che con il canto attiravano i marinai verso la rovina. Col passare dei secoli, le sirene hanno assunto aspetti più umani e sensuali: metà donna, metà pesce, simbolo di seduzione e pericolo. Ma è con l’età delle esplorazioni che le cronache “moderne” degli avvistamenti iniziano ad arricchirsi.
Il più celebre testimone resta Cristoforo Colombo. Nel gennaio del 1493, al largo dell’attuale Repubblica Dominicana, il grande navigatore annotava nel suo diario di bordo un avvistamento straordinario: “Tre sirene — non belle nemmeno la metà di come vengono dipinte”. Quelle parole, oggi, sono spesso citate come una delle prime osservazioni documentate in epoca moderna.
Naturalmente, con il senno di poi, è assai probabile che Colombo non abbia visto esseri mitologici. Gli studiosi concordano sul fatto che gli “incontri” con sirene altro non fossero che avvistamenti errati di lamantini delle Indie Occidentali. Questi mammiferi marini, noti anche come “mucche di mare”, possono raggiungere i tre metri di lunghezza, hanno una corporatura massiccia e mammelle pettorali visibili — caratteri sufficienti, specie dopo lunghi mesi di navigazione e privazione, a suggestionare un occhio stanco.
Come osserva uno studio pubblicato su Eurekamag, “il lamantino ha delle mammelle pettorali e un corpo che si assottiglia in una coda simile a quella di un pesce; per secoli, su entrambe le sponde dell’Atlantico, è stato identificato con la figura della sirena, nonostante il muso tozzo e sgraziato agli occhi moderni”.
Colombo, naturalmente, non fu l’unico. I diari di bordo di centinaia di marinai contengono resoconti simili, in epoche diverse e in tutti gli oceani. Non sempre i protagonisti sono lamantini: in acque più fredde, beluga o narvali possono essere scambiati per forme umane, complici le onde, la foschia e la fantasia. Come recita un vecchio proverbio marinaro: “Any port in a storm” — ovvero, “qualsiasi porto in una tempesta”. In altri termini: la solitudine e i lunghi mesi in mare aperto possono far vedere ciò che si desidera.
Alcuni ricercatori suggeriscono che anche le balene beluga possano aver alimentato la leggenda. I loro comportamenti, uniti a un certo antropomorfismo percepito nelle sagome che emergono dall’acqua, avrebbero contribuito a consolidare l’immagine delle sirene. In condizioni di scarsa visibilità e con la mente già predisposta a credere ai racconti uditi in porto, ogni guizzo tra le onde poteva diventare un incontro straordinario.
Oggi, grazie a una comprensione più approfondita della biologia marina e a sofisticate tecnologie di rilevamento, gli scienziati escludono l’esistenza di sirene reali. Ma il fascino della leggenda rimane intatto. Dalle fiabe di Andersen alle produzioni hollywoodiane, la figura della sirena continua a sedurre e a evocare un senso di mistero legato agli abissi.
Forse è proprio questo il segreto della loro longevità nel mito: non servono prove scientifiche per alimentare il desiderio di meraviglia. I mari, vasti e ancora in parte sconosciuti, offrono all’immaginazione umana uno spazio senza confini. In fondo, il bisogno di credere in sirene dice più di noi che degli oceani stessi. E chissà — in qualche anfratto remoto, nascosto tra le correnti, forse il mistero attende ancora di essere svelato.
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