venerdì 30 maggio 2025

Perché gli dèi persiani si trasformavano in specifici animali

Nel cuore del pensiero religioso dell'antica Persia, alcuni dèi si distinguevano per una peculiarità sorprendente: la capacità — e la propensione — di assumere forme animali, non come travestimenti occasionali o trucchi divini per manipolare i mortali, bensì come espressione autentica e simbolica della loro natura profonda. Questa caratteristica, pur presente in molte mitologie, trova nella tradizione iranica un'applicazione particolarmente coerente e ricorrente, specialmente in due figure divine: Tishtrya e Verethraghna.

A differenza delle divinità greche, le cui metamorfosi zoomorfe erano spesso strumentali — basti pensare a Zeus che si mutava in cigno o toro per sedurre ignare fanciulle, o agli dèi dell’Olimpo che si trasformavano per sfuggire ai pericoli — gli dèi iranici sembrano assumere forme animali con una certa frequenza e senza necessariamente un fine contingente. È come se, per loro, l’identità divina si esprimesse tanto nella forma umana quanto in quella animale, senza soluzione di continuità. Le metamorfosi, insomma, non erano travestimenti, ma riflessi dell’essenza.

Tishtrya, dio avestico legato a un ventaglio ampio di domini — dalla pioggia all'agricoltura, dalla protezione contro il male alla giovinezza maschile — è emblematico di questa visione. Secondo i testi sacri, egli si manifesta in tre forme: un giovane uomo atletico, un toro dalle corna dorate e un candido stallone. La scelta non è arbitraria. Il toro e lo stallone erano, nel mondo iranico antico, simboli potenti di virilità, forza vitale e fertilità agricola: qualità che riflettono perfettamente i tratti attribuiti a Tishtrya. In particolare, questi animali incarnano al contempo l’energia sessuale e la capacità riproduttiva, ma anche la forza che dissoda e nutre la terra, suggerendo così un intreccio inscindibile tra mascolinità e prosperità.

Non a caso, Tishtrya è anche associato alla benedizione di nascite — non solo umane, ma anche animali — e predilige evidentemente forme in cui tale potenziale creativo risulta più evidente, viscerale, immediatamente riconoscibile anche ai suoi fedeli.

Più selvaggia, ambivalente e ardente è invece la figura di Verethraghna, dio della guerra e della libido, sintesi affascinante dei ruoli che in Grecia spettavano ad Ares ed Eros. Se Tishtrya è il simbolo dell’ordine e della fecondità, Verethraghna è la divinità che incarna il desiderio e il conflitto, il coraggio sul campo di battaglia e l’impeto della passione. Anche lui può apparire sotto forma umana — come guerriero o seduttore — ma è noto per le sue sette metamorfosi zoomorfe, che comprendono non solo il toro e lo stallone, ma anche il cammello maschio, il cinghiale, l’ariete, il cervo in calore e persino un uccello carnivoro, forse un corvo o un rapace.

Il filo conduttore? Ancora una volta, la virilità: non solo come potenza sessuale, ma come energia capace di dominare, combattere, conquistare. Questi animali, ciascuno a modo suo, rappresentano l’aggressività, la determinazione, la forza bruta e la bellezza pericolosa. Verethraghna non si limita a "prendere in prestito" la loro forma: la incarna, la divinizza, la utilizza per manifestare pienamente il suo potere. È interessante notare che egli può anche apparire come un vento violento o una voce incorporea: segno che le sue manifestazioni, pur radicate nel mondo fisico, tendono a trascendere la forma per fondersi con la forza stessa della natura.

Se, nel pensiero greco, l’animale è spesso il velo dietro cui si cela il dio, nella tradizione iranica antica è invece l’animale a essere il dio: un’emanazione del suo spirito, un’espressione autentica e necessaria. Le metamorfosi non nascondono, rivelano.

Un’ulteriore osservazione interessante riguarda la distribuzione di queste metamorfosi tra i sessi: mentre gli dèi maschili si trasformano spesso in animali, non vi sono tracce significative di dee zoomorfe. I testi antichi, infatti, paragonano frequentemente uomini e dèi a stalloni o tori, mentre le controparti femminili restano confinate in forme più umane e meno mutabili. Una dicotomia che suggerisce un preciso schema simbolico: la mascolinità è forza che cambia, si adatta e si manifesta, mentre la femminilità divina rimane immutabile, forse proprio perché sacra nella sua costanza.

Nella religiosità iranica arcaica, le metamorfosi zoomorfe non sono semplici espedienti narrativi, ma finestre aperte sulla cosmologia e sull’antropologia di un’intera civiltà. Gli dèi, assumendo sembianze animali, non si mascherano: si mostrano per ciò che sono davvero.



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