Nel cuore di molte tradizioni spirituali si cela una domanda
ricorrente, antica e mai del tutto risolta: se il mondo
spirituale esiste, perché è così difficile percepirlo?
Perché
— nel migliore dei casi — sembra sfuggente, e nel peggiore,
addirittura inesistente?
Chi sostiene l’esistenza di un regno spirituale spesso si trova in una posizione complessa: non necessariamente vuole “convincere” gli altri, ma nemmeno rinnegare ciò che ha vissuto. È una fede, certo, ma è anche, per molti, una esperienza diretta. Non un dogma astratto, ma qualcosa di sentito, vissuto, personale.
Eppure, ciò che manca — agli occhi della scienza — è la prova replicabile. Per il metodo scientifico, un fenomeno esiste se può essere osservato e riprodotto in condizioni controllate, più e più volte, da persone diverse. E il mondo spirituale non si presta facilmente a questo gioco. È sfuggente. Elusivo. Vivente, direbbero alcuni.
Molti mistici, devoti, asceti e studiosi delle religioni comparate concordano su un punto: l’esperienza spirituale esiste, ma non è dimostrabile secondo i parametri del laboratorio. Questo non la rende meno reale, almeno per chi la vive, ma la colloca in una dimensione radicalmente diversa.
Una spiegazione ricorrente è che il mondo spirituale si comporti come un essere senziente. Non è materia morta o forza cieca. È coscienza. Come tale, non può essere forzato, studiato a comando, richiamato con strumenti tecnici. Non si presenta su richiesta, nonostante le condizioni esterne sembrino le stesse.
È come bussare a una porta: può aprirsi oppure no, e non dipende solo da te.
Secondo alcuni insegnamenti tradizionali — ad esempio nell’Induismo — il mondo spirituale sceglie attivamente di restare nascosto. Esiste una precisa volontà di occultamento, una sorta di barriera imposta non solo per proteggere gli esseri umani, ma anche per proteggere gli altri mondi da noi.
Nel mito induista, il re celeste Indra avrebbe dato ordine di nascondere il regno spirituale agli occhi degli uomini. Una protezione che, secondo alcune fonti, risalirebbe all'inizio dell’attuale era cosmica (il Kali Yuga, iniziato nel 3102 a.C.) e che sarebbe motivata da una constatazione evidente: gli esseri umani non sono ancora in grado di relazionarsi armonicamente con altri livelli della realtà.
Basta osservare cosa abbiamo fatto al nostro mondo visibile — inquinamento, deforestazione, estinzione di specie — per intuire il rischio che comporterebbe un accesso illimitato al mondo invisibile.
Anche al di fuori delle dottrine religiose, si può ipotizzare una risposta razionale al dilemma: la mente umana è biologicamente inadatta alla percezione del trascendente, o almeno non è programmata per accedervi facilmente.
Gli strumenti sensoriali che ci permettono di conoscere il mondo fisico sono finemente sintonizzati su una piccola parte dello spettro dell’esistente. Vediamo una porzione limitata della luce, sentiamo una frazione delle frequenze sonore, percepiamo solo alcuni stimoli elettrici o chimici.
Se esistesse una realtà spirituale fatta di “altre frequenze” — più sottili, meno dense — potremmo non essere strutturalmente in grado di rilevarla, se non in stati modificati di coscienza: meditazione profonda, sogni, esperienze di pre-morte, visioni estatiche.
Ma ancora una volta, queste esperienze non sono facilmente verificabili né replicabili.
Non necessariamente. Chi ha vissuto l’esperienza del mondo spirituale non lo fa per fede cieca, ma perché ha sentito qualcosa. L’ha incontrato. Anche se fugacemente. E questo gli basta.
È un po’ come l’amore, la bellezza o la libertà: concetti fondamentali per l’esistenza umana, ma che nessun microscopio può dimostrare. Sono veri nel momento in cui li si vive, eppure eludono la prova empirica.
Il mondo spirituale potrebbe essere simile: non una dimensione accessibile a chiunque, in qualsiasi momento, ma una realtà che si rivela quando sei pronto, quando il tuo cuore, la tua mente o la tua anima sono in uno stato particolare di ricettività.
Dunque, perché il mondo spirituale è così impercettibile?
Per alcuni, perché non esiste. Per altri, perché non può essere catturato con gli strumenti del nostro mondo. Per altri ancora, perché si nasconde deliberatamente, come una forma di autodifesa o come una lezione da imparare.
Il fatto che non esistano prove replicabili non nega
automaticamente la realtà del mondo spirituale. Significa
solo che, per ora, quel mondo sfugge ai nostri
modelli di indagine.
Ma ciò che sfugge alla misura non è detto
che non esista. Magari ci guarda, proprio mentre tentiamo di
dimostrarlo. E sorride, silenzioso.
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