Un'Apsaras (sanscrito: अप्सरा:
apsarāḥ, plurale अप्सरस:
apsarasaḥ, tema apsaras-, femminile
in consonante) o Accharā (in pāli), è uno spirito femmina
delle nubi e delle acque nelle mitologie indù e buddista, come
attesta l'etimologia del nome ap ("acqua") e sar
("muoversi"). La -s finale del nome appartiene al
tema, ma molti la scambiano per la terminazione di nominativo plurale
e da ciò consegue una diffusa tendenza a trascrivere il nome come
Apsara.
Le Apsaras nell'induismo
Nel Rig Veda (il più antico dei Veda,
risalente al 1200 a.C.), si incontra una sola Apsaras, moglie di
Gandharva, che è la personificazione della luce del sole ed è
addetto alla preparazione del soma, la bevanda degli dei; negli
scritti più tardi invece vi sono numerose apsaras, create dal
Signore Brahma, che fungono da ancelle di Indra o da damigelle
celesti della sua corte, che danzano al cospetto del suo trono.
Possono assumere qualunque forma umana,
animale o vegetale e spesso appaiono con le sembianze di un cigno.
Nel Brahamana le Apsaras risiedono all'interno di alberi
sacri, radicandosi sempre più nella natura.
Per quanto riguarda la loro origine
esistono versioni molto differenti: secondo un mito sarebbero apparse
nel corso del "frullamento dell'Oceano" primordiale, mentre
in base ad altri racconti sarebbero state procreate direttamente da
Brahma.
Il Natya Shastra elenca le
seguenti Apsaras: Manjukesi, Sukesi, Misrakesi, Sulochana, Saudamini,
Devadatta, Devasena, Manorama, Sudati, Sundari, Vigagdha, Vividha,
Budha, Sumala, Santati, Sunanda, Sumukhi, Magadhi, Arjuni, Sarala,
Kerala, Dhrti, Nanda, Supuskala, Supuspamala e Kalabha.
Delle Apsaras viene detto che sono
capaci di cambiare a piacimento il proprio aspetto e che in
particolare hanno il potere sulla fortuna al gioco e nelle scommesse.
Le più famose tra le Apsaras sono Urvasi, Menaka, Rambha e
Tilottama, che sono molto versate nelle arti della musica e della
danza, i loro strumenti preferiti sono il cembalo e il flauto. In più
di un'occasione esse vennero mandate da Indra sulla terra allo scopo
di sedurre e distogliere dalla retta via quei saggi che, per la loro
continenza e costanza nella ricerca della perfezione, rischiavano di
diventare una minaccia per la supremazia dello stesso Indra o di
altre divinità. Per esempio, nel Ramayana si narra di come Indra
abbia inviato l'Apsaras Menaka dal brahmano Vishvamitra per distrarlo
dalle sue meditazioni, compito questo che essa eseguì con successo.
Il numero totale di Apsaras alla corte
di Indra è di 26, ciascuna delle quali rappresenta un aspetto
particolare delle arti dello spettacolo. In un certo senso le si può
paragonare alle Muse dell'antica Grecia. Per il loro legame con la
Natura si possono tuttavia paragonare anche alle Ninfe, Driadi,
Naiadi, ecc.
Apsaras sono le mogli dei Gandharva,
anch'essi moltiplicatisi rispetto all'unico Gandharva del Rig Veda e
rappresentati come servitori della corte di Indra. Esse danzavano
alla musica eseguita dai loro mariti, perlopiù nei palazzi delle
varie divinità.
Uno dei loro doveri è quello di
guidare in paradiso gli eroi caduti in battaglia (paragonabili quindi
anche alle Valchirie della mitologia norrena), di cui quindi
divengono le consorti. Si distinguono in daivika ("divine")
o laukika ("terrene").
L'Apsaras veniva associata ai riti di
fertilità. Nell'induismo, le Apsaras di rango inferiore
(dette anche Vṛkṣakas, Driadi o Fate dei boschi) vengono a
volte considerate spiriti della natura, che in certe occasioni
ammaliavano gli uomini causandone la morte; per qualcosa di analogo,
si vedano le Rusalki slave.
Molti nomi di Apsaras, tramandati nei
vari testi epici indiani, in particolare il Mahabharata e il
Ramayana, sono oggi diventati diffusi nomi di donna in India, ad
esempio: Urvashi (la più bella delle Apsaras), Menaka, Rambha,
Parnika, Parnita, Subhuja, Vishala, Vasumati (Apsaras "di
splendore incomparabile") e Surotama.
Le Apsaras vengono spesso raffigurate
anche nell'arte buddista, fino in Cambogia e in Cina, anche se il
loro uso come decorazione comune è un'innovazione khmer. Sono un
motivo decorativo frequente nei templi di Angkor.
Le Apsaras ad Angkor
Le Apsaras ebbero un particolare
rilievo nella mitologia khmer all'epoca dell'Impero Khmer di Kambuja,
la cui capitale è oggi nota col nome di Angkor (IX - XV secolo,
Cambogia). La leggenda vuole che il re Jayavarman II, considerato il
fondatore del regno di Kambuja, abbia ricevuto il regno da Indra, il
re degli dei, e che nella medesima circostanza le Apsaras avrebbero
insegnato al popolo di Kambuja l'arte della danza.
Raffigurazioni delle celesti semidee
danzanti vennero incise nella pietra su molte pareti dei templi di
Angkor. Solo in quello di Angkor Wat si contano in totale circa 1850
immagini, di cui nessuna è uguale all'altra.
La tradizione della danza di corte
cambogiana, a volte denominata "danza Apsara", risale alla
corte imperiale di Angkor. Questa danza, artisticamente molto
elaborata, ha poi avuto anche un grande influsso sullo sviluppo della
danza tailandese, che è oggi più nota in occidente.
Le Apsaras nel Buddhismo
In generale, nel buddhismo le divinità
e le creature celesti occupano un ruolo secondario e poco
significativo. Vengono considerate esseri che si trovano su di un
piano di esistenza diverso dagli uomini, ma anch'esse, come gli
abitanti della terra, debbono soggiacere al ciclo di vita, morte e
reincarnazione (Saṃsāra). Secondo la dottrina buddhista il
godimento delle Apsaras costituisce il premio dei beati nei paradisi
inferiori (devaloka),
Le Apsaras si trovano, tra l'altro, in
un racconto dei Jataka ("Storie della nascita") in cui
vengono narrate vicende del Buddha nelle sue vite precedenti. Il
Catudvara-Jataka racconta di Mittavinda avido e dedito
ai piaceri mondani, che nel corso dei suoi viaggi incontra, tra gli
altri, anche alcune Apsaras. Alla fine viene poi istruito dal Buddha
- in qualità di Bodhisattva in una delle sue precedenti
reincarnazioni - sul fatto che tutti i piaceri mondani sono
transeunti.
È soprattutto in Estremo Oriente e in
Indocina che le Apsaras, all'interno di un processo di sincretismo
vengono inserite anch'esse nell'iconografia buddhista. Loro
rappresentazioni si trovano così anche all'interno di edifici di
culto buddhisti, tra l'altro in Cina, Cambogia, Thailandia e
Indonesia.
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