
L'àugure
(dal latino augur,
all'accusativo augurem)
era un sacerdote dell'antica Roma che aveva il compito di
interpretare la volontà degli dèi osservando il volo degli uccelli,
a partire dalla loro tipologia, dalla direzione del loro volo, dal
fatto che volassero da soli o in gruppo e dal tipo di versi che
emettevano.
Questa figura era tuttavia già nota
alla cultura etrusca, come dimostra la Tomba degli auguri a
Tarquinia, e a quella greca.
Composizione
Tito Livio racconta come fosse noto a
tutti che fossero nominati auguri appartenenti alle tre antiche tribù
dei Ramnes, Titienses, Luceres, in modo che ognuna ne avesse lo
stesso numero delle altre, e che comunque questi fossero in numero
dispari.
Dalla nascita della Repubblica (509
a.C.) e fino alla fine del IV secolo a.C. solo i patrizi poterono far
parte di questo collegio, mentre dal 300 a.C., dopo un'aspra lotta
politica che vide contrapposti i plebei, guidati da Publio Decio
Mure, ai patrizi, guidati da Appio Claudio Cieco, vi ebbero accesso
anche i plebei.
Funzioni
Secondo la leggenda questo ordine
sacerdotale sarebbe stato creato da Romolo, che avrebbe scelto i
primi tre sacerdoti, nominandone uno per ogni tribù di Roma.
Tito Livio riferisce che era ben noto a
tutti che a Roma nessuna decisione in guerra e in pace veniva presa
senza avere prima consultato gli àuguri.
Nel periodo arcaico c'erano due tipi di
auguri: gli auguria privata, sulla cui base si prendevano
alcune decisioni all'interno della famiglia, e gli auguria publica
per l'ambito pubblico. Di quest'ultimo tipo esistevano più auguri,
che costituivano un collegium, in genere consultato dal
magistrato prima di ogni importante atto pubblico.
Il compito degli auguri era quello di
trarre auspicia dall'osservazione del volo, del comportamento
e del verso degli uccelli per capire se gli dèi approvavano o no
l'agire umano sia nell'ambito pubblico che in quello privato, sia in
pace che in guerra (auspicia deriva da aves specere,
cioè "osservare gli uccelli"). L'augure non doveva predire
quale fosse la cosa migliore da fare, ma solo se un qualcosa su cui
si era già deciso incontrasse o meno l'approvazione divina.
L'arte degli auguri era chiamata
augùrio o auspìcio. L'àugure, come insegna, aveva un
bastone ricurvo a forma di punto interrogativo: il lituo.
La loro attività era a vita ed erano
molto venerati, al punto che per chi li offendeva era prevista la
pena di morte.
Un episodio curioso viene raccontato
dallo storico romano Floro secondo il quale il re Tarquinio Prisco:
«[...] per avere prova
[dall'augure Attio Nevio] se era possibile ciò che egli stesso
aveva in mente. [L'augure] dopo aver esaminato la cosa in base ai
presagi, rispose che lo era. «Eppure proprio ciò io avevo
pensato se potevo tagliare quella roccia con il rasoio». L'augure
Nevio replicò: «Tu lo puoi allora». E il re la tagliò. Da quel
momento la funzione dell'augure divenne sacra per i Romani.»
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(Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 5.3-5.) |
- signa ex caelo o caelestia auguria: segni mandati dal cielo, come le saette (fulmina), i lampi (fulgura), i tuoni (tonitrua);
- signa ex quadrupedibus o pedestria auspicia: auspici ricavati dal movimento di quadrupedi e rettili;
- signa ex tripudiis o auguria pullaria: in
guerra, dato che erano necessari segni di rapida consultazione, ci
si serviva dei polli sacri. Se mangiavano, l'auspicio era
favorevole, se poi mangiavano molto avidamente facendo ricadere
saltellando a terra particelle di cibo (tripudium solistimum,
tripudio perfetto), allora l'augurio era molto favorevole. Pullarius
era detto l'àugure che osservava i polli per trarne gli auspici.
Il collegio degli Auguri, assieme ai
restanti collegi sacerdotali, finì con l'essere abolito
dall'imperatore Teodosio I alla fine del IV secolo.
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