lunedì 28 aprile 2025

L’Iran e il Vaticano tra Scienza e Fantasia: la lunga ombra delle “Macchine del Tempo”

Nel cuore dell’Iran, un ingegnere trentacinquenne con 179 brevetti registrati a suo nome afferma di aver progettato un dispositivo capace di guardare nel futuro. A migliaia di chilometri di distanza, nella solenne quiete dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore a Venezia, un monaco benedettino avrebbe contribuito a costruire una macchina in grado di scrutare il passato. Due storie, separate da cultura, religione e geografia, ma unite da un filo sottile: l’irrefrenabile tentazione umana di violare i confini del tempo.

Ali Razeghi, direttore del Centro per le Invenzioni Strategiche di Teheran, ha annunciato nel 2013 la creazione della Time Aryayek Traveling Machine, un apparecchio “delle dimensioni di un personal computer” in grado, secondo le sue dichiarazioni, di prevedere con il 98% di accuratezza ciò che accadrà nella vita di una persona nei successivi cinque-otto anni. Non si tratta, puntualizza l’inventore, di un viaggio nel tempo nel senso classico del termine, quanto piuttosto di un dispositivo capace di “portare il futuro a voi”.

Il meccanismo, che non è mai stato presentato pubblicamente né sottoposto a revisione da parte della comunità scientifica, si baserebbe su complessi algoritmi predittivi. Una tecnologia che, se funzionante, rivoluzionerebbe non solo la scienza, ma anche la geopolitica. Razeghi ha suggerito infatti che la sua invenzione potrebbe essere usata dal governo iraniano per anticipare conflitti militari, oscillazioni dei mercati petroliferi o crisi valutarie. “Un governo che conosce il futuro può proteggersi”, ha dichiarato, suggerendo persino una produzione di massa e la futura esportazione del dispositivo.

Le affermazioni sono state accolte da scetticismo e ironia, sia dentro che fuori i confini iraniani. Diversi analisti tecnologici e accademici hanno fatto notare la mancanza di qualsiasi prova concreta a supporto della tesi di Razeghi, così come l’assenza di pubblicazioni scientifiche sottoposte a peer review. Lo stesso inventore ha ammesso che la sua creazione è stata criticata da amici e colleghi, accusato di “voler giocare a fare Dio”. A suo dire, tuttavia, la macchina rispetta i valori religiosi islamici, e l’unico ostacolo alla sua divulgazione sarebbe il timore che la Cina possa copiarla.

Se la storia di Razeghi può apparire come un curioso aneddoto contemporaneo, affonda però le sue radici in una tradizione ben più antica, che trova eco anche in ambito cristiano. Negli anni ’60, Padre Pellegrino Ernetti, esorcista e musicologo, affermò di aver contribuito alla costruzione di un congegno denominato cronovisore, capace di visualizzare eventi storici del passato. L’apparecchio, simile a un televisore, si basava — secondo quanto riferito — su un principio fisico alquanto esotico: l’idea che ogni essere umano lasci una traccia energetica, visiva e sonora, permanente nell’etere. Raccogliendo queste onde residue, la macchina sarebbe stata in grado di “ricostruire” immagini e suoni del passato con sorprendente accuratezza.

Il cronovisore fu citato pubblicamente per la prima volta dal teologo francese François Brune nel suo libro Le Nouveau Mystère du Vatican. Brune riporta conversazioni dirette con Padre Ernetti, secondo il quale il progetto fu sviluppato con la collaborazione di diversi scienziati, tra cui — incredibilmente — anche Enrico Fermi. Il dispositivo, racconta Brune, fu poi smantellato per volontà del Vaticano, preoccupato per le implicazioni etiche, teologiche e politiche che una simile invenzione avrebbe potuto comportare.

Come nel caso della macchina iraniana, anche il cronovisore non fu mai sottoposto a verifica indipendente. Nessun documento ufficiale è mai stato prodotto, né immagini o prove tangibili sono state rese pubbliche. Tuttavia, l’insistenza di Brune su dettagli, nomi e contesti ha contribuito a mantenere viva l’aura di mistero attorno al dispositivo. Per i sostenitori, la macchina avrebbe potuto risolvere definitivamente dispute storiche millenarie; per i detrattori, un’illusione alimentata dal desiderio umano di controllare ciò che per definizione sfugge a ogni controllo: il tempo.

Al di là dell’effettiva esistenza di questi strumenti, ciò che emerge con chiarezza da entrambe le vicende è il desiderio universale e trasversale — culturale, religioso, politico — di dominare la quarta dimensione. La possibilità di conoscere, o addirittura modificare, il passato e il futuro solletica da sempre l’immaginazione dell’uomo, dalla Macchina del Tempo di H.G. Wells ai laboratori segreti della Silicon Valley. Ma ogni tentativo, reale o presunto, di realizzare tale ambizione, apre scenari inquietanti.

Se potessimo davvero sapere cosa accadrà tra cinque anni, vivremmo allo stesso modo? Le nostre scelte, pur apparentemente libere, sarebbero in realtà condizionate da ciò che già conosciamo? E se potessimo osservare il passato, cosa accadrebbe alle verità consolidate della storia? Quante convinzioni, religiose o civili, resisterebbero a un’analisi oggettiva e visibile dei fatti?

Anche l’etica entra prepotentemente in gioco. Chi possiede un simile potere avrebbe una responsabilità incalcolabile. Prevedere un disastro, o testimoniarne uno avvenuto, implicherebbe la possibilità — e il dovere — di intervenire. Ma ogni intervento nel corso degli eventi apre il campo al paradosso, alla manipolazione, alla tentazione dell’onnipotenza.

Che si tratti della “Time Aryayek” di Ali Razeghi o del cronovisore di Padre Ernetti, ci troviamo di fronte a narrazioni che — pur in assenza di prove — catturano lo spirito del nostro tempo. Un’epoca in cui la tecnologia corre più veloce della riflessione etica, e in cui il confine tra ciò che è possibile e ciò che è immaginabile si fa sempre più labile. Forse, alla base di tutto, non vi è altro che un’ansia profonda, ancestrale, davanti all’incertezza. L’incertezza del futuro, la fragilità del presente, l’ambiguità del passato. E il sogno, mai sopito, di rendere il tempo — l’ultima vera barriera dell’umano — un nostro strumento.



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