L’idea che nei secoli passati esistessero “libri di stregoneria” scritti e usati dalle streghe come guide pratiche — incantesimi passo passo, pozioni e rituali riproducibili come in un manuale di auto aiuto — è potente e seducente. Tuttavia la realtà storica è più sfumata. Sì: esistono testi antichi che trattano di magia, rituali e pratiche occulte; sì: esistono anche libri che parlano di stregoneria per denunciare e perseguire presunti colpevoli. Ma queste due famiglie di testi sono distintissime per origine, scopo e pubblico. Qui provo a ricostruire la mappa: quali testi esistono veramente, chi li scriveva, chi li usava e come sono stati fraintesi nel tempo.
Quando si parla di «libri di stregoneria» è essenziale separare almeno due categorie:
Manuali inquisitoriali e trattati legali/teologici: testi prodotti da chierici, giudici o inquisitori che definivano la stregoneria come crimine, descrivevano sintomi, offrivano procedure d’indagine e indicazioni per l’interrogatorio e la condanna. Il prototipo più famoso è il Malleus Maleficarum (il “Martello delle streghe”) — un’opera polemica e operativa che contribuì a normalizzare la persecuzione nelle corti europee. Questi libri servivano a identificare e punire, non a praticare la magia.
Grimori e trattati di magia pratica: raccolte di formule, rituali con sigilli, invocazioni angeliche o demoniache, ricette alchemiche, talismani, e istruzioni per ottenere conoscenze o potere soprannaturale. Questi testi sono spesso attribuiti a figure mitiche (Salomone, ermetici, maghi antichi) ma sono per la maggior parte compilazioni medievali o rinascimentali, rivolte a un pubblico colto o a praticanti specializzati: maghi, alchimisti, astrologi.
Confondere le due cose ha alimentato il mito che “le streghe” leggessero e seguissero grimori come noi sfogliamo un manuale: non è quasi mai così. Le persone accusate di stregoneria — per lo più contadini, donne povere, «guaritrici» locali — raramente avevano alfabetizzazione o accesso a manoscritti latini o esoterici. Le sofisticate pratiche rituali descritte nei grimori appartenevano più spesso a ambienti eruditi (astrologi, medici, maghi rinascimentali) che non al folklore popolare.
Non si può parlare di libri di stregoneria antichi senza citare il Malleus Maleficarum (1487). Scritto da Heinrich Kramer (parishioner con lo pseudonimo di Institoris) in collaborazione, secondo alcune edizioni, con Jacob Sprenger, il testo divenne un manuale pratico per perseguire la stregoneria: definizioni teologiche, casi esemplari, metodi d’interrogatorio (inclusa la tortura) e argomentazioni per convincere i tribunali della legittimità dell’azione repressiva.
Il Malleus non insegna a fare magie; insegna a trovarle e a distruggerle. È un documento di propaganda e pressione legale che codificò e diffuse idee pericolose: che la stregoneria fosse un crimine organizzato, che le confessioni estorte fossero prova di colpevolezza e che la tortura fosse uno strumento legittimo. In molte aree d’Europa questo testo alimentò e giustificò vere ondate di persecuzioni. In sostanza, è una prova storica dell’isteria collettiva più che un manuale di occultismo pratico.
Accanto ai manuali inquisitoriali troviamo raccolte di pratiche magiche note oggi come grimori. Tra i più noti (o almeno tra i più citati dagli storici delle religioni e dell’occulto) compaiono opere attribuite a figure leggendarie o datate al periodo medievale e rinascimentale. Questi testi contengono invocazioni, sigilli, nomi angelici o demoniaci, ricette per talismani e istruzioni per l’evocazione. Alcuni titoli che ricorrono nello studio delle tradizioni magiche sono la Clavicula Salomonis (la “Chiave di Salomone”), il Lemegeton (o “Lesser Key”), il Picatrix (un trattato di magia astrografica tradotto dall’arabo), e raccolte di formule entremescolate in manoscritti manoscritti tardo medievali e rinascimentali.
Due precisazioni importanti:
Provenienza e pubblico: molti grimori sopravvissuti sono copie manoscritte o edizioni a stampa prodotte per un pubblico colto: medici, astrologi, nobili curiosi e maghi praticanti che sapevano leggere latino, ebraico o arabo. Non si tratta quasi mai di ricettari popolari trovati nelle case contadine.
Pseudepigrafia e legittimazione: molti grimori si attribuiscono a Salomone o ad antichi saggi per legittimare il contenuto (la cosiddetta “pseudepigrafia”). Questo non significa che gli autori pensassero davvero che Salomone li avesse scritti, ma che il prestigio del nome aumentava l’autorità del testo.
Quindi, sì: esistono testi di magia antichi e medievali, ma sono parte di una tradizione esoterica spesso distante dalla pratica “popolare” che la folklorestudies descrive.
Sul versante della “pratica quotidiana”, la tradizione popolare disponeva di un altro genere di testi: ricettari, erbari, raccolte di rimedi e formule. Questi non erano necessariamente “grimori” nel senso cerimoniale, ma erano raccolte pratiche usate da guaritori, levatrici e “fattucchiere”. Erbari, ricette per unguenti, incantesimi verbali e preghiere protettive venivano tramandati a voce, su foglietti o piccoli quaderni. Alcuni di questi documenti sono sopravvissuti ai secoli ed evidenziano una pratica pragmatica e sincretica: rimedi fisici, riti di protezione, amuleti.
Spesso tali appunti non venivano considerati “stregoneria” dai loro autori: erano medicina popolare, tecniche di guarigione, o pratiche superstiziose. Tuttavia, in contesti di tensione religiosa e sociale, questi stessi materiali potevano essere reinterpretati come prova di maleficium e usati contro chi li possedeva.
La confusione nasce da più fattori:
Confisca e uso probatorio: durante indagini e arresti, manoscritti trovati in case di sospetti venivano usati come prova. Un quaderno di ricette poteva diventare “libro di incantesimi”.
Letteratura e stampa: con la stampa, manuali come il Malleus si diffusero ampiamente, consolidando stereotipi. Allo stesso tempo, edizioni di grimori interessarono collezionisti e intellettuali, contribuendo all’immagine romantica della magia.
Racconti successivi: romanzi ottocenteschi e la cultura pop del XX secolo costruirono la figura della “strega” dotata di un libro personale di incantesimi — un’immagine potente ma anacronistica per molte zone e periodi.
I libri relativi alla stregoneria che sopravvivono dalle epoche antiche e medievali non confermano l’idea di un pantheon di fattucchiere che consultavano manuali di auto aiuto magico. Piuttosto rivelano due cose fondamentali:
La stregoneria come dispositivo sociale e legale: molti testi (come il Malleus Maleficarum) furono strumenti di repressione, costruiti per criminare pratiche ambigue e dare copertura morale e giuridica alla persecuzione.
La magia come pratica erudita e la pratica popolare come ramo diverso: esistevano testi seri di magia cerimoniale destinati a un pubblico erudito, e raccolte popolari di rimedi e rituali. Le due tradizioni si toccarono solo occasionalmente e spesso in modo conflittuale.
Infine, la lezione storiografica è semplice ma cruciale: leggere i “libri della stregoneria” storici richiede contesto. Quel che appare come prova di occultismo può essere medicina popolare; quel che è presentato come «manuale di stregoneria» è spesso propaganda inquisitoriale. Per comprendere davvero la caccia alle streghe e le pratiche magiche del passato, bisogna distinguere fonti, pubblico e scopo: senza questa distinzione, si rischia di ripetere i fraintendimenti che hanno alimentato ingiustizie secolari.
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