Poche vicende storiche sono state reinterpretate con tanta distorsione quanto quella dei processi alle streghe. Nei manuali scolastici e nella cultura popolare, la stregoneria è spesso descritta come la persecuzione di donne innocenti, colpite solo perché erboriste, guaritrici o seguaci di culti pagani sopravvissuti al cristianesimo. È una narrazione suggestiva, ma storicamente incompleta — e, in molti casi, imprecisa.
Le prime condanne per stregoneria in Europa risalgono al Medioevo, ma fu solo tra il XV e il XVII secolo che il fenomeno esplose, in un’epoca di ansie religiose, guerre e carestie. Tuttavia, non tutte le accuse nacquero dal nulla. Alcune delle donne e degli uomini accusati erano coinvolti in crimini veri e propri — omicidi, avvelenamenti, furti, estorsioni — che venivano interpretati come “opera del demonio” in una società che spiegava il male con categorie soprannaturali.
Il caso di Petronilla de Meath, in Irlanda nel 1324, è emblematico. Prima donna arsa come strega nel Regno Unito, era la domestica di Alice Kyteler, una nobildonna accusata di aver ucciso quattro mariti con il veleno. Petronilla fu torturata, confessò e pagò con la vita, ma la vicenda rivela un contesto di intrighi familiari e crimini materiali, non di erbe e incantesimi.
Questo non significa che le persecuzioni non siano state spietate. A Salem, nel 1692, l’isteria collettiva e la manipolazione politica trasformarono accuse infondate in condanne a morte. Tuttavia, anche lì, dietro il mito delle “ragazze isteriche” si celavano interessi economici e lotte di potere: la confisca delle terre degli accusati era un vantaggio non trascurabile per i loro vicini o rivali.
Nel resto d’Europa, molti processi alla stregoneria ebbero un fondamento sociale piuttosto che spirituale. Le accuse erano spesso strumenti di controllo politico, morale o economico. Il sospetto di stregoneria poteva servire a regolare conti tra famiglie, punire comportamenti non conformi o rafforzare il potere delle autorità religiose. In altre parole, la “caccia alle streghe” fu meno una guerra contro il paganesimo e più una manifestazione delle tensioni e paure di un mondo in trasformazione.
L’immagine della vecchia saggia del villaggio bruciata per il suo sapere erboristico è una romantica proiezione ottocentesca, figlia del razionalismo e del femminismo delle origini, più che del Medioevo stesso. Le vere vittime dei roghi furono spesso donne marginali, povere, accusate per rancori o vendette personali, o persone effettivamente coinvolte in pratiche criminali che le superstizioni del tempo reinterpretavano come “magia nera”.
Capire questo non significa giustificare le persecuzioni, ma restituire complessità alla storia. Le “streghe” non furono né mistiche illuminate né demoni incarnati, ma esseri umani travolti da un’epoca in cui religione, paura e potere si mescolavano pericolosamente.
Dietro ogni rogo, più che la lotta tra scienza e superstizione, c’è una verità più amara: quella di una società che, nel tentativo di purificarsi dal male, finì per bruciare sé stessa.
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