sabato 16 novembre 2019

Qual è il tuo pensiero adulto sul paranormale?


Posso riferire due storie, con le mie conclusioni. Decidete voi.

IL LEGAME CON MIA NONNA
Saltavo di gioia ogni volta che da piccolo veniva a trovarci in casa. A volte facevo le feste a mia madre dicendole che ero felice perché la nonna veniva a trovarci. Mia madre tentava di calmarmi, di dirmi che non lo sapeva ancora, poi però riceveva una telefonata da lei poco prima che partisse in macchina.
Da adulto ebbi un occasione in cui sentii assolutamente di doverla andare a trovare. Era tardi, ma di solito restava alzata fino a tardi. Quando arrivai le dissi che avevo sentito questa sensazione di doverla visitare, e mi rivelò di aver avuto diverbi con un inquilino affittuario, il quale l'aveva minacciata perché non voleva pagare e lei si sentì poco bene.
Poco prima della sua morte, avvenuta in una casa di cura dove soggiornava, era notte fonda. Feci un sogno in cui mi trovavo nella sua stanza, e all'improvviso l'ho vista seduta e sorridente. Mi diceva che andava tutto bene, che non soffriva più e che andava a stare in un posto migliore di questo. Poi si alzò e uscì dalla stanza. Il cellulare squillò svegliandomi, con mia madre dall'altra parte che mi disse di aver appena ricevuto la notizia dalla casa di cura riguardo la morte di mia nonna. Non c'era nessun stato indizio che potesse preannunciare la morte. Era nella casa di cura perché nessuno della famiglia poteva ospitarla e seguirla con le dovute attenzioni durante il periodo estivo. Se ne andò nel sonno.

Io resto scettico riguardo il paranormale.
So anche che non ci sono spiegazioni razionali e banali che giustifichino questi eventi. Non che ne voglia sentire a prescindere. Penso che in fondo sia confortante credere che esista un altro mondo oltre a questo, qualcosa che il solo credere ti consola per la perdita dei tuoi cari.

L'ALBERO DEMONIACO
La sola volta che posso dire di aver sperimentato genuinamente qualcosa di oggettivamente non spiegabile è stato durante un escursione con gli scout.Ci trovavamo in montagna, vicino ad un lago, in un posto decisamente ritirato dal mondo. Molto piacevole e nel pieno della natura.
Il gruppo aveva messo le tende in una radura, e quella sera organizzammo un grande raduno con un altro gruppo di scout della zona. Un occasione per i maschietti di conoscere ragazze di altri posti, che incontri una volta sola. Per alcuni era nata la scintilla, per altri c'era da mangiare e da bere. Noi ragazzi, un branco di ragazzetti disorganizzati e scalmanati, non avevamo ingranato nessuna marcia con le ragazze, così finimmo per passare la serata tra noi, decidendo di fare una passeggiata poco più lontano per sgranchire le gambe e svuotare le vesciche lontano dal campo e dagli altri.
Una luna perfettamente piena illuminava il cammino. Il cielo stellato sopra di noi. Stavamo chiacchierando dopo aver deciso di raggiungere il lago quando cominciammo tutti ad avere una sinistra sensazione di disagio.
Subito pensammo ad un istinto animale di allarme: lupi nella zona? Qualche cane randagio?
C'era un passo su una curva con un dirupo a lato prima di arrivare al lago.
Sul ciglio della curva c'era questo immenso albero spoglio, senza foglie, lunghissimi rami attorcigliati su loro stessi, e dentro di noi sembrava albergare la stessa pazzesca inquietudine.
Ci guardammo negli occhi nel vano tentativo di ironizzare tra noi, ma vedendo ognuno negli occhi dell'altro la stessa identica paura, nessuno di noi riuscì a emettere un sol fiato o sghignazzo.
Uno di noi ammise di sentirsi ghiacciare il cuore dal "coso nero".
Disse: "Se vado lì, so che non torno più. No, io non vado." Si voltò per andarsene, e cominciò a muovere passi verso il campo, mormorando come tra sé e sé quanto fosse sciocco tutto ciò ma che proprio c'era qualcosa che non andava.
Noi accennammo qualche passo, ma forse condizionati dalla frase del ragazzo, ci congelammo.
Io feci due passi, e sentii il cuore battermi forte, per poi freddarsi come di fronte alla morte stessa.
Mi bloccai e camminando all'indietro non riuscii che a dire che avevo paura di un albero. Anch'io sentivo che non sarei più tornato se avessi continuato a camminare avanti.
Tornammo al campo, andammo a dormire. Il giorno dopo, dopo colazione, ci muovemmo camminando lungo il sentiero ed arrivammo in gruppo alla stessa curva. Ci crederete o no, a metà strada noi tre restammo di sasso fermi in mezzo alla strada. Il dannato albero non c'era. Il ciglio era dannatamente spoglio di vegetazione. Solo sassi. Non abbiamo mai capito cosa diavolo fosse successo quella notte.







venerdì 15 novembre 2019

Debunker

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Un debunker (termine inglese), in italiano sbufalatore, demistificatore o disingannatore, è una persona che mette in dubbio o smaschera ciarlatanerie, bufale, affermazioni o notizie false, esagerate, antiscientifiche, dubbie o pretenziose.

Etimologia
Il termine debunking è costituito da un prefisso de-, che significa "rimuovere", e la parola bunk che vuol dire "fandonia". Fu Felix Walker, rappresentante del Distretto in Carolina del Nord durante il 16esimo Congresso degli Stati Uniti d'America (1819-1821), a pronunciare un discorso volto a convincere la sua circoscrizione che stava facendo la differenza a Washington, sostenendo di non parlare al Congresso ma “a Buncombe”( Contea che era compresa nel Distretto del Nord Carolina). Questo termine modificato in bunkum e dopo abbreviato in bunk, è diventato sinonimo di claptrap (imbonimento). Sarà solo nel 1923 con il romanziere statunitense William E.Woodward, che il termine sopradescritto acquisirà un’accezione moderna con la nascita del neologismo debunk tratto da un suo romanzo bestseller intitolato Bunk. Il debunking si diffonde quindi con la seguente denotazione take the bunks out of things ("togliere le fandonie dalle cose"). L'equivalente italiano sbufalamento deriva da bufala, che significa "notizia falsa", con il prefisso privativo s-.

Caratteristiche
La pratica di mettere in dubbio o smentire - basandosi su metodologie scientifiche - affermazioni false, esagerate, antiscientifiche è l'attività di un debunker. La tradizionale area tematica di intervento del debunker concerneva inizialmente fenomeni ufologici, teorie del complotto, affermazioni sul paranormale, religione, eventi miracolistici o presunti tali, ricerche compiute al di fuori del metodo scientifico. Data la crescente diffusione del fenomeno Fake news (disinformazione, complottismo, misinformazione, bufale) o nella terminologia adoperata da Claire Wardle "ecosistema della disinformazione", la figura odierna dello sbufalatore si occupa principalmente di verificare l'attendibilità delle fonti mettendone in dubbio la veridicità del contenuto. Tale attività si focalizza sul processo comunicativo: ne ripercorre le varie fasi, partendo dal prodotto finito (notizia), analizzandone il contenuto, il contesto, le fonti, per individuare dunque le motivazioni all'origine della notizia ed eventualmente smascherarle. Di conseguenza, il lavoro del debunker consiste non tanto nel discriminare il vero dal falso, quanto piuttosto il vero dal verosimile. Egli utilizza determinati strumenti che la tecnologia offre e che si rivelano efficaci per stabilire la veridicità o meno di una notizia.

Strumenti
Attualmente numerose testate giornalistiche hanno istituito una sezione che si occupa di sbufalamento, soprattutto per quanto riguarda situazioni di emergenza e catastrofi nucleari: a tal proposito il progetto internazionale Verification Handbook ha stilato un vademecum nel 2014, destinato ai giornalisti il cui obbiettivo era quello di imparare a distinguere una notizia potenzialmente falsa da una vera perfezionando l'arte del debunking. Nella guida specifici strumenti vengono indicati come utili ai fini dell'attività:
  • Google Image Search, su images.google.com. o tineye.com per la verifica e la ricerca delle immagini;
  • Findexif o flickr per risalire ai dati dello scatto ed al tipo di fotocamera usata (metadati Exif);
  • Google Traduttore per verificare contenuti in lingua straniera;
  • Uso di siti video-sharing quali YouTube o Vimeo.

Critiche
Le critiche dei debunker a volte possono offendere coloro che credono in determinate teorie considerate pseudoscientifiche. Come dimostra lo studio "Debunking in a world of tribes", condotto sulla rivista scientifica PLOS ONE, che analizza l'andamento delle discussioni su Facebook tra debunker e complottisti, se l’operazione di debunking viene effettuata con toni aggressivi, il rischio è che possa essere poco efficace e controproducente. Ciò avviene perché si finisce per rafforzare il sistema di credenze di chi crede fortemente in teorie di complotto, allontanandolo dalla verità scientifica. Nel caso in cui lo sbufalatore non presti attenzione, la comunicazione potrebbe causare un effetto boomerang, ad esempio accrescendo la credenza dell'audience dei miti. Questi effetti possono presentarsi se un messaggio trascorre troppo tempo su un caso negativo, se è troppo complesso o minaccioso. Una strategia costante di debunking può portare all'editorializzazione dei contenuti, delegando ad un solo ente l'attività di verifica degli stessi. Questo può portare a non utilizzare il pensiero in modo critico. Alcuni studiosi, come Marcello Truzzi, sostengono che alcuni scettici vanno troppo oltre, facendo anche asserzioni negative. Secondo Truzzi, che definisce tale atteggiamento "pseudoscettico", i veri scettici sono neutrali o agnostici, spesso critici verso affermazioni straordinarie e mai portati a fare critiche negative a priori. Piuttosto lo scettico, di fronte a tali affermazioni, deve richiedere prove fuori dal comune. Questo assunto è spesso reso con la frase: "affermazioni straordinarie (fuori dal comune) richiedono prove straordinarie".

Esempi di debunking
Il caso Pizza-Gate
L’elezioni presidenziali americane dell’autunno 2016 offrono un esempio di debunking in merito al caso Pizza-Gate: con tale espressione si indica il caso che vide accusati esponenti del partito democratico (e dunque la stessa Hilary Clinton): le mail-capo d’accusa, poi diffuse da Wikileaks, avrebbero “portato alla luce” una raccolta fondi destinata al traffico di bambini, legata ad un cospicuo numero di ristoranti statunitensi, utilizzati come copertura (da cui il nome stesso del caso). Molteplici organizzazioni parteciparono al processo di debunking: in primis il distretto di polizia di New York, ma anche testate come il New York Times, il Los Angeles Times ed il The Washington Post. Proprio il New York Times pubblicò nel dicembre del 2016 un articolo su time.com, analizzando minuziosamente i punti-chiave del caso.

Il caso Bin Laden
Successivamente alla morte di Bin Laden le tv pachistane mostrarono l'immagine del cadavere dilaniato del leader di Al-Quaeda. Questa venne ripresa da più mezzi d'informazione, tra cui internet e i vari forum che smentirono l'autenticità della foto, nonostante fosse stata utilizzata in più siti web. Ancora oggi l'episodio è visto da molti come tentativo di occultare il fallimento dell'uccisione di Bin Laden.

Il caso Blue Whale
Il maggio del 2016 vede scoppiare in Russia un fenomeno, conosciuto poi internazionalmente come Blue Whale ("Balena blu"). Con tale espressione si delineerebbe quel complesso di attività o, meglio, sfide che presumibilmente avrebbe portato molteplici adolescenti al suicidio, tramite il superamento di diverse prove. Il fenomeno ha progressivamente riscosso curiosità, grazie anche all’imponente copertura da parte dei media internazionali che paventavano il possibile dilagare di tale pratica al di fuori dalla Russia.

Esempi di debunker
  • Martin Gardner è stato un matematico e divulgatore scientifico che si è occupato di debunking nell’ambito della parapsicologia nei suoi articoli di giornali e libri.
  • Penn & Teller sono un gruppo di intrattenimento che spesso smaschera trucchi magici e illusioni. Hanno inoltre fatto opere di sbufalamento di molti altri aspetti delle credenze popolari nel loro show Penn&Teller: Bullshit!.
  • Basava Premanand è stato uno scettico e razionalista indiano, presidente dell’Indian Skeptic, l’associazione indiana per lo studio di fenomeni paranormali
  • James Randi è un razionalista, scettico, nonché un oppositore delle pseudoscienze. È una figura di spicco del CSI, l’associazione americana analoga al CICAP
  • Carl Sagan è stato un famoso astronomo che si è occupato di debunking. Lo si ricorda inoltre come grande divulgatore scientifico, come scrittore di fantascienza e come epistemologo in qualità di uno dei maggiori esponenti dello scetticismo scientifico.
Debunker in Italia
  • Massimo Polidoro, divulgatore scientifico, giornalista e scrittore italiano, è autore di vari libri; in particolare "Rivelazioni", che funge da guida tecnica per lo smascheramento delle fake news.
  • Paolo Attivissimo è un giornalista e consulente informatico, traduttore tecnico, divulgatore scientifico, cacciatore di bufale e studioso della disinformazione nei media.
  • Piero Angela è un giornalista, scrittore e divulgatore scientifico. È il primo, in Italia, ad aver affrontato l’argomento del “paranormale” da un punto di vista critico. È presidente onorario e tra i fondatori del CICAP.


giovedì 14 novembre 2019

Il dio fumoso

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Il dio fumoso (The Smoky God, or A Voyage to the Inner World) è un romanzo fantastico scritto nel 1908 da Willis George Emerson (1856-1918).
Il romanzo si presenta sotto forma di un resoconto del viaggio di un marinaio norvegese, Olaf Jansen, all'interno della Terra - dove si troverebbe il mitico regno di Agarthi - attraverso un passaggio situato al Polo Nord.
Il romanzo di Emerson è considerato una delle prime fonti della credenza sulle civiltà sotterranee.

Trama
Secondo il resoconto Agarthi, illuminata da un "fumoso" sole centrale, era composta da una fitta rete di colonie ed abitata da uomini alti circa 4 metri. La capitale del regno era Kalapa, considerata come l'originario giardino dell'Eden.
Per alcuni anni Jansen visse ad Agarthi, successivamente ritornò in superficie e raccontò le sue incredibili avventure, tuttavia non fu creduto, anzi fu ritenuto folle e rinchiuso in manicomio per quasi trent'anni. Molti anni dopo Emerson avrebbe incontrato il vecchio Jensen e raccolto le sue memorie.


mercoledì 13 novembre 2019

Disease mongering

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L'espressione in lingua inglese disease mongering o corporate disease mongering, commercialization of disease, che in italiano si può tradurre come "mercificazione della malattia" indica in modo dispregiativo la presunta tendenza a incrementare la nosografia e la promozione della lotta contro varie patologie allo scopo di trarne profitto.
Queste correnti di pensiero suppongono che parte delle voci nosografie (cioè alcune classificazioni, fattori di rischio e dati di incidenza sulla popolazione) siano presenti al solo scopo di avere un profitto e, attraverso una campagna di sensibilizzazione finanziata dalle case farmaceutiche, il consumatore/paziente sia spinto alla ricerca di una soluzione a problemi di salute che, in realtà, non esistono. Il vantaggio per le case farmaceutiche è evidente: identificando situazioni di benessere con patologie subcliniche, le dimensioni del mercato per farmaci di nicchia aumentano in modo considerevole e ciò si risolve con un'impennata nelle vendite e quindi dei profitti. I sostenitori di queste teorie ritengono che, affinché ciò avvenga, anche buona parte dei medici, degli ordini professionali sanitari, delle agenzie di consumatori e delle istituzioni sia collusa con le case farmaceutiche.
Se da un lato è vero che nel campo sanitario si hanno interessi economici che talvolta generano illeciti, d'altra parte il termine disease mongering è spesso impropriamente utilizzato nell'ambito di diverse teorie del complotto portate avanti in campo medico. Un noto esempio sono le varie campagne contro le vaccinazioni che negano a priori i vantaggi concreti che l'introduzione delle vaccinazioni ha portato in campo medico. Non vi sono per contro esempi di farmaci inefficaci o dannosi che, alla lunga, non siano stati eliminati dal mercato. Casi analoghi al DM avvengono quando si propongono teorie prive di un inoppugnabile riscontro scientifico. Un esempio è dato dalla vendita di rimedi per la "disintossicazione" dell'organismo, oppure dall'ipotetica esistenza di malattie mai provate scientificamente, come per esempio la sensibilità chimica multipla o la malattia di Morgellons.

Origine della teoria del Disease Mongering
Lynn Payer nel 1992 coniò il termine Disease Mongering per descrivere la campagna pubblicitaria del collutorio Listerine della Johnson & Johnson contro l'alitosi. Va precisato che l'alitosi non è semplicemente uno stigma sociale immaginato, ma può derivare da un ampio spettro di condizioni mediche, condizioni che vanno da un'infezione batterica delle gengive a una insufficienza renale. Questa condizione oggi è riconosciuta dal consiglio scientifico della American Dental Association come "una condizione riconoscibile che merita attenzione professionale".
Secondo Lynn Payer «il disease mongering è la più insidiosa delle varie forme che l'educazione medica può assumere». Le tecniche che, secondo Payer, sfruttano e, in alcuni casi producono, queste errate percezioni sono:
  • Indicare normali aspetti della vita umana (spesso inventando nuove parole per descriverli) come anormali e quindi bisognosi di cure.
  • Definire una malattia in modo ambiguo, parlando di vaghe carenze e squilibri, in modo da poterla riferire a quante più persone possibili.
  • Creare dibattito riguardo una malattia influenzando l'opinione pubblica in senso negativo per poi presentare trattamenti di dubbia utilità, abusando di studi clinici ad hoc.
  • Abusare di statistiche e studi clinici per esagerare i benefici del trattamento e al contempo decantare assenza di effetti collaterali rilevanti.
Barbara Mintzes riassume diversamente questi aspetti:
  • Promuovere ansia nei consumatori sani rispetto al loro futuro stato di salute, gonfiando ad arte i dati inerenti al rischio di ammalarsi.
  • Promuovere trattamenti aggressivi e costosi per malattie e sintomi lievi o per comportamenti che in passato non venivano trattati per via farmacologica (ADHD).
  • L'introduzione di nuove diagnosi come PMDD (sindrome disforica premestruale) o disturbo d'ansia sociale, che sono difficili da distinguere dalle condizioni di vita normale.
  • Ridefinire le malattie in termini di esiti surrogati. Ad esempio, per la Mintzes l'osteoporosi diventa una malattia caratterizzata da bassa densità ossea piuttosto che da fratture dovute a fragilità ossea al fine di aumentare la vendita di Bifosfonati. In questo caso, la Mintzes ignora la definizione corretta di osteoporosi conclamata, di cui si parla solo in presenza di una frattura. La demineralizzazione ossea lieve viene definita osteopenia ed in una certa misura è considerata una normale conseguenza dell'invecchiamento.
Conflitto d'interessi privato/pubblico
L'articolo The Tragedy of the Commons (La tragedia dei beni comuni) del 1968 di Garrett Hardin dimostra che la massimizzazione del profitto individuale mette a repentaglio necessariamente il bene pubblico quando questo non trova una soluzione tecnica se non con un'estensione morale.
Con le politiche di deregolamentazione, dal 1980 l'industria farmaceutica ha cominciato a programmare una pipeline di R&D inerente farmaci utili per il miglioramento dello stile di vita. Conseguentemente a ciò si è notevolmente sviluppato il settore marketing che ha iniziato a produrre pubblicità rivolta ai consumatori finali e non solo come prima accadeva alla classe medica (questo tipo di farmaci è solitamente di libera vendita e difficilmente viene prescritto dai medici). I giornalisti hanno giocato e giocano un ruolo chiave per «stuzzicare l'appetito» del pubblico verso le notizie mediche, facendo da cassa di risonanza a ogni nuova scoperta e ai suoi trattamenti. Da tempo si osserva il tentativo in Europa di deregolamentare la pubblicità dei farmaci in modo simile a quanto accade negli Stati Uniti dove è ammessa la pubblicità anche di farmaci prescrivibili al paziente. In Europa e in Italia il destinatario della pubblicità dei farmaci di questo tipo è solo il sanitario.
I conflitti di interesse tra enti di ricerca (statali o privati), ricercatori e industria farmaceutica possono essere legati:
  • Ai guadagni finanziari che si possono ricavare dal partecipare alle sperimentazioni sponsorizzate dalle industrie farmaceutiche (le aziende farmaceutiche sovvenzionano uno studio sostenendo economicamente i ricercatori. Questo conflitto di interesse viene indicato all'inizio del paper citando il finanziamento ricevuto)
  • Alla possibilità di pubblicare le sperimentazioni promosse dalle industrie farmaceutiche con vantaggi per la propria carriera accademica. Va comunque ricordato che la carriera accademica è legata in minima parte al numero complessivo di pubblicazioni. Le valutazioni sull'operato di un ricercatore tengono conto più che altro del numero di citazioni che riceve, cioè del numero di volte che altri ricercatori riutilizzano (validandolo) il suo lavoro in altri studi
  • A vantaggi personali, come la partecipazione a conferenze, spesso in luoghi turistici, e/o viaggi di piacere. Tale aspetto, quantomeno in Italia, non si verifica più come negli ultimi decenni del Novecento poiché per legge le case farmaceutiche non possono elargire tramite gli informatori farmaceutici servizi in alcun caso o gadget pubblicitari di elevato valore economico
  • A vantaggi per l'istituzione, se nei loro bilanci quote significative di finanziamenti provengano dall'industria farmaceutica o grazie all'acquisto in comodato di attrezzature.
  • All'esclusione selettiva di organizzazioni o di strutture non in linea con le grandi multinazionali farmaceutiche, facendo venir meno loro i fondi. Un elemento molto forte di controllo è «la soppressione o la distorsione del dibattito sull'allocazione delle risorse».
Il conflitto di interesse tra consumatore/paziente e le grandi multinazionali del farmaco nasce tutte le volte che con la partecipazione a sperimentazioni cliniche sponsorizzate diventa più facile ottenere farmaci difficili da reperire. Ciò è vero soprattutto nei paesi in via di sviluppo, come dimostrato dal caso del contenzioso di Kano tra la Pfizer e lo stato nigeriano (Pfizer ha fornito gratuitamente un farmaco sperimentale a dei bambini malati di meningite invece del ben più noto e testato ceftriaxone. Il problema nasce dal fatto che Pfizer non ha spiegato ai genitori dei bambini che si trattava di una terapia sperimentale. La faccenda si è risolta con il pagamento di un risarcimento alle famiglie, il farmaco in questione viene tutt'oggi usato per curare alcune infezioni, di cui la meningite non fa parte).

Ruolo della stampa medica
Alcuni ricercatori francesi nel 1990 hanno rilevato che solo 41 paper esaminati su 141 erano scritti elencando correttamente i pro e i contro delle terapie. Le indicazioni terapeutiche erano assenti in 5 casi (3,5%), in 42 studi (29,8%) la pubblicità era esagerata, gli effetti collaterali non venivano menzionati in 37 paper (26,2%) e, allo stesso modo, le controindicazioni erano assenti da 30 (21,3%) e incomplete in 19 (13,5%) articoli. Gli autori della ricerca concludono sostenendo che: «è chiaro che le aziende farmaceutiche non sempre seguono un codice di comportamento etico e che spesso sfruttano la mancanza di controlli efficaci nei paesi in via di sviluppo».
I ricercatori della UCLA hanno studiato le pubblicità farmaceutiche valutandone la conformità alle norme della FDA e hanno rilevato che nel 30% le aziende usano in modo improprio la definizione di "farmaco di prima scelta." Il 32% dei titoli pubblicitariinduce in errore il lettore circa l'efficacia. Inoltre, nel 44% dei casi, i revisori hanno ritenuto che la pubblicità porterebbe prescrizioni improprie. I revisori non avrebbero pubblicato il 28% degli annunci e avrebbero richiesto importanti revisioni in un ulteriore 34% (38% approvato). Secondo un'altra ricerca, a causa delle pubblicità è possibile arrivare ad avere prescrizioni inappropriate nel 44% dei casi.
A Basilea in Svizzera una ricerca ha indicato che il 53% di tutte le affermazioni fatte dalla industrie farmaceutiche, pubblicate in importanti riviste scientifiche, non sono supportate dagli studi di riferimento o quando presenti sono citati sulla base di informazioni potenzialmente di parte. Gli autori dello studio concludono sostenendo che «i medici non dovrebbero fidarsi delle affermazioni, anche quando sembrano fare riferimento a studi scientifici.»
Un aspetto interessante è quello riferito alla pubblicazione di dati sperimentali prodotti dai lavori clinici pubblicati nelle riviste, legato a due problemi ampiamente noti della metodologia statistica:
  • Il problema della classe di riferimento (popolazione scelta, dimensione campionaria, metodiche di clusterizzazione)
  • La distinzione tra significatività statistica e clinica.
Inoltre, in alcuni casi le aziende farmaceutiche hanno avuto veri e propri contenziosi con le riviste mediche, si ricorda ad esempio il caso Pfizer vs New England Journal of Medicine.

Ruolo delle grandi Case farmaceutiche
Negli anni si è sviluppata una certa tendenza alla medicalizzazione di molte condizioni e al loro trattamento grazie all'offerta di nuove terapie farmacologiche e chirurgiche. In questo un ruolo decisivo lo avrebbero avuto le grandi multinazionali farmaceutiche:
«L'aumento di contatti tra i medici e l'industria farmaceutica è stato segnalato, anche se non esistono dati in letteratura per quanto riguarda i potenziali conflitti di interessi finanziari per gli autori di linee guida di pratica clinica (CPG). Queste interazioni possono essere particolarmente rilevanti poiché (le Linee Guida) CPGs sono progettate per influenzare la pratica di un gran numero di medici. [...] L'80% degli autori aveva una qualche forma di interazione con l'industria farmaceutica.»
(Choudhry NK1, Stelfox HT, Detsky AS.Relationships between authors of clinical practice guidelines and the pharmaceutical industry.JAMA. 2002 Feb 6;287(5):612-7.)
Le grandi multinazionali farmaceutiche sono accusate di usare negli approcci di marketing alcune strategie. Secondo Ray Moynihan, spesso, si cerca di rendere malattie minori o semplici disturbi (come la calvizie, la disfunzione erettile, la fobia sociale, la sindrome del colon irritabile e altre condizioni) patologie gravi da trattare in modo aggressivo. Jerry Avorn, un professore di medicina presso la Harvard University, pur critico con l'industria farmaceutica, scrive che bisogna fare attenzione a stigmatizzare la ricerca farmaceutica perché i progressi sono innegabili e bisogna evitare di vedere le malattie come una invenzione. «La verità sta da qualche parte nel mezzo».

Deterrenza delle sanzioni
I sostenitori della teoria del DM rimarcano la scarsa deterrenza delle sanzioni. Ad esempio, la Pfizer dal 1999 al 2006 è stata oggetto di 6 casi giudiziari nei quali si è dovuta difendere da diverse tipi di accuse. Questi casi hanno comportato per la Pfizer un risarcimento in indennizzi pari a un totale di 2.890.100.000 di $, di cui 715,4 milioni riguardano contratti col Governo Federale USA. Pfizer ha comunque ottenuto un vantaggio economico avendo venduto molte più confezioni dei suoi farmaci, con un ampio margine di profitto rispetto alle multe pagate. Ad esempio, con la vicenda Neurontin Pfizer ha realizzato circa 2 miliardi di $ di incasso con utilizzi off label contro i 430 milioni di $ di multa.
Nel 2010 della Newman BMJ, si legge che «il 2 settembre 2009 la Pfizer ha subito la più grande multa mai inflitta dal Dipartimento della Giustizia USA a una azienda farmaceutica. Una multa pari a 2,3 miliardi di $ per i farmaci: valdecoxib, ziprasidone, linezolid, e pregabalin». Il giorno dopo, il New York Times ha sottolineato che $ 2,3 miliardi corrispondono per Pfizer a meno di tre settimane di vendite.
Una possibile soluzione sembra essere quella di, in caso di abusi, far cessare la validità del brevetto in modo che il farmaco entri immediatamente in concorrenza con il generico, opzione questa molto temuta dalle aziende e che può erodere i guadagni delle grandi aziende farmaceutiche in modo ben maggiore rispetto a qualche multa che, spesso, viene intesa più come un costo di investimento che come un deterrente.

Esempi di Disease mongering
Strategia quantitativa: trattamento di un maggior numero di persone
Un esempio di questo fenomeno può essere l'indicazione all'uso di oscillococcinum (medicamento omeopatico composto interamente da zucchero prodotto dalla Boiron) nella prevenzione e nel trattamento del'influenza stagionale. L'azienda produttrice esorta i consumatori ad assumere il rimedio omeopatico anche in situazione di benessere per scongiurare il rischio di influenza ed eventualmente anche per trattarla dopo l'esordio. Allo stato attuale, in letteratura si ritiene che non ci sia alcuna evidenza che raccomandi l'uso di questa medicazione per trattare o prevenire l'influenza. Gli unici studi a favore dell'oscillococcinum sono stati finanziati dalla Boiron stessa e dichiarano apertamente il conflitto di interessi.
Secondo uno studio della popolazione Italiana, nell'arco di 1 anno il 57% della popolazione riferisce di aver avuto almeno un episodio a carattere influenzale. L'oscillococcinum è stato usato, per lo più come automedicazione, nel trattamento del 36% dei casi rendendolo di fatto il prodotto più venduto nel settore. Si noti come i medici generalmente non prescrivano farmaci per il trattamento diretto dell'influenza (perché non esiste nulla di provata efficacia), limitandosi a prescrivere terapie di supporto per alleviare i sintomi come ad esempio i mucolitici (55% delle prescrizioni mediche).

Strategia temporale: lucro sul tempo di trattamento
Un caso che ha fatto molto scalpore in Italia è stato lo scandalo dell'Avastin-Lucentis.
Avastin (bevacizumab), commercializzato dalla Roche (di cui Novartis possiede un terzo delle azioni) e Lucentis (ranibizumab), prodotto dalla Novartis, appartengono entrambi alla classe dei farmaci ad anticorpi monoclonali, hanno sostanzialmente lo stesso tipo di attività e lo stesso bersaglio (il VEFG) e vengono impiegati con successo nel trattamento della degenerazione maculare, retinopatia diabetica e altre patologie oculari; mentre Avastin veniva utilizzato nelle patologie oculari in off-label (essendo originariamente indicato per la cura di vari tipi di neoplasie), Lucentis era stato appositamente brevettato per il trattamento di queste ultime.
A seguito della proibizione dell'impiego dell'Avastin in off-label da parte dell'AIFA nel 2012, Lucentis divenne virtualmente il farmaco di elezione per il trattamento delle suddette patologie oculari, causando un aggravio sulle casse pubbliche, avendo un prezzo più alto di circa 60 volte (20 euro contro 1200 euro per mese di terapia) rispetto all'Avastin. Va evidenziato che la durata del trattamento delle patologie neoplastiche sia sensibilmente più limitata nel tempo (mesi) rispetto al trattamento delle patologie oculari per cui veniva impiegato il Lucentis (anni), obbligando quindi ad un maggior approvvigionamento di farmaci, che pertanto richiedono già di per sé una spesa maggiore sul lungo periodo.
Il fatto che Roche non avesse a suo tempo richiesto la certificazione per l'utilizzo dell'Avastin anche nelle patologie oculari fece supporre che le due case farmaceutiche avessero fatto cartello per indurre l'acquisto del Lucentis. A seguito dell'ostruzionismo mostrato dalle case farmaceutiche, chiaramente dovuto alla volontà di vendere ai pazienti il farmaco più costoso, nel 2014 la corte di giustizia europea ha multato Novartis e Roche per 180 milioni di euro (pari al loro fatturato di circa mezza giornata). Si stima che nel periodo tra il 2012 e il 2014 il blocco dell'utilizzo dell'Avastin in favore del Lucentis sia costato circa 1,2 miliardi di euro al sistema sanitario nazionale italiano.

Strategia qualitativa: nuova malattia
La campagna pubblicitaria riguardante i rimedi contro la cellulite di Somatoline Cosmetics è caratterizzata dallo slogan "la cellulite è una malattia", affermazione non vera da un punto di vista medico. La medicina considera la cellulite un inestetismo della pelle senza alcun significato patologico, considerando anche che la maggior parte delle donne sperimenta, nel corso della sua vita, questa condizione. Le pubblicità in cui si parla di cellulite in senso patologico hanno lo scopo di allarmare la consumatrice, facendole percepire un piccolo inestetismo come un grave problema, a cui porre rimedio tramite l'acquisto di prodotti di bellezza che, impropriamente, sono definiti farmaci dal pubblicitario. In questo modo, aziende che non lavorano nemmeno in ambito farmaceutico cercano di mercificare l'errata percezione delle malattie al solo scopo di incrementare i guadagni.

Casi di falsi Disease Mongering
Fra i vari casi di falso DM, in contrasto con le conclusioni della comunità scientifica, e legati a teorie del complotto, possono essere citati come esempio:
  • Le teorie sulla non esistenza dell'AIDS
  • Le teorie antivacciniste
  • Le teorie sull'ipertensione fisiologica (PA normale= 200-età)
  • Le teorie del complotto della mammografia
  • Le teorie del complotto sull'osteoporosi
  • Le teorie del complotto sulle statine


martedì 12 novembre 2019

Effetto Mozart

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L'effetto Mozart è una controversa teoria scientifica elaborata nel 1993 dai fisici Gordon Shaw e Frances Rauscher.
Secondo i due ricercatori l'ascolto della Sonata in re maggiore per due pianoforti (KV 448) di Wolfgang Amadeus Mozart avrebbe causato un temporaneo aumento delle capacità cognitive di un gruppo di volontari. Trentasei studenti furono suddivisi in tre gruppi e sottoposti a tre diverse condizioni di ascolto: il primo gruppo ascoltò musica easy listening, il secondo una sonata di Mozart, mentre il terzo rimase immerso nel silenzio. Subito dopo l'ascolto i tre gruppi furono sottoposti allo "Stanford-Binet", un test di intelligenza sul ragionamento spaziale. I risultati furono sorprendenti: il gruppo che aveva ascoltato Mozart prima del test ottenne un punteggio mediamente superiore di dieci punti rispetto agli altri.
Questo "effetto Mozart" infatti non persisteva nel tempo e aveva una durata di soli quindici minuti dopo l'ascolto. Pubblicato su Nature, questo esperimento venne poi contestato da numerosi altri articoli, in cui nessuno riuscì a riprodurre i risultati; questi vennero confermati esclusivamente da Rauscher e Shaw in un successivo articolo del 1997, pubblicato sul numero di Neurological Research del febbraio 1997; tuttavia nessuno in seguito ha mai potuto ripetere i risultati. In realtà questo studio venne frainteso: in effetti c'era stato un miglioramento nei risultati dei test, ma solo in quelli che stimolavano l'intelligenza spazio-temporale (esistono nove tipi di intelligenza differenti) e inoltre gli effetti erano transitori, persistendo solo per circa quindici minuti dopo l'ascolto. Molti divennero scettici e l'esperimento fu ritenuto da alcuni addirittura inattendibile per il fatto che non fu possibile verificarlo da altri ricercatori in successive prove.
Gli studi proseguirono e nel 1998 un autorevole studio condotto nel dipartimento di psicologia del Wisconsin dimostrò che in effetti la musica di Mozart aumentava temporaneamente l'intelligenza spazio-temporale. In particolare in questo studio per sessanta giorni si esposero gruppi di ratti all'ascolto di Mozart (la sonata K448), musica minimalista e silenzio; dopo l'esposizione furono sottoposti per cinque giorni a un test che consisteva nel ritrovare l'uscita da un labirinto e ciò risultò più facile per i ratti che avevano ascoltato Mozart. Si può quindi dire che gli studi condotti finora dimostrano che ascoltare la musica di Mozart, in particolare quella delle composizioni K488 e K448, aumenti sì l'intelligenza, ma solo temporaneamente e in particolare l'effetto riguarda quella spazio temporale, che è deputata all'analisi delle forme, della posizioni degli oggetti nello spazio e allo sviluppo del senso dell'orientamento, risultando così particolarmente utile per pittori e chirurghi.


 
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