mercoledì 5 febbraio 2020

Vitriol

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Col termine vitriol (dal latino medievale vitriòlum) nell'alchimia ermetica si fa riferimento a vari materiali di lucentezza vitrea, particolarmente forti e acidi come il vetriolo, l'acido solforico, o altro solfato metallico, utilizzato ad esempio come composto della polvere di simpatia.
Sul piano metaforico indica in realtà il procedimento alchemico della Grande Opera, che consiste nel dissolvimento degli aspetti più duri ed egoistici della persona, così come degli elementi fisici più grossolani, per ricomporli in forma nobile e giungere alla realizzazione della pietra filosofale.

Vitriol nell'alchimia

Il termine nasce anche come acronimo, V.I.T.R.I.O.L., formato dalle prime lettere di un celebre motto dei Rosacroce, comparso la prima volta nell'opera Azoth del 1613 dell'alchimista Basilio Valentino, espresso in lingua latina: «Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem», che significa «Visita l'interno della terra, operando con rettitudine troverai la pietra nascosta». La frase continuava alle volte con le parole Veram Medicinam, a indicare che la pietra è anche il «vero rimedio» per ogni malattia, in tal caso l'acronimo diventava VITRIOLUM.
L'espressione stava a indicare l'esigenza di scendere nelle viscere della terra, cioè negli anfratti oscuri dell'anima, per conseguire l'iniziazione, operando quella trasmutazione della materia nello spirito che avrebbe permesso di conseguire l'immortalità e riportare alla luce la sapienza, attraversando le diverse fasi dell'Opera alchemica, cioè nigredo, albedo, rubedo.
A tal fine occorreva appunto un acido come il vetriolo in grado di sciogliere anche la pietra più dura e provocare le trasformazioni più radicali. Spesso era simbolizzato da un leone verde intento a divorare il sole, capace cioè di disciogliere l'elemento più elevato e incorruttibile, conferendo un potere totale e illimitato.
Il colore verde era ciò che risultava dalla distillazione dell'acqua di vetriolo e dello zolfo, come testimonia un trattato arabo del XIII secolo:
«Si distilli il vetriolo verde in una cucurbita o in un alambicco, usando il fuoco come strumento; prendendo quanto ottenuto dal distillato lo si troverà chiaro con una sfumatura verdastra.»
(Epistola di Gàfar al-Ṣādiq sulla scienza dell'arte [alchemica])

Vitriol nella massoneria

La massoneria si è riappropriata dell'acronimo vitriol, facendone non solo un semplice invito al compimento di un percorso, ma anche un codice esoterico da decifrare per il conseguimento dell'iniziazione. La parola VITRIOL si trova impressa infatti sulla parete della camera oscura massonica, cioè del gabinetto di riflessione dove deve sostare il nuovo adepto prima di essere affiliato.

martedì 4 febbraio 2020

Ascendente

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L'ascendente, o Sole levante, in astrologia è il punto dello zodiaco che interseca l'orizzonte terrestre ad est al momento della nascita di un individuo, identifica quindi il segno zodiacale che stava sorgendo in quel momento. Ad esempio, una persona che nasce esattamente al sorgere del sole, con il Sole in quel giorno nel segno dei Gemelli, si dirà avere anche l'ascendente in Gemelli, essendo questo il segno che era in quel momento visibile all'orizzonte. Il simbolo usato generalmente per l'Ascendente è .

Descrizione

L'ascendente, nel sistema zodiacale delle case, è il punto di partenza, o cuspide, della prima casa, e il punto di partenza della suddivisione in case del cielo di nascita. La prima casa rappresenta l'aspetto dell'individuo, il modo in cui le altre persone ci vedono in superficie e gli occhi con cui noi ci relazioniamo con il mondo. In altre parole, l'ascendente è quello che noi chiamiamo "prima impressione", l'idea che noi diamo di noi stessi a chi ci guarda in modo superficiale o ci incontra per la prima volta.
Assieme al Sole (l'ego) e alla Luna (il nostro essere più profondo, il subconscio), l'ascendente è uno degli elementi più importanti nell'interpretazione di una carta natale e parte costitutiva fondamentale della personalità di un individuo. In particolare, l'importanza dell'ascendente è il modo in cui esso può esaltare, confondere o nascondere le caratteristiche del sole di nascita, a seconda della compatibilità o meno dell'elemento (fuoco, terra, aria, acqua) o qualità (cardinale, fisso, mobile) del segno zodiacale con quello dell'ascendente. L'influenza dell'ascendente può ancora subire ulteriori variazioni, dovute alla presenza di pianeti in prima casa o in aspetto con esso nel cielo di nascita. Inoltre, il pianeta governatore del segno in cui si trova la prima casa assume grande importanza nel tema natale, modificando certe caratteristiche dell'ascendente e rendendone a volte molto difficile l'interpretazione.
Generalmente si ritiene che alla prima casa corrisponda per analogia il segno dell'Ariete, il primo dello Zodiaco, e che quindi questa sia governata dal pianeta Marte, che ha in domicilio in Ariete e le cui caratteristiche di egocentrismo, le capacità di leader e di imposizione di se stessi si rispecchiano nella caratteristica della casa.

Calcolo

L'Ascendente, da un punto di vista astronomico, è il valore della longitudine eclittica geocentrica (detta semplicemente longitudine celeste λ) del punto dell'Eclittica che interseca ad Est la linea dell'orizzonte (altezza=0°) di una determinata località terrestre scelta come punto d'osservazione nell'istante in cui si osserva.
A S C = arctan ⁡ ( y / x ) = arctan ⁡ ( − cos ⁡ A / ( sin ⁡ A × cos ⁡ E + tan ⁡ L × sin ⁡ E ) ) {\displaystyle ASC=\arctan(y/x)=\arctan({-{\cos A}/({\sin A\times \cos E+\tan L\times \sin E}}))} {\displaystyle ASC=\arctan(y/x)=\arctan({-{\cos A}/({\sin A\times \cos E+\tan L\times \sin E}}))}
dove:
A = tempo siderale (o sidereo) locale espresso in gradi (dipende da data/orario e longitudine del luogo prescelto d'osservazione),
E = obliquità dell'Eclittica ovvero l'angolo formato dall'intersezione tra il piano dell'equatore terrestre (e celeste) ed il piano tra Sole e Terra su cui si svolge il movimento di rivoluzione terrestre (il piano eclittico). Con riferimento all'equinozio dell'epoca standard J2000.0 potete usare 23,4392911°.
L = Latitudine terrestre del luogo prescelto (positiva per l'emisfero boreale, negativa per l'emisfero australe)
Per risolvere le ambiguità riguardanti il corretto quadrante (tra 0° e 360°) del risultato del calcolo della funzione arcotangente, si possono usare le 2 regole seguenti:
(i) Se (x < 0) Allora ASC = ASC + 180
Altrimenti:
(ii) Se (y < 0) Allora ASC = ASC + 360
Infine, per individuare il valore riferito al punto ad Est sull'orizzonte (in cui il segno "sorge") possiamo usare quest'ultima regola:
(iii) Se (ASC<180) ASC = ASC + 180 Altrimenti ASC = ASC - 180
In alternativa all'uso di (i) e (ii) è possibile avere un risultato diretto di calcolo nel corretto quadrante utilizzando la funzione atan2(y,x) se presente nella vostra calcolatrice, foglio di calcolo o linguaggio di programmazione e quindi applicare la sola regola (iii). Porre comunque molta attenzione all'identificazione degli argomenti; ad esempio, in Excel la funzione verrebbe scritta come ATAN2(x;y) mentre la medesima in JavaScript va scritta Math.atan2(y,x).

lunedì 3 febbraio 2020

Anima del mondo

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L'Anima del mondo (nota anche in latino come Anima Mundi) è un termine filosofico usato dai platonici per indicare la vitalità della natura nella sua totalità, assimilata a un unico organismo vivente. Rappresenta il principio unificante da cui prendono forma i singoli organismi, i quali, pur articolandosi e differenziandosi ognuno secondo le proprie specificità individuali, risultano tuttavia legati tra loro da una tale comune Anima universale.

Descrizione generale

Questa concezione sembra essere nata sin dagli albori dell'umanità, e pur essendo di origine essenzialmente orientale, fu un tratto caratteristico del paganesimo o delle religioni animiste, secondo cui ogni realtà, anche apparentemente inanimata, contiene una presenza spirituale, collegata all'anima del tutto. Nel politeismo le divinità erano proprio espressioni personificate di queste forze o energie della natura, e concepite ad essa immanenti. L'Anima Mundi la si ritrova poi essenzialmente nelle più svariate espressioni del misticismo.
Si tratta di un concetto antitetico al meccanicismo: per quest'ultimo gli organismi sono il risultato della combinazione di più parti, originariamente separate tra loro, che unendosi accidentalmente costruiscono l'essere vivente. Questa teoria, nota come atomismo, era apparsa per la prima volta in Democrito, secondo cui tutta la realtà risulta composta di atomi, soggetti a leggi di causa-effetto; l'anima secondo Democrito non esiste, o meglio è qualcosa di puramente materiale, soggetta al divenire e alla morte. Questo determinismo meccanicista venne ripreso in età moderna da Newton e dall'empirismo anglo-sassone.
Rispetto a tale concezione, il modo di procedere dell'Anima del mondo risulta invece rovesciato: secondo i neoplatonici la vita non opera assemblando singole parti fino ad arrivare agli organismi più evoluti e intelligenti, ma al contrario parte da un principio unitario e intelligente da cui prendono forma le piante, gli animali, e gli esseri umani. È da questo principio universale che è possibile comprendere i singoli elementi della natura, non viceversa. Secondo il neoplatonismo, cioè, mentre su un piano materiale la vita procede orizzontalmente dagli esseri inferiori fino a quelli più evoluti, sul piano della coscienza l'intelligenza precede la materia, in un senso per così dire perpendicolare rispetto ad essa, dall'alto verso il basso.

L'Anima Mundi in Occidente

Platone nel Timeo, dialogo cosmologico, fu tra i primi a parlare di un'anima universale, ereditando questo concetto da tradizioni orientali, orfiche e pitagoriche. Secondo Platone il mondo è una sorta di grande animale, la cui vitalità generale è supportata da quest'anima, infusagli dal Demiurgo, che lo plasma a partire dai quattro elementi fondamentali: fuoco, terra, aria, acqua.
(EL)
«οὕτως οὖν δὴ κατὰ λόγον τὸν εἰκότα δεῖ λέγειν τόνδε τὸν κόσμον ζῷον ἔμψυχον ἔννουν τε τῇ ἀληθείᾳ διὰ τὴν τοῦ θεοῦ γενέσθαι πρόνοιαν»
(IT)
«Pertanto, secondo una tesi probabile, occorre dire che questo mondo nacque come un essere vivente davvero dotato di anima e intelligenza  grazie alla provvidenza divina.»
(Platone, Timeo, cap. VI, 30b – 30c)
Platone si oppose duramente alla visione atomista di Democrito, al punto da voler ridurre in cenere i suoi scritti. Fu tuttavia dissuaso dai pitagorici Amicla e Clinia, secondo cui distruggerli non sarebbe servito a nulla, essendo le opere di Democrito già ampiamente in circolazione. Tale episodio testimonia quanto fosse aspra nell'antica Grecia la polemica tra filosofi idealisti e materialisti.
Il concetto di anima del mondo trovò in seguito un corrispettivo nel Logos dello stoicismo, concepito in forma immanente come presenza del divino nelle vicende del mondo, ossia come συν-παθεία (syn-pathèia), sentimento di compassione che unifica la sfera soprannaturale con quella umana; in virtù di essa qualsiasi evento, anche minimo, si ripercuote su ogni altro. Venne poi fatto proprio da esponenti delle correnti gnostiche, esoteriche ed ermetiche dell'Età ellenistica.
Divenne infine un tema centrale nel sistema filosofico di Plotino, da questi identificata con la terza ipostasi nel processo di emanazione dall'Uno. L'Anima era da lui concepita con una doppia natura: per un verso essa è rivolta verso l'intelligibile, per un altro guarda verso il basso, cioè verso il mondo, disperdendosi nella molteplicità delle anime individuali (contaminate dalla materia), andando a costituire il loro fondamento vitale.
«Questo universo è un animale unico che contiene in sé tutti gli animali, avendo una sola Anima in tutte le sue parti.»
(Plotino, Enneadi, IV, 4, 32)
Secondo Plotino, il semplice è ciò che sta alla base della vita. Un essere vivente non può essere assimilato a un assemblaggio di più parti, perché se venisse spezzato morirebbe: se anche lo si ricomponesse, questo non gli ridarebbe la vita. Ciò avviene perché l'anima di un organismo è più di tutte le sue parti messe insieme: ogni organismo è un'unità, una totalità indivisibile, qualcosa di straordinariamente semplice pur essendo a prima vista composto. Questo "semplice" che sta alla base del composto non può essere un'entità materiale, perché qualunque oggetto esteso spazialmente può essere pensato diviso a metà, quand'anche non lo si riesca realmente a spezzare. Anche gli atomi non possono costituire il principio primo perché sono a loro volta potenzialmente divisibili. La vita dunque, secondo Plotino, nasce non da combinazioni atomiche ad essa esterne, ma da un principio interiore, semplice, e immateriale: appunto l'anima. La molteplicità di anime presenti nel mondo è a sua volta comprensibile solo ammettendo che tutte abbiano una comune origine. Secondo logica, infatti, non possono esistere più "Uno", perché in tal caso non sarebbero più Uno ma molti. L'Unità che sta a fondamento delle anime deve essere dunque la stessa per tutte. Questa unità è l'Anima del mondo, la quale a sua volta si fa veicolo delle idee platoniche negli organismi, andando a costituire la loro ragione formante o logos, in maniera simile ai caratteri genetici di un individuo (o al concetto aristotelico di entelechia).
«Da tutto quanto si è detto risulta che ogni essere che si trova nell'universo, a seconda della sua natura e costituzione, contribuisce alla formazione dell'universo col suo agire e con il suo patire, nella stessa maniera in cui ciascuna parte del singolo animale, in ragione della sua naturale costituzione, coopera con l'organismo nel suo intero, rendendo quel servizio che compete al suo ruolo e alla sua funzione. Ogni parte, inoltre, dà del suo e riceve dalle altre, per quanto la sua natura recettiva lo consenta.»
(Plotino, Enneadi, IV, 4, 45)
Tutto il sistema plotiniano trovava infine piena organicità nel postulare l'Uno assoluto, al di là delle stesse Idee. A tale principio trascendente e ineffabile, non spiegabile a parole, ci si può ricongiungere solo nell'estasi mistica.
Nonostante la sua visione monistica, nell'Anima del mondo postulata da Plotino (e fatta propria dai successivi filosofi neoplatonici) sussistevano le divinità del politeismo pagano, proprie della religione greca, le quali non erano viste in contrasto con l'Uno, essendo in fondo espressione di una medesima natura. L'Uno restava in sé trascendente, mentre le singole divinità erano concepite come forze immanenti al creato e partecipi della stessa Anima del mondo.



Nel Medioevo

La dottrina plotiniana, una volta depurata da questo aspetto pagano, poté facilmente essere assorbita dal cristianesimo, il quale analogamente, partendo da una visione spirituale della realtà, vedeva l'origine della vita in un principio unitario e intelligente. A differenza di Plotino, però, secondo cui l'anima genera esseri simili a sé in maniera inconsapevole, fino a disperdere la propria energia vitale fino agli organismi via via inferiori e meno evoluti, il Cristianesimo la vede in un'ottica finalistica e creazionista. Anche la concezione cristiana tuttavia rimane radicalmente antitetica al meccanicismo: nella Bibbia l'essere umano, il più evoluto dei viventi, è creato a immagine e somiglianza di Dio stesso. All'origine dunque non c'è la materia ma lo spirito; la vita può andare dagli organismi inferiori fino a quelli più intelligenti essendo già in essa contenuta tale intelligenza. Il principio che più si avvicinava a quello dell'Anima Mundi era lo Spirito Santo (concepito però non in forma vacua, ma come vera e propria Persona, la terza della Trinità), in quanto soffio vitale che spira dove vuole in piena autonomia. L'aspetto vitalistico del mondo sembra peraltro emergere dai Vangeli, là dove Gesù si rivolge agli elementi della natura, ad esempio gli alberi o il vento, come entità coscienti che a lui obbediscono.
La centralità dell'Anima Mundi permeò in particolare l'agostinismo, soprattutto in seguito al commentario del Timeo di Platone operato da Calcidio, che le attribuiva una «natura razionale incorporea». Se ne trovano cenni in Boezio, Dionigi l'Areopagita e Giovanni Scoto Eriugena. Nel XII secolo Pietro Abelardo la identificò esplicitamente con lo Spirito Santo. Divenne quindi un tema ampiamente sviluppato dai maestri della scuola di Chartres, come Teodorico e Guglielmo di Conches, i quali ammisero l'immanenza dello spirito nella Natura, concependo quest'ultima come una totalità organica e indipendente, oggetto di studi separati rispetto alla teologia. Dio, secondo Guglielmo, si era limitato a dare l'avvio alla creazione, dopodiché tutta l'evoluzione dei processi naturali andava spiegata sulla base di principi interamente fisici, che egli individuava nell'azione combinata dei quattro elementi (fuoco, terra, aria, acqua), senza bisogno che Dio intervenisse più.
(LA)
«Anima mundi est naturalis vigor rerum quo quedam res habent tantum moveri, quedam crescere, quedam sentire, quedam discernere. … Sed quit sit ille vigor queritur. Sed, ut mihi videtur, ille vigor naturalis est Spiritus Sanctus, id est divina et benigna concordia que est id a quo omnia habent esse, moveri, crescere, sentire, vivere, discernere
(IT)
«L'Anima del Mondo è un'energia naturale degli esseri per cui alcuni hanno soltanto la capacità di muoversi, altri di crescere, altri di percepire attraverso i sensi, altri di giudicare. […] Ci si chiede cosa sia quell'energia. Ma, come mi sembra, quell'energia naturale è lo Spirito Santo, cioè una divina e benigna armonia che è ciò da cui tutte le realtà hanno l'essere, il muoversi, il crescere, il sentire, il vivere, il giudicare.»
(Guglielmo di Conches, Glosse al Timeo di Platone)
Ammettendo quindi l'immanenza dell'Anima Universale nella natura, i filosofi di Chartres si avviavano verso una visione panteistica del creato. Contemporaneamente anche Tommaso d'Aquino parlava di un'Anima Mundi, causa della natura, che derivava "post aeternitatem" dalle Intelligenze (sussistenti "cum aeternitate"), le quali a loro volta discendevano dall'Uno o Bene, causa prima "ante aeternitatem". Nell'opera di Tommaso, che sull'argomento dedicò un trattato all'alchimia, l'attenzione rivolta agli aspetti vitali del mondo fisico resta comunque collocata entro una visione trascendente di Dio.

Nel Rinascimento

Nel Rinascimento, durante il quale si assistette ad una riscoperta dei testi neoplatonici, la nozione di Anima Mundi godette di particolare fortuna, legandosi agli elementi magici, alchemici ed ermetici propri della filosofia rinascimentale, collegati all'attività di personaggi come Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Gli alchimisti erano alla ricerca della pietra filosofale, per produrre la quale era necessaria la disponibilità del grande "Agente universale", o appunto Anima del mondo, altrimenti detta «Azoto», acronimo cabalistico che indicava la Luce astrale divina di cui ogni elemento della realtà si riteneva fosse permeato.
L'intero universo era allora concepito come un organismo vivente, popolato da presenze o da forze vitali. La filosofia neoplatonica, unita a quella cristiana, consentiva di vedere organicamente congiunti tutti i diversi campi del reale in virtù dell'amore che Dio irradia nel cosmo vivificandolo. L'amore di Dio era posto così a fondamento non solo della vita ma anche dell'ordine geometrico del mondo. La concordanza tra spirito e materia, eventi celesti ed eventi terreni, in quanto espressioni di un medesimo principio vitale, portò a una maggiore fiducia nell'astrologia e nella possibilità di predire il futuro tramite gli oroscopi. Questi erano concepiti al servizio di un uomo che guarda al futuro e intende ora intervenire attivamente nel corso degli eventi per mutarli.
«L'Anima mundi infatti, secondo i Platonici più antichi, per mezzo delle sue ragioni, ha costruito in cielo, oltre gli astri, le figure astrali e le parti delle figure, tali che esse stesse diventano figure; ed ha impresso in tutte queste figure determinate proprietà. … E precisamente essa ha posto in cielo quarantotto figure universali, cioè, dodici nello Zodiaco, trentasei fuori dello Zodiaco.»
(Marsilio Ficino, De vita, Biblioteca dell'Immagine, Pordenone 1991, III: De vita coelitus comparanda, 1, p. 207)
In questo clima culturale riemersero in alcuni casi, sotto certi aspetti, nuove tendenze paganeggianti. La concezione animista e immanente dello spirito poté tuttavia facilmente convivere con l'aspetto trascendente del Dio cristiano, sostituendo alle divinità pagane (inaccetabili per una religione monoteista) delle creature intermedie, come gli angeli o i santi protettori, preposti ognuno alla "giurisdizione" di un particolare aspetto o elemento della realtà, che risulta così da essi tutta animata.
Nel Cinquecento, il concetto vitalistico dell'Anima del mondo affiorò soprattutto in Giordano Bruno, il quale concepì Dio talmente immanente alla natura fino a identificarlo in toto con quest'ultima (panteismo); e in Tommaso Campanella, secondo cui tutti gli elementi della realtà sono senzienti, ovvero hanno una coscienza (sensismo). Nei secoli successivi, pur restando latente, esso venne tuttavia ostacolato dal diffondersi del meccanicismo e della scienza newtoniana. A questa si oppose nel Settecento soprattutto Goethe.

Dal Romanticismo al Novecento

Il concetto di Anima del mondo riemerse quindi nuovamente durante il Romanticismo, in Germania. In particolare Schelling riprese la concezione neoplatonica che vede il principio intelligente presente già nella natura in forme embrionali o potenziali. La natura, per Schelling, è un'«intelligenza sopita», uno «spirito in potenza». La natura non potrebbe evolversi fino all'uomo se non avesse già dentro di sé lo spirito divino. Gli organismi inferiori sono solo limitazioni o aspetti minori dell'unico organismo universale che nell'essere umano trova piena realizzazione. L'anima del mondo (Weltseele) diventa infatti pienamente autocosciente soltanto nell'uomo, che rappresenta così il vertice, il punto di passaggio dalla natura verso Dio, che in essa si riflette. Nella natura è presente dunque un evoluzionismo, un'intenzionalità finalistica, che si specifica in organismi via via più complessi a partire però da un principio semplice e assolutamente unitario.
Anche Schopenhauer, pur senza rendersene conto, utilizzò lo stesso concetto neoplatonico di Anima Mundi. Per lui infatti le singole anime degli individui sono espressione di un'unica Volontà di vita, che opera tuttavia in maniera inconsapevole, e solo nell'uomo può diventare cosciente di sé. Mentre in apparenza l'io individuale è separato dagli altri ed è spinto perciò verso un agire egoistico, al di sotto del velo di maya le anime sono in realtà tutte unite a formare una sola grande Anima.
Ancora in Bergson (filosofo del primo Novecento) il vitalismo venne contrapposto al meccanicismo. Bergson torna infatti ad affermare che la vita biologica, come del resto la coscienza, non è un semplice aggregato di elementi composti, riproducibile magari artificialmente. La vita invece è una continua e incessante creazione che nasce da un principio assolutamente semplice, non rieseguibile deliberatamente, né componibile a partire da nient'altro.
Sempre nel Novecento, il concetto di Anima del mondo è rintracciabile nel dannunzianesimo, dove prevale l'anelito all'unione panica con l'universo tramite la ricerca estetica e sensuale del bello. Riemerse ancora in Carl Gustav Jung, nella nozione di inconscio collettivo. In seguito, lo si ritrova sotto certi aspetti nel fenomeno della New Age.

Ebraismo

Nella tradizione ebraica, soprattutto nella Qabbalah, dove sono molte le concezioni affini a quelle filosofiche, anche Chaim Luzzatto si riferisce all'Anima Mundi nel suo testo Derech haShem illustrando la teoria del complesso di perfezionamento a cui le anime giungono dopo la morte, ormai slegate dal corpo: in questa condizione l'anima aderisce con maggior perfezione a Dio, giungendo senza i limiti della corporeità e della materialità alla spiritualità più pura, semplice e vera.
Chaim Luzzato allude con ciò al Gan Eden, detto anche Mondo futuro, corrispettivo messianico dell'Anima Mundi, o più in generale all'Aldilá. Precisando comunque che l'uomo deve perfezionarsi già in questo mondo, seppur in vista di quello spirituale da venire, egli accenna alla concezione profetica della resurrezione dei morti nell'era messianica quando anima e corpo vivranno tale perfezionamento in modo chiaro e spontaneo; ciò varrà soprattutto per gli Zaddiqim.

Nelle religioni orientali

Parallelamente alle forme con cui si è presentato in Occidente, il concetto di anima del mondo si è sviluppato in maniera simile anche in Oriente, presso le religioni asiatiche come il taoismo e l'induismo, dove analogamente prevale l'idea che l'universo sia animato da una forza compatta e unitaria: per l'induismo e le scuole ortodosse della filosofia indiana esso è l'Ātman, principio del Sé individuale e interiore, unito indissolubilmente a Brahman, principio del mondo esteriore. In Cina è il Tao, attività unificatrice del dualismo cosmico yin e yang nel quale essa stessa si polarizza, articolandosi secondo una visione armonica e organica dell'universo.

domenica 2 febbraio 2020

Astrologia islamica

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L'astrologia islamica, o Scienza degli astri (in arabo: ﺍﺣﻜﺎﻡ ﺍﻟﻨﺠﻮﻡ, Aḥkām al-nujūm, lett. "Decreti delle stelle"), nasce dall'accentuato interesse che gli Arabi preislamici avevano della volta stellata, in parte perché creazione di Allah, in parte perché - abituati a viaggiare di notte, sotto la volta stellata - essi riuscivano a orientarsi grazie agli astri e alle costellazioni visibili.
Dopo l'avvento dell'Islam, i musulmani avevano necessità di determinare il tempo per adempiere all'obbligo giornaliero delle preghiere canoniche, individuare la direzione della Kaʿba e il corretto orientamento per costruire le moschee, al cui interno è sempre presente un miḥrāb perché indichi la corretta qibla (direzione della Mecca). Tutto ciò contribuì a imprimere una formidabile accelerazione agli studi di astronomia, anche per il convincimento che i corpi astrali influenzassero in qualche misura il comportamento umano e le stesse condizioni dell'uomo. La scienza astrologica fu chiamata in arabo: علم النجوم, ʿIlm al-nujūm, "Scienza delle stelle": un termine non troppo differenziato rispetto a ʿIlm al-falak (in arabo: علم الفلك), con cui si volle indicare più precisamente lo studio astronomico, con le discipline matematiche ad esso connesse. I principi di questi studi trovavano la loro ispirazione nei consimili studi dell'antica Persia preislamica, in quella di Babilonia, nell'Ellenismo e nelle tradizioni dell'India.
Lungo tutto il periodo medievale, l'applicazione pratica dell'astrologia fu soggetta a profondi dibattiti di carattere filosofico da parte dei dotti musulmani e degli uomini di scienza.
Va comunque ricordato che i pronostici astrologici, malgrado la precarietà scientifica delle basi della disciplina, richiesero comunque conoscenze utili allo studio e allo sviluppo dell'astronomia.

Storia

L'astrologia islamica proseguirono lungo il solco tracciato a suo tempo dalle tradizioni di età ellenistica e romana, basate sull'Almagesto di Tolomeo. Centri di studio e insegnamento in medicina e astronomia/astrologia sorsero a Damasco e Baghdad, capitali califfali, e il califfo abbaside al-Mansur istituì un importante osservatorio astronomico e una famosa biblioteca (nell'ambito della Bayt al-Ḥikma) a Baghdad, facendone il principale centro astronomico del mondo. Al suo tempo, le conoscenze astronomiche ebbero un forte impulso e lo stesso astrolabio fu inventato da Muḥammad ibn Ibrāhīm al-Fazārī.
Gran parte dei nomi delle stelle derivano per questo dalla lingua araba.
Albumasar o Abū Maʿshar (805-885) fu uno dei più rinomati astrologi. Il suo trattato Introductorium in Astronomiam (Kitāb al-mudkhal al-kabīr ilā ʿilm aḥkām al-nujūm) parla di come "la sola osservazione delle grande diversità dei movimenti planetari può farci capire le innumerevoli varietà dei cambiamenti nel mondo". L'Introductorium fu uno dei primi libri a essere tradotto grazie all'ambiente spagnolo dei traduttori e a circolare in Europa nel Medioevo, influenzando grandemente la rinascita colà dell'astrologia e dell'astronomia.
I Persiani combinarono insieme le discipline mediche e astrologiche mettendo in correlazione le proprietà curative delle erbe con specifici segni zodiacali e pianeti. Marte, ad esempio, era considerato caldo e asciutto e si credette che esso condizionasse piante con sapore caldo o acre, come l'elleboro, il tabacco o la mostarda. Questi convincimenti furono fatti propri dagli erboristi come Culpeper fino allo sviluppo della medicina moderna.

sabato 1 febbraio 2020

Storia dell'astrologia

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Le credenze riguardanti la storia dell'astrologia, con le sue corrispondenze tra osservazioni della volta celeste (in specifico il cielo notturno) ed eventi terrestri, hanno influenzato variegati aspetti del passato (ma ben anche del presente) dell'essere umano; attraverso le sue visioni del mondo, un particolareggiato linguaggio nonché molti altri elementi della vita sociale e della cultura.
Tra i popoli indoeuropei l'astrologia è stata datata fin dal III millennio a.C., con le sue radici nei sistemi di calcolo calendariali utilizzati per prevedere i cambiamenti stagionali e conseguentemente per interpretare i cicli celesti come segni della comunicazione del divino all'uomo.
Fino al XVII secolo l'astrologia veniva considera secondo la tradizione una delle maggiori forme di erudizione, ed essa ha contribuito a guidare il primo sviluppo della storia dell'astronomia. È stata comunemente accettata sia negli ambienti culturali che politici, mentre alcuni dei suoi concetti fondamentali sono stati utilizzati anche in altre tipologie di studio tradizionale come l'alchimia, la medicina ed in seguito la storia della meteorologia.
Alla fine del XVII secolo, venendo sempre più ad emergere concettualizzazioni prettamente scientifiche nel campo dell'astronomia come ad esempio l'eliocentrismo, questi hanno irrimediabilmente minato a base teorica astrologica la quale ha poco dopo perduto la propria posizione accademica. Nel corso del XX secolo si è guadagnata una maggior popolarità tra i suoi consumatori anche e soprattutto attraverso l'influenza dei normali prodotti mediatici di massa, uno su tutti l'oroscopo pubblicato nei quotidiani.

Origini

L'astrologia, nel suo senso più ampio, è la ricerca di un significato umano-terreno presente in cielo; si cerca allora di capire il comportamento umano in generale, ma anche nel suo specifico, attraverso l'influenza su esso dei pianeti e di altri corpi celesti. Si è sostenuto che sia sorta come uno studio appena gli esseri umani hanno iniziato a fare dei tentativi coscienti di misurare, registrare e prevedere i cambiamenti stagionali con riferimento ai cicli astronomici.
La prova iniziale di tali pratiche appare come delle marcature su ossa e disegnata sulle pareti delle caverne, il che dimostra che i cicli delle fasi lunari venivano annotati fin dal 23-25 mila a.C.; il primo passo verso una registrazione dell'influenza della luna sul corso delle maree e sui fiumi, oltre che verso l'organizzazione di un calendario comune. Con la comparsa dell'agricoltura, durante la cosiddetta rivoluzione neolitica, nuove esigenze si sono via via manifestate, aumentando nel contempo anche la conoscenza riguardante le costellazioni le cui apparizioni nel cielo con il passare delle stagioni permettevano di fare certi collegamenti: il sorgere di un particolare gruppo di stelle era ad esempio indice dell'avvicinarsi delle inondazioni annuali o di una variazione dell attività stagionali.
A partire dal III millennio a.C., con la diffusione della civiltà, si era altresì sviluppata anche una sofisticata consapevolezza dei cicli terrestri e si ritiene che gli uomini abbiano consapevolmente orientato i propri edifici templari con il preciso intento di creare un allineamento con i moti eliaci delle stelle. Vi sono prove sparse che suggeriscono il fatto che i più antichi riferimenti astrologici conosciuti sono copie di testi realizzati durante questo periodo; due di essi, tratti dalla Tavoletta di Venere di Ammi-Saduqa (compilata a Babilonia attorno al 1700 a.C.) sono considerati come esser stati prodotti durante il regno di Sargon di Akkad (2334-2279 a.C).
Un altro, con un uso precoce dell'astrologia elettiva, viene attribuita al regno del sovrano del popolo dei Sumeri Gudea di Lagash (circa 2144-2124 a.C.). Una sezione di tal documento illustra di come gli déi abbiano rivelato a lui solo in sogno la disposizione - e quindi il momento più favorevole - delle costellazioni adatta per la costruzione di un tempio.
Purtuttavia sussistono dubbi sulla questione riguardante il fatto se queste indicazioni fossero state effettivamente registrate nel momento, o più semplicemente attribuite ad antichi sovrani dai posteri. La più antica testimonianza indiscussa dell'uso dell'astrologia come un sistema integrato di conoscenza è quindi attribuita alle annotazioni che emergono da quella definita col nome di età neo-sumerica (1950-1651 a.C.).

Mondo antico

Quello babilonese è stato il primo sistema organizzato di astrologia, che sorse nel II millennio a.C.; si ipotizza prò che una qualche forma di studio astrologico possa altresì essere sorta tra i sumeri durante il periodo di Uruk nel III millennio a.C., ma i riferimenti isolati ad antichi presagi celesti datati a questo periodo non sono considerati elementi di prova sufficienti a dimostrare una teoria integrata dell'astrologia per quanto riguarda quel popolo.
La storia dell'apprendimento della divinazione celeste è quindi generalmente convenuto come esser cominciato con i testi del tardo periodo della prima dinastia babilonese (1.800 a.C.), proseguendo poi attraverso il loro medio regno e nel corso del periodo di dominazione da parte degli assiri (1.200 a.C.).
Con il XVI secolo a.C. il largo impiego dell'astrologia era per lo più basato sull'interpretazione dei presagi, ciò può essere evidenziato nella compilazione di un lavoro globale conosciuto come Enuma Anu Enlil; il suo contenuto consisteva in più di 70 tavolette in scrittura cuneiforme e comprendenti 7 mila presagi celesti. I testi di questo periodo si riferiscono anche all'esistenza di una tradizione orale consolidata, le cui origini e i relativi contenuti possono essere solo ipotizzati.
In questo lasso temporale l'astrologia babilonese era soprattutto d'intento mondano, volta e maggiormente interessata cioè alla previsione dei tempi più propizi agli atti umani e verso questioni di tipo politico; fino al VII secolo a.C. poi la comprensione della pratica astronomica era piuttosto rudimentale. Solamente a partire dal IV secolo a.C. i loro metodi matematici avevano progredito abbastanza per poter calcolare le posizioni planetarie future con ragionevole accuratezza; a quel punto ampie effemeridi cominciarono ad apparire.
L'astrologia babilonese si è sempre più sviluppata nel contesto della divinazione, una raccolta di 32 tavolette risalente a circa il 1.875 a.C. rappresentano i più antichi testi dettagliati noti di divinazione tra i babilonesi, e questi dimostrano lo stesso formato interpretativo di quello impiegato nelle analisi dei presagi celesti. Nelle tavolette erano inscritti i risultati dello studio del fegato dell'animale sacrificato per l'occasione; le eventuali macchie e segni particolari ritrovati su di esso venivano interpretati come messaggi simbolici provenienti dagli Déi e diretti al sovrano.
I babilonesi credevano inoltre che le varie divinità si presentassero nelle immagini celesti dei pianeti e delle stelle con i quali erano stati associati. Presagi celesti negativi collegati ad un certo pianeta erano quindi veduti come segni d'insoddisfazione o ira del dio che quel dato pianeta rappresentava. Le indicazioni ricavate dal presagio erano soddisfatte con i tentativi volti a placare il dio e rinvenire così una modalità gestibile con cui l'espressione del dio potesse essere realizzata senza per questo incorrere in un danno troppo elevato per il re e la sua nazione.
Un importante rapporto astronomico consegnato al re Esarhaddon riguardante un'eclissi lunare verificatasi nel mese di gennaio del 673 a.C. mostra come l'uso rituale di "re o eventi sostitutivi", combinati con una fede cieca nella magia e nei presagi in una prospettiva puramente meccanica; il punto di vista cioè che l'evento astrologico dovesse avere un qualche tipo di correlazione considerevole all'interno del mondo naturale: ... All'inizio dell'anno un diluvio verrà a rompere le dighe. Quando la Luna ha fatto l'eclissi, il re, mio signore, dovrebbe scrivere a me. Come sostituto per il re, voglio passare attraverso una diga, qui a Babilonia, nel bel mezzo della notte. Nessuno potrà sapere.
Ulla Koch-Westenholz, nel suo libro del 1995 "L'astrologia mesopotamica", sostiene che questa ambivalenza tra una visione del mondo teistica e al tempo stesso estremamente meccanicistica definisce il concetto babilonese di divinazione celeste come quella che, nonostante la sua pesante dipendenza dalla magia, rimane privo di implicazioni di punizioni mirate con lo scopo di vendetta, e così "condivide alcuni dei tratti che definiscono anche la scienza moderna: è oggettivo e privo di valore, opera secondo regole note, e i suoi dati sono considerati universalmente validi ed infine può essere consultata in tabulazioni scritte".
Koch-Westenholz stabilisce anche la distinzione più importante tra l'antica astrologia babilonese e le altre discipline divinatorie, come è che il primo è stato originariamente esclusivamente occupato di astrologia mondana, essendo geograficamente orientata e specificamente applicato ai vari paesi, città e nazioni, e quasi del tutto interessato al benessere dello stato e del re come capo di governo del proprio popolo. L'astrologia mondana è quindi conosciuta per essere uno dei più antichi rami dell'astrologia. È stato solo con la progressiva comparsa dell'astrologia oroscopica, dal VI secolo a.C. in poi, che l'astrologia ha sviluppato le tecniche e la pratica di astrologia del tema natale.

Egitto ellenistico

Nel 525 a.C. la terra d'Egitto venne conquistata dai Persiani, dando così vita al periodo tardo dell'Egitto, ed è quindi probabile che vi sia stata una certa influenza mesopotamica sull'astrologia egiziana. Argomentando a favore di questo lo storico Tamsyn Barton dà un esempio di quella che sembra essere l'influenza mesopotamica sullo zodiaco egizio con il quale vi era la condivisione di due segni zodiacali, quello della Bilancia (astrologia) e quello dello Scorpione (astrologia), come viene evidenziato nello zodiaco di Dendera risalente al I secolo a.C. (mentre nella versione greca la Bilancia era conosciuta come parte degli artigli dello Scorpione).
Dopo l'occupazione da parte di Alessandro Magno nel 332 a.C. l'intero Egitto persiano passò sotto il dominio e l'influenza dell'ellenismo. La città di Alessandria d'Egitto venne fondata dal conquistatore macedone poco dopo e durante tutto il III e II secolo a.C. gli innumerevoli studiosi ivi residenti furono anche prolifici scrittori di astrologia; ed è proprio nell'Alessandria tolemaica l'astrologia babilonese si mescolò con la tradizione egizia dei Decani per creare l'astrologia oroscopica: questa comprendeva lo zodiaco babilonese col suo sistema di esaltazione (astrologia) dei pianeti, triplicità dei segni e l'importanza data alle eclissi. Insieme a tutto ciò incorporò anche il concetto egizio di dividere lo zodiaco in 36 decani di 10 gradi ciascuno, con l'accento posto sul decano crescente, il sistema greco di divinità planetarie, la sovranità dei segni e i quattro elementi.
I decani erano un sistema di misurazione del tempo secondo le costellazioni ed erano guidati da Sothis o Sirio. I moti dei decani nel cielo sono poi stati utilizzati per suddividere la notte in ore; il sorgere di una costellazione poco prima dell'alba (il suo sorgere o levata eliaca) veniva così considerata l'ultima ora prima del giorno: nel corso dell'anno ogni costellazione appariva appena prima dell'alba per dieci giorni. Quando divennero parte integrante dell'astrologia nell'età ellenistica, ogni decade venne associata con circa dieci gradi zodiacali; vari testi risalenti al II secolo a.C. pervenutici sono relativi alle posizioni dei pianeti nei segni zodiacali al momento del sorgere di alcuni decani, in particolare il succitato Sirio.
Particolarmente importante per lo sviluppo dell'astrologia oroscopica è stato l'astrologo e astronomo Claudio Tolomeo che visse proprio ad Alessandria d'Egitto; con la sua opera intitolata Tetrabiblos ha posto le basi della tradizione astrologica occidentale e, come fonte di riferimento durante i secoli seguenti, si dice che "ha goduto quasi dell'autorità di una bibbia per gli studiosi di astrologia per più di mille anni". Questo è stato inoltre uno dei primissimi testi astrologici fatti circolare nell'Europa medievale, dopo essere stato tradotto dall'arabo al latino da Platone Tiburtino in Spagna nel 1138.
Secondo Firmico Materno (IV secolo) il sistema dell'astrologia oroscopica risalirebbe ad un faraone egizio di nome Nekaub ed al suo sommo sacerdote Petosiris. I testi dell'ermetismo (filosofia) sono stati anch'essi raccolti e conservati in questo stesso lasso di tempo e Clemente Alessandrino, scrivendo a riguardo dell'epoca dell'antica Roma, sottolinea il grado in cui gli astrologi si attendevano di aver la dovuta conoscenza dei testi nella sua descrizione dei riti sacri egizi: "Questo è principalmente dimostrato dal loro sacro cerimoniale. Per primo giunge il cantore, recante alcuni dei simboli della musica. Perché dicono che egli deve imparare due dei libri di Ermete Trismegisto, quelli in cui sono contenuti gli inni degli dei, in secondo luogo le regole previste per la vita del re. E dopo avanza l'astrologo, con un misuratore del tempo in mano, e una palma, i simboli dell'astrologia. Deve avere i libri astrologici di Ermete, che sono in numero di quattro, sempre in bocca."


Grecia e Roma

La conquista dell'Asia da parte di Alessandro Magno espose i Greci alle culture e alle idee cosmologiche siriane, babilonesi, persiane e dei popoli dell'Asia centrale. La lingua greca antica soppiantò lo scrittura cuneiforme come lingua internazionale della comunicazione e trasmissione intellettuale e parte di questo processo ha coinvolto anche gli scritti astrologici.
Intorno al 280 a.C. Berosso, un sacerdote del dio Marduk proveniente da Babilonia, si trasferì nell'isola greca di Cos con l'intento d'insegnare l'astrologia e la cultura babilonese agli antichi Greci; fatto questo che lo storico Nicholas Campion definisce come "l'energia innovativa" che in campo astrologico si trasferì verso ovest, in direzione del mondo ellenistico della Grecia e dell'Egitto.
Secondo Campion, l'astrologia che è arrivata dal mondo orientale si è caratterizzata per la sua complessità, con differenti forme emergenti. Con il I secolo a.C. esistevano due varietà di astrologia: una la quale richiedeva la lettura di oroscopi al fine di stabilire i dettagli precisi sul tempo non solo passato e presente, ma anche futuro; l'altra era invece teurgica la quale sottolineava la risalita dell'anima in direzione delle stelle. Anche se non si escludevano a vicenda, la prima dava le informazioni richieste sulla vita attuale, mentre la seconda si occupava più della trasformazione personale e qui l'astrologia serviva come forma di dialogo con il divino.
Come per molte altre cose, l'influenza greca ha svolto un ruolo fondamentale nella trasmissione della teoria astrologica all'antica Roma; tuttavia i nostri primi riferimenti che dimostrano il suo arrivo a Roma rivela che l'influenza iniziale avuta è stata sugli ordini più bassi della società, con la preoccupazione mostrata nei confronti di un ricorso acritico alle idee dei babilonesi sull'osservazione delle stelle. Tra i Greci e i Romani, la regione di Babilonia, nota anche come terra di Caldea è venuta così ad identificarsi con l'astrologia (la "saggezza caldea"), fino a diventare un sinonimo comune per indicare la divinazione attraverso l'utilizzo dei pianeti e delle stelle.
Il primo riferimento preciso all'uso dell'astrologia d'origine orientale in territorio romano ci viene dall'opera dell'oratore Marco Porcio Catone (detto "il Vecchio") il quale nel 160 a.C. compose un trattato avvertendo dei pericoli insiti nella consulenza che certi strati della popolazione richiedeva proprio all'astrologia dei Caldei e richiedendo a tal proposito una sorveglianza attiva.
Il poeta romano del II secolo Giovenale, nel suo attacco satirico sulle abitudini delle donne romane (nella sesta delle sue Satire, lamenta anche la forte e pervasiva influenza che ha su di loro la "scienza dei caldei"; nonostante il loro status sociale umile questi detengono sulle donne un certo potere in quanto esse "bevono ogni parola pronunciata dall'astrologo... al giorno d'oggi nessuno di loro viene più messo in catene", bensì è onorato e riverito.
Uno dei primi ad aver portato l'astrologia ermetica in terra romana fu Trasillo di Mende il quale operò come astrologo di corte per l'imperatore romano Tiberio; ma questi non sembra esser stato il primo a chiedere consulti agli astri in quanto già il suo predecessore Augusto aveva usato l'astrologia come aiuto per legittimare i propri diritti imperiali quale diretto successore di Giulio Cesare.

Mondo islamico

L'astrologia venne ripresa con entusiasmo dagli studiosi islamici a seguito della caduta di Alessandria d'Egitto nelle mani degli invasori arabi nel corso del VII secolo e poi con la fondazione del Califfato abbaside nell'VIII secolo: il secondo califfo, Al Mansur (754-775), fondò la città di Baghdad per fungere da centro di apprendimento ed includendovi un punto di raccolta e traduzione noto come "Bayt al-Hikma" (Casa della Sapienza) il quale continuò a svilupparsi con i suoi eredi e finendo per dare un importante impulso per le traduzioni arabe-persiane dei testi astrologici ellenistici.
I primi traduttori, incluso Masha'allah ibn Athari (750-815) il quale contribuì ad eleggere il "tempo più propizio" per la fondazione di Baghdad, e Sahl ibn Bishr (786-845), i cui testi sono stati direttamente influenti sui successivi astrologi europei come Guido Bonatti nel XIII secolo e William Lilly nel XVII secolo{{Cita|Houlding (2010) Ch. 6: 'Historical sources and traditional approaches'; pp.2-7.</ref>. La conoscenza dei testi arabi ha incominciato a divenire maggiormente importante in terra europea durante le Traduzioni nell'Occidente latino durante il XII secolo il cui effetto più prossimo fu quello di aiutare ad avviare il Rinascimento europeo.
Tra i nomi più importanti degli astrologi arabi, uno dei più influenti fu Abu Ma'shar al-Balkhi (Albumasar, 787-886) la cui opera "Introductorium in Astronomiam" in seguito divenne un trattato popolare in tutta l'Europa medievale. Un altro autore molto ben conosciuto divenne il persiano Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi (VIII-IX secolo, matematico, astronomo, geografo ed astrologo). Gli arabi aumentarono notevolmente la conoscenza dell'astronomia dell'epoca in occidente e molti dei nomi dati alle stelle comunemente noti al giorno d'oggi, come Aldebaran, Altair, Betelgeuse, Rigel e Vega conservano l'eredità della loro lingua d'origine.
Essi hanno inoltre sviluppato anche l'elenco dei "lotti" ellenistici nella misura in cui essi divennero universalmente noti come parti arabe, per cui si è spesso a torto sostenuto che gli astrologi arabi inventarono il loro utilizzo, mentre sono chiaramente noti per essere stati una delle caratteristiche maggiormente importanti dell'astrologia ellenistica.
Durante il progresso della scienza islamica alcune delle pratiche astrologiche vennero confutate su basi teologiche da astronomi come al-Farabi (870-950), Alhazen (965-1039) e Avicenna. Le loro critiche sostennero che i metodi degli astrologi erano congetturali piuttosto che empirici, oltre che ad essere in conflitto con il punto di vista ortodosso religioso degli ʿulamāʾ (gli studiosi dell'Islam), attraverso una qual suggestione che vorrebbe la volontà divina esser conosciuta con precisione e pertanto prevista in anticipo.
Tali confutazioni interessarono principalmente l'astrologia giudiziaria (come l'astrologia oraria) piuttosto che l'astrologia medica e mereologica, considerate queste ultime rami naturali e parte integrante delle scienze del tempo. Ad esempio la "confutazione contro l'astrologia" (Resāla fī ebṭāl aḥkām al-nojūm) di Avicenna argomenta contro la pratica astrologica pur sostenendo invece il principio dei pianeti nella loro qualità di agenti della causalità divina, tesi quindi ad esprimere il potere di Dio sopra la creazione intera. Avicenna ritenne che il movimento dei pianeti assume un'influenza deterministica sulla vita terrena, ma sostenne anche la propria contrarietà nei confronti della presunta capacità di determinare l'esatta influenza astrale. In sostanza Avicenna non ha confutato il dogma essenziale dell'astrologia, ma ha bensì negato la nostra capacità di comprendere esattamente attraverso previsioni astrologiche, precise e fataliste, la volontà divina.

Medioevo e rinascimento europeo

Mentre l'astrologia in tutto l'Oriente fiorì in seguito al crollo del mondo romano antico, con influenze indiane, persiane ed islamiche che si compenetrano in fase di revisione intellettuale attraverso un attivo investimento nei progetti di traduzione, l'astrologia occidentale nello stesso periodo era divenuta "frammentaria e non sofisticata... in parte a causa della perdita dell'astronomia scientifico-filosofica greca ed in parte anche a causa delle condanne espresse dalla Chiesa".
Le traduzioni di opere arabe in latino iniziarono a fare la loro comparsa in territorio spagnolo verso la fine del X secolo, e nel corso del XII secolo la trasmissione d'ingenti lavori astrologici dall'Arabia verso l'Europa "acquisì grande impulso". Entro il XIII secolo l'astrologia era diventata una parte della pratica medica quotidiana in terra europea; i medici combinavano la medicina galenica (ereditata dal fisiologo Greco Galeno) con gli studi delle stelle. Entro la fine del '500 poi in tutta Europa essi erano tenuti per legge a calcolare la posizione della luna prima d'effettuare procedure mediche complesse, come operazioni chirurgiche o salassi.
Opere influenti del XIII secolo sono quelle del monaco britannico Giovanni Sacrobosco e dell'astrologo italiano Guido Bonatti; quest'ultimo servì i governi comunali di Firenze, Siena e Forlì ed agì come consulente di Federico II di Svevia. Il suo libro di testo astrologico intitolato Liber Astronomiae ('Libro dell'Astronomia') e scritto attorno al 1277 aveva fama di essere "il più important lavoro astrologico prodotto in latino nel XIII secolo".
Il poeta fiorentino Dante Alighieri ha immortalato Bonatti nella sua Divina Commedia (inizio XIV secolo) e da lui inserito nell'VIII cerchio dell'Inferno, luogo in cui coloro che divinano il futuro son costretti ad avere la testa rovesciata all'indietro.
Nell'Europa medievale la formazione universitaria veniva suddivisa in sette aree distinte, ciascuna rappresentata da un particolare pianeta e conosciute come le arti liberali; Dante attribuiva queste arti ai pianeti. Come le arti erano viste nella loro qualità di opere in ordine crescente, così come lo sono i pianeti in ordine di velocità planetario decrescente: la grammatica venne assegnata alla Luna, il corpo celeste più veloce in movimento, la dialettica a Mercurio, la retorica a Venere, la musica al Sole, l'aritmetica a Marte, la geometria a Giove e l'astrologia/astronomia al corpo in movimento più lento conosciuto allora, ovvero Saturno.
Gli scrittori medioevali utilizzavano il simbolismo astrologico nei loro temi letterari.



venerdì 31 gennaio 2020

Genio

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Per genio, dal latino genius, sostantivo derivato dal verbo geno ("generare", "creare"), quindi "forza naturale produttrice", si intende quella speciale attitudine naturale atta a produrre opere di importante rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale. Tale disposizione naturale può anche essere portata alla luce con l'educazione, ma difficilmente può essere trasmessa ad altri (i figli o i discepoli dei geni molto raramente eguagliano i padri o i maestri). Il termine genio può anche genericamente indicare la persona stessa in possesso di tale eccezionale abilità.
Del genio tratta quella branca della filosofia che si occupa dell'estetica.

Storia della parola
Nel corso dei secoli, la parola genio ha assunto significati e valenze molto diverse.
In latino genium ha la medesima radice di ingenium, ingegno appunto, ovvero acutezza d'intelletto, a cui si contrappone invece lo studium, le capacità acquisite con un impegno lungo e laborioso.
Nel Rinascimento il genio è chi, dotato di "multiforme ingegno", giganteggia sul resto dell'umanità per le sue capacità insieme artistiche e scientifiche. Tipica la figura di Leonardo da Vinci, prototipo dell'intelligenza geniale.
Nei secoli XVII e XVIII, l'ammirazione e stupefazione per le scoperte scientifiche fa sì che si torni ad intendere il genio come nell'accezione rinascimentale, per cui il termine si associa a campi del sapere, genio scientifico, matematico, filosofico ecc. non più attinenti a quello specificatamente artistico che sottolineavano in passato la spontaneità del creatore:
(LA)
«poeta nascitur»
(IT)
«poeta si nasce»
Nella definizione e nell'esaltazione del genio si sono succedute, nel corso delle epoche storiche, varianti e forme diverse: se i più moderati si rivelarono i pensatori razionali illuministi, nel periodo romantico si accostò il genio al 'divino'. Se gli Inglesi del Settecento diffidano soprattutto della libertà del genio e quindi tendono a disciplinarlo perché non deve prescindere interamente dalle regole, in Germania si arriva alla religione del genio e Wieland definisce il genio sia un angelo sia un demone, mentre Lessing lo accosta alla natura in continuo atto di perfettibilità.

La concezione del genio in Kant
Immanuel Kant elabora la sua concezione del genio nell'opera Critica del Giudizio, ma già precedentemente, in appunti personali e lezioni universitarie in cui discuteva in particolare le teorie dello Essay on Genius (1774) di Alexander Gerard, aveva osservato come nel campo della ricerca scientifica la scoperta d'importanti verità scientifiche non possa essere attribuita al genio, ma sia opera di una «mente spesso grande». Nella scienza, infatti, la scoperta o invenzione, come la chiama Kant, è il risultato di un metodo, scoperto o inventato certamente da una grande mente, ma che può essere insegnato e quindi appreso e imitato.
L'imitazione, però, non ha niente a che fare con la produzione artistica geniale che non segue metodi o regole scientifici, ma si fonda su regole che provengono dalla natura:
«Il genio è il talento (dono naturale) che dà la regola all'arte. Poiché il talento, come facoltà produttiva innata dell'artista, appartiene esso stesso alla natura, ci si potrebbe esprimere anche così: il genio è la disposizione innata dell'animo (ingenium), mediante la quale la natura dà la regola all'arte.»
L'artista, proprio in quanto genio e non scienziato, non sa che cosa l'ha portato a creare la sua opera:
«...nessun Omero, nessun Wieland può mostrar come facciano a sorger ed a comporsi nel suo cervello le sue idee, ricche sia di fantasia che di pensiero; perché, non sapendolo egli stesso, neppure può insegnarlo ad altri.»
Nell'arte bella, osserva Kant, non ci sono regole e imitatori, o meglio le regole sono nella natura stessa dell'artista, nelle sue capacità innate che agiscono spontaneamente, al contrario dell'arte meccanica, che produce la sua opera dopo un lavoro d'insegnamento e apprendimento.
L'artista geniale è colui che può costituire con la sua opera il modello a cui ispirarsi per altri in cui il genio è latente o, addirittura, la formazione di una scuola, non d'imitatori, ma di artisti originali e spontanei che seguano il suo esempio di capostipite della corrente artistica (esemplarità del genio):
«...i prodotti del genio devono essere anche modelli, cioè esemplari; quindi, senza essere essi stessi frutto di imitazione, devono servire a tal scopo per gli altri, cioè come misura o regola del giudizio.»
L'originalità dell'arte quindi si deve sempre accompagnare a queste regole non scritte, altrimenti si cadrebbe nella stravaganza e nel capriccio.
Per questo, Kant sostiene che il genio è la felice sintesi di immaginazione e intelletto, di spontaneità e regole non scritte, per cui l'artista gode di un'assoluta libertà creativa dove l'intelletto è presente ma non più come costrizione razionale, come avviene nel campo della conoscenza, ma come capacità di realizzare l'opera secondo il proprio naturale gusto estetico.
Per questo, l'opera d'arte è insieme la sintesi di necessità e libertà. Per quanto libera e geniale sia infatti l'ispirazione dell'artista, egli dovrà tuttavia fare i conti con le rigide regole del mondo della natura. Per quanto libera sia la sua ispirazione ed originale sia il materiale da lui usato per creare l'opera, esso tuttavia dovrà pur sempre rispondere al rigido meccanicismo delle leggi della natura.

Il genio nella filosofia post-kantiana
In Friedrich Schelling l'arte del genio è la suprema forma del sapere, capace di cogliere spontaneamente l'Assoluto nella sua "unità indifferenziata" di Natura e Spirito. Nella sua opera giovanile più famosa, il Sistema dell'idealismo trascendentale, l'arte è addirittura collocata al culmine del suo sistema filosofico come punto di fusione di Natura e Ragione: per questo l'Idealismo di Schelling sarà detto estetico. Nel suo pensiero più maturo, già a partire dalle lezioni sulla Filosofia dell'arte (1802) o sul Metodo degli studi accademici (1803), essa viene però ricondotta al disotto della Filosofia, che ne comprende razionalmente la funzione sintetica.
Il genio, l'immaginazione, la spontaneità vengono liquidate da Hegel come "romantiche fantasticherie"; solo le competenze tecniche e un bagaglio di esperienze ed emozioni intellettualmente governate, rendono l'opera veramente artistica. Hegel distingue tra genio e talento. Quest'ultimo sarebbe la capacità tecnica che si esprime in un particolare campo; quello che comunemente si dice "bravura" e, mentre il genio si accompagna sempre al talento, questi può essere presente anche da solo
Per Arthur Schopenhauer, il genio è la "direzione oggettiva dello spirito" e contempla le idee prodotte dalla volontà; l'accesso alla volontà è dunque mediato e indiretto nelle arti inferiori rispetto alla musica, mentre con la musica il genio diventa l'espressione immediata della volontà ideale; ci sono senza dubbio analogie, ma anche differenze tra il genio e il folle, il quale dimentica il suo corpo abbandonandosi a una sorta di delirio estetico, che gli permette di cogliere, sia pure brevemente, la noluntas, di dimenticare la volontà di vivere.
Per Friedrich Nietzsche, il tema della genialità artistica coincide con l'origine dell'apollineo, che permette all'uomo di superare la noia e il disgusto per la vita quotidiana. Il genio, che nasce da una visione apollinea, porta ad un'esperienza dionisiaca, non distruttiva della negatività dell'esistenza ma ad una volontà positiva di costruzione individuale. Ci si può riconciliare con la vita, con una sorta di sublimazione dell'apollineo attraverso il genio che con la creatività trasforma la realtà umana in qualcosa di attraente e desiderabile. Il genio così trapassa dall'apollineo in un fenomeno dionisiaco.
«Nel genio dobbiamo riconoscere un fenomeno dionisiaco, il quale ci rivela ogni volta di nuovo il gioco di costruzione e distruzione del mondo individuale come l'efflusso di una gioia primordiale.»


giovedì 30 gennaio 2020

Uomo universale

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L'uomo universale, detto anche genio universale, è una persona, particolarmente erudita e sapiente, che eccelle in molteplici campi, nell'arte così come nella scienza e nella letteratura, avendo profonde conoscenze, insolitamente versatili, sui più svariati argomenti, che lo porta a produrre opere di importante rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale.

Descrizione
Concezione culturale già presente nella tradizione greco-romana e giudaico-cristiana, ricompare nella storia europea tardo medievale con la nascita della corrente filosofica dell'Umanesimo rinascimentale, la riscoperta del mondo classico e il ritorno al concetto romano di humanitas, per poi svilupparsi pienamente tra il XVIII e XIX secolo.
Molti illustri uomini universali sono vissuti durante il periodo rinascimentale, epoca in cui un'istruzione a trecentosessanta gradi era ritenuta il caposaldo primario di una perfetta educazione umanista. Per un nobile, un cortigiano o un qualunque notabile del tempo, conoscere le lingue straniere, saper suonare uno strumento musicale, dilettarsi con la poesia, interessarsi di architettura o erudito in qualsivoglia altra disciplina, era decisamente opportuno e in sintonia con l'ideale di "uomo totale", inteso come punto d'arrivo del naturale sviluppo umano.
In questo contesto nasce la concezione del "sapere come potere", ovvero del sapere che può diventare strumento di trasformazione della realtà. L'uomo si è così posto al centro dell'universo, intermediario tra mondo razionale e sfera spirituale, in netta contrapposizione con la prospettiva teocentrica medievale. Baldassarre Castiglione nella sua opera Il Cortegiano espone ampiamente le norme fisiche, morali e comportamentali a cui aspirare per poter raggiungere questo stato ideale. La concezione rinascimentale del genio universale comprendeva anche quella di essere un atleta completo, dato che la forma fisica era considerata parte integrante e non separata dall'istruzione e dalla formazione primaria.
A partire dal XIX secolo il numero di uomini universali è diminuito a causa del cospicuo aumento delle conoscenze relative alle singole aree tematiche, che ha reso più difficile l'esistenza di persone che riescano a padroneggiare più discipline. I vari campi dello scibile sono stati gradualmente caratterizzati da un perfezionamento costantemente crescente, che richiede l'impiego di professionisti sempre più specializzati. Per questo motivo, a partire dal XIX secolo, è stato individuato un numero inferiore di uomini universali.
Per definire invece una persona che ha interessi, senza eccellere in modo assoluto, in più campi, si utilizzano i termini "universalista" o "generalista".

Esempi di uomini universali
L'idea di "genio universale" (in latino Universalis Genius) è presente fin dagli albori della storia, fermo restando che in tempi antichi, in diversi casi, questo concetto è stato utilizzato anche come appellativo onorifico, come nel caso di Alessandro Poliistore. Il primo esempio documentato di genio universale, inteso come "genio universale", è Imhotep, architetto, medico e astronomo egizio vissuto nel corso della III dinastia, intorno quindi al 2700 a.C.
Celebre studioso universale dell'Antica Grecia è Aristotele, che fu filosofo, scienziato e logico, mentre nella storia romana gli esempi più conosciuti sono Plinio il Vecchio, scrittore, ammiraglio e naturalista, e Marco Terenzio Varrone, letterato, scrittore e militare. Uomini universali appartenenti alla cultura araba sono stati Ibn al-Nafīs, che fu medico, fisico, filosofo e letterato, e al-Suyuti, che compì la sua opera come storico, giurista, teologo e geografo.
Per quanto riguarda la cultura cinese, furono uomini universali Gu Yanwu, che operò come scrittore e filologo, Shen Kuo, che fu geologo, astronomo, matematico, cartografo, zoologo, botanico, militare, ingegnere idraulico e farmacologo, nonché Su Song, che prestò la sua opera come scienziato, matematico, politico, astronomo, cartografo, orologiaio, medico, farmacista, mineralogista, zoologo, botanico, meccanico, ingegnere, architetto e poeta, e Xu Guangqi, che fu funzionario, matematico, agronomo e traduttore.
Nel Medioevo, tra gli uomini universali, vi era Alberto Magno, che fu un teologo, scrittore, scienziato e filosofo tedesco. Sempre in ambito religioso, altro esempio è stato Conrad Gessner, naturalista, teologo e bibliografo svizzero vissuto nel XVI secolo. Vissuti nel Medioevo sono stati Ildegarda di Bingen, religiosa, naturalista, scrittrice, drammaturga, poetessa, musicista, compositrice, filosofa e linguista tedesca, e Al-Biruni, matematico, filosofo, medico, astronomo e storico persiano. Nel XVII secolo fu genio universale Galileo Galilei, che compì la sua opera come fisico, astronomo, filosofo e matematico, mentre nel XVIII secolo visse Michail Vasil'evič Lomonosov, che fu uno scienziato, naturalista e linguista russo.
Modello esemplare di genio universale, per la sua completezza e il contributo dato ai più disparati ambiti, è senza dubbio Leonardo da Vinci. Considerato uno dei più grandi geni dell'umanità, maestro in tutte le arti, precursore del metodo sperimentale, ricercatore visionario (ossia capace di anticipazioni spesso lungimiranti e quasi profetiche, in netto anticipo sulla sua epoca) nei più disparati campi della conoscenza, Leonardo fu pittore, scultore, architetto, ingegnere, geologo, geografo e botanico; condusse pure, per primo, ampie ricerche in campo anatomico.
Contemporaneo di Leonardo da Vinci fu il portoghese Duarte Pacheco Pereira, che operò come scienziato, militare, esploratore e cartografo. Nell'età della Riforma protestante visse Philipp Schwarzerdt, che fu un umanista e teologo tedesco. Dell'epoca barocca sono Gottfried Wilhelm von Leibniz, che fu un matematico, filosofo, scienziato, logico, glottoteta, diplomatico, giurista, storico, magistrato tedesco, e il suo contemporaneo Isaac Newton, che fu un matematico, fisico, filosofo naturale, astronomo, teologo e alchimista inglese.
Leon Battista Alberti era architetto, pittore, poeta, scienziato, matematico, inventore e scultore (in aggiunta era un esperto cavaliere e arciere). Altri personaggi avvicinabili al concetto di genio universale, per aver eccelso in numerosi e diversi campi, sono Niccolò Machiavelli, Johann Alexander Döderlein, Alexander von Humboldt, Rabindranath Tagore e Johann Wolfgang von Goethe.

Espressioni alternative
Il concetto di "genio universale", in lingua italiana, è reso impropriamente anche dal termine "uomo universale", che è invece legato al concetto filosofico di "persona". Altro termine, più raro e dal significato leggermente differente che rende il concetto, è polimate. Il termine polimate deriva dal greco πολυμαθής, traslitterato polymathēs, che significa "molto istruito"; l'etimologia di polimate è anche legata a uno dei sinonimi di polymathēs, ovvero πολυΐστωρ, traslitterato polyhístōr, che vuol dire "molto sapiente". Altre espressioni filosofiche per rendere la medesima idea sono genio poliedrico e talento universale.


 
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