Per
genio, dal latino genius,
sostantivo derivato dal verbo geno ("generare", "creare"),
quindi "forza naturale produttrice", si intende quella
speciale attitudine naturale atta a produrre opere di importante
rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale. Tale disposizione
naturale può anche essere portata alla luce con l'educazione, ma
difficilmente può essere trasmessa ad altri (i figli o i discepoli
dei geni molto raramente eguagliano i padri o i maestri). Il termine
genio può anche genericamente indicare la persona stessa in possesso
di tale eccezionale abilità.
Del genio tratta quella branca della
filosofia che si occupa dell'estetica.
Nel corso dei secoli, la parola genio
ha assunto significati e valenze molto diverse.
In latino genium ha la medesima radice
di ingenium, ingegno appunto, ovvero acutezza d'intelletto, a cui si
contrappone invece lo studium, le capacità acquisite con un impegno
lungo e laborioso.
Nel Rinascimento il genio è chi,
dotato di "multiforme ingegno", giganteggia sul resto
dell'umanità per le sue capacità insieme artistiche e scientifiche.
Tipica la figura di Leonardo da Vinci, prototipo dell'intelligenza
geniale.
Nei secoli XVII e XVIII, l'ammirazione
e stupefazione per le scoperte scientifiche fa sì che si torni ad
intendere il genio come nell'accezione rinascimentale, per cui il
termine si associa a campi del sapere, genio scientifico, matematico,
filosofico ecc. non più attinenti a quello specificatamente
artistico che sottolineavano in passato la spontaneità del creatore:
(LA)
«poeta nascitur» |
(IT)
«poeta si nasce» |
Nella definizione e nell'esaltazione
del genio si sono succedute, nel corso delle epoche storiche,
varianti e forme diverse: se i più moderati si rivelarono i
pensatori razionali illuministi, nel periodo romantico si accostò il
genio al 'divino'. Se gli Inglesi del Settecento diffidano
soprattutto della libertà del genio e quindi tendono a disciplinarlo
perché non deve prescindere interamente dalle regole, in Germania si
arriva alla religione del genio e Wieland definisce il genio sia un
angelo sia un demone, mentre Lessing lo accosta alla natura in
continuo atto di perfettibilità.
Immanuel Kant elabora la sua concezione
del genio nell'opera Critica del Giudizio, ma già precedentemente,
in appunti personali e lezioni universitarie in cui discuteva in
particolare le teorie dello Essay on Genius (1774) di Alexander
Gerard, aveva osservato come nel campo della ricerca scientifica la
scoperta d'importanti verità scientifiche non possa essere
attribuita al genio, ma sia opera di una «mente spesso grande».
Nella scienza, infatti, la scoperta o invenzione, come la chiama
Kant, è il risultato di un metodo, scoperto o inventato certamente
da una grande mente, ma che può essere insegnato e quindi appreso e
imitato.
L'imitazione, però, non ha niente a
che fare con la produzione artistica geniale che non segue metodi o
regole scientifici, ma si fonda su regole che provengono dalla
natura:
«Il genio è il talento (dono naturale) che dà la regola
all'arte. Poiché il talento, come facoltà produttiva innata
dell'artista, appartiene esso stesso alla natura, ci si potrebbe
esprimere anche così: il genio è la disposizione innata
dell'animo (ingenium), mediante la quale la natura dà la regola
all'arte.» |
L'artista, proprio in quanto genio e
non scienziato, non sa che cosa l'ha portato a creare la sua opera:
«...nessun Omero, nessun Wieland può mostrar come facciano a
sorger ed a comporsi nel suo cervello le sue idee, ricche sia di
fantasia che di pensiero; perché, non sapendolo egli stesso,
neppure può insegnarlo ad altri.» |
Nell'arte bella, osserva Kant, non ci
sono regole e imitatori, o meglio le regole sono nella natura stessa
dell'artista, nelle sue capacità innate che agiscono spontaneamente,
al contrario dell'arte meccanica, che produce la sua opera dopo un
lavoro d'insegnamento e apprendimento.
L'artista geniale è colui che può
costituire con la sua opera il modello a cui ispirarsi per altri in
cui il genio è latente o, addirittura, la formazione di una scuola,
non d'imitatori, ma di artisti originali e spontanei che seguano il
suo esempio di capostipite della corrente artistica (esemplarità del
genio):
«...i prodotti del genio devono essere anche modelli, cioè
esemplari; quindi, senza essere essi stessi frutto di imitazione,
devono servire a tal scopo per gli altri, cioè come misura o
regola del giudizio.» |
L'originalità dell'arte quindi si deve
sempre accompagnare a queste regole non scritte, altrimenti si
cadrebbe nella stravaganza e nel capriccio.
Per questo, Kant sostiene che il genio
è la felice sintesi di immaginazione e intelletto, di spontaneità e
regole non scritte, per cui l'artista gode di un'assoluta libertà
creativa dove l'intelletto è presente ma non più come costrizione
razionale, come avviene nel campo della conoscenza, ma come capacità
di realizzare l'opera secondo il proprio naturale gusto estetico.
Per questo, l'opera d'arte è insieme
la sintesi di necessità e libertà. Per quanto libera e geniale sia
infatti l'ispirazione dell'artista, egli dovrà tuttavia fare i conti
con le rigide regole del mondo della natura. Per quanto libera sia la
sua ispirazione ed originale sia il materiale da lui usato per creare
l'opera, esso tuttavia dovrà pur sempre rispondere al rigido
meccanicismo delle leggi della natura.
In Friedrich Schelling l'arte del genio
è la suprema forma del sapere, capace di cogliere spontaneamente
l'Assoluto nella sua "unità indifferenziata" di Natura e
Spirito. Nella sua opera giovanile più famosa, il Sistema
dell'idealismo trascendentale, l'arte è addirittura collocata al
culmine del suo sistema filosofico come punto di fusione di Natura e
Ragione: per questo l'Idealismo di Schelling sarà detto estetico.
Nel suo pensiero più maturo, già a partire dalle lezioni sulla
Filosofia dell'arte (1802) o sul Metodo degli studi accademici
(1803), essa viene però ricondotta al disotto della Filosofia, che
ne comprende razionalmente la funzione sintetica.
Il genio, l'immaginazione, la
spontaneità vengono liquidate da Hegel come "romantiche
fantasticherie"; solo le competenze tecniche e un bagaglio di
esperienze ed emozioni intellettualmente governate, rendono l'opera
veramente artistica. Hegel distingue tra genio e talento.
Quest'ultimo sarebbe la capacità tecnica che si esprime in un
particolare campo; quello che comunemente si dice "bravura"
e, mentre il genio si accompagna sempre al talento, questi può
essere presente anche da solo
Per Arthur Schopenhauer, il genio è la
"direzione oggettiva dello spirito" e contempla le idee
prodotte dalla volontà; l'accesso alla volontà è dunque mediato e
indiretto nelle arti inferiori rispetto alla musica, mentre con la
musica il genio diventa l'espressione immediata della volontà
ideale; ci sono senza dubbio analogie, ma anche differenze tra il
genio e il folle, il quale dimentica il suo corpo abbandonandosi a
una sorta di delirio estetico, che gli permette di cogliere, sia pure
brevemente, la noluntas, di dimenticare la volontà di vivere.
Per Friedrich Nietzsche, il tema della
genialità artistica coincide con l'origine dell'apollineo, che
permette all'uomo di superare la noia e il disgusto per la vita
quotidiana. Il genio, che nasce da una visione apollinea, porta ad
un'esperienza dionisiaca, non distruttiva della negatività
dell'esistenza ma ad una volontà positiva di costruzione
individuale. Ci si può riconciliare con la vita, con una sorta di
sublimazione dell'apollineo attraverso il genio che con la creatività
trasforma la realtà umana in qualcosa di attraente e desiderabile.
Il genio così trapassa dall'apollineo in un fenomeno dionisiaco.
«Nel genio dobbiamo riconoscere un fenomeno dionisiaco, il
quale ci rivela ogni volta di nuovo il gioco di costruzione e
distruzione del mondo individuale come l'efflusso di una gioia
primordiale.» |
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