venerdì 31 gennaio 2020

Genio

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Per genio, dal latino genius, sostantivo derivato dal verbo geno ("generare", "creare"), quindi "forza naturale produttrice", si intende quella speciale attitudine naturale atta a produrre opere di importante rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale. Tale disposizione naturale può anche essere portata alla luce con l'educazione, ma difficilmente può essere trasmessa ad altri (i figli o i discepoli dei geni molto raramente eguagliano i padri o i maestri). Il termine genio può anche genericamente indicare la persona stessa in possesso di tale eccezionale abilità.
Del genio tratta quella branca della filosofia che si occupa dell'estetica.

Storia della parola
Nel corso dei secoli, la parola genio ha assunto significati e valenze molto diverse.
In latino genium ha la medesima radice di ingenium, ingegno appunto, ovvero acutezza d'intelletto, a cui si contrappone invece lo studium, le capacità acquisite con un impegno lungo e laborioso.
Nel Rinascimento il genio è chi, dotato di "multiforme ingegno", giganteggia sul resto dell'umanità per le sue capacità insieme artistiche e scientifiche. Tipica la figura di Leonardo da Vinci, prototipo dell'intelligenza geniale.
Nei secoli XVII e XVIII, l'ammirazione e stupefazione per le scoperte scientifiche fa sì che si torni ad intendere il genio come nell'accezione rinascimentale, per cui il termine si associa a campi del sapere, genio scientifico, matematico, filosofico ecc. non più attinenti a quello specificatamente artistico che sottolineavano in passato la spontaneità del creatore:
(LA)
«poeta nascitur»
(IT)
«poeta si nasce»
Nella definizione e nell'esaltazione del genio si sono succedute, nel corso delle epoche storiche, varianti e forme diverse: se i più moderati si rivelarono i pensatori razionali illuministi, nel periodo romantico si accostò il genio al 'divino'. Se gli Inglesi del Settecento diffidano soprattutto della libertà del genio e quindi tendono a disciplinarlo perché non deve prescindere interamente dalle regole, in Germania si arriva alla religione del genio e Wieland definisce il genio sia un angelo sia un demone, mentre Lessing lo accosta alla natura in continuo atto di perfettibilità.

La concezione del genio in Kant
Immanuel Kant elabora la sua concezione del genio nell'opera Critica del Giudizio, ma già precedentemente, in appunti personali e lezioni universitarie in cui discuteva in particolare le teorie dello Essay on Genius (1774) di Alexander Gerard, aveva osservato come nel campo della ricerca scientifica la scoperta d'importanti verità scientifiche non possa essere attribuita al genio, ma sia opera di una «mente spesso grande». Nella scienza, infatti, la scoperta o invenzione, come la chiama Kant, è il risultato di un metodo, scoperto o inventato certamente da una grande mente, ma che può essere insegnato e quindi appreso e imitato.
L'imitazione, però, non ha niente a che fare con la produzione artistica geniale che non segue metodi o regole scientifici, ma si fonda su regole che provengono dalla natura:
«Il genio è il talento (dono naturale) che dà la regola all'arte. Poiché il talento, come facoltà produttiva innata dell'artista, appartiene esso stesso alla natura, ci si potrebbe esprimere anche così: il genio è la disposizione innata dell'animo (ingenium), mediante la quale la natura dà la regola all'arte.»
L'artista, proprio in quanto genio e non scienziato, non sa che cosa l'ha portato a creare la sua opera:
«...nessun Omero, nessun Wieland può mostrar come facciano a sorger ed a comporsi nel suo cervello le sue idee, ricche sia di fantasia che di pensiero; perché, non sapendolo egli stesso, neppure può insegnarlo ad altri.»
Nell'arte bella, osserva Kant, non ci sono regole e imitatori, o meglio le regole sono nella natura stessa dell'artista, nelle sue capacità innate che agiscono spontaneamente, al contrario dell'arte meccanica, che produce la sua opera dopo un lavoro d'insegnamento e apprendimento.
L'artista geniale è colui che può costituire con la sua opera il modello a cui ispirarsi per altri in cui il genio è latente o, addirittura, la formazione di una scuola, non d'imitatori, ma di artisti originali e spontanei che seguano il suo esempio di capostipite della corrente artistica (esemplarità del genio):
«...i prodotti del genio devono essere anche modelli, cioè esemplari; quindi, senza essere essi stessi frutto di imitazione, devono servire a tal scopo per gli altri, cioè come misura o regola del giudizio.»
L'originalità dell'arte quindi si deve sempre accompagnare a queste regole non scritte, altrimenti si cadrebbe nella stravaganza e nel capriccio.
Per questo, Kant sostiene che il genio è la felice sintesi di immaginazione e intelletto, di spontaneità e regole non scritte, per cui l'artista gode di un'assoluta libertà creativa dove l'intelletto è presente ma non più come costrizione razionale, come avviene nel campo della conoscenza, ma come capacità di realizzare l'opera secondo il proprio naturale gusto estetico.
Per questo, l'opera d'arte è insieme la sintesi di necessità e libertà. Per quanto libera e geniale sia infatti l'ispirazione dell'artista, egli dovrà tuttavia fare i conti con le rigide regole del mondo della natura. Per quanto libera sia la sua ispirazione ed originale sia il materiale da lui usato per creare l'opera, esso tuttavia dovrà pur sempre rispondere al rigido meccanicismo delle leggi della natura.

Il genio nella filosofia post-kantiana
In Friedrich Schelling l'arte del genio è la suprema forma del sapere, capace di cogliere spontaneamente l'Assoluto nella sua "unità indifferenziata" di Natura e Spirito. Nella sua opera giovanile più famosa, il Sistema dell'idealismo trascendentale, l'arte è addirittura collocata al culmine del suo sistema filosofico come punto di fusione di Natura e Ragione: per questo l'Idealismo di Schelling sarà detto estetico. Nel suo pensiero più maturo, già a partire dalle lezioni sulla Filosofia dell'arte (1802) o sul Metodo degli studi accademici (1803), essa viene però ricondotta al disotto della Filosofia, che ne comprende razionalmente la funzione sintetica.
Il genio, l'immaginazione, la spontaneità vengono liquidate da Hegel come "romantiche fantasticherie"; solo le competenze tecniche e un bagaglio di esperienze ed emozioni intellettualmente governate, rendono l'opera veramente artistica. Hegel distingue tra genio e talento. Quest'ultimo sarebbe la capacità tecnica che si esprime in un particolare campo; quello che comunemente si dice "bravura" e, mentre il genio si accompagna sempre al talento, questi può essere presente anche da solo
Per Arthur Schopenhauer, il genio è la "direzione oggettiva dello spirito" e contempla le idee prodotte dalla volontà; l'accesso alla volontà è dunque mediato e indiretto nelle arti inferiori rispetto alla musica, mentre con la musica il genio diventa l'espressione immediata della volontà ideale; ci sono senza dubbio analogie, ma anche differenze tra il genio e il folle, il quale dimentica il suo corpo abbandonandosi a una sorta di delirio estetico, che gli permette di cogliere, sia pure brevemente, la noluntas, di dimenticare la volontà di vivere.
Per Friedrich Nietzsche, il tema della genialità artistica coincide con l'origine dell'apollineo, che permette all'uomo di superare la noia e il disgusto per la vita quotidiana. Il genio, che nasce da una visione apollinea, porta ad un'esperienza dionisiaca, non distruttiva della negatività dell'esistenza ma ad una volontà positiva di costruzione individuale. Ci si può riconciliare con la vita, con una sorta di sublimazione dell'apollineo attraverso il genio che con la creatività trasforma la realtà umana in qualcosa di attraente e desiderabile. Il genio così trapassa dall'apollineo in un fenomeno dionisiaco.
«Nel genio dobbiamo riconoscere un fenomeno dionisiaco, il quale ci rivela ogni volta di nuovo il gioco di costruzione e distruzione del mondo individuale come l'efflusso di una gioia primordiale.»


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