
L'Anima
del mondo (nota anche in latino come
Anima Mundi)
è un termine filosofico usato dai platonici per indicare la vitalità
della natura nella sua totalità, assimilata a un unico organismo
vivente. Rappresenta il principio unificante da cui prendono forma i
singoli organismi, i quali, pur articolandosi e differenziandosi
ognuno secondo le proprie specificità individuali, risultano
tuttavia legati tra loro da una tale comune Anima universale.
Descrizione generale
Questa concezione sembra essere nata
sin dagli albori dell'umanità, e pur essendo di origine
essenzialmente orientale, fu un tratto caratteristico del paganesimo
o delle religioni animiste, secondo cui ogni realtà, anche
apparentemente inanimata, contiene una presenza spirituale, collegata
all'anima del tutto. Nel politeismo le divinità erano proprio
espressioni personificate di queste forze o energie della natura, e
concepite ad essa immanenti. L'Anima Mundi la si ritrova poi
essenzialmente nelle più svariate espressioni del misticismo.
Si tratta di un concetto antitetico al
meccanicismo: per quest'ultimo gli organismi sono il risultato della
combinazione di più parti, originariamente separate tra loro, che
unendosi accidentalmente costruiscono l'essere vivente. Questa
teoria, nota come atomismo, era apparsa per la prima volta in
Democrito, secondo cui tutta la realtà risulta composta di atomi,
soggetti a leggi di causa-effetto; l'anima secondo Democrito non
esiste, o meglio è qualcosa di puramente materiale, soggetta al
divenire e alla morte. Questo determinismo meccanicista venne ripreso
in età moderna da Newton e dall'empirismo anglo-sassone.
Rispetto a tale concezione, il modo di
procedere dell'Anima del mondo risulta invece rovesciato: secondo i
neoplatonici la vita non opera assemblando singole parti fino ad
arrivare agli organismi più evoluti e intelligenti, ma al contrario
parte da un principio unitario e intelligente da cui prendono forma
le piante, gli animali, e gli esseri umani. È da questo principio
universale che è possibile comprendere i singoli elementi della
natura, non viceversa. Secondo il neoplatonismo, cioè, mentre su un
piano materiale la vita procede orizzontalmente dagli esseri
inferiori fino a quelli più evoluti, sul piano della coscienza
l'intelligenza precede la materia, in un senso per così dire
perpendicolare rispetto ad essa, dall'alto verso il basso.
L'Anima Mundi in Occidente
Platone nel Timeo, dialogo
cosmologico, fu tra i primi a parlare di un'anima universale,
ereditando questo concetto da tradizioni orientali, orfiche e
pitagoriche. Secondo Platone il mondo è una sorta di grande animale,
la cui vitalità generale è supportata da quest'anima, infusagli dal
Demiurgo, che lo plasma a partire dai quattro elementi fondamentali:
fuoco, terra, aria, acqua.
(EL)
«οὕτως οὖν δὴ
κατὰ λόγον τὸν εἰκότα δεῖ λέγειν
τόνδε τὸν κόσμον ζῷον ἔμψυχον
ἔννουν τε τῇ ἀληθείᾳ διὰ τὴν τοῦ
θεοῦ γενέσθαι πρόνοιαν»
|
(IT)
«Pertanto, secondo una tesi
probabile, occorre dire che questo mondo nacque come un essere
vivente davvero dotato di anima e intelligenza
grazie alla provvidenza
divina.»
|
(Platone,
Timeo, cap. VI, 30b
– 30c)
|
Platone si oppose duramente alla
visione atomista di Democrito, al punto da voler ridurre in cenere i
suoi scritti. Fu tuttavia dissuaso dai pitagorici Amicla e Clinia,
secondo cui distruggerli non sarebbe servito a nulla, essendo le
opere di Democrito già ampiamente in circolazione. Tale episodio
testimonia quanto fosse aspra nell'antica Grecia la polemica tra
filosofi idealisti e materialisti.
Il concetto di anima del mondo trovò
in seguito un corrispettivo nel Logos dello stoicismo,
concepito in forma immanente come presenza del divino nelle vicende
del mondo, ossia come συν-παθεία (syn-pathèia),
sentimento di compassione che unifica la sfera soprannaturale con
quella umana; in virtù di essa qualsiasi evento, anche minimo, si
ripercuote su ogni altro. Venne poi fatto proprio da esponenti delle
correnti gnostiche, esoteriche ed ermetiche dell'Età ellenistica.
Divenne infine un tema centrale nel
sistema filosofico di Plotino, da questi identificata con la terza
ipostasi nel processo di emanazione dall'Uno. L'Anima era da lui
concepita con una doppia natura: per un verso essa è rivolta verso
l'intelligibile, per un altro guarda verso il basso, cioè verso il
mondo, disperdendosi nella molteplicità delle anime individuali
(contaminate dalla materia), andando a costituire il loro fondamento
vitale.
«Questo universo è un
animale unico che contiene in sé tutti gli animali, avendo una
sola Anima in tutte le sue parti.»
|
(Plotino, Enneadi, IV, 4, 32) |
Secondo Plotino, il semplice è ciò
che sta alla base della vita. Un essere vivente non può essere
assimilato a un assemblaggio di più parti, perché se venisse
spezzato morirebbe: se anche lo si ricomponesse, questo non gli
ridarebbe la vita. Ciò avviene perché l'anima di un organismo è
più di tutte le sue parti messe insieme: ogni organismo è un'unità,
una totalità indivisibile, qualcosa di straordinariamente semplice
pur essendo a prima vista composto. Questo "semplice" che
sta alla base del composto non può essere un'entità materiale,
perché qualunque oggetto esteso spazialmente può essere
pensato diviso a metà, quand'anche non lo si riesca realmente a
spezzare. Anche gli atomi non possono costituire il principio primo
perché sono a loro volta potenzialmente divisibili. La vita dunque,
secondo Plotino, nasce non da combinazioni atomiche ad essa esterne,
ma da un principio interiore, semplice, e immateriale: appunto
l'anima. La molteplicità di anime presenti nel mondo è a sua volta
comprensibile solo ammettendo che tutte abbiano una comune origine.
Secondo logica, infatti, non possono esistere più "Uno",
perché in tal caso non sarebbero più Uno ma molti. L'Unità che sta
a fondamento delle anime deve essere dunque la stessa per tutte.
Questa unità è l'Anima del mondo, la quale a sua volta si fa
veicolo delle idee platoniche negli organismi, andando a costituire
la loro ragione formante o logos, in maniera simile ai
caratteri genetici di un individuo (o al concetto aristotelico di
entelechia).
«Da tutto quanto si è
detto risulta che ogni essere che si trova nell'universo, a
seconda della sua natura e costituzione, contribuisce alla
formazione dell'universo col suo agire e con il suo patire, nella
stessa maniera in cui ciascuna parte del singolo animale, in
ragione della sua naturale costituzione, coopera con l'organismo
nel suo intero, rendendo quel servizio che compete al suo ruolo e
alla sua funzione. Ogni parte, inoltre, dà del suo e riceve dalle
altre, per quanto la sua natura recettiva lo consenta.»
|
(Plotino,
Enneadi, IV, 4, 45)
|
Tutto il sistema plotiniano trovava
infine piena organicità nel postulare l'Uno assoluto, al di là
delle stesse Idee. A tale principio trascendente e ineffabile, non
spiegabile a parole, ci si può ricongiungere solo nell'estasi
mistica.
Nonostante la sua visione monistica,
nell'Anima del mondo postulata da Plotino (e fatta propria dai
successivi filosofi neoplatonici) sussistevano le divinità del
politeismo pagano, proprie della religione greca, le quali non erano
viste in contrasto con l'Uno, essendo in fondo espressione di una
medesima natura. L'Uno restava in sé trascendente, mentre le singole
divinità erano concepite come forze immanenti al creato e partecipi
della stessa Anima del mondo.
Nel Medioevo
La dottrina plotiniana, una volta
depurata da questo aspetto pagano, poté facilmente essere assorbita
dal cristianesimo, il quale analogamente, partendo da una visione
spirituale della realtà, vedeva l'origine della vita in un principio
unitario e intelligente. A differenza di Plotino, però, secondo cui
l'anima genera esseri simili a sé in maniera inconsapevole, fino a
disperdere la propria energia vitale fino agli organismi via via
inferiori e meno evoluti, il Cristianesimo la vede in un'ottica
finalistica e creazionista. Anche la concezione cristiana tuttavia
rimane radicalmente antitetica al meccanicismo: nella Bibbia l'essere
umano, il più evoluto dei viventi, è creato a immagine e
somiglianza di Dio stesso. All'origine dunque non c'è la materia ma
lo spirito; la vita può andare dagli organismi inferiori fino a
quelli più intelligenti essendo già in essa contenuta tale
intelligenza. Il principio che più si avvicinava a quello dell'Anima
Mundi era lo Spirito Santo (concepito però non in forma vacua,
ma come vera e propria Persona, la terza della Trinità), in quanto
soffio vitale che spira dove vuole in piena autonomia. L'aspetto
vitalistico del mondo sembra peraltro emergere dai Vangeli, là dove
Gesù si rivolge agli elementi della natura, ad esempio gli alberi o
il vento, come entità coscienti che a lui obbediscono.
La centralità dell'Anima Mundi
permeò in particolare l'agostinismo, soprattutto in seguito al
commentario del Timeo di Platone operato da Calcidio, che le
attribuiva una «natura razionale incorporea». Se ne trovano cenni
in Boezio, Dionigi l'Areopagita e Giovanni Scoto Eriugena. Nel XII
secolo Pietro Abelardo la identificò esplicitamente con lo Spirito
Santo. Divenne quindi un tema ampiamente sviluppato dai maestri della
scuola di Chartres, come Teodorico e Guglielmo di Conches, i quali
ammisero l'immanenza dello spirito nella Natura, concependo
quest'ultima come una totalità organica e indipendente, oggetto di
studi separati rispetto alla teologia. Dio, secondo Guglielmo, si era
limitato a dare l'avvio alla creazione, dopodiché tutta l'evoluzione
dei processi naturali andava spiegata sulla base di principi
interamente fisici, che egli individuava nell'azione combinata dei
quattro elementi (fuoco, terra, aria, acqua), senza bisogno che Dio
intervenisse più.
(LA)
«Anima mundi est
naturalis vigor rerum quo quedam res habent tantum moveri, quedam
crescere, quedam sentire, quedam discernere. … Sed quit sit ille
vigor queritur. Sed, ut mihi videtur, ille vigor naturalis est
Spiritus Sanctus, id est divina et benigna concordia que est id a
quo omnia habent esse, moveri, crescere, sentire, vivere,
discernere.»
|
(IT)
«L'Anima del Mondo è un'energia naturale degli esseri per cui
alcuni hanno soltanto la capacità di muoversi, altri di crescere,
altri di percepire attraverso i sensi, altri di giudicare. […]
Ci si chiede cosa sia quell'energia. Ma, come mi sembra,
quell'energia naturale è lo Spirito Santo, cioè una divina e
benigna armonia che è ciò da cui tutte le realtà hanno
l'essere, il muoversi, il crescere, il sentire, il vivere, il
giudicare.»
|
(Guglielmo di
Conches, Glosse al Timeo di Platone)
|
Ammettendo quindi l'immanenza
dell'Anima Universale nella natura, i filosofi di Chartres si
avviavano verso una visione panteistica del creato.
Contemporaneamente anche Tommaso d'Aquino parlava di un'Anima
Mundi, causa della natura, che derivava "post
aeternitatem" dalle Intelligenze (sussistenti "cum
aeternitate"), le quali a loro volta discendevano dall'Uno o
Bene, causa prima "ante aeternitatem". Nell'opera di
Tommaso, che sull'argomento dedicò un trattato all'alchimia,
l'attenzione rivolta agli aspetti vitali del mondo fisico resta
comunque collocata entro una visione trascendente di Dio.
Nel Rinascimento
Nel Rinascimento, durante il quale si
assistette ad una riscoperta dei testi neoplatonici, la nozione di
Anima Mundi godette di particolare fortuna, legandosi agli
elementi magici, alchemici ed ermetici propri della filosofia
rinascimentale, collegati all'attività di personaggi come Marsilio
Ficino e Pico della Mirandola. Gli alchimisti erano alla ricerca
della pietra filosofale, per produrre la quale era necessaria la
disponibilità del grande "Agente universale", o
appunto Anima del mondo, altrimenti detta «Azoto», acronimo
cabalistico che indicava la Luce astrale divina di cui ogni elemento
della realtà si riteneva fosse permeato.
L'intero universo era allora concepito
come un organismo vivente, popolato da presenze o da forze vitali. La
filosofia neoplatonica, unita a quella cristiana, consentiva di
vedere organicamente congiunti tutti i diversi campi del reale in
virtù dell'amore che Dio irradia nel cosmo vivificandolo. L'amore di
Dio era posto così a fondamento non solo della vita ma anche
dell'ordine geometrico del mondo. La concordanza tra spirito e
materia, eventi celesti ed eventi terreni, in quanto espressioni di
un medesimo principio vitale, portò a una maggiore fiducia
nell'astrologia e nella possibilità di predire il futuro tramite gli
oroscopi. Questi erano concepiti al servizio di un uomo che guarda al
futuro e intende ora intervenire attivamente nel corso degli eventi
per mutarli.
«L'Anima mundi infatti, secondo i Platonici più antichi, per mezzo delle sue ragioni, ha costruito in cielo, oltre gli astri, le figure astrali e le parti delle figure, tali che esse stesse diventano figure; ed ha impresso in tutte queste figure determinate proprietà. … E precisamente essa ha posto in cielo quarantotto figure universali, cioè, dodici nello Zodiaco, trentasei fuori dello Zodiaco.» |
(Marsilio Ficino, De vita, Biblioteca dell'Immagine, Pordenone 1991, III: De vita coelitus comparanda, 1, p. 207) |
In questo clima culturale riemersero in
alcuni casi, sotto certi aspetti, nuove tendenze paganeggianti. La
concezione animista e immanente dello spirito poté tuttavia
facilmente convivere con l'aspetto trascendente del Dio cristiano,
sostituendo alle divinità pagane (inaccetabili per una religione
monoteista) delle creature intermedie, come gli angeli o i santi
protettori, preposti ognuno alla "giurisdizione" di un
particolare aspetto o elemento della realtà, che risulta così da
essi tutta animata.
Nel Cinquecento, il concetto
vitalistico dell'Anima del mondo affiorò soprattutto in Giordano
Bruno, il quale concepì Dio talmente immanente alla natura fino a
identificarlo in toto con quest'ultima (panteismo); e in
Tommaso Campanella, secondo cui tutti gli elementi della realtà sono
senzienti, ovvero hanno una coscienza (sensismo). Nei secoli
successivi, pur restando latente, esso venne tuttavia ostacolato dal
diffondersi del meccanicismo e della scienza newtoniana. A questa si
oppose nel Settecento soprattutto Goethe.
Dal Romanticismo al Novecento
Il concetto di Anima del mondo
riemerse quindi nuovamente durante il Romanticismo, in Germania. In
particolare Schelling riprese la concezione neoplatonica che vede il
principio intelligente presente già nella natura in forme embrionali
o potenziali. La natura, per Schelling, è un'«intelligenza sopita»,
uno «spirito in potenza». La natura non potrebbe evolversi fino
all'uomo se non avesse già dentro di sé lo spirito divino. Gli
organismi inferiori sono solo limitazioni o aspetti minori dell'unico
organismo universale che nell'essere umano trova piena realizzazione.
L'anima del mondo (Weltseele) diventa infatti pienamente
autocosciente soltanto nell'uomo, che rappresenta così il vertice,
il punto di passaggio dalla natura verso Dio, che in essa si
riflette. Nella natura è presente dunque un evoluzionismo,
un'intenzionalità finalistica, che si specifica in organismi via via
più complessi a partire però da un principio semplice e
assolutamente unitario.
Anche Schopenhauer, pur senza
rendersene conto, utilizzò lo stesso concetto neoplatonico di Anima
Mundi. Per lui infatti le singole anime degli individui sono
espressione di un'unica Volontà di vita, che opera tuttavia in
maniera inconsapevole, e solo nell'uomo può diventare cosciente di
sé. Mentre in apparenza l'io individuale è separato dagli altri ed
è spinto perciò verso un agire egoistico, al di sotto del velo
di maya le anime sono in realtà tutte unite a formare una sola
grande Anima.
Ancora in Bergson (filosofo del primo
Novecento) il vitalismo venne contrapposto al meccanicismo. Bergson
torna infatti ad affermare che la vita biologica, come del resto la
coscienza, non è un semplice aggregato di elementi composti,
riproducibile magari artificialmente. La vita invece è una continua
e incessante creazione che nasce da un principio assolutamente
semplice, non rieseguibile deliberatamente, né componibile a partire
da nient'altro.
Sempre nel Novecento, il concetto di
Anima del mondo è rintracciabile nel dannunzianesimo, dove
prevale l'anelito all'unione panica con l'universo tramite la ricerca
estetica e sensuale del bello. Riemerse ancora in Carl Gustav Jung,
nella nozione di inconscio collettivo. In seguito, lo si ritrova
sotto certi aspetti nel fenomeno della New Age.
Ebraismo
Nella tradizione ebraica, soprattutto
nella Qabbalah, dove sono molte le concezioni affini a quelle
filosofiche, anche Chaim Luzzatto si riferisce all'Anima Mundi
nel suo testo Derech haShem illustrando la teoria del
complesso di perfezionamento a cui le anime giungono dopo la morte,
ormai slegate dal corpo: in questa condizione l'anima aderisce con
maggior perfezione a Dio, giungendo senza i limiti della corporeità
e della materialità alla spiritualità più pura, semplice e vera.
Chaim Luzzato allude con ciò al Gan
Eden, detto anche Mondo futuro, corrispettivo messianico dell'Anima
Mundi, o più in generale all'Aldilá. Precisando comunque che
l'uomo deve perfezionarsi già in questo mondo, seppur in vista di
quello spirituale da venire, egli accenna alla concezione profetica
della resurrezione dei morti nell'era messianica quando anima e corpo
vivranno tale perfezionamento in modo chiaro e spontaneo; ciò varrà
soprattutto per gli Zaddiqim.
Nelle religioni orientali
Parallelamente alle forme con cui si è
presentato in Occidente, il concetto di anima del mondo si è
sviluppato in maniera simile anche in Oriente, presso le religioni
asiatiche come il taoismo e l'induismo, dove analogamente prevale
l'idea che l'universo sia animato da una forza compatta e unitaria:
per l'induismo e le scuole ortodosse della filosofia indiana esso è
l'Ātman, principio del Sé individuale e interiore, unito
indissolubilmente a Brahman, principio del mondo esteriore. In Cina è
il Tao, attività unificatrice del dualismo cosmico yin e yang
nel quale essa stessa si polarizza, articolandosi secondo una visione
armonica e organica dell'universo.
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