sabato 11 dicembre 2021

Quinotauro

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Il Quinotauro è un mitico mostro marino menzionato nel VII secolo nella Cronaca di Fredegario.
Ci si riferisce ad esso come "bestea Neptuni Quinotauri similis", cioè la bestia di Nettuno che rassomiglia a un quinotauro. Esso è ritenuto essere il padre di Meroveo, in quanto si unì alla moglie del re franco Clodione mentre ella stava facendo il bagno in mare, dando così origine alla stirpe reale dei re Merovingi. Il nome, che traslitterato dal latino significa "toro con cinque corna", sembra unire a livello simbolico il tridente del dio del mare Nettuno e il viaggio in mare di Giove tramutato in toro durante il ratto di Europa oppure il mito del Minotauro.
Non si sa se questa sovrapposizione di miti diversi sia dovuta a già radicate leggende oppure sia da attribuire a Fredegario, per cui non si sa se esistesse un leggendario mostro marino di questo genere nella mitologia franca, o se invece sia un'invenzione dell'autore. L'ipotesi più probabile è l'intento di conferire origine divina alla casata reale franca dei Merovingi.


venerdì 10 dicembre 2021

Esobiologia

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L'esobiologia (o astrobiologia) è un campo prevalentemente speculativo della biologia che considera la possibilità della vita extraterrestre e la sua possibile natura. Necessariamente include anche il concetto di vita artificiale, poiché qualunque forma di vita dotata della capacità di evolversi naturalmente in modo concepibile, potrebbe essere creata altrove in laboratorio usando una tecnologia futuribile. Include anche l'ipotesi di un'origine della vita sulla Terra tramite panspermia, teorizzata dal genetista premio Nobel Francis Crick e dall'astronomo Fred Hoyle. Il genetista Eugene Koonin ritiene che l'origine della vita sulla sola Terra sia così improbabile da ipotizzare che essa si debba essere manifestata su svariati infiniti universi
Il termine deriva dall'unione della parola greca esso ("esterno") con il sostantivo biologia, ad indicare per l'appunto la specializzazione di questa branca scientifica verso forme di vita esterne alla Terra, diverse da quelle conosciute. Un sinonimo di esobiologia usato in passato è xenobiologia, sebbene quest'ultimo è un termine ora utilizzato in senso più specifico per indicare una "biologia basata su una chimica diversa", indipendentemente se di origine terrestre od extraterrestre. Poiché processi vitali basati su biochimiche alternative sono stati creati in laboratorio, la xenobiologia è considerata attualmente una materia a pieno diritto.
Il termine fu coniato solo negli anni cinquanta dello scorso secolo dal biologo statunitense Joshua Lederberg in preparazione allo sbarco dell'uomo sulla Luna, ma in realtà l'astrobiologia era stata introdotta già da Alfred R. Wallace, agli inizi del Novecento, con il suo Man's place in the universe. Secondo Lederberg infatti, eventuali batteri extraterrestri presenti sul nostro satellite avrebbero potuto contaminare la Terra al ritorno degli astronauti. L'ipotesi fu in seguito confutata.
Sebbene quello dell'esobiologia sia attualmente un campo speculativo, l'assenza di vita nel resto dell'universo è un'ipotesi falsificabile (nonostante debba ancora essere provata falsa); quindi, secondo il falsificazionismo di Popper, appare un campo valido di esplorazione scientifica.
Parallelamente, le simulazioni al computer di processi di vita fondamentali hanno reso possibile l'esplorazione di forme di vita alternative (come il DNA levogiro o la vita basata sul silicio invece che sul carbonio, al fine di determinare quali potrebbero essere le loro caratteristiche.
La ricerca di vita extraterrestre è, ovviamente, di grande interesse per gli esobiologi.
Alcuni sostengono che il numero di pianeti con vita intelligente extraterrestre possa essere valutato dall'equazione di Drake, se e quando i valori delle sue variabili potranno essere determinati. Il radioastronomo statunitense Frank Drake sviluppò un'equazione in cui il numero di civiltà extraterrestri è in funzione del prodotto di una serie di fattori. Tuttavia le incertezze nei termini dell'equazione rendono impossibile predire se la vita è rara o comune. Il problema, infatti, sta proprio nella assoluta mancanza di valori di riferimento per alcune delle variabili coinvolte (ad esempio, la percentuale di pianeti della Galassia in cui si evolvono forme di vita). Siccome, in pratica, le probabilità vengono determinate sulla base delle proporzioni osservate, alcuni dei fattori dell'equazione sono indefiniti, rendendo indefinito il risultato.
Come afferma lo scienziato della NASA Chris McKay:
«L'unico esempio che abbiamo è quello della vita qui sulla Terra: se soltanto trovassimo il più semplice insetto su un altro pianeta, e se quell'insetto fosse diverso da quelli che abbiamo qui, sarebbe la dimostrazione che c'è vita in ambedue i posti; e se c'è in due posti, è evidente che l'universo è pieno di vita.»
Tuttavia, finché non verranno osservate forme di vita extraterrestre, non sarà possibile stabilire se la vita sulla Terra sia il frutto di un miracolo unico e mai più ripetuto (statisticamente un caso aberrante), oppure il risultato di un processo tutto sommato abbastanza comune nell'universo.
Un altro soggetto associato all'esobiologia è il paradosso di Fermi, il quale suggerisce che se la vita intelligente fosse comune nell'universo ci dovrebbero essere ovvi segni di essa.
Al momento (2017) non c'è alcuna evidenza a sostegno dell'esistenza di forme di vita intelligenti extraterrestri, quantunque se ne sia iniziata la ricerca fin dagli anni sessanta con il progetto di radioascolto astronomico SETI.
Una prova a sostegno dell'esistenza di forme di vita extraterrestre di tipo elementare potrebbe venire dall'esame di meteoriti cadute in Antartide, che si presume provengano dal pianeta Marte.
Don Bogard, uno scienziato della NASA, esaminò alcuni granuli di cristallo presenti nelle meteoriti, scoprendo che il gas in essi contenuto aveva una composizione identica a quella rilevata su Marte dai lander Viking alla metà degli anni settanta. Questa era una prova diretta e inconfutabile che quelle rocce erano di origine marziana e al contempo forniva anche un metodo per stabilire sperimentalmente quando un meteorite era stato, precedentemente, una roccia di Marte.
Nel 1997, un gruppo di scienziati della NASA sostenne di avere scoperto, in alcune meteoriti provenienti da Marte, microfossili di batteri extraterrestri. Questa potrebbe essere la prova che la vita si è sviluppata almeno in un altro posto, oltre alla Terra.
Come è possibile che tali batteri si siano sviluppati sulla superficie di un mondo freddo e desertico come Marte?
Per rispondere a questa domanda, bisogna considerare che, alcuni miliardi di anni fa, il pianeta rosso si presentava in modo molto diverso dall'attuale. Durante l'esplorazione di Marte con la missione Mars Exploration Rover è stata rintracciata l'ematite, un minerale che si forma solamente in presenza di acqua, e inoltre si sono osservate zone sedimentarie che soltanto un liquido può aver formato. Il rover Opportunity ha ottenuto riscontri che, in un antico passato, l'acqua esisteva allo stato fluido sulla superficie di Marte, mentre le sonde Viking, in orbita negli anni settanta, rilevarono una serie di strutture geologiche, sulla superficie del pianeta, legate alla presenza di antichi fiumi e oceani. Gli indizi della presenza di acqua allo stato liquido costituiscono una prova che Marte, molto tempo fa, abbia potuto ospitare un ambiente adatto alla vita.
Tuttavia l'interpretazione dei microfossili nelle meteoriti provenienti da Marte resta dibattuta: il campione potrebbe essere stato contaminato dall'interazione con l'atmosfera o con la superficie terrestre. Una conclusione certa, riguardo a questo problema, non è stata ancora raggiunta.
In ogni caso, l'originaria ipotesi di Lederberg riguardante la possibilità che batteri trasportati da un mondo a un altro potessero sopravvivere, ha ricevuto, indirettamente, almeno una conferma parziale.
Nel contesto della missione Apollo 12 del 1969, l'astronauta Pete Conrad, aveva, fra gli altri, il compito di riportare sulla Terra pezzi del Surveyor 3, una sonda automatica atterrata sulla Luna nel 1967. Questo modulo - un lander - era rimasto esposto al freddo e al vuoto dello spazio (la Luna non ha quasi atmosfera) per ben 33 mesi, con oscillazioni termiche dell'ordine di 500 gradi, da circa -250° a +250° Celsius (rispettivamente quando la sonda era immersa nella notte lunare o, viceversa, esposta alla luce diretta del Sole).
La missione era finalizzata a verificare quale fosse stato l'effetto, sugli strumenti, dell'esposizione prolungata in ambiente spaziale. Conrad raccolse la telecamera del Surveyor 3 e la riportò sulla Terra. Su di essa gli scienziati rilevarono microscopici organismi, ormai disseccati:
«Quando l'hanno aperta, sembrava che il tecnico che l'aveva montata tre anni prima avesse avuto il raffreddore e avesse starnutito sul polistirene»
(Charles "Pete" Conrad)
La cosa sorprendente fu che, una volta che un microbiologo ebbe effettuato un preparato di questi organismi (bacilli di Streptococcus mitis) essi ripresero ad essere attivi, come se nulla fosse accaduto in quei 33 mesi trascorsi sulla Luna. Questa esperienza dimostrò che i batteri possono sopravvivere nel vuoto spaziale.
Un esperimento di sopravvivenza di forme di vita nello spazio è stato effettuato nel corso della missione europea Life, sulla sonda russa Foton-M3, nell'ambito del progetto Tarse dell'ESA. Quattro specie di tardigradi, un gruppo di invertebrati in grado di sopravvivere in condizioni estreme, sono stati lanciati nello spazio il 17 settembre 2007, in orbita terrestre e, collocati nel modulo Biopan 6, esposti per 12 giorni alle radiazioni cosmiche e alle condizioni di vuoto cosmico e quindi recuperati dopo il rientro della capsula il 26 settembre 2007 sulla Terra.
Le successive analisi sugli animali ha rivelato un alto tasso di sopravvivenza degli individui, maggiore in quelli in condizioni deidratate, indicando una elevata capacità di resistenza alle radiazioni ed al vuoto cosmico.
La vita è capace di resistere e proliferare in siti in cui le condizioni ambientali possono essere definite "estreme". Anche questo argomento è di interesse per l'esobiologia, in quanto l'analisi degli habitat terrestri può orientare gli studiosi nella selezione degli ambienti extraterrestri da analizzare allo scopo di cercarvi la vita.
Fino a qualche decennio fa, si riteneva che la vita potesse svilupparsi esclusivamente in presenza di una combinazione di fattori molto rigida: l'irraggiamento opportuno da parte di una stella, la presenza di acqua allo stato liquido, la presenza di ossigeno nell'atmosfera e di condizioni di temperatura e di umidità variabili entro livelli prestabiliti. Ma, negli ultimi trentacinque anni, gli scienziati hanno scoperto una quantità di esseri viventi, detti organismi estremofili, adattati a vivere nelle condizioni più proibitive, come ad esempio:
  • in assenza di luce, come gli organismi che vivono nei pressi delle sorgenti idrotermali sul fondo degli oceani o come alcuni batteri che vivono circa 3 km sotto la superficie terrestre metabolizzando l'idrogeno;
  • in assenza di acqua allo stato liquido, come gli organismi che vivono nelle profondità della calotta glaciale antartica;
  • in ambienti poverissimi, ed in particolari condizioni biochimiche, come gli organismi che vivono sotto la crosta di sale della Death Valley, in California;
  • addirittura nell'interno delle rocce, come microorganismi fotosintetici presenti entro arenarie dell'Antartide, che restano congelati per la maggior parte della loro vita e si riattivano solo per poche ore all'anno.
Aver trovato la vita sulla Terra in ambienti inaspettati ha aumentato i limiti dei parametri ambientali entro i quali è considerata possibile la sopravvivenza degli organismi viventi, e di conseguenza ha aperto nuove frontiere di esplorazione spaziale alla ricerca della vita extraterrestre, all'interno dello stesso sistema solare. Negli ultimi anni, mondi particolarmente interessanti da questo punto di vista sono stati ritenuti la luna maggiore di Saturno, Titano, e soprattutto una luna di Giove, Europa.
In Italia il Centro studi di esobiologia (CSE), un'unità operativa della Società Italiana di Scienze Naturali (SISN), ha come scopo lo studio e la divulgazione dell'esobiologia, intesa come la disciplina scientifica che si occupa della ricerca della vita nello spazio, dall'individuazione dei prerequisiti per la sua nascita, ai possibili ambienti per la sua evoluzione e il suo mantenimento, alla ricerca di eventuali segni di vita intelligente.
È presente anche l'"Italian Astrobiology Society", associazione fondata da un team di astronomi, biologi, chimici, genetisti e medici che si occupa di questi studi.
L'esobiologia e la xenobiologia figurano anche in molti scritti di fantascienza come la scienza fittizia della biologia di organismi alieni. Quest'uso del termine dimostra la generazione speculativa di modelli possibili di tale vita, per esempio basate sul silicio. Il filone della fantascienza che ha per protagonisti forme di vita e intelligenze extraterrestri è talvolta chiamato xenofiction.
Alcuni universi narrativi della fantascienza presentano una vasta e dettagliata serie di specie aliene (in genere umanoidi): tra questi anzitutto quelle di Star Trek.
Dal punto di vista narrativo, le specie extraterrestri sono descritte o come umanoidi, o zoomorfe non umanoidi (ad esempio, i marziani di H.G. Wells), specie metamorfiche (esseri capaci di cambiare aspetto); infine, esseri di tipo totalmente differente (corpi celesti, forme di vita non chimica, esseri di pura energia, entità transdimensionali, abitanti di universi paralleli con leggi fisiche differenti, entità memetiche, etc.)
Tra gli esempi più noti di forme di vita di dimensioni planetarie nella narrativa, si possono citare la massa di protoplasma senziente che ricopre il pianeta Alix nel racconto Il pianeta solitario (The Lonely Planet) di Murray Leinster (1949), la nube di gas interstellare ne La nuvola nera (The Black Cloud) di Fred Hoyle (1957) e l'oceano senziente nel romanzo Solaris di Stanislaw Lem (1961).

giovedì 9 dicembre 2021

Extraterrestri nella fantascienza

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Nella fantascienza e, più in generale, nella cultura di massa, gli extraterrestri sono rappresentati come forme di vita generalmente intelligenti provenienti da un pianeta diverso dalla Terra. Spesso sono anche indicati collettivamente come alieni; tale termine è antropocentrico ed è usato per riferirsi a ipotetici rappresentanti di civiltà non umane a partire da o su altri pianeti, anche nel contesto del proprio habitat nativo. Questo può essere visto come un ritorno al significato classico di "alieno", come riferito a un "altro". La parola "alieno" (dal latino alienus col vario significato di «appartenente ad altri, altrui; straniero; estraneo; avverso») indica in generale un soggetto estraneo all'ambiente di riferimento.
Per quanto la fantascienza abbia visto la propria codifica come genere solo nella prima metà del Novecento, gli extraterrestri compaiono già nella narrativa precedente, fin dall'antichità, in racconti filosofici, spesso in relazione al tema della "pluralità dei mondi", o in satire a sfondo sociale e politico.
Durante la prima fantascienza delle riviste "pulp" statunitensi, gli extraterrestri sono stati spesso rappresentati come mostri o come "omini verdi" e più in generale come semplici personaggi stereotipati, per lo più antagonisti malvagi dell'eroe umano, o al massimo nel ruolo di "spalla" del protagonista. In queste prime storie avventurose, gli extraterrestri sovente erano fatti provenire dal pianeta Marte o da altri luoghi del sistema solare. In seguito al progredire delle osservazioni astronomiche e dell'esplorazione spaziale, la loro origine è stata spostata in più remoti pianeti extrasolari. Con la nascita dell'ufologia alla fine degli anni quaranta e la corsa allo spazio durante la guerra fredda, gli extraterrestri hanno goduto di rinnovato interesse nell'opinione pubblica, diventando un popolare soggetto di indagine. Con gli anni sessanta-settanta della New Wave e della "fantascienza sociologica", nella narrativa queste figure dimettono il semplice ruolo di mostri e crudeli invasori per venire descritti in modo più complesso nei loro aspetti psicologici e culturali, superando gli stereotipi precedenti e rendendosi più spesso protagonisti delle storie, assieme alla loro civiltà e al loro ambiente.
Nella cultura popolare lo stereotipo degli "omini verdi" è stato nel frattempo sostituito da quello dei "Grigi" delle pubblicazioni ufologiche.
Idee storiche
Benché la fantascienza come genere definito si sia sviluppata a partire dal Novecento, le rappresentazioni di personaggi extraterrestri compaiono nella letteratura fin dall'antichità, nel racconto Una storia vera di Luciano di Samosata (120-190 d.C.), o più avanti, agli albori dell'era scientifica, nel Somnium (1634) di Keplero, ne Gli stati e gli imperi della luna (1662) di Cyrano de Bergerac, nel Micromega (1752) di Voltaire.
La protagonista del racconto popolare giapponese del X secolo Taketori monogatari (Storia di un tagliatore di bambù), è una hime (principessa) della Luna, che viene mandata sulla Terra per sicurezza nel corso di una guerra celeste e viene ritrovata e cresciuta da un tagliatore di bambù in Giappone. In seguito ella viene riportata sulla Luna dalla sua vera famiglia. L'illustrazione del manoscritto raffigura una macchina volante circolare somigliante a un disco volante. All'incirca nello stesso periodo, Le avventure di Bulukiya, un racconto arabo medioevale da Le mille e una notte, descriveva un cosmo costituito da diversi mondi, alcuni più grandi della Terra e ciascuno con i propri abitanti.
Tuttavia è soprattutto a partire dal XVII secolo, con l'invenzione del telescopio, che si crea un autentico interesse per il tema della vita negli altri mondi.
Il poeta didattico Henry More riprese il tema classico della pluralità dei mondi del greco Democrito nel Democritus Platonissans, or an Essay Upon the Infinity of Worlds (1646). Con il nuovo punto di vista relativo era sostenuta la possibilità che "Il Sol del nostro mondo / divien altrove una stella", oltre ad avere compiuto il salto speculativo dei pianeti extrasolari.
La possibilità di vita extraterrestre era un luogo comune del discorso dotto nel XVII secolo, benché nel Paradiso perduto (1667) John Milton utilizzasse prudentemente il condizionale, quando l'angelo suggerisce ad Adamo la possibilità di vita sulla Luna:
«E se la luce effusa attraverso la vasta e trasparente aria alla luna terrestre fosse come una stella che di giorno la illumina, così come di notte lei illumina la terra, reciprocamente, e vi fossero laggiù terreno e campi ed abitanti?
Tu vedi le sue macchie come fossero nubi, e dalle nubi discende la pioggia, e le piogge sul suolo ammollito producono frutti, in modo che qualcuno si possa nutrire; e altri soli riesci forse a discernere con il corteggio delle loro lune, che emanano una luce maschile e femminile, due grandi sessi che animano il mondo, raccolti in ogni orbita, e forse là c'è qualcuno che vive»
Le Conversazioni sulla pluralità dei mondi di Bernard le Bovier de Fontenelle, con le sue analoghe escursioni sulla possibilità di vita extraterrestre, ampliano piuttosto che negare la sfera creativa di un Artefice; vennero tradotte in inglese nel 1686. Nelle Escursioni (1728) David Mallet proclama: "Diecimila mondi splendono avanti, ciascuno con il suo treno / di mondi popolati."
Nell'Ottocento l'idea che la Luna e gli altri pianeti del sistema solare fossero abitati era abbastanza diffusa a livello popolare e anche nell'ambito del mondo accademico era una questione seriamente dibattuta. Il continuo miglioramento della tecnologia dei telescopi rifrattori, inoltre, faceva presagire nuove imminenti scoperte. L'astronomo francese Camille Flammarion (1842-1925), ad esempio, rimase convinto per tutta la vita che vi fossero altri pianeti abitati, concetto che divulgò nei suoi libri. Flammarion, oltre che divulgatore, fu anche un noto scrittore di romanzi scientifici precursori della fantascienza e fu tra i primi a proporre l'idea che gli esseri extraterrestri fossero davvero alieni, e non semplicemente variazioni delle creature terrestri.
Nell'opinione pubblica suscitò grande scalpore, nel 1835, la notizia della scoperta della vita sulla Luna in una serie di articoli pubblicati sul quotidiano New York Sun, che aumentò vertiginosamente le proprie vendite. Tale storia è passata alla storia col nome di Great Moon Hoax ("grande beffa della Luna"). In essa era descritto un completo ecosistema lunare e una razza intelligente di uomini alati. Le immaginarie scoperte - falsamente attribuite a sir John Herschel, forse il più noto astronomo del suo tempo - vennero prese per autentiche dai newyorkesi e l'articolo tradotto in varie lingue, malgrado in origine avesse, con ogni probabilità, un intento satirico: mettere in ridicolo alcune delle stravaganti teorie astronomiche dell'epoca, e in particolare le idee del rev. Thomas Dick, il quale aveva calcolato che il sistema solare contenesse 21.891.974.404.480 (oltre 21 trilioni) di abitanti (la Luna da sola, secondo il suo calcolo, avrebbe potuto contenerne 4,2 miliardi). Gli scritti di Thomas Dick furono enormemente popolari negli Stati Uniti anche tra gli intellettuali.
Dopo la Luna, il pianeta Marte è stato considerato per lungo tempo un ottimo candidato per la vita extraterrestre. Nel 1877 l'astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli credette di scorgere una rete di canali sulla superficie di Marte, i cosiddetti "Canali di Marte". Si diffuse l'idea che tali formazioni fossero opere d'ingegneria idraulica realizzate da una specie intelligente per sopravvivere in un mondo più arido della Terra. L'astronomo statunitense Percival Lowell fu tra i maggiori sostenitori di questa teoria, che ebbe grande impatto popolare. Egli sostenne la tesi che i canali fossero stati costruiti da esseri intelligenti col proposito di gestire al meglio le insufficienti risorse idriche del pianeta, che immaginava - differentemente da Schiaparelli - coperto di vegetazione.
La controversia scientifica si trascinò per anni, fino ai primi del Novecento, quando fu dimostrato che i canali di Schiaparelli erano delle illusioni ottiche. Le idee di un Marte solcato da canali e abitato sarebbero tuttavia rimaste vive nell'immaginario popolare, grazie soprattutto alle numerose storie di fantascienza ambientate sul pianeta rosso, almeno fino al 1965, quando la televisione mostrò le prime foto scattate dalla sonda spaziale Mariner 4 della NASA di un pianeta desertico e inospitale.
Con il romanzo del 1898 La guerra dei mondi di H.G. Wells, che rappresenta realisticamente un'invasione della Terra da parte dei marziani, l'idea di abitanti di altri mondi entra prepotentemente a far parte dell'immaginario collettivo.
Benché già prima della pubblicazione de La guerra dei mondi vi fossero state altre storie di alieni e di invasioni aliene, questo romanzo è considerato generalmente come il prototipo delle storie di invasione aliena e a Wells è accreditata l'ideazione di diversi temi sugli extraterrestri che sono stati poi notevolmente ampliati dagli scrittori di fantascienza nel corso del Novecento, tra cui il primo contatto e la guerra interplanetaria tra specie differenti.
Wells stesso, vari decenni dopo, ribaltò lo stereotipo dell'alieno malvagio che egli stesso aveva contribuito a creare in un successivo romanzo, Gli astrigeni (Star Begotten, 1937): i marziani erano qui descritti come una sorta di fratelli maggiori e più saggi dell'umanità, che guidano l'evoluzione dell'intelletto umano con una dosata irradiazione di raggi cosmici. Dalla Guerra dei mondi in poi, la paura dell'invasione degli "alieni" rimase comunque una costante in numerosissime opere popolari. Dal romanzo fu tratto nel 1938 un dramma radiofonico omonimo prodotto e interpretato da Orson Welles come una radiocronaca, talmente realistica e convincente da gettare nel panico milioni di ascoltatori americani.
Durante la prima fantascienza delle riviste "pulp" statunitensi (anni venti e trenta), gli extraterrestri sono stati spesso rappresentati come mostri e più in generale come semplici personaggi stereotipati, antagonisti malvagi dell'eroe, o al massimo nel ruolo di "spalla" del protagonista, che quasi invariabilmente è un giovane maschio bianco terrestre. In queste prime storie avventurose e nelle illustrazioni di copertina compare spesso il personaggio del mostro dagli occhi da insetto (BEM, bug-eyed monster) che insidia la fanciulla da salvare. Nell'epoca d'oro della fantascienza (dalla fine degli anni trenta agli inizi dei cinquanta) gli extraterrestri sovente erano fatti provenire dal pianeta Marte, da Venere o da altri luoghi del sistema solare allora considerati misteriosi. In seguito, con il progredire delle osservazioni astronomiche e dell'esplorazione spaziale, la loro origine sarà spostata in pianeti sempre più remoti.
Vari autori già agli inizi degli anni trenta avevano messo in discussione lo stereotipo degli extraterrestri come crudeli invasori o guerrieri simili all'uomo. Stanley G. Weinbaum, in Un'odissea marziana (1934), descrive un Pianeta Rosso abitato da creature pacifiche, spesso intelligenti quanto gli esseri umani ma con una psicologia del tutto diversa e incomprensibile. Dello stesso anno, nel racconto Vecchio fedele di Raymond Z. Gallun, un marziano fugge dal governo dispotico del suo pianeta e, con l'aiuto di una cometa, raggiunge la Terra dove riesce a incontrare i terrestri con cui era entrato in contatto radio; infine muore perché l'atmosfera terrestre è troppo densa per lui.
L'elenco dei libri di narrativa che contengono descrizioni di extraterrestri o di forme di vita aliene, dal romanzo di Wells in poi, è sterminato. Le opere di questo tipo vanno dalla narrativa di anticipazione o di speculazione (Infinito di Olaf Stapledon), agli horror (molti dei racconti del "terrore cosmico" di Lovecraft) fino alla space opera, l'avventura spaziale popolare a partire dagli anni trenta-quaranta. Nel romanzo Infinito (1930) di Olaf Stapledon, i marziani hanno la forma di nuvole capaci di comunicare telepaticamente e formano una coscienza collettiva sul loro pianeta; tentano anch'essi una invasione della Terra ma vengono respinti, anche se la vittoria sarà fatale ai terrestri.
Gli alieni sono protagonisti dei primi fumetti di fantascienza, inizialmente comici e satirici, pubblicati in forma di strisce o vignette nei quotidiani: Marsoozalums, apparso nel 1901 sul New York Journal, e Mr. Skygack, from Mars, del 1907. In Flash Gordon, del 1934, il protagonista è catapultato nel planetoide alieno di Mongo, popolato da numerose razze diverse. Il più famoso personaggio di origine extraterrestre, Superman, fa la sua apparizione nel 1938.
Il secondo dopoguerra vede l'inizio della Guerra fredda, che viene riflessa nell'immagine ancora una volta popolare dell'alieno malvagio, minacciosamente in procinto di conquistare gli Stati Uniti con armi terribili. La più grande ondata di pellicole sulle invasioni aliene si ha proprio tra l'ascesa di Joe McCarthy nel 1950 e il lancio dello Sputnik nel 1957. La corsa allo spazio condotta nell'ambito della guerra fredda tra USA e URSS, provoca un rinnovato interesse per l'esplorazione del cosmo e per i suoi possibili abitatori.
Con la nascita dell'ufologia alla fine degli anni quaranta e soprattutto negli anni cinquanta, gli extraterrestri divengono anche, da elemento narrativo e soggetto filosofico, oggetto di indagine con velleità scientifiche. Dopo decenni di ricerche inconcludenti, la mancanza di risultati scientifici che potessero comprovare - o escludere - l'origine extraterrestre del fenomeno UFO non ha diminuito la popolarità degli alieni, mantenendo l'entità extraterrestre una figura enigmatica, misteriosa e aperta a qualsiasi interpretazione. Essa continua dunque a essere un terreno fertile per i narratori, che la possono adattare per qualsiasi ruolo all'interno delle proprie storie, anche di tipo allegorico.
Nelle Cronache marziane (1950), di Ray Bradbury, Marte viene conquistato e colonizzato dai terrestri. I marziani sono un'antichissima e saggia razza in malinconica decadenza, destinata ad una rapida estinzione. Vi è un evidente parallelo con la conquista del Nuovo Mondo: gli umani si insediano sul suolo marziano senza considerazione per gli indigeni, che vengono uccisi dalle malattie portate dalla Terra, come accadde per i nativi americani.
Sulla scorta dell'ufologia nascono anche dei culti religiosi, tra cui i Raeliani, che riprendono elementi dalla Teosofia e dalle religioni orientali; in genere queste credenze propongono la figura di alieni saggi e benevoli; tuttavia non manca la figura dell'alieno malvagio, che in tale ambito religioso è più che altro riconducibile ai miti e ai simboli della demonologia cristiana.
Con gli anni sessanta-settanta della New Wave e della "fantascienza sociologica", gli extraterrestri nella narrativa dismettono il semplice ruolo di crudeli invasori per godere di maggiore risalto nella loro componente psicologica e culturale, superando gli stereotipi e diventando, sempre più spesso, i veri protagonisti della narrazione, che approfondisce la descrizione del loro habitat e della loro civiltà; nascono storie interamente ambientate in contesti alieni e narrate dal punto di vista degli extraterrestri, per le quali è stato coniato il termine di "xenofiction".
In Straniero in terra straniera (Stranger in a Strange Land, 1961), di Robert A. Heinlein, i saggi e antichi Marziani allevano il protagonista umano, orfano, il quale al termine dell'adolescenza fa ritorno sulla Terra, per conoscere la cultura umana a lui "aliena". La controcultura dei tardi anni sessanta fu influenzata da questo libro per i suoi temi libertari e per la sua esaltazione dell'"amore libero".
L'elenco dei libri di narrativa che contengono descrizioni di extraterrestri o di forme di vita aliene è sterminato. Le opere di questo tipo vanno dalla narrativa di anticipazione o di speculazione (La nuvola nera (1957) di Fred Hoyle), al racconto filosofico (come in alcune opere di Stanislaw Lem, dove l'alieno è solitamente un enigma: ad esempio Solaris, Il pianeta del silenzio), agli horror fino alla fiaba per bambini (Clorofilla dal cielo blu di Bianca Pitzorno), alla tradizionale space opera.
Extraterrestri - più o meno pittoreschi - compaiono abitualmente (anche come personaggi principali) in film, serie televisive e fumetti.
Una espressione ricorrente per indicare gli extraterrestri è "omini verdi" od "ometti verdi" (in inglese "little green men"), per riferirsi a delle figure stereotipate di alieni. La loro raffigurazione può variare notevolmente, ma il più delle volte sono rappresentati come creature umanoidi dalla pelle verdastra e dalla statura inferiore a quella umana, glabre e dotate di una testa imponente (a suggerirne l'intelligenza assai sviluppata), occhi grandi e privi di pupille, naso appena abbozzato e arti esili; talvolta presentano delle antenne sul capo.
L'etichetta di "omini verdi", spesso utilizzata in senso umoristico e parodico, è rimasta associata per molti anni ai marziani. Il colore verde in riferimento agli alieni deriva forse dal romanzo originale di Edgar Rice Burroughs Sotto le lune di Marte (A Princess of Mars, 1912), dove sono descritte varie specie di marziani, tra cui appunto una razza con la pelle verde. Nella tradizione narrativa, il colore verde è onnipresente per evocare creature magiche e spettrali; Claude Lecouteaux, nel suo saggio Les nains et les elfes au Moyen Âge, sostiene che questo colore è una prerogativa delle forze dell'Aldilà.
Il colore verde in associazione agli extraterrestri sarà ripreso, dopo Burroughs, da molti altri autori e compare, in qualche caso, anche nel titolo delle loro opere, come nel romanzo The Green Man di Harold Sherman (1946, su Amazing Stories) e nel seguito The Green Man Returns (1947), dove un messia dalla pelle verde discende sulla Terra da un disco volante, o nel racconto The Third Little Green Man di Damon Knight (1948, su Planet Stories). Alieni verdi comparivano anche nelle copertine di pulp magazine con le avventure di Flash Gordon e Buck Rogers e persino nei cartoni animati della Warner Brothers, dove fa la sua comparsa nel 1948 il personaggio comico di Marvin il marziano (Marvin the Martian o Commander X-2), un piccolo alieno bellicoso in divisa verde.
Gli omini verdi sono protagonisti, ad esempio, del romanzo di Mack Reynolds The Case of the Little Green Men (1951), in cui un detective indaga sugli extraterrestri che vivono sulla Terra in mezzo alla popolazione. Fredric Brown, nel suo romanzo del 1954 Marziani, andate a casa! (Martians, Go Home!) descrive in tono umoristico una improvvisa invasione di milioni di marziani verdi, intangibili e sostanzialmente pacifici ma insopportabili nella loro invadenza.
I "Grigi" hanno rimpiazzato gli omini verdi come stereotipo di extraterrestre nella cultura popolare, grazie alla diffusione data loro dalle pubblicazioni ufologiche, che comunque propongono anche altre rappresentazioni di alieni, come i benevoli "Nordici" (presenti soprattutto nell'immaginario ufologico europeo), i sanguinari Rettiliani o gli inquietanti Insettoidi.
I Grigi fanno la loro prima significativa apparizione cinematografica nel film del 1977 Incontri ravvicinati del terzo tipo, in cui il regista Steven Spielberg si servì di alieni simili a bambini come metafora creativa.
Appartengono a questa vasta categoria gli alieni rappresentati con un misto di caratteristiche umane e di animali terrestri. I più noti di questo tipo di extraterrestri sono i rettiliani - popolari tra gli ufologi - e gli insettoidi.
Gli alieni a forma di rettile sono i protagonisti della serie televisiva Visitors, dove si presentano camuffati sotto un aspetto umano.
Alieni dalle sembianze di insetti compaiono nella serie televisiva Star Trek: Enterprise, dove rappresentano una delle specie del popolo Xindi.
La rappresentazione di extraterrestri non si limita a creature antropomorfe o zoomorfe.
Già nel sopracitato romanzo di H. G. Wells i marziani sono rappresentati come esseri tentacoluti, con cenni di biologia extraterrestre. Da qui seguirono altre rappresentazioni di extraterrestri più o meno mostruosi. Murray Leinster, nel racconto Proxima Centauri (1935) descrive gli extraterrestri come dei ferocissimi mostri vegetali, senzienti ma antropofagi. Molte delle entità che popolano i racconti di H. P. Lovecraft sono spesso descritte come provenienti da altri mondi (altri pianeti, altre galassie o altri piani di esistenza).
D'altra parte, C. S. Lewis, nel romanzo Lontano dal pianeta silenzioso del 1938, descrive gli eldila, esseri di energia (nel contesto, una versione fantascientifica degli angeli).
Mentre questi extraterrestri possono essere affini alla mitologia, altri autori hanno invece voluto descrivere forme molto differenti di esseri viventi. Già Keplero, nel Somnium (pubblicato postumo nel 1634), si rende conto che l'irregolare clima lunare e il terreno ostile avrebbero prodotto piante e animali molto diverse da quelle terrestri e, invece di ideare una civiltà lunare simile a quelle terrestri, descrive delle creature (forse solo animali, forse no), dal breve arco vitale, in continua migrazione per sfuggire agli sbalzi di temperatura e a condizioni ostili di vita.
Nel corso di questa voce sono state già citate altre forme di vita più insolite, come le colonie senzienti di batteri marziani di Olaf Stapledon (Infinito, 1930) e La nuvola nera di Fred Hoyle (1969) (nel romanzo si suggerisce anzi che sia una forma di vita comune nell'universo); di nuovo, Murray Leinster, nel racconto Il pianeta solitario (1949), anticipa Solaris raccontando di una massa gigantesca di protoplasma senziente che ricopre un intero pianeta, sostanzialmente ben intenzionata; Michael Crichton, nel romanzo Andromeda (1969), descrive un virus alieno (non senziente).
Altri autori ancora sono passati a forme di vita non basate sulla chimica del carbonio: il caso limite, forse, è Dragon's Egg (1980) di Robert L. Forward, dove il metabolismo degli extraterrestri si basa su reazioni nucleari anziché sulle reazioni chimiche, con effetti sulla scala dei tempi: nell'arco di pochi giorni terrestri, per queste forme di vita passano intere civiltà, finché non superano rapidamente la stessa civiltà terrestre. Il racconto fu suggerito da un saggio dell'astronomo Frank Drake.
Un altro caso limite, di tipo più ludico, è Dkrtzy RRR, un'equazione matematica senziente. Questo personaggio inventato da Alan Moore compare nei fumetti e si può considerare un'entità di natura memetica, come, per esempio, un software. Questa equazione è stata scoperta (o costruita) da un matematico extraterrestre e, nel contesto della storia, lavora e coopera con altre entità.
Un soggetto da sempre legato agli extraterrestri è immaginare come potrebbe svolgersi il primo incontro con essi e a quali conseguenze - benefiche o disastrose - potrebbe condurre per la specie umana.
A questo tema sono state dedicate intere serie. Un classico è la serie di romanzi dei Free Traders (dal 1966) di Andre Norton. Una trattazione moderna e scientificamente curata, che usa segnali radio invece delle astronavi, si ritrova nei romanzi Gli ascoltatori (Listeners, 1972) di James Gunn e Contact (1985) dell'astrofisico Carl Sagan, veri e propri manifesti del progetto SETI. Una variazione originale sul tema è quella di James White con il suo romanzo Incontro nell'abisso (The Watch Below , 1965) in quanto si svolge in ambiente sottomarino sulla Terra e con modalità del tutto inconsuete.
Ultimatum alla Terra, un film del 1951 liberamente tratto dal racconto Addio al padrone (Farewell to the Master, 1940) di Harry Bates, mostra le incomprensioni e il clima di diffidenza che potrebbero segnare e rovinare il buon esito di un primo contatto fra la civiltà terrestre e una maggiormente avanzata, che avvenisse sulla Terra.
Il primo film in cui appaiono extraterrestri - per la precisione dei seleniti - è il Viaggio nella Luna di Georges Méliès del 1902, considerato anche il primo film di fantascienza. Gli abitanti della Luna sono rappresentati come creature grottesche simili a folletti, senza alcuna pretesa di scientificità. Segue nel 1918 il meno noto film danese Himmelskibet di Holger-Madsen dove compaiono dei marziani, l'inglese The First Men in the Moon di Bruce Gordon e J.L.V. Leigh (1919) con abitanti della Luna e il film sovietico Aelita diretto da Jakov A. Protazanov (1924), nuovamente con dei marziani.
La più grande ondata di pellicole sulle invasioni aliene si ebbe invece nell'epoca tra l'ascesa di Joe McCarthy nel 1950 e il lancio dello Sputnik 1 nel 1957. Si tratta di film hollywoodiani che giocavano sulla paranoia anticomunista dilagante negli Stati Uniti dell'epoca, seppure senza affrontare in modo esplicito i temi scottanti del Maccartismo e della "paura rossa". In questa fase storica gli alieni sono quasi invariabilmente ritratti come malvagi invasori alieni, con episodiche eccezioni (come i film Ultimatum alla Terra del 1951, Cittadino dello spazio del 1955, I figli dello spazio del 1958).
Dagli anni cinquanta in poi la presenza di extraterrestri diventa un tema fisso del cinema e di show televisivi; i film in cui compaiono extraterrestri - anche a scopo parodistico - sono ormai centinaia; così come le serie televisive. Per queste ultime, i primi titoli - in ordine cronologico - sono la serie britannica Doctor Who (dal 1963) e le serie statunitensi Lost in Space (1965 - 1968) e Star Trek (1966 - 1969). Nella serie originale di Star Trek l'incontro con "nuove forme di vita e nuove civiltà" è un elemento centrale e le serie succedutesi negli anni hanno mostrato un cospicuo numero di differenti specie extraterrestri (oltre 400, quasi sempre del tipo umanoide).
In anni più recenti, è da citare la serie televisiva X-Files, che ha attinto a piene mani ai temi della cultura popolare statunitense come le teorie del complotto sugli UFO.

mercoledì 8 dicembre 2021

Yūrei

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Gli yūrei (幽霊) sono i fantasmi della tradizione giapponese. Il nome è composto dai kanji ( "flebile", "evanescente", ma anche "oscuro") e rei ( "anima" o "spirito"). Sono talvolta chiamati anche bōrei (亡霊 "spiriti dei caduti"), shiryō (死霊 "spiriti dei morti"), o anche con i più generici nomi di yōkai (妖怪) e obake (お化け).
Come per le controparti occidentali, si tratta di anime dei defunti che sono incapaci di lasciare il mondo dei vivi e raggiungere in pace l'aldilà.
Secondo la tradizione giapponese, tutti gli esseri umani hanno uno spirito/anima o reikon (霊魂); quando muoiono, il reikon lascia il corpo e resta in attesa del funerale e dei riti successivi, prima di potersi riunire ai propri antenati nell'aldilà. Se le cerimonie sono svolte nel modo appropriato, lo spirito del defunto diventa un protettore della famiglia, a cui torna a far visita ogni anno ad agosto durante la festa Obon, nella quale i vivi porgono ai defunti i propri ringraziamenti.
Tuttavia, nel caso di morti improvvise e violente, o se i riti funebri non sono stati effettuati, o ancora se lo spirito è trattenuto al mondo dei vivi da forti emozioni, il reikon può trasformarsi in yūrei ed entrare in contatto con il mondo fisico. Non tutti gli spiriti che si trovano in queste condizioni però si trasformano in yūrei, perché agire sul mondo fisico dal mondo spirituale richiede una grande forza mentale o emotiva.
Lo yūrei può infestare un oggetto, un posto o una persona, e può essere scacciato solo dopo aver celebrato i riti funebri o risolto il conflitto emotivo che lo tiene legato al mondo dei vivi, anche se sono presenti delle forme di esorcismo.
All'inizio, la tradizione non attribuiva agli yūrei un aspetto differente da quello dei comuni esseri umani.
Nel tardo XVII secolo, durante il periodo Edo, si diffuse il gioco del Hyakumonogatari Kaidankai, molto popolare ancora oggi, che consiste nel raccontare a turno una storia dell'orrore (kaidan, termine non più in voga, sostituito nel giapponese moderno dall'inglese horror) e poi spegnere una luce; si credeva che quando l'ultima luce si fosse spenta uno yūrei si sarebbe manifestato. I kaidan divennero oggetto di letteratura, opere teatrali e dipinti, e gli yūrei cominciarono ad assumere degli attributi che permettevano al pubblico di identificarli immediatamente tra i personaggi.
Il primo esempio dell'aspetto ormai canonico di uno yūrei è Il fantasma di Oyuki, un ukiyo-e di Maruyama Ōkyo.
  • Veste bianca - Simile al folkloristico lenzuolo bianco dell'immaginario collettivo occidentale, gli yūrei sono vestiti di un ampio abito bianco, che ricorda il kimono funerario in uso durante il periodo Edo; il kimono può essere un katabira (una semplice veste bianca) o un kyokatabira (simile al precedente ma decorato di sutra buddhisti).
  • Hitaikakushi - Un altro elemento di vestiario che li contraddistingue, ma soprattutto in alcune opere teatrali o di carattere comico, e reso popolare principalmente da anime e manga; è un fazzoletto avvolto intorno alla testa che assume una forma triangolare (con la punta rivolta verso l'alto) sulla fronte.
  • Capelli lunghi e neri - Gli yūrei hanno generalmente i capelli lunghi, neri e scompigliati. Si credeva che i capelli continuassero a crescere dopo la morte, e inoltre tutti gli attori nel kabuki indossavano parrucche.
  • Mani morte e mancanza della parte inferiore del corpo - Le mani dello yūrei penzolano senza vita dai polsi, che sono generalmente portate in avanti con il gomito all'altezza dei fianchi. La parte inferiore del corpo è del tutto assente, e lo yūrei fluttua nell'aria. Queste caratteristiche comparvero dapprima negli ukiyo-e del periodo Edo, e vennero poi fatte proprie dal kabuki, nel quale per nascondere la parte inferiore del corpo si usava un kimono molto lungo o si sollevava l'attore da terra con delle corde.
  • Hitodama - Gli yūrei sono spesso accompagnati da una coppia di fuochi fatui (hitodama) in sfumature tetre di blu, verde o viola; queste fiammelle sono considerate parte integrante dello spirito. Le hitodama sono entrate a far parte anche della simbologia di anime e manga, in cui oltre a seguire un fantasma compaiono intorno a persone dall'aria funebre o stati emotivi fortemente depressi.

Tipologie

  • Jibakurei (自縛霊?): spettro, spesso di una persona morta suicida o con dei rimpianti, che infesta un particolare luogo.
  • Hyōirei (憑依霊): uno spettro che si impossessa del corpo di un vivente.
  • Onryō (怨霊): spiriti vendicativi che tornano a perseguitare chi li ha maltrattati in vita.
  • Ubume (産女): spiriti di madri morte nel dare alla luce un figlio, o senza sapere cosa sia accaduto ad essi; sono generalmente innocui e desiderano solo incontrare i propri figli.
  • Goryō (御霊): spiriti di aristocratici morti per intrighi di palazzo o traditi dai propri servitori, che tornano a esigere vendetta.
  • Funayūrei (船幽霊): spiriti di marinai morti in mare; se vengono lasciati salire su una nave la fanno affondare.
  • Zashiki-warashi (座敷童): fantasmi di bambini, generalmente dispettosi.
  • Gaki (餓鬼): nati e diffusi nell'ambito della tradizione buddhista (sono presenti in tutte le culture influenzate dal Buddhismo: sono chiamati preta in sanscrito, peta in pāli, yidak in tibetano ed 餓鬼 egui in cinese), sono fantasmi di persone morte nella pratica ossessiva dei propri vizi, e che sono state condannate perciò ad una sete e fame insaziabili di particolari oggetti, generalmente ripugnanti e umilianti.
  • Jikininki (食尸鬼): una variante del precedente, anche questa di ambito buddhista; la loro condanna è cibarsi di cadaveri.
  • Ikiryō (生霊): una particolare forma di fantasma che si materializza quando la persona è ancora in vita; se questa infatti prova un forte desiderio di vendetta l'anima può separarsi in parte dal corpo e andare a perseguitare il nemico, oppure se è molto malata o in coma può manifestarsi accanto ai familiari.
  • Fantasmi di samurai: veterani della guerra di Genpei morti in battaglia; compaiono quasi esclusivamente nel teatro Nō.
  • Fantasmi seduttori: in taluni casi lo spettro di una donna o un uomo cerca di avere una storia d'amore con un vivente.

Il modo più semplice per liberarsi di uno yūrei è soddisfare il suo desiderio, eliminando la sua ragione per restare in questo mondo; spesso significa trovare i suoi resti e dargli la dovuta sepoltura. Nel caso di onryō questo però significa dar seguito alla sua vendetta, cosa non sempre possibile, e inoltre le loro emozioni sono sufficientemente forti da sopravvivere anche dopo che lo scopo sia stato raggiunto. In questo caso è necessario un esorcismo, del quale però esistono diversi tipi. Nel buddhismo i monaci possono celebrare dei riti volti a facilitare il passaggio dello spirito nella sua prossima reincarnazione. Nello shintoismo è possibile recitare un norito (una preghiera rituale) con lo stesso scopo oppure usare un ofuda, un foglio con impresso il nome di un kami del quale assorbe il potere, che vengono premuti sulla fronte del posseduto o sparsi nell'area infestata. In almeno un caso, per placare uno spirito vendicativo lo si è deificato: dopo la morte in esilio di Sugawara no Michizane si verificarono epidemie e carestie, mentre la capitale subì tempeste e inondazioni, diversi fulmini colpirono il palazzo imperiale e morirono alcuni dei figli dell'Imperatore Daigo, che, su consiglio della corte convinta che Michizane fosse diventato un goryō, per placarlo bruciò l'ordine di esilio, deliberò che fosse venerato con il nome Tenjin (天神? "kami del cielo") e eresse in suo onore il tempio di Kitano a Kyōto.
 
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