L'esobiologia (o astrobiologia)
è un campo prevalentemente speculativo della biologia che considera
la possibilità della vita extraterrestre e la sua possibile natura.
Necessariamente include anche il concetto di vita artificiale, poiché
qualunque forma di vita dotata della capacità di evolversi
naturalmente in modo concepibile, potrebbe essere creata altrove in
laboratorio usando una tecnologia futuribile. Include anche l'ipotesi
di un'origine della vita sulla Terra tramite panspermia, teorizzata
dal genetista premio Nobel Francis Crick e dall'astronomo Fred Hoyle.
Il genetista Eugene Koonin ritiene che l'origine della vita sulla
sola Terra sia così improbabile da ipotizzare che essa si debba
essere manifestata su svariati infiniti universi
Il termine deriva dall'unione della
parola greca esso ("esterno") con il sostantivo
biologia, ad indicare per l'appunto la specializzazione di questa
branca scientifica verso forme di vita esterne alla Terra, diverse da
quelle conosciute. Un sinonimo di esobiologia usato in passato è
xenobiologia, sebbene quest'ultimo è un termine ora
utilizzato in senso più specifico per indicare una "biologia
basata su una chimica diversa", indipendentemente se di origine
terrestre od extraterrestre. Poiché processi vitali basati su
biochimiche alternative sono stati creati in laboratorio, la
xenobiologia è considerata attualmente una materia a pieno diritto.
Il termine fu coniato solo negli anni
cinquanta dello scorso secolo dal biologo statunitense Joshua
Lederberg in preparazione allo sbarco dell'uomo sulla Luna, ma in
realtà l'astrobiologia era stata introdotta già da Alfred R.
Wallace, agli inizi del Novecento, con il suo Man's place in the
universe. Secondo Lederberg infatti, eventuali batteri
extraterrestri presenti sul nostro satellite avrebbero potuto
contaminare la Terra al ritorno degli astronauti. L'ipotesi fu in
seguito confutata.
Sebbene quello dell'esobiologia sia
attualmente un campo speculativo, l'assenza di vita nel resto
dell'universo è un'ipotesi falsificabile (nonostante debba ancora
essere provata falsa); quindi, secondo il falsificazionismo di
Popper, appare un campo valido di esplorazione scientifica.
Parallelamente, le simulazioni al
computer di processi di vita fondamentali hanno reso possibile
l'esplorazione di forme di vita alternative (come il DNA levogiro o
la vita basata sul silicio invece che sul carbonio, al fine di
determinare quali potrebbero essere le loro caratteristiche.
La ricerca di vita extraterrestre è,
ovviamente, di grande interesse per gli esobiologi.
Alcuni sostengono che il numero di
pianeti con vita intelligente extraterrestre possa essere valutato
dall'equazione di Drake, se e quando i valori delle sue variabili
potranno essere determinati. Il radioastronomo statunitense Frank
Drake sviluppò un'equazione in cui il numero di civiltà
extraterrestri è in funzione del prodotto di una serie di fattori.
Tuttavia le incertezze nei termini dell'equazione rendono impossibile
predire se la vita è rara o comune. Il problema, infatti, sta
proprio nella assoluta mancanza di valori di riferimento per alcune
delle variabili coinvolte (ad esempio, la percentuale di pianeti
della Galassia in cui si evolvono forme di vita). Siccome, in
pratica, le probabilità vengono determinate sulla base delle
proporzioni osservate, alcuni dei fattori dell'equazione sono
indefiniti, rendendo indefinito il risultato.
Come afferma lo scienziato della NASA Chris McKay:
Come afferma lo scienziato della NASA Chris McKay:
«L'unico esempio che
abbiamo è quello della vita qui sulla Terra: se soltanto
trovassimo il più semplice insetto su un altro pianeta, e se
quell'insetto fosse diverso da quelli che abbiamo qui, sarebbe la
dimostrazione che c'è vita in ambedue i posti; e se c'è in due
posti, è evidente che l'universo è pieno di vita.»
|
Tuttavia, finché non verranno
osservate forme di vita extraterrestre, non sarà possibile stabilire
se la vita sulla Terra sia il frutto di un miracolo unico e mai più
ripetuto (statisticamente un caso aberrante), oppure il risultato di
un processo tutto sommato abbastanza comune nell'universo.
Un altro soggetto associato
all'esobiologia è il paradosso di Fermi, il quale suggerisce che se
la vita intelligente fosse comune nell'universo ci dovrebbero essere
ovvi segni di essa.
Al momento (2017) non c'è alcuna
evidenza a sostegno dell'esistenza di forme di vita intelligenti
extraterrestri, quantunque se ne sia iniziata la ricerca fin dagli
anni sessanta con il progetto di radioascolto astronomico SETI.
Una prova a sostegno dell'esistenza di
forme di vita extraterrestre di tipo elementare potrebbe venire
dall'esame di meteoriti cadute in Antartide, che si presume
provengano dal pianeta Marte.
Don Bogard, uno scienziato della NASA, esaminò alcuni granuli di cristallo presenti nelle meteoriti, scoprendo che il gas in essi contenuto aveva una composizione identica a quella rilevata su Marte dai lander Viking alla metà degli anni settanta. Questa era una prova diretta e inconfutabile che quelle rocce erano di origine marziana e al contempo forniva anche un metodo per stabilire sperimentalmente quando un meteorite era stato, precedentemente, una roccia di Marte.
Don Bogard, uno scienziato della NASA, esaminò alcuni granuli di cristallo presenti nelle meteoriti, scoprendo che il gas in essi contenuto aveva una composizione identica a quella rilevata su Marte dai lander Viking alla metà degli anni settanta. Questa era una prova diretta e inconfutabile che quelle rocce erano di origine marziana e al contempo forniva anche un metodo per stabilire sperimentalmente quando un meteorite era stato, precedentemente, una roccia di Marte.
Nel 1997, un gruppo di scienziati della
NASA sostenne di avere scoperto, in alcune meteoriti provenienti da
Marte, microfossili di batteri extraterrestri. Questa potrebbe essere
la prova che la vita si è sviluppata almeno in un altro posto, oltre
alla Terra.
Come è possibile che tali batteri si
siano sviluppati sulla superficie di un mondo freddo e desertico come
Marte?
Per rispondere a questa domanda, bisogna considerare che, alcuni miliardi di anni fa, il pianeta rosso si presentava in modo molto diverso dall'attuale. Durante l'esplorazione di Marte con la missione Mars Exploration Rover è stata rintracciata l'ematite, un minerale che si forma solamente in presenza di acqua, e inoltre si sono osservate zone sedimentarie che soltanto un liquido può aver formato. Il rover Opportunity ha ottenuto riscontri che, in un antico passato, l'acqua esisteva allo stato fluido sulla superficie di Marte, mentre le sonde Viking, in orbita negli anni settanta, rilevarono una serie di strutture geologiche, sulla superficie del pianeta, legate alla presenza di antichi fiumi e oceani. Gli indizi della presenza di acqua allo stato liquido costituiscono una prova che Marte, molto tempo fa, abbia potuto ospitare un ambiente adatto alla vita.
Per rispondere a questa domanda, bisogna considerare che, alcuni miliardi di anni fa, il pianeta rosso si presentava in modo molto diverso dall'attuale. Durante l'esplorazione di Marte con la missione Mars Exploration Rover è stata rintracciata l'ematite, un minerale che si forma solamente in presenza di acqua, e inoltre si sono osservate zone sedimentarie che soltanto un liquido può aver formato. Il rover Opportunity ha ottenuto riscontri che, in un antico passato, l'acqua esisteva allo stato fluido sulla superficie di Marte, mentre le sonde Viking, in orbita negli anni settanta, rilevarono una serie di strutture geologiche, sulla superficie del pianeta, legate alla presenza di antichi fiumi e oceani. Gli indizi della presenza di acqua allo stato liquido costituiscono una prova che Marte, molto tempo fa, abbia potuto ospitare un ambiente adatto alla vita.
Tuttavia l'interpretazione dei
microfossili nelle meteoriti provenienti da Marte resta dibattuta: il
campione potrebbe essere stato contaminato dall'interazione con
l'atmosfera o con la superficie terrestre. Una conclusione certa,
riguardo a questo problema, non è stata ancora raggiunta.
In ogni caso, l'originaria ipotesi di Lederberg riguardante la
possibilità che batteri trasportati da un mondo a un altro potessero
sopravvivere, ha ricevuto, indirettamente, almeno una conferma
parziale.
Nel contesto della missione Apollo 12
del 1969, l'astronauta Pete Conrad, aveva, fra gli altri, il compito
di riportare sulla Terra pezzi del Surveyor 3, una sonda automatica
atterrata sulla Luna nel 1967. Questo modulo - un lander - era
rimasto esposto al freddo e al vuoto dello spazio (la Luna non ha
quasi atmosfera) per ben 33 mesi, con oscillazioni termiche
dell'ordine di 500 gradi, da circa -250° a +250° Celsius
(rispettivamente quando la sonda era immersa nella notte lunare o,
viceversa, esposta alla luce diretta del Sole).
La missione era finalizzata a
verificare quale fosse stato l'effetto, sugli strumenti,
dell'esposizione prolungata in ambiente spaziale. Conrad raccolse la
telecamera del Surveyor 3 e la riportò sulla Terra. Su di essa gli
scienziati rilevarono microscopici organismi, ormai disseccati:
«Quando l'hanno aperta, sembrava che il tecnico che l'aveva montata tre anni prima avesse avuto il raffreddore e avesse starnutito sul polistirene» |
(Charles "Pete"
Conrad)
|
La cosa sorprendente fu che, una volta
che un microbiologo ebbe effettuato un preparato di questi organismi
(bacilli di Streptococcus mitis) essi ripresero ad essere attivi,
come se nulla fosse accaduto in quei 33 mesi trascorsi sulla Luna.
Questa esperienza dimostrò che i batteri possono sopravvivere nel
vuoto spaziale.
Un esperimento di sopravvivenza di
forme di vita nello spazio è stato effettuato nel corso della
missione europea Life, sulla sonda russa Foton-M3, nell'ambito del
progetto Tarse dell'ESA. Quattro specie di tardigradi, un gruppo di
invertebrati in grado di sopravvivere in condizioni estreme, sono
stati lanciati nello spazio il 17 settembre 2007, in orbita terrestre
e, collocati nel modulo Biopan 6, esposti per 12 giorni alle
radiazioni cosmiche e alle condizioni di vuoto cosmico e quindi
recuperati dopo il rientro della capsula il 26 settembre 2007 sulla
Terra.
Le successive analisi sugli animali ha
rivelato un alto tasso di sopravvivenza degli individui, maggiore in
quelli in condizioni deidratate, indicando una elevata capacità di
resistenza alle radiazioni ed al vuoto cosmico.
La vita è capace di resistere e
proliferare in siti in cui le condizioni ambientali possono essere
definite "estreme". Anche questo argomento è di interesse
per l'esobiologia, in quanto l'analisi degli habitat terrestri
può orientare gli studiosi nella selezione degli ambienti
extraterrestri da analizzare allo scopo di cercarvi la vita.
Fino a qualche decennio fa, si riteneva
che la vita potesse svilupparsi esclusivamente in presenza di una
combinazione di fattori molto rigida: l'irraggiamento opportuno da
parte di una stella, la presenza di acqua allo stato liquido, la
presenza di ossigeno nell'atmosfera e di condizioni di temperatura e
di umidità variabili entro livelli prestabiliti. Ma, negli ultimi
trentacinque anni, gli scienziati hanno scoperto una quantità di
esseri viventi, detti organismi estremofili, adattati a vivere nelle
condizioni più proibitive, come ad esempio:
- in assenza di luce, come gli organismi che vivono nei pressi delle sorgenti idrotermali sul fondo degli oceani o come alcuni batteri che vivono circa 3 km sotto la superficie terrestre metabolizzando l'idrogeno;
- in assenza di acqua allo stato liquido, come gli organismi che vivono nelle profondità della calotta glaciale antartica;
- in ambienti poverissimi, ed in particolari condizioni biochimiche, come gli organismi che vivono sotto la crosta di sale della Death Valley, in California;
- addirittura nell'interno delle rocce, come microorganismi fotosintetici presenti entro arenarie dell'Antartide, che restano congelati per la maggior parte della loro vita e si riattivano solo per poche ore all'anno.
Aver trovato la vita sulla Terra in
ambienti inaspettati ha aumentato i limiti dei parametri ambientali
entro i quali è considerata possibile la sopravvivenza degli
organismi viventi, e di conseguenza ha aperto nuove frontiere di
esplorazione spaziale alla ricerca della vita extraterrestre,
all'interno dello stesso sistema solare. Negli ultimi anni, mondi
particolarmente interessanti da questo punto di vista sono stati
ritenuti la luna maggiore di Saturno, Titano, e soprattutto una luna
di Giove, Europa.
In Italia il Centro studi di
esobiologia (CSE), un'unità operativa della Società Italiana di
Scienze Naturali (SISN), ha come scopo lo studio e la divulgazione
dell'esobiologia, intesa come la disciplina scientifica che si occupa
della ricerca della vita nello spazio, dall'individuazione dei
prerequisiti per la sua nascita, ai possibili ambienti per la sua
evoluzione e il suo mantenimento, alla ricerca di eventuali segni di
vita intelligente.
È presente anche l'"Italian Astrobiology
Society", associazione fondata da un team di astronomi, biologi,
chimici, genetisti e medici che si occupa di questi studi.
L'esobiologia e la xenobiologia
figurano anche in molti scritti di fantascienza come la scienza
fittizia della biologia di organismi alieni. Quest'uso del termine
dimostra la generazione speculativa di modelli possibili di tale
vita, per esempio basate sul silicio. Il filone della fantascienza
che ha per protagonisti forme di vita e intelligenze extraterrestri è
talvolta chiamato xenofiction.
Alcuni universi narrativi della
fantascienza presentano una vasta e dettagliata serie di specie
aliene (in genere umanoidi): tra questi anzitutto quelle di Star
Trek.
Dal punto di vista narrativo, le specie
extraterrestri sono descritte o come umanoidi, o zoomorfe non
umanoidi (ad esempio, i marziani di H.G. Wells), specie metamorfiche
(esseri capaci di cambiare aspetto); infine, esseri di tipo
totalmente differente (corpi celesti, forme di vita non chimica,
esseri di pura energia, entità transdimensionali, abitanti di
universi paralleli con leggi fisiche differenti, entità memetiche,
etc.)
Tra gli esempi più noti di forme di
vita di dimensioni planetarie nella narrativa, si possono citare la
massa di protoplasma senziente che ricopre il pianeta Alix nel
racconto Il pianeta solitario (The Lonely Planet) di
Murray Leinster (1949), la nube di gas interstellare ne La
nuvola nera (The Black Cloud) di Fred Hoyle (1957) e
l'oceano senziente nel romanzo Solaris di Stanislaw Lem
(1961).
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