domenica 2 novembre 2025

Gli “alieni tra noi” secondo la Cina: scienza, geopolitica e il confine sottile tra realtà e mito

Nel pieno della nuova corsa allo spazio, la Cina sta ridefinendo il proprio ruolo sulla scena internazionale non solo attraverso i successi tecnologici, ma anche grazie a una sorprendente apertura nei confronti dello studio degli UFO e della vita extraterrestre. Un dibattito che, in Occidente, resta spesso relegato ai margini dell’accademia, in Cina viene incoraggiato da istituzioni scientifiche e sostenuto dal governo. In questo contesto si inserisce la dichiarazione, tanto audace quanto controversa, dell’ex funzionario del Ministero degli Esteri Sun Shili: “Gli alieni vivono già tra noi”.

Una frase che, pubblicata da media russi e ripresa da numerose testate asiatiche, ha alimentato interrogativi profondi: se davvero la Cina considerasse gli extraterrestri una presenza reale sulla Terra, quali implicazioni avrebbe sulla ricerca scientifica, sulla sicurezza nazionale e sugli equilibri globali?

Pechino ha posto la conquista dello spazio al centro della propria strategia tecnologica. Dopo il primo astronauta cinese in orbita nel 2003 e la passeggiata spaziale del 2008, la Cina prosegue con l’esplorazione lunare e punta apertamente a una missione con equipaggio su Marte entro il 2030. Il programma spaziale cinese è presentato come simbolo di supremazia tecnica e politica, sostenuto con fermezza dal Partito.

Parallelamente, la nazione investe nella ricerca sugli UFO e nel SETI cinese (Search for Extraterrestrial Intelligence). La Società Nazionale per gli Studi Extraterrestri, attiva da 25 anni, raccoglie accademici, ingegneri e funzionari statali: per essere ammessi è necessario aver pubblicato almeno uno studio scientifico su UFO o intelligenze aliene. Secondo fonti internazionali, circa un terzo dei membri ha ruoli governativi.

In un Paese dove i media ufficiali riportano con regolarità avvistamenti di UFO, questo tema non è etichettato come pseudoscienza, bensì esaminato in chiave di opportunità tecnologica: dalle energie pulite ai nuovi sistemi di propulsione, fino all’ottimizzazione agricola per sostenere la popolazione in crescita.

Sun Shili, oggi presidente della Beijing UFO Research Society, afferma di aver visto un oggetto volante anomalo nel 1971, durante la Rivoluzione culturale. Solo successivamente, studiando documenti sugli UFO, avrebbe compreso la natura “non terrestre” dell’episodio.

Non si tratta di un caso isolato. In Cina sono stati ufficializzati alcuni episodi considerati incontri ravvicinati:

Rapimento di Zhao Meng Guo (1994)
Un agricoltore della provincia di Heilongjiang sostiene di essere stato trasportato su un velivolo alieno e costretto ad accoppiarsi con una femmina extraterrestre alta oltre tre metri. Gli esami psicologici e la macchina della verità condotti a Pechino nel 2003 — secondo quanto riportato dai ricercatori — non avrebbero evidenziato incongruenze nel racconto.

Caso Cao Gong (1999–2002)
Un uomo di Pechino afferma di essere stato rapito e condotto fino a Qinhuangdao. Sotto ipnosi regressiva e alla macchina della verità, il suo racconto risultò “credibile” per gli investigatori coinvolti. La presunta ragazza cinese presente sull’astronave sarebbe stata individuata due anni dopo grazie a un identikit digitale.

Queste narrazioni, intrise di elementi fantascientifici, sono analizzate da psicologi, polizia e accademici, in un approccio che unisce rigore formale e apertura mentale.

Il fenomeno UFO non è solo materia di curiosità culturale. È un tema che intreccia:

Mentre negli Stati Uniti la questione UFO ha ricevuto nuove attenzioni con documenti del Pentagono e audizioni pubbliche — riconosciute anche dall’amministrazione del presidente Donald Trump — in Cina il discorso è già aperto da decenni, sostenuto dal desiderio di proiettare l’immagine di una nazione guida nell’esplorazione cosmica e nell’intelligenza extraterrestre.

La Cina vuole dimostrare che il futuro della conoscenza non passa solo dalle tecnologie terrestri, ma anche dall’ignoto che abita l’universo.

Il professor Albert So, dell’Università di Hong Kong, sostiene che per comprendere gli UFO occorra integrare discipline come fisica, filosofia e storia, evitando i pregiudizi epistemologici che in Occidente frenano la ricerca.
Ma molti scienziati rimangono cauti: la mancanza di prove fisiche solide rende impossibile trasformare testimonianze e ipotesi in conclusioni verificabili.

L’approccio cinese, tuttavia, lancia un messaggio: ciò che oggi è incomprensibile potrebbe diventare spiegabile solo esplorando ciò che la scienza non comprende ancora.

Se mai dovessero emergere prove concrete dell’esistenza di extraterrestri sul nostro pianeta, la Cina si troverebbe in una posizione privilegiata, forte di decenni di investimenti e di milioni di appassionati pronti a sostenere una nuova rivoluzione culturale: quella che ridefinirebbe il concetto stesso di “umanità”.

Fino ad allora, resta una domanda: il confine tra strategia scientifica e narrazione politica è nitido o sfumato? La ricerca extraterrestre è una finestra sul futuro o un potente strumento per alimentare fascino e consenso?

La risposta potrebbe non arrivare dallo spazio profondo, ma dalle dinamiche della Terra: dove la conoscenza è anche potere, e dove ogni mistero, prima o poi, si trasforma in storia.


sabato 1 novembre 2025

I MOSTRI MARINI ESISTONO DAVVERO? PERCHÉ LA SCIENZA NON PUÒ ESCLUDERLI

Per secoli, le carte nautiche hanno mostrato creature titaniche pronte a inghiottire intere navi lungo le rotte inesplorate degli oceani. Serpenti di mare, leviatani, draghi marini, sirene: figure fantastiche che hanno alimentato leggende e terrori dei marinai del passato. Ma quanto di quel folklore affonda le radici nella realtà? Oggi la scienza, pur respingendo i miti più esagerati, non esclude del tutto l’esistenza di organismi marini ancora sconosciuti e potenzialmente straordinari. E questo mantiene vivo il mistero dei “mostri marini”.

Nell’Alto Medioevo i cartografi non disegnavano mostri per decorazione: erano veri avvertimenti. Le terre e le acque sconosciute venivano popolate di creature minacciose, simbolo dei rischi per chi si addentrava oltre i confini del mondo noto. Non era semplice fantasia: la paura era un mezzo per frenare l’audacia dei navigatori.

Dal XVI secolo, però, la funzione delle mappe cambia. Gli editori sanno che il sensazionale vende: sirene sinuose, cetacei mostruosi e rettili marini finiscono sulle pergamene per attirare acquirenti curiosi. Con il Seicento, grazie ai progressi della zoologia, le creature titaniche iniziano a scomparire, sostituite da accurate rappresentazioni delle navi. Ma non dall’immaginario collettivo.

Il paleontologo Darren Naish, tra i maggiori esperti del tema, ricorda che gli avvistamenti storici non possono essere tutti archiviati come scherzi o errori. Le profondità oceaniche restano il luogo più inesplorato della Terra: almeno l’80% dei fondali rimane sconosciuto. Ogni anno vengono descritte nuove specie di pesci, crostacei e cetacei di grandi dimensioni. Negli ultimi vent’anni la biologia marina ha catalogato otto nuove specie di notevoli dimensioni: un dato che lascia aperta la porta a ulteriori scoperte.

In passato, inoltre, zoologi e ufficiali di marina hanno riportato osservazioni difficili da spiegare. Nel 1905, al largo del Brasile, due zoologi descrissero un animale serpentiforme lungo oltre venti metri. Nel 1848 l’equipaggio della HMS Daedalus riferì di una creatura simile a un drago di mare. Gli scienziati dell’epoca parlarono di elefanti marini o di canoe capovolte; ma le testimonianze, dettagliate e coerenti, continuano a far discutere.

La criptozoologia studia specie animali non ancora riconosciute ufficialmente. Spesso liquidata come pseudoscienza — complice la vicinanza con miti come Nessie o il Kraken — negli ultimi anni sta guadagnando una maggiore considerazione. Lo zoologo Charles Paxton della University of St Andrews sottolinea che la probabilità di nuove scoperte è elevata, soprattutto negli abissi.

Ciò che appare meno credibile è l’idea che possano sopravvivere oggi plesiosauri o rettili del Giurassico: la documentazione fossile indica estinzioni massicce incompatibili con la loro sopravvivenza fino a noi. Tuttavia, Paxton ribadisce che “grande non significa necessariamente noto”: un organismo di oltre tre metri, scoperto nel 1996 nei fondali, lo dimostra chiaramente.

Molti “mostri” avevano origini naturali: calamari giganti avvistati in superficie durante la lotta con capodogli, squali elefante, branchi di foche, persino tronchi deformati dalle onde. Le condizioni estreme del mare — foschia, tempeste, notti nere — amplificavano ogni percezione.

Eppure alcuni resoconti restano enigmatici. Soprattutto se consideriamo che esistono creature reali, come gli architeutidi lunghi oltre dieci metri, che fino a pochi decenni fa erano considerate pure leggende marinare.

Oggi, la ricerca in ambito oceanografico sta vivendo nuove fasi di discussione e finanziamento. E mentre la scienza continua a esplorare gli abissi, la possibilità di scoprire specie gigantesche o sconosciute rimane concreta.

Il mito sopravvive perché è radicato in un nucleo di realtà ancora ignota: il mare è un pianeta nel pianeta, buio, profondo e difficile da studiare. Fino a quando non verrà esplorato per intero, la domanda continuerà a tormentarci:

E se là sotto ci fosse qualcosa di più grande di quanto possiamo immaginare?

Forse i cartografi del passato, più che ingannare, hanno cercato di raccontare ciò che non osavano capire.

Mostri o animali non ancora classificati?
La risposta, per ora, resta sommersa.


Carta nautica disegnata nel 1570 dal cartografo fiammingo Abraham Ortelius, che illlustra i mostri marini che si pensava circondassero l’Islanda



L’illustratore fiammingo ha realizzato questa carta nel 1603. La mappa mostra lo Steipereidur, un mostro marino che si pensava aiutasse i naviganti dagli attacchi delle balene.

Willem Janszoon Blaeu


Questa mappa è stata realizzata nel 1644 e segnala le zone di navigazione attorno l’Africa. Il mostro marino in alto a sinistra sembra abbastanza grande da inghiottire un’intera nave. Mentre i pesci “volanti” in basso a sinistra sono difficili da identificare, anche se hanno qualche somiglianza con alcuni squali fossili noti come Iniopterigiformi.

W.E. Webb


Questa illustrazione di inizio XVIII sec. sembra essere stata realizzata da qualcuno in gita nel periodo dei dinosauri. Secondo i racconti dell’epoca, i plesiosauri sarebbero in grado di usare la loro teste come timoni per cambiare direzione durante il nuoto.


venerdì 31 ottobre 2025

“La creatura di Atacama non è umana”: mito, ricerca e verità scientifica

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La notizia ha catturato l’attenzione del mondo: un piccolo scheletro mummificato, trovato nel deserto di Atacama Desert, in Cile, è stato presentato dall’ufologo Steven M. Greer come la prova definitiva dell’esistenza di forme di vita extraterrestri. Secondo Greer, la creatura sarebbe un essere non umano, con struttura scheletrica differente dalla nostra e organi interni visibili tramite TAC. Ma cosa emerge realmente dalle analisi scientifiche? I fatti raccontano una storia più complessa — e alla fine, molto più umana.

Greer, noto per il suo impegno nel campo dell’ufologia attraverso movimenti come il Disclosure Project e il CSETI, aveva annunciato nei primi anni 2010 di essere entrato in possesso di un “essere biologico” lungo circa 12 centimetri, dall’aspetto umanoide ma non umano.
Le dichiarazioni includevano:

  • la presenza di organi interni ben formati, come polmoni e un “cuore” visibile ai raggi X

  • una densità ossea e una morfologia tali da escludere un feto umano di 20-22 settimane

  • la struttura scheletrica scolpita da “esperti mondiali” come incompatibile con specie umane conosciute

  • la promessa di un test del DNA che avrebbe svelato l’origine aliena della creatura

Queste affermazioni sono state rilanciate nei media e utilizzate come materiale promozionale per il documentario Sirius (2013) di Greer.

Con il passare del tempo la comunità scientifica ha condotto studi rigorosi sulle presunte “prove”. Ecco i risultati chiave:

  • Il reperto in questione è noto come “Atacama skeleton” o “Ata”, un piccolo scheletro lungo circa 15 cm, rinvenuto nel 2003 nel deserto di Atacama.

  • Un’analisi genetica pubblicata nel 2018 (“Whole-genome sequencing of Atacama skeleton …”) ha dimostrato che il DNA estratto appartiene ad una femmina umana, probabilmente di origine cilena, e che le mutazioni genetiche riscontrate spiegano la sua morfologia insolita.

  • Lo studio conclude che la creatura presenta numerose mutazioni in geni noti per causare displasia scheletrica, ossa premature, anomalie costali (ad esempio nei geni COL1A1, COL2A1, FLNB, ATR…) e che non ci sono prove credibili che si tratti di specie diversa da Homo sapiens.

  • Datazioni e qualità del DNA suggeriscono che la morte dell’individuo possa essere avvenuta entro tempi relativamente recenti (qualche decennio fa), e non migliaia di anni prima come inizialmente ipotizzato.

  • Nonostante la conferma della natura umana, lo studio ha sollevato questioni etiche rilevanti riguardo al reperto: prelievo non autorizzato, vendita privata del corpo, mancanza di coinvolgimento degli studiosi cileni.

Alla luce dei fatti:

  • L’ipotesi che la creatura sia extraterrestre non è supportata dalle evidenze scientifiche.

  • Le analisi convergono sul fatto che si tratta di un essere umano, sebbene affetto da gravi mutazioni scheletriche e forse nato prematuramente.

  • Le affermazioni iniziali sulla natura aliena — seppur spettacolari — non reggono il confronto con dati genetici e anatomici pubblicati su riviste scientifiche.

Ci sono diversi motivi:

  • Il fascino degli UFO e della “verità nascosta” è forte e genera attenzione, soprattutto in contesti mediatici sensazionalistici.

  • La narrazione “essere alieno scoperto” è più potente di una storia di condizione genetica rara.

  • Le implicazioni etiche sollevate dalla ricerca (scavo, proprietà del corpo, diritto dei discendenti) aggiungono un livello di complessità che spesso viene ignorato nei tabloid.

Quali insegnamenti possiamo trarre?

  • È importante distinguere tra affermazioni straordinarie e evidenze scientifiche.

  • La genetica moderna consente di risolvere misteri che prima erano confinati alla speculazione.

  • Anche quando il risultato è meno “epico” di quanto sperato, la realtà può essere comunque profonda e commovente: un essere umano, un’anomalia genetica, una storia dimenticata.

  • Il rispetto delle culture locali e dell’etica della ricerca sono componenti fondamentali nelle scienze del passato.

La frase “non è umano” per la creatura di Atacama non trova al momento riscontri. La scoperta rimane affascinante, sì — e ha il merito di aver stimolato l’interesse e la ricerca — ma la sospensione del mistero deve dare spazio alla chiarezza scientifica. E in questo caso, la creatura è umana.



giovedì 30 ottobre 2025

Mistero in Siberia: il frammento di alluminio “antico 300 milioni di anni” che sfida la scienza

Un piccolo oggetto metallico, apparentemente banale, sta alimentando un dibattito acceso che intreccia geologia, archeologia e ufologia. Si tratta di una presunta rotaia dentata in alluminio, scoperta in un blocco di carbone in Russia, e che secondo alcune analisi proverrebbe da strati geologici risalenti a 300 milioni di anni fa. Un’ipotesi che, se confermata, metterebbe in discussione i fondamenti stessi della storia dell’uomo, dell’evoluzione tecnologica e della presenza di eventuali civiltà sconosciute nel remoto passato del nostro pianeta.

La vicenda nasce a Vladivostok, dove un cittadino, dopo aver acquistato carbone per riscaldarsi durante l’inverno, ha notato un frammento metallico incastrato in una delle pietre. Da quel momento l’oggetto è passato nelle mani degli scienziati della regione di Primorye, che lo hanno descritto come “una lega di alluminio al 98% e magnesio al 2%”, una composizione difficilmente attribuibile a una formazione naturale. L’alluminio, infatti, non esiste allo stato puro in natura, e la sua produzione è resa possibile solo attraverso processi industriali complessi scoperti dall’uomo nel XIX secolo.

La domanda è inevitabile: chi o cosa ha prodotto un materiale così avanzato in un’epoca in cui nessun essere umano era ancora comparso sulla Terra? La formazione del carbone in cui era incastrato il reperto viene datata al tardo Carbonifero, un periodo in cui la vita era dominata da foreste primordiali, anfibi e insetti giganti. Nessuna civiltà, nessuna tecnologia… almeno secondo ciò che oggi sappiamo.

Gli scienziati più prudenti invitano a non lasciarsi trascinare da conclusioni affrettate. La contaminazione del campione durante l’estrazione o nel corso della sua storia geologica resta una possibilità da considerare seriamente. La presenza del magnesio, inoltre, ha portato alcuni ricercatori a ipotizzare un’origine meteorica: i raggi cosmici possono trasformare l’alluminio in magnesio-26, elemento che compare nel campione. Ciò indicherebbe una provenienza extraterrestre, ma non necessariamente artificiale.

Tuttavia, chi studia le cosiddette “anomalie archeologiche”, conosciute come OOPArt (Out Of Place Artifacts), vede nel frammento russo un nuovo tassello di un mosaico oscuro e affascinante, insieme al celebre Martello del Giurassico, alla presunta batteria di Baghdad, agli ingranaggi dell’Antikythera, e ai manufatti rinvenuti in miniere statunitensi nel XIX secolo. Oggetti che sembrano impossibili nel contesto cronologico in cui vengono rinvenuti.

Tra le ipotesi più discusse spiccano due filoni:

Tecnologia aliena – Resti di un dispositivo perduto appartenente a visitatori extraterrestri, precipitati sulla Terra milioni di anni prima dell’uomo.

Civiltà avanzate scomparse – Culture terrestri pre-umane capaci di sviluppare metallurgia e ingegneria prima di essere cancellate da catastrofi globali.

In un mondo in cui la geopolitica domina le prime pagine, è sorprendente quanto il pubblico resti affascinato dai misteri che mettono in crisi le certezze della scienza moderna. E questo frammento di alluminio preistorico aggiunge ulteriore combustibile al fuoco delle domande sull’origine della vita intelligente nell’universo.

Per ora gli esperti chiedono tempo e nuove verifiche indipendenti: analisi isotopiche più precise, studio stratigrafico del carbone e valutazioni metallurgiche potrebbero chiarire la natura del reperto. La scienza vuole prove incontrovertibili prima di riscrivere la storia dell’umanità. Ma il fascino dell’enigma resta intatto, sospeso tra curiosità popolare, rigore scientifico e immaginazione cosmica.

Che si tratti di una semplice anomalia geologica, di un artefatto alieno o della testimonianza di una civiltà dimenticata, questo frammento invita a ricordare che il pianeta che abitiamo potrebbe custodire ancora verità sorprendenti sepolte nelle profondità della Terra.

Solo future ricerche potranno rispondere alla domanda che oggi risuona tra scienziati e appassionati: e se davvero non fossimo i primi ad aver calcato questa Terra con ingegno e tecnologia?


mercoledì 29 ottobre 2025

OOPART: i reperti impossibili che mettono in discussione la storia umana

 

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Oggetti apparentemente anacronistici, tecnologie premature, incisioni e manufatti che non dovrebbero esistere. Si chiamano OOPART, acronimo inglese per Out of Place ARTifacts, “reperti fuori posto”. Una categoria controversa e spesso discussa dalla comunità scientifica, perché questi oggetti sembrano provenire da epoche in cui non sarebbero potuti esistere in base a ciò che conosciamo sull’evoluzione tecnologica e sulla storia della civiltà umana.

Il termine fu coniato dal naturalista americano Ivan T. Sanderson, figura di spicco nel mondo della criptozoologia e dell’archeologia alternativa. Da allora, gli OOPART sono divenuti un tema affascinante per appassionati, ricercatori indipendenti e sostenitori di teorie non convenzionali sull’origine dell’uomo e sulle conoscenze delle antiche civiltà.

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Tra i casi più celebri troviamo le Pietre di Ica, rinvenute in Perù negli anni ’60 dal Dr. Javier Cabrera. Su centinaia di pietre sono incise scene che sfidano il senso storico: telescopi, mappe del mondo dettagliate, interventi chirurgici e addirittura esseri umani che combattono dinosauri estinti milioni di anni prima dell’apparizione dell’uomo.

Mentre le analisi petrografiche indicano rocce antiche, molti studiosi sottolineano che le incisioni sono probabilmente moderne, realizzate per fini commerciali. Il dibattito resta acceso: falsi artistici o prove di una civiltà avanzata dimenticata?

Ritrovato in Colombia, oggi esposto in Austria, il cosiddetto Disco Genetico è inciso in lidite, materiale estremamente duro. Le immagini sembrano mostrare spermatozoi, ovuli, embrioni e feti, elementi che fanno pensare a una conoscenza della genetica del tutto inaspettata per un oggetto datato a circa 6000 anni fa.

Gli archeologi tradizionali restano cauti: senza un contesto di scavo certificato, non è possibile verificarne l’autenticità storica. Tuttavia, l’oggetto continua a suscitare interrogativi su ciò che sapevano davvero le culture precolombiane.

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Nel 1954 una mostra negli Stati Uniti presentò alcuni reperti della cultura Quimbaya. Tra questi, piccoli oggetti d’oro — datati a oltre 1000 anni fa — che mostrano caratteristiche aerodinamiche simili a velivoli moderni: ali a delta, timone verticale, stabilizzatori posteriori.

Molti studiosi li interpretano come stilizzazioni animali, ma gli appassionati dei misteri vedono in essi la prova di conoscenze aeronautiche antiche… o di contatti extraterrestri.

Un altro OOPART controverso è l’Enigmalito o Petradox: una roccia contenente un oggetto metallico simile a una spina elettrica a tre poli. Secondo il suo scopritore, John J. Williams, la roccia sarebbe antica 100.000–150.000 anni, in un’epoca in cui l’Homo sapiens non avrebbe potuto realizzare nulla del genere.

Gli scienziati, però, invitano alla prudenza: senza datazioni ufficiali, l’oggetto potrebbe semplicemente essere un elemento recente inglobato in sedimenti induriti.

Il celebre Papiro Tulli descriverebbe cerchi di fuoco nel cielo osservati durante il regno di Thutmosis III, interpretati da alcuni come antichi UFO. Tuttavia, esperti di egittologia hanno dimostrato che il testo contiene passaggi copiati da una grammatica moderna e non deriva da un reperto autentico.

È un esempio emblematico di come gli OOPART possano nascere anche da falsi ben costruiti.

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Tra gli OOPART più discussi:

Reperto

Caratteristica misteriosa

Presunta età

Martello del Texas (London Hammer)

Incastonato in roccia “antica”

> 100 milioni di anni

Impronta di scarpa con trilobite

Suola con tacco sopra un fossile

300–600 milioni di anni

Meccanismo fossilizzato in Russia

Ingranaggi in roccia paleozoica

400 milioni di anni

Gli scienziati fanno notare che la roccia può riaggregarsi attorno a oggetti moderni: senza una stratificazione documentata, questi reperti restano curiosità non verificabili.

La comunità accademica considera la maggior parte degli OOPART frutto di errori di interpretazione, attribuzioni arbitrarie o falsificazioni. Tuttavia, rimane un nucleo di reperti che sfugge alle spiegazioni tradizionali e alimenta una domanda fondamentale:

siamo sicuri di conoscere davvero tutta la storia dell’umanità?

Il fascino degli OOPART risiede proprio in questo: ci ricordano che ogni certezza storica è provvisoria. Nuove scoperte, domani, potrebbero riscrivere ciò che oggi riteniamo incontrovertibile.

Per ora, questi enigmi restano al confine tra scienza e mistero — una frontiera dove curiosità e rigore devono procedere insieme, senza pregiudizi né facili illusioni.


martedì 28 ottobre 2025

UFO come forme di vita cosmica? La scienza indaga sugli “zeroidi” che potrebbero abitare l’universo

 


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Potrebbero non essere astronavi aliene le misteriose presenze che solcano i nostri cieli. Una parte degli UFO avvistati nel corso degli ultimi decenni potrebbe, in realtà, essere costituita da organismi viventi provenienti dallo spazio profondo: entità biologiche capaci di sopravvivere nel vuoto cosmico, alimentarsi di polveri interstellari e muoversi autonomamente tra le galassie. Una teoria audace, eppure sempre più discussa negli ambienti scientifici che si occupano di astrobiologia e fenomeni aerei anomali.

Il termine utilizzato da alcuni ricercatori è zeroids: un nome ombrello che indica ipotetiche forme di vita interstellare in grado di vivere in condizioni estreme — temperatura prossima allo zero assoluto, assenza di ossigeno e radiazioni cosmiche costantemente letali per un qualsiasi organismo terrestre. Nonostante queste difficoltà apparenti, l’idea che la vita possa prosperare oltre i confini dei pianeti non è più considerata esclusivamente fantascienza.

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A sostegno di questa ipotesi si collocano studi come quelli dell’astrofisico russo V.I. Godanskii, secondo cui materiali prebiotici — composti organici complessi — sono presenti in grande quantità nelle gigantesche nubi di gas e polveri che costellano l’universo. Gli astronomi hanno già individuato nello spazio decine di molecole organiche, incluse formaldeidi, acido cianidrico e addirittura strutture riconducibili alla cellulosa. Elementi essenziali per la costruzione della vita.

Se il nostro universo ha quasi 14 miliardi di anni, perché escludere che la vita possa essere nata altrove, molto prima che sulla Terra? Gli zeroidi, se reali, potrebbero rappresentare le prime forme viventi del cosmo, capaci di evolvere in molteplici direzioni durante un arco di tempo tanto vasto da sfuggire a qualsiasi paragone terrestre.

Gli scienziati terrestri hanno imparato a non sottovalutare le capacità della vita di adattarsi. Batteri estremofili sopravvivono in pressioni abissali, vicino a bocche vulcaniche sottomarine, o ibernati nelle profondità oceaniche per milioni di anni, come dimostrato da ricerche condotte dall’Università di Aarhus, in Danimarca.

Se la vita riesce a emergere e persistere nei luoghi più ostili del nostro pianeta, immaginare organismi adattati allo spazio aperto non appare più così assurdo. Alcuni zeroidi potrebbero essere microscopici; altri raggiungere dimensioni enormi. Alcuni potrebbero nutrirsi di polveri e gas interstellari, altri perseguire forme primordiali di predazione cosmica. È ipotizzabile perfino una rudimentale o avanzata intelligenza.

Da tempo si discute della possibilità che una parte dei fenomeni UFO non corrisponda a veicoli tecnologici, bensì a entità viventi provenienti dallo spazio. Gli zeroidi dotati di sufficiente mobilità potrebbero occasionalmente entrare nelle atmosfere planetarie. Alcuni verrebbero distrutti dall’attrito, generando quelle luminosissime “sfere di fuoco” spesso registrate dai radar. Altri, teoricamente più evoluti, potrebbero attraversare l’atmosfera protetti da scudi naturali, forse di natura elettromagnetica.

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Nel 1976, a Cluj-Napoca, in Romania, fu fotografata una misteriosa sfera di luce descritta come “viva” da chi la osservò: una presenza che sembrava reagire all’ambiente circostante con movimenti autonomi. Le immagini, analizzate negli anni, non hanno mai mostrato segni di falsificazione. Episodi come questo continuano ad alimentare interrogativi sulle origini biologiche di alcuni oggetti volanti non identificati.

Mentre negli Stati Uniti l’interesse governativo sugli UAP (Unidentified Aerial Phenomena) è ai massimi livelli — e l’amministrazione del presidente Donald Trump ha più volte sollecitato approfondimenti — la comunità scientifica riconosce che abbiamo esplorato solo una minima parte dell’universo e persino del nostro ambiente atmosferico.

La teoria degli zeroidi resta, per ora, affascinante speculazione, ma con solide basi per stimolare ulteriori ricerche: astrobiologia, fisica delle radiazioni e nuove missioni spaziali potrebbero un giorno verificare se, davvero, il cosmo sia popolato da creature invisibili ai nostri occhi.

La narrazione popolare ha sempre immaginato gli UFO come veicoli guidati da civiltà avanzate. La realtà potrebbe essere molto diversa — e perfino più sorprendente. La vita, ovunque possa emergere, tende a espandersi, a mutare, a esplorare. Forse, da miliardi di anni, organismi cosmici attraversano l’universo senza bisogno di metalli, carburanti o intelligenze antropomorfe.

Se un giorno confermassimo la loro esistenza, non incontreremmo astronauti alieni… ma abitanti originari del cosmo, antichi, silenziosi e onnipresenti. In quel momento, più che mai, dovremmo ripensare il nostro posto nell’universo.



lunedì 27 ottobre 2025

NEL CUORE DELL’IPERSPAZIO: COSA VEDREBBE UNA NAVE CHE VIAGGIA ALLA VELOCITÀ DELLA LUCE

Quando la fantascienza immagina un salto nell’iperspazio, il pubblico vede stelle che si allungano in scie luminose, tunnel di luce che avvolgono l’astronave e una corsa vertiginosa attraverso la galassia. È un’immagine iconica, resa celebre da saghe come Star Wars. Tuttavia, la fisica moderna dipinge uno scenario molto diverso. Un gruppo di studenti dell’Università di Leicester – Riley Connors, Katie Dexter, Joshua Argyle e Cameron Scoular – ha applicato la relatività speciale di Albert Einstein per calcolare come apparirebbe realmente il cosmo a un equipaggio che si muovesse alla velocità della luce.

Il risultato? Niente stelle allungate, niente corridoi luminosi: lo spazio perderebbe profondità e diversità cromatica, trasformandosi in un disco di luce abbagliante. Un’immagine scientificamente sorprendente che riscrive l’immaginario dell’iperspazio.

Secondo Einstein, quando un oggetto accelera verso velocità prossime a quella della luce, la sua percezione dello spazio e del tempo cambia radicalmente. Le onde elettromagnetiche provenienti dalle stelle davanti alla nave verrebbero compresse a causa dell’effetto Doppler, lo stesso fenomeno che fa aumentare la frequenza della sirena di un’ambulanza quando si avvicina all’ascoltatore.

Nel contesto spaziale, questo comporta un blue shift:

  • la luce visibile si sposta verso frequenze più alte

  • le stelle non appaiono più come punti luminosi

  • la luce si spinge nello spettro dei raggi X, invisibili all’occhio umano

In altre parole, le stelle spariscono dalla vista.

Il campo visivo dell’astronauta si restringe progressivamente: tutto ciò che si trova davanti viene spinto verso una piccola area luminosa, mentre ciò che si trova ai lati o dietro scompare completamente. Così, l’universo si deforma in una prospettiva violenta e claustrofobica.

Il fenomeno forse più spettacolare riguarda la radiazione cosmica di fondo (CMB), l’eco fossile del Big Bang che riempie uniformemente l’universo a 2,7 Kelvin.
A velocità ordinarie, la CMB è impercettibile, confinata nello spettro delle microonde. Ma se la navicella raggiungesse la velocità della luce, questa radiazione verrebbe così fortemente compressa da entrare nello spettro visibile.

L’equipaggio non vedrebbe più stelle, ma un immenso disco bianco e luminosissimo di fronte a sé:
una finestra sull’origine dell’universo.

Questa conclusione cambia radicalmente la narrativa dello spazio profondo: il cosmo non si aprirebbe più davanti agli occhi dei navigatori interstellari, ma li abbaglierebbe con la testimonianza primordiale della nascita di tutto ciò che esiste.

La ricerca è stata pubblicata sul Journal of Physics Special Topics, una piattaforma accademica che permette agli studenti di confrontarsi con la peer review e con la divulgazione scientifica professionale. Il lavoro dei giovani ricercatori non intende proporre un viaggio realmente possibile (la velocità della luce è irraggiungibile per oggetti dotati di massa), ma risponde a una domanda comune della fantascienza con rigore fisico e creatività scientifica.

Il risultato è una riflessione affascinante:
l’universo non è come lo immaginiamo nei film.
È più strano. Più estremo. Più difficile da percepire con i nostri sensi umani.

Le rappresentazioni cinematografiche come il salto nell’iperspazio del Millennium Falcon hanno alimentato per decenni l’idea che un viaggio superluminale sia uno spettacolo visivo mozzafiato. La vera fisica, invece, impone all’occhio umano un destino molto più complesso:

È un universo più ostile, meno romantico, ma decisamente più fedele alla realtà scientifica.

Questa ricerca, pur teorica, apre una finestra sulle conseguenze profonde della relatività:
lo spazio non è un semplice palcoscenico, ma un tessuto dinamico che si deforma sotto la velocità e l’energia.

Per chi sogna il futuro dei viaggi interstellari, la sfida non è solo costruire navi più veloci, ma ripensare i nostri sensi, la nostra percezione, la nostra relazione con il cosmo.

Forse la fantascienza dovrà riscrivere l’iperspazio.
O forse, proprio nel contrasto tra sogno e realtà, continueremo a immaginare strade luminose tra le stelle — anche se la fisica ci dice che non potremmo vederle.



 
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