La
magia bianca
è un tipo di magia così
denominata perché contrapposta a quella nera; a differenza di
quest'ultima essa è mossa in linea teorica da intenzioni benefiche,
positive, o altruistiche, prefiggendosi obiettivi nobili come la
realizzazione interiore, o il raggiungimento della verità e della
luce spirituale, a cui allude il colore bianco.
Il confine tra magia bianca e nera può
tuttavia sfumare laddove questi poteri vengano perseguiti, anche in
maniera inconsapevole, da un animo poco disinteressato,
in cui tendano a prevalere
egoismo, orgoglio o titanismo.
Storicamente nella magia bianca possono
rientrare sia le forme cerimoniali della teurgia, finalizzate
all'invocazione di potenze sovrumane salvifiche come angeli,
divinità, spiriti elementali benevoli, sia la nozione di «magia
naturale», la quale invece si propone di intervenire unicamente sui
fenomeni della natura, attraverso lo studio delle sue leggi e gli
strumenti tipici ad esempio dell'alchimia, relegando nella magia nera
qualunque intervento che esuli da quest'ambito.
La questione della liceità della
magia, dibattuta all'interno del cristianesimo, condusse i filosofi
scolastici, tra cui soprattutto Ruggero Bacone, a distinguere quella
operante nella luce dalle pratiche oscure. Mentre così la magia nera
mira ad accrescere il potere del mago tramite l'invocazione di forze
soprannaturali e paranormali, che vadano oltre le leggi naturali
imposte alla realtà, la magia bianca intende operare in armonia con
esse, ritenendo che ogni organismo, fenomeno o evento abbia un suo
posto nel disegno universale stabilito da Dio, in quanto partecipe di
un'unica Anima del mondo, secondo la concezione tipica del
neoplatonismo che si ritroverà ad esempio in Marsilio Ficino.
Più precisamente, chi fa della magia
nera cerca di sottomettere le entità del cosmo al proprio volere
(sovvertendone le leggi), chi fa della magia bianca sottomette invece
la propria volontà alle leggi del cosmo. Ciò significa che per
operare in armonia con l'universo occorreva sviluppare un senso
morale basato sull'obbedienza a Dio e sul rispetto della sua volontà.
E poiché si pensava che la volontà
divina coincidesse con la razionalità oggettivata del mondo, la
magia bianca si proponeva di preservarla, e anzi di favorire la sua
naturale evoluzione. La magia bianca si inseriva così nell'ottica
tipica dei pensatori rinascimentali, i quali ritenevano che tutta la
creazione, corrottasi a causa del biblico peccato originale, tendesse
a ritornare verso la perfezione originaria. Come l'uomo tende verso
la divinizzazione, così ogni elemento tende a ritornare verso la
meta cui è stato assegnato (o entelechia), secondo la concezione
aristotelica mescolatasi con quella platonica. Si cercava in un certo
senso di risolvere la materia nello spirito; la magia bianca finì in
tal modo per coincidere con l'alchimia, che si prefiggeva di
costruire la pietra filosofale, al fine di trasmutare i metalli in
oro, considerato la meta naturale di ogni elemento.
L'oro era ricercato non a scopi di
avidità o di possesso, ma per le sue proprietà intrinseche, essendo
tra i metalli quello più incorruttibile (cioè più resistente al
tempo), oltre ad essere un ottimo catalizzatore da usare nelle
reazioni chimiche.
Gli interessi suscitati dalla magia
bianca, rivolta esclusivamente allo studio della natura e al rispetto
delle leggi in essa presenti, funsero così da apripista alla chimica
moderna. L'opera dell'alchimista consisteva infatti essenzialmente
nello studio empirico delle sostanze elementari e in esperimenti
scientifici su di esse. Egli ne cercava le proprietà operando
all'incirca come un chimico, catalogandole, tentando miscugli,
introducendo nel suo lavoro fornelli ed alambicchi che saranno poi
gli strumenti principali utilizzati dalla chimica come viene intesa
oggi.
Il concetto di magia bianca può
tuttavia venire esteso fino a comprendere le più elevate cerimonie
magiche, come anche le preghiere e i rituali stessi della religione,
con cui fin dall'antichità si cercava di comunicare con gli Dei, gli
spiriti celesti o i genii, per ingraziarsi i loro favori a scopi
benefici.
Presso i Greci, questa capacità di
congiungersi al divino, in virtù della quale si poteva arrivare a
compiere azioni prodigiose, era chiamata «teurgia»: praticata
soprattutto nei culti misterici, essa consentiva di acquisire la
telestiké, ossia
l'iniziazione ai mondi ultraterreni e alla conoscenza segreta delle
forze occulte di simpatia che collegano ogni aspetto della realtà,
per essere in grado di manipolarle magicamente.
Tali poteri luminosi ottenuti per via
inizatica, il cui apprendimento era riservato a una cerchia ristretta
di adepti, venivano usati da parte dei maghi e dei sacerdoti anche
per finalità terapeutiche, essendo assimilabili a una sorta di
magnetismo.
Lo scopo curativo implicito in quello
salvifico della magia bianca continuerà ad essere perseguito dai
filosofi del Rinascimento, per i quali le simpatie che collegavano i
pianeti con gli eventi terreni sublunari potevano essere ridestate
utilizzando appositi oggetti come piante, pietre, animali, amuleti,
canzoni, ecc., associabili per somiglianza o affinità.
Ficino li chiamava «esche», in
quanto catturavano e riassumevano in sé specifici influssi astrali,
«doni del mondo animato e delle stelle viventi», tra i quali era
possibile scegliere di volta in volta quello più adatto a una
particolare situazione.
In ambito ebraico la magia bianca è
consistita prevalentemente nell'uso pratico dei nomi sacri della
cabala, la quale è un sistema di corrispondenze basato analogamente
sulla visione di un universo come una totalità organizzata. Notevole
rilevanza ebbe lo studio e lo sviluppo di un alfabeto, introdotto
dall'inglese John Dee e da questi attribuito al patriarca Enoch, dal
quale venne chiamato appunto «enochiano», ritenuto adatto a parlare
con gli angeli e gli spiriti buoni, i quali venivano chiamati con dei
nomi formulati in questo particolare linguaggio.
Intorno al Quattrocento apparve un
grimorio di un certo Abramelin il mago che parla di una magia sacra
solo leggermente inferiore alla più famosa Cabbala; nel suo
manoscritto intitolato La Magia Sacra egli afferma di poter comandare
spiriti demoniaci, dopo averli fatti giurare, con l'aiuto del proprio
angelo custode e di quadrati magici. Sebbene l'intervento dei demoni
venga tradizionalmente escluso dall'ambito della magia bianca, la
conoscenza stessa del male può anche essere considerata una via per
approdare al bene; il mago inoltre, per essere tale, dovrebbe dar
prova di saper dominare le intelligenze diaboliche, anziché farsene
sottomettere.
In ogni caso, le pratiche cerimoniali
che si presumeva sovvertissero l'ordine naturale furono avversate
dalla teologia, finché in età moderna, nonostante i contributi
della magia alla nascita della scienza moderna, furono sempre più
relegate nel campo della superstizione o della fraudolenza dal
pensiero materialista.
A partire dal XIX secolo, tuttavia, si
ebbe un rinnovamento della tradizione ermetica e occultistica; tra i
maggiori cultori di magia in generale, ma dediti alla magia bianca,
si annoverano Dion Fortune, Israel Regardie, e Eliphas Lévi, da cui
derivano in gran parte gli studi odierni sulla scienza magica. Per
Eliphas Lévi, il mago dovrebbe liberarsi il più possibile dai
desideri, perché nel desiderare un oggetto, è questo ad attrarre
lui, non lui ad attrarlo, mentre paradossalmente «la volontà compie
ogni cosa senza desiderarla». Tra i fondatori della Società
Teosofica, Charles Webster Leadbeater indagò l'aspetto occulto delle
cerimonie cristiane. Sempre nell'ambito della teosofia rientra
l'opera di Franz Hartmann.
Secondo Omraam Mikhaël Aïvanhov
(1900-1986) la magia dovrebbe essere distinta dall'occultismo:
l'occultismo non è la vera scienza spirituale in quanto sarebbe un
miscuglio di bene e di male, prestandosi a diventare sinonimo di
oscurità. La vera magia è la magia divina che consiste
nell'utilizzare le proprie facoltà e il proprio sapere per
realizzare il regno di Dio sulla terra. Il mago, precisa questo
autore, è colui che lavora nella luce e per la luce, è colui che
desidera sempre di fare del bene, di consolare, illuminare e
vivificare le creature.
Lo studioso Robert M. Place, in Magic
and Alchemy del 2009, offre un'ampia definizione di magia bianca e
nera, preferendo riferirsi ad esse come «magia alta» (bianca) e
«magia bassa» (nera), pur con tutti i distingui del caso, poiché
ad esempio la magia popolare, anche se ben intenzionata, viene spesso
considerata di bassa qualità. Secondo Place, tutta la magia
sciamanica preistorica sarebbe magia di cura e assistenza, che
costituisce l'essenza della moderna magia bianca: guarire malattie o
lesioni, indovinare il futuro o interpretare i sogni, trovare oggetti
smarriti, placare gli spiriti, controllare i fenomeni atmosferici,
favorire il benessere e la prosperità.