Un viaggio tra archeologia, astronomia e ingegneria per svelare il vero volto del più misterioso congegno dell'antichità.
Nel cuore del Mar Egeo, al largo dell’isola greca di Antikythera, giace il relitto di una nave romana naufragata oltre duemila anni fa. Tra le sue anfore e le statue in bronzo, nel 1901 fu rinvenuto un oggetto di straordinaria complessità: una massa incrostata che, una volta ripulita, rivelò un meccanismo fatto di ruote dentate in bronzo, quadranti incisi e ingranaggi sovrapposti. Un dispositivo che non avrebbe dovuto esistere. Eppure era lì, adagiato nel silenzio degli abissi. Oggi lo conosciamo come il Meccanismo di Antikythera, e le sue implicazioni continuano a ridisegnare i confini della conoscenza antica.
Soprannominato da alcuni “il primo computer analogico della storia”, il Meccanismo di Antikythera è una macchina astronomica costruita con una precisione che sfida i limiti tecnici del I secolo a.C. Azionata da una manovella, muoveva oltre 30 ingranaggi interconnessi in modo da simulare il moto del Sole, della Luna e di alcuni pianeti, seguendo la traiettoria dello zodiaco. Era capace di prevedere le eclissi, visualizzare i cicli lunari e persino indicare le date dei giochi panellenici — inclusi i Giochi Olimpici.
Fin dalla sua scoperta, archeologi e storici della scienza hanno dibattuto sull’origine e sulla funzione del meccanismo. Alcuni lo hanno attribuito all’eredità di Archimede, morto nel 212 a.C., altri a Ipparco di Nicea, padre della trigonometria e dell’astronomia greca. Ma un recente studio firmato da Christian Carman (Università di Quilmes, Argentina) e James Evans (Università di Puget Sound, USA) ha gettato una nuova luce sul mistero, suggerendo che le sue radici teoriche affondano molto più a est: nella Babilonia astronomica.
Lo studio di Carman ed Evans si è concentrato sul retro del meccanismo, dove è inciso un calendario lunare che tiene traccia dei cicli Saros ed Exeligmos, fondamentali per la previsione delle eclissi. Analizzando i dati, i due studiosi hanno scoperto che le previsioni contenute nel meccanismo si allineano sorprendentemente bene con i metodi computazionali babilonesi, che non si basavano sulla trigonometria — come in seguito faranno i greci — ma su regole aritmetiche semplici e sequenziali.
Se questi modelli sono stati effettivamente applicati nel dispositivo, significa che le osservazioni astronomiche babilonesi non erano solo conosciute in ambito greco, ma utilizzate attivamente come base per la progettazione. Un’ipotesi che solleva interrogativi profondi sull’origine stessa del sapere scientifico ellenistico.
A rafforzare la tesi babilonese è la datazione rivista del dispositivo. Le analisi delle iscrizioni suggeriscono che il meccanismo sia stato costruito intorno al 205 a.C., solo sette anni dopo la morte di Archimede. Questo colloca la sua progettazione in un’epoca in cui la cultura ellenistica era in pieno fermento e i contatti tra mondo greco e Medio Oriente si erano intensificati a seguito delle conquiste di Alessandro Magno.
Il meccanismo di Antikythera è spesso descritto come un oggetto senza pari, ma la sua esistenza suggerisce piuttosto che fosse parte di una tradizione oggi perduta. Alcuni testi antichi, come il Commentario al Phaenomena di Arato di Gemino, o il De Re Publica di Cicerone, parlano di sfere celesti e orologi astronomici complessi. Archimede stesso, secondo il racconto di Tito Livio, avrebbe costruito un globo meccanico capace di replicare il moto celeste.
Questi riferimenti, fino a poco tempo fa ritenuti esagerazioni letterarie, oggi assumono una nuova credibilità alla luce delle prove fisiche rappresentate dal meccanismo. È plausibile che altri dispositivi simili siano esistiti, ma non sopravvissuti al tempo.
Negli ultimi anni, grazie a tecniche di imaging avanzato — come la tomografia computerizzata a raggi X — è stato possibile “decifrare” molte delle componenti interne del meccanismo senza danneggiarlo. Queste analisi hanno permesso di mappare l’intero sistema di ingranaggi, confermando la straordinaria precisione del dispositivo.
Nel frattempo, sono state avviate nuove spedizioni archeologiche sul sito del relitto, guidate da istituti come il Woods Hole Oceanographic Institution. La speranza è che nuove immersioni portino alla luce frammenti ancora sconosciuti o oggetti simili, capaci di completare il puzzle. Il tempo sul fondale, però, è tiranno: il sito è profondamente instabile, e le finestre per operare sono brevi e rischiose.
Se il Meccanismo di Antikythera rappresenta un’anomalia, è perché obbliga a rivedere l’intera narrazione dello sviluppo tecnologico. La sua progettazione implica una comprensione avanzatissima della meccanica, della matematica applicata e dell’astronomia, in un’epoca in cui l’Europa avrebbe impiegato oltre un millennio per recuperare una simile raffinatezza.
Più che un caso isolato, il meccanismo appare oggi come il frutto della convergenza di due grandi civiltà: quella babilonese, maestra nell’osservazione del cielo, e quella greca, geniale nella costruzione teorica e nella meccanizzazione del sapere.
Il Meccanismo di Antikythera non è solo un oggetto archeologico: è un manifesto, inciso nel bronzo, della sofisticazione scientifica del mondo antico. Più lo studiamo, più ci accorgiamo che l’idea moderna di progresso lineare è una semplificazione: esistono salti, creste luminose di ingegno che si stagliano contro il tempo.
Forse non sapremo mai con certezza chi progettò questo straordinario calcolatore celeste. Ma ogni dente di ingranaggio che oggi ruota in un laboratorio, ogni replica costruita in vetro o in Lego, è un omaggio alla visione di chi, ventidue secoli fa, cercò di mettere l’universo… in una scatola di bronzo.