domenica 14 settembre 2025

L’indiano che vive d’aria: la farsa del santone immortale smascherata dalla ragione


Nel 2010, una notizia sconcertante e affascinante allo stesso tempo attraversò le redazioni del mondo: un santone indiano sosteneva di non aver mangiato né bevuto per 74 anni. Il suo nome era Prahlad Jani, e la sua storia divenne immediatamente virale, tra lo stupore dei devoti e la perplessità degli scienziati. L’uomo, vestito con abiti arancioni e un’aura di sacralità, affermava di sopravvivere nutrendosi esclusivamente di “luce solare” e “energia divina”.

Secondo i media locali, Jani – allora ottantatreenne – viveva in una grotta nei pressi del tempio di Ambaji, nello stato del Gujarat, e sarebbe stato scelto da una divinità per dimostrare che l’essere umano può trascendere i bisogni fisici. L’annuncio attirò l’attenzione dell’esercito indiano e di alcuni ricercatori del Defence Institute of Physiology and Allied Sciences (DIPAS), che decisero di sottoporlo a un esperimento “scientifico” per verificare se davvero l’uomo fosse capace di vivere senza cibo né acqua.

Il santone fu rinchiuso per quindici giorni in una stanza d’ospedale sotto sorveglianza medica. L’obiettivo dichiarato: dimostrare che non aveva bisogno né di nutrirsi né di idratarsi. Secondo il rapporto ufficiale, durante l’intero periodo Jani non avrebbe ingerito alcuna sostanza e non avrebbe prodotto urina o feci. I medici, apparentemente sbalorditi, parlarono di un “caso straordinario” che avrebbe potuto aprire “nuovi orizzonti per la scienza”.

La notizia, amplificata dai media internazionali e ripresa anche da Paolo Attivissimo sul suo blog, fu accolta con una miscela di curiosità e incredulità. Poteva davvero un essere umano vivere d’aria e di luce, contraddicendo secoli di conoscenze biologiche? O si trattava, più semplicemente, di un abile trucco ben confezionato per alimentare il mito?

A porre fine all’incantesimo furono i membri dell’Indian Rationalist Association, cugini scientifici del CICAP italiano, che decisero di indagare. Il loro approccio fu tanto semplice quanto devastante: verificare, con metodo, ciò che il presunto santone e i suoi sostenitori affermavano.

Il giornalista e attivista Sanal Edamaruku, presidente dell’associazione, raccontò in un articolo pubblicato dal Guardian come l’intero esperimento fosse pieno di falle. “È stato riferito,” scrive, “che i medici hanno confermato che Jani non ha mangiato una sola briciola e – cosa ben più importante – non ha bevuto una singola goccia d’acqua durante i suoi quindici giorni sotto osservazione. Il che sembra totalmente impossibile.”

Edamaruku non si limitò alle parole. Durante un’intervista in diretta su India TV, elencò una lunga serie di anomalie:
– Le telecamere “a sorveglianza continua” mostravano più volte Jani spostarsi fuori dall’inquadratura.
– Gli era permesso ricevere visite da devoti e collaboratori.
– Poteva lasciare la stanza “sigillata” per prendere il sole, attività definita spiritualmente necessaria.
– Gli venivano concessi gargarismi e lavaggi quotidiani, non sottoposti ad alcun controllo.

In altre parole, la “sorveglianza totale” era tutt’altro che totale. Il presunto esperimento scientifico, presentato come una rigorosa verifica medica, si rivelò una messa in scena.

Per gli scienziati, la storia non aveva bisogno di un grande sforzo interpretativo. Il corpo umano non può sopravvivere più di pochi giorni senza acqua. Dopo 72 ore, i processi vitali iniziano a collassare: la disidratazione colpisce il sistema renale, la circolazione si altera, la temperatura corporea sale, e le funzioni cognitive si deteriorano rapidamente. Senza cibo, un individuo può resistere per alcune settimane, ma senza acqua nessuno supera i sette-dieci giorni.

Sostenere di non bere per 74 anni è dunque, scientificamente, un’impossibilità biologica assoluta. Eppure, il fascino del “miracolo vivente” ha continuato a incantare molti, alimentato da un misto di devozione religiosa, nazionalismo e curiosità esotica.

Il caso di Prahlad Jani è diventato un esempio emblematico di come anche gli ambienti scientifici possano talvolta cadere nella trappola del sensazionalismo. Il DIPAS, pur dotato di ricercatori qualificati, non pubblicò mai un rapporto completo in riviste scientifiche sottoposte a peer review. Le dichiarazioni diffuse alla stampa furono presentate come “osservazioni preliminari”, mai confermate né replicate.

Eppure, bastò poco perché la notizia facesse il giro del mondo. Alcuni scienziati occidentali espressero cautela, altri manifestarono un ingenuo entusiasmo. Ma la domanda fondamentale rimase: possono degli scienziati essere tanto creduloni da accettare le affermazioni di un uomo che sostiene di ribaltare le leggi fondamentali della biologia?

La risposta, come spesso accade, è più sociologica che scientifica. La pressione mediatica, il fascino del “miracolo orientale” e la tentazione di apparire aperti a nuove frontiere della conoscenza possono portare anche i ricercatori più prudenti a sospendere temporaneamente lo scetticismo.

L’Indian Rationalist Association non si è limitata a denunciare la farsa. Da anni, l’organizzazione combatte contro i cosiddetti “baba”, i santoni che affermano di compiere miracoli, guarire malattie o vivere senza cibo. Le loro indagini hanno più volte portato alla luce trucchi elementari: statue che “piangono latte”, fuochi che si accendono “per volontà divina”, e asceti che si alimentano di nascosto durante presunti digiuni sacri.

Sanal Edamaruku, che nel 2012 fu addirittura costretto a lasciare l’India per aver smascherato un miracolo cattolico a Mumbai, ha sempre sostenuto che “la superstizione prospera dove la scienza tace”. Il caso di Jani, in questo senso, non è un’eccezione, ma un sintomo di un problema culturale più ampio: la fascinazione per l’irrazionale in un’epoca che dispone di strumenti conoscitivi senza precedenti.

Oggi, a distanza di anni dalla morte di Prahlad Jani, la sua leggenda continua a circolare nei social network e nei blog new age come prova che “l’uomo può vivere di energia cosmica”. Ma il suo caso resta, per chi guarda con occhio critico, un monumento alla disinformazione.

Ci ricorda quanto sia facile travisare il linguaggio della scienza, trasformando un esperimento mal condotto in una prova di trascendenza. E quanto sia importante, invece, mantenere viva la curiosità razionale.

In fondo, la scienza non teme i misteri: li indaga. Non li sminuisce, ma li comprende. Di fronte a chi afferma di vivere senza acqua, l’unico vero miracolo è la resistenza della ragione in un mondo che ancora si lascia sedurre da ciò che vorrebbe credere, piuttosto che da ciò che può dimostrare.



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