lunedì 22 settembre 2025

Tarocchi e carte napoletane: simboli, archetipi e gioco tra divinazione e tradizione

Nel vasto panorama delle carte da gioco e da divinazione, pochi confronti sono più interessanti di quello tra Tarocchi e carte napoletane. Entrambi i mazzi condividono radici storiche comuni, ma si sono evoluti in direzioni profondamente diverse — i primi elevandosi a strumenti simbolici e misterici, i secondi mantenendo un’anima popolare, diretta e concreta. Capirne le differenze significa ripercorrere la storia stessa della cartomanzia, ma anche quella del pensiero simbolico occidentale.

I Tarocchi sono un mazzo complesso, composto da 78 carte, divise in 22 Arcani Maggiori e 56 Arcani Minori. La loro origine risale al Tardo Medioevo, probabilmente nell’Italia settentrionale del Quattrocento, dove nacquero come gioco di corte — ben lontano da qualsiasi scopo divinatorio. I mazzi di lusso, come il Visconti-Sforza, erano vere opere d’arte, realizzate dai migliori miniaturisti e pittori del tempo.

Solo secoli dopo, tra il XVIII e XIX secolo, i Tarocchi iniziarono ad assumere un valore esoterico. Occultisti e filosofi, da Antoine Court de Gébelin a Éliphas Lévi, reinterpretarono gli Arcani come un sistema simbolico universale, collegandoli all’alchimia, alla Cabala, alla numerologia e alla cosmologia ermetica.

Gli Arcani Maggiori — come Il Matto, La Papessa, L’Imperatore, La Morte, Il Giudizio — rappresentano archetipi psicologici e spirituali: figure che incarnano forze universali dell’animo umano, il viaggio dell’eroe e la ciclicità dell’esistenza. Ogni carta può assumere decine di significati a seconda del contesto, della posizione nel mazzo e dell’intuizione del lettore.

Non stupisce quindi che leggere i Tarocchi richieda tempo, studio e sensibilità simbolica. La loro ricchezza è anche la loro complessità: un linguaggio aperto, mai definitivo, che offre più domande che risposte.

Le carte napoletane, al contrario, incarnano la semplicità e la concretezza della tradizione popolare italiana. Il mazzo, formato da 40 carte, si divide in quattro semicoppe, denari, bastoni e spade — derivati dai mazzi iberici e diffusi in tutta la penisola tra il XVI e il XVII secolo.

Queste carte nacquero anch’esse per il gioco, ma furono presto associate a pratiche divinatorie più intuitive e “domestiche”. A differenza dei Tarocchi, non veicolano archetipi o concetti cosmici, bensì situazioni quotidiane, sentimenti e previsioni immediate.

In cartomanzia, i semi vengono interpretati con corrispondenze simboliche stabili:

  • Coppe (cuori) → affetti, amore, emozioni.

  • Denari (quadri) → denaro, lavoro, ambizione.

  • Spade (picche) → difficoltà, conflitti, cambiamenti.

  • Bastoni (fiori) → forza, energia, successo.

Imparato il valore di ciascun seme, il lettore può costruire significati rapidi e coerenti. Per questo motivo, la cartomanzia napoletana è più diretta, pragmatica e accessibile ai principianti, pur mantenendo una sorprendente profondità nel racconto del quotidiano.

Le Sibille, derivate in parte dalle carte napoletane e in parte da quelle da poker francesi, rappresentano una via di mezzo. Ogni carta mostra un’immagine illustrata e una didascalia esplicativa — ad esempio Fedeltà, Fortuna, Tristezza, Messaggio — che ne facilita la comprensione.

Questo tipo di mazzo, molto popolare nel XIX secolo, serviva per rispondere a domande specifiche (“Mi ama?”, “Avrò fortuna?”, “Ci sarà un cambiamento?”), offrendo una lettura più “narrativa” e immediata.

Se i Tarocchi invitano alla riflessione interiore, le Sibille e le carte napoletane si pongono piuttosto come strumenti per previsioni rapide e dialoghi simbolici con il consultante.

I Tarocchi e le carte napoletane non differiscono solo per struttura o simbolismo, ma anche per origine sociale e uso culturale.

  • I Tarocchi nacquero nelle corti rinascimentali, tra artisti e nobiltà. Con il tempo divennero veicolo di sapienza esoterica, specchio di una cultura che cercava nell’immagine l’ordine nascosto del cosmo.

  • Le carte napoletane, invece, appartengono al popolo, ai mercati, alle osterie e alle cucine. Le loro figure — il Re, il Cavallo, il Fante — parlano un linguaggio immediato, fatto di passioni, gelosie, fortune e sventure.

Entrambe le tradizioni, però, hanno un punto in comune: la narrazione. Che si tratti del viaggio iniziatico del Matto o del 7 di Denari che promette guadagno, ogni carta racconta una storia, costruendo un dialogo tra il caso e l’interpretazione umana.

Oggi, l’interesse per i Tarocchi è tornato a crescere, soprattutto grazie alla loro ricchezza iconografica e alla rilettura psicologica in chiave junghiana. Molti li considerano strumenti di introspezione più che di divinazione, utili a esplorare i moti inconsci e a interpretare i propri conflitti interiori.

Le carte napoletane, al contrario, mantengono la loro funzione di strumento di sintesi immediata, un mezzo semplice e popolare per leggere situazioni concrete — amore, denaro, successo, perdita.

Che si tratti di Tarocchi o di carte napoletane, è bene ricordare che entrambe le tradizioni nascono come giochi. Solo più tardi, la fantasia e la sete di significato dell’uomo hanno trasformato queste immagini in specchi del destino.

Personalmente, pur trovando affascinante il simbolismo dei Tarocchi — vera enciclopedia visiva dell’Occidente — è giusto ricordare che nessuna carta “predice il futuro”. Esse riflettono piuttosto la mente e il momento di chi le consulta: uno strumento narrativo, non profetico.

Come i sovrani rinascimentali che collezionavano i mazzi più belli, anche noi, oggi, possiamo leggere in queste carte un unico grande messaggio: ogni simbolo parla di noi stessi.

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