giovedì 12 dicembre 2019

Apsaras

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Un'Apsaras (sanscrito: अप्सरा: apsarāḥ, plurale अप्सरस: apsarasaḥ, tema apsaras-, femminile in consonante) o Accharā (in pāli), è uno spirito femmina delle nubi e delle acque nelle mitologie indù e buddista, come attesta l'etimologia del nome ap ("acqua") e sar ("muoversi"). La -s finale del nome appartiene al tema, ma molti la scambiano per la terminazione di nominativo plurale e da ciò consegue una diffusa tendenza a trascrivere il nome come Apsara.

Le Apsaras nell'induismo

Nel Rig Veda (il più antico dei Veda, risalente al 1200 a.C.), si incontra una sola Apsaras, moglie di Gandharva, che è la personificazione della luce del sole ed è addetto alla preparazione del soma, la bevanda degli dei; negli scritti più tardi invece vi sono numerose apsaras, create dal Signore Brahma, che fungono da ancelle di Indra o da damigelle celesti della sua corte, che danzano al cospetto del suo trono.
Possono assumere qualunque forma umana, animale o vegetale e spesso appaiono con le sembianze di un cigno. Nel Brahamana le Apsaras risiedono all'interno di alberi sacri, radicandosi sempre più nella natura.
Per quanto riguarda la loro origine esistono versioni molto differenti: secondo un mito sarebbero apparse nel corso del "frullamento dell'Oceano" primordiale, mentre in base ad altri racconti sarebbero state procreate direttamente da Brahma.
Il Natya Shastra elenca le seguenti Apsaras: Manjukesi, Sukesi, Misrakesi, Sulochana, Saudamini, Devadatta, Devasena, Manorama, Sudati, Sundari, Vigagdha, Vividha, Budha, Sumala, Santati, Sunanda, Sumukhi, Magadhi, Arjuni, Sarala, Kerala, Dhrti, Nanda, Supuskala, Supuspamala e Kalabha.
Delle Apsaras viene detto che sono capaci di cambiare a piacimento il proprio aspetto e che in particolare hanno il potere sulla fortuna al gioco e nelle scommesse. Le più famose tra le Apsaras sono Urvasi, Menaka, Rambha e Tilottama, che sono molto versate nelle arti della musica e della danza, i loro strumenti preferiti sono il cembalo e il flauto. In più di un'occasione esse vennero mandate da Indra sulla terra allo scopo di sedurre e distogliere dalla retta via quei saggi che, per la loro continenza e costanza nella ricerca della perfezione, rischiavano di diventare una minaccia per la supremazia dello stesso Indra o di altre divinità. Per esempio, nel Ramayana si narra di come Indra abbia inviato l'Apsaras Menaka dal brahmano Vishvamitra per distrarlo dalle sue meditazioni, compito questo che essa eseguì con successo.
Il numero totale di Apsaras alla corte di Indra è di 26, ciascuna delle quali rappresenta un aspetto particolare delle arti dello spettacolo. In un certo senso le si può paragonare alle Muse dell'antica Grecia. Per il loro legame con la Natura si possono tuttavia paragonare anche alle Ninfe, Driadi, Naiadi, ecc.
Apsaras sono le mogli dei Gandharva, anch'essi moltiplicatisi rispetto all'unico Gandharva del Rig Veda e rappresentati come servitori della corte di Indra. Esse danzavano alla musica eseguita dai loro mariti, perlopiù nei palazzi delle varie divinità.
Uno dei loro doveri è quello di guidare in paradiso gli eroi caduti in battaglia (paragonabili quindi anche alle Valchirie della mitologia norrena), di cui quindi divengono le consorti. Si distinguono in daivika ("divine") o laukika ("terrene").
L'Apsaras veniva associata ai riti di fertilità. Nell'induismo, le Apsaras di rango inferiore (dette anche Vṛkṣakas, Driadi o Fate dei boschi) vengono a volte considerate spiriti della natura, che in certe occasioni ammaliavano gli uomini causandone la morte; per qualcosa di analogo, si vedano le Rusalki slave.
Molti nomi di Apsaras, tramandati nei vari testi epici indiani, in particolare il Mahabharata e il Ramayana, sono oggi diventati diffusi nomi di donna in India, ad esempio: Urvashi (la più bella delle Apsaras), Menaka, Rambha, Parnika, Parnita, Subhuja, Vishala, Vasumati (Apsaras "di splendore incomparabile") e Surotama.
Le Apsaras vengono spesso raffigurate anche nell'arte buddista, fino in Cambogia e in Cina, anche se il loro uso come decorazione comune è un'innovazione khmer. Sono un motivo decorativo frequente nei templi di Angkor.

Le Apsaras ad Angkor

Le Apsaras ebbero un particolare rilievo nella mitologia khmer all'epoca dell'Impero Khmer di Kambuja, la cui capitale è oggi nota col nome di Angkor (IX - XV secolo, Cambogia). La leggenda vuole che il re Jayavarman II, considerato il fondatore del regno di Kambuja, abbia ricevuto il regno da Indra, il re degli dei, e che nella medesima circostanza le Apsaras avrebbero insegnato al popolo di Kambuja l'arte della danza.
Raffigurazioni delle celesti semidee danzanti vennero incise nella pietra su molte pareti dei templi di Angkor. Solo in quello di Angkor Wat si contano in totale circa 1850 immagini, di cui nessuna è uguale all'altra.
La tradizione della danza di corte cambogiana, a volte denominata "danza Apsara", risale alla corte imperiale di Angkor. Questa danza, artisticamente molto elaborata, ha poi avuto anche un grande influsso sullo sviluppo della danza tailandese, che è oggi più nota in occidente.

Le Apsaras nel Buddhismo

In generale, nel buddhismo le divinità e le creature celesti occupano un ruolo secondario e poco significativo. Vengono considerate esseri che si trovano su di un piano di esistenza diverso dagli uomini, ma anch'esse, come gli abitanti della terra, debbono soggiacere al ciclo di vita, morte e reincarnazione (Saṃsāra). Secondo la dottrina buddhista il godimento delle Apsaras costituisce il premio dei beati nei paradisi inferiori (devaloka),
Le Apsaras si trovano, tra l'altro, in un racconto dei Jataka ("Storie della nascita") in cui vengono narrate vicende del Buddha nelle sue vite precedenti. Il Catudvara-Jataka racconta di Mittavinda avido e dedito ai piaceri mondani, che nel corso dei suoi viaggi incontra, tra gli altri, anche alcune Apsaras. Alla fine viene poi istruito dal Buddha - in qualità di Bodhisattva in una delle sue precedenti reincarnazioni - sul fatto che tutti i piaceri mondani sono transeunti.
È soprattutto in Estremo Oriente e in Indocina che le Apsaras, all'interno di un processo di sincretismo vengono inserite anch'esse nell'iconografia buddhista. Loro rappresentazioni si trovano così anche all'interno di edifici di culto buddhisti, tra l'altro in Cina, Cambogia, Thailandia e Indonesia.




mercoledì 11 dicembre 2019

Ankou

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Ankou o Ankoù è, nella mitologia bretone, la personificazione della morte, personaggio principale di riti e leggende, rappresentato come uno scheletro con una falce.
Fa da "traghettatore" nel mondo dei morti, a cui si giunge attraverso una porta localizzata a Yeun Ellez, nei Monts d'Arrée.
In Bretagna, si ritrova spesso raffigurata anche negli ossari e nei calvari, all'interno degli enclos paroissiaux, i complessi parrocchiali recintati del XVI – XVII secolo.

Caratteristiche

Ankou viene rappresentato come uno scheletro con una falce ed una pala in mano e, spesso, con un cappello a larghe falde: se lo si incontra o se si avverte la sua presenza, significa che si sta per morire.
Si dice che guidi, in sella ad un cavallo, un carro scricchiolante, ed appaia come il “cocchiere della morte” a coloro che moriranno entro l'anno; oppure che vaghi su una barca (la "barca dei defunti") e che, per questo, sia sconsigliabile navigare nei pressi delle coste dopo il tramonto, perché si potrebbe incontrarlo.

Etimologia

La parola ankou deriva probabilmente dal termine bretone ankounac'h, che significa “dimenticanza” (bret. (bret. koun “memoria”, preceduto dal suffisso negativo an-; cfr. gallese: angof). Viene inoltre collegato a termini che significano “angoscia”, “paura”, come lat. angustia, fr. angoisse, ingl. angst (= "ansia"), ted. Angst (= "paura").

Leggende

La leggenda di Fanch ar Floch e l'Ankou

In una leggenda, si racconta che, la sera di Natale, un artigiano di nome Fanch ar Floch fosse impossibilitato ad accompagnare la moglie e i figli a messa, perché oberato dal troppo lavoro, e decise di attenderli per il momento dell'Elevazione.
Ma quando scoccò l'ora dell'Elevazione, Fanch ar Floch stava ancora lavorando e, in quel momento, si presentò anche un tizio con un cappello a larghe falde (Ankou), che aveva una falce da far riparare.
Una volta che Fanch ar Floch, ebbe riparato la falce allo sconosciuto, quest'ultimo gli disse poi di andare a coricarsi, dopo aver avvisato la moglie di cercare un prete: al canto del gallo, Fanch ar Floch morì per aver riparato la falce di Ankou durante l'Elevazione.

Modi di dire legati ad Ankou

  • "Non essere ancora pronto per l'Ankou", ovvero "non essere ancora pronto per morire"

Curiosità

  • Si chiama Ankou anche la squadra di football americano di Rennes.

martedì 10 dicembre 2019

Animale di Seth

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L'animale di Seth è un animale immaginario della mitologia egiziana.

Mitologia

Ruolo

Seth si fece animale per proteggere il dio Ra e in cambio Seth ottenne Ra come "avvocato" in tribunale.

Identificazioni

L'animale di Seth è stato identificato con il fennec, con il mulo, con l'oritteropo o con lo sciacallo, anche se potrebbe semplicemente trattarsi di una figura chimerica ispirata dai tratti caratteristici degli animali appena citati.

lunedì 9 dicembre 2019

Anguana

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L'anguana è una creatura legata all'acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa e tipica della mitologia alpina.


La tradizione

Storie sulle anguane (agane nelle tradizioni friulane, carniche e ladine dolomitiche) si ricordano soprattutto nelle regioni pedemontane e montane (Carnia, Valli del Natisone, Val Badia, Val Gardena, Livinallongo del Col di Lana, Val di Fassa, Ampezzano, Cadore), ma sono creature fatate anche di altre zone, per esempio del folklore della Laguna di Grado e di Marano. Le anguane presentano caratteristiche e nature diverse a seconda delle varie leggende e delle località. Sono conosciute anche come subiane, aganis, ogane, gane, vivane, pagane, zubiane, acquane, longane.
L'antico termine anguana lo si può trovare nel De Ierusalem celesti, opera scritta da Frate Jakomin da Verona (Giacomino da Verona) nel XIII secolo. Le anguane sono presenti nella celebre, e antichissima, Saga dei Fanes, racconto mitologico delle Dolomiti, conosciuto soprattutto nella versione scritta da Karl Felix Wolff nel 1932.
Generalmente le anguane sono rappresentate come spiriti della natura affini alle ninfe del mondo romano (probabile modello originario del mito), i cui caratteri molto spesso si fondono però con quelli delle ondine e altre figure della mitologia germanica e slava (le rusalki in particolare). In molte zone del Friuli il loro mito si sovrappone e si confonde con quello delle Krivapete (tipiche invece delle grotte e delle montagne), con le quali condividono numerose leggende. Alcune storie affermano che le anguane, al pari di altre creature mitiche, fossero donne morte di parto, o anche fanciulle morte giovani, oppure anime di bambine nate morte, oppure ancora donne nate avvolte nel sacco amniotico (le si potrebbe definire, perciò, benandanti al femminile). Secondo altre tradizioni erano donne dei boschi, dedite ad un culto pagano (fondendone evidentemente il mito con la realtà delle religioni sciamaniste ancora vive in Friuli e in Carnia almeno sino al XVII secolo), ma erano perlopiù considerate figure non umane appartenenti al mondo degli spiriti.
Vengono descritte frequentemente come giovani donne, spesso molto attraenti e in grado di sedurre gli uomini; altre volte però appaiono invece come esseri per metà ragazze e per metà rettile o pesce, in grado di lanciare forti grida (in Veneto esisteva, fino a poco tempo fa, il detto "Sigàr come n'anguana", gridare come un'anguana). In altre storie sono delle anziane magre e spettrali, o figure notturne che si dileguano sempre prima che chi le incontra sia in grado di vederne il volto. Vestite, nelle leggende friulane, quasi sempre di bianco, altre tradizioni affermano che amassero, invece, i colori brillanti e accesi, come il rosso e l'arancione (in rari casi appaiono con stracci logori di colore nero).
In ogni caso le leggende sulle anguane hanno in comune la presenza, in queste creature, di uno o più tratti non umani: piedi di gallina, di anatra o di capra, gambe squamate, una schiena "scavata" (che nascondono con del muschio o con della corteccia). L'altro elemento comune su cui tutte le leggende concordano è che le anguane vivono presso fonti e ruscelli e sono protettrici delle acque. Talvolta anche dei pescatori (ai quali, se trattate con rispetto, spesso portano fortuna). In molte storie (comuni anche alle krivapete e ad altri esseri soprannaturali) si narra di come abbiano insegnato agli uomini molte attività artigianali tradizionali, quali la filatura della lana o la caseificazione (tali storie si concludono generalmente con gli uomini che rompono il patto o non si dimostrano riconoscenti e la anguana che se ne va, offesa, senza insegnare loro un'arte essenziale - generalmente la produzione del sale, dello zucchero, del vetro o di altre arti nelle quali la popolazione dei luoghi delle varie leggende è carente).
Nei comuni cimbri veronesi le anguane (in questo territorio chiamate anche Bele Butèle, Belle Ragazze), erano un tempo addette ai pozzi e lavavano i panni della gente delle contrade, ma si rifiutavano di lavare i capi di colore nero. A Campofontana abitavano in una grotta dietro al Sengio Rosso, sotto la vetta del monte Telegrafo.
Talora (così come le "sorelle" krivapete) assumono tratti sinistri. In diverse leggende sono solite terrorizzare o burlare i viaggiatori notturni, spargere discordia, in particolare tra le donne, rivelando segreti e pettegolezzi, inoltre, se insultate, sono inclini alla vendetta, portando sfortuna a vita al malcapitato (molte leggende tuttavia specificano chiaramente che, a differenza di orchi e "strie", le streghe, le anguane non uccidono mai uomini o animali). Si dice anche che spesso asserviscano coloro che si attardano fuori casa la sera (soprattutto giovani ragazze), costringendoli a riempire vanamente cesti di vimini (incapaci di trattenere l'acqua) per tutta la vita. Altri racconti popolari, invece, raccontano vicende di anguane male intenzionate ingannate dall'astuto protagonista che chiede loro di riempire un cesto di vimini, trattenendole così fino al sorgere del sole (in diversi luoghi del Friuli vigeva l'usanza di lasciare davanti all'ingresso un cesto di vimini, che l'agana avrebbe invano cercato di riempire per tutta la notte, lasciando in pace gli abitanti della casa). Secondo la tradizione popolare, le anguane smisero di mescolarsi con le persone comuni dopo il Concilio di Trento. Il passaggio dalla dedicazione all'anguana alla titolazione al diavolo deriva dalla demonizzazione delle divinità pagane nel medioevo.
Era presente il culto dell'anguana presso lo Scalfìn dal diaul (= Tallone del diavolo), detto anche Cèpp da l'Angua , a Canzo. Questo viene ricordato durante la sofisticata celebrazione della Giubiana da Canz con la presenza del personaggio. Anche numerosi luoghi del Triveneto ricordano le anguane nella toponomastica: grotte, massi, rupi valli. L'Anguan-tal, valle dell'Anguana, è una zona di contrada Pagani di Campofontana, Verona. Buso dell'anguana è il nome dato a diverse caverne del Vicentino.

Curiosità

  • Nella serie animata Monster Allergy e sull'omonimo fumetto, un'anguana è una strega commerciante caratterizzata da un volto deforme fatto per ottenere l'immortalità.
  • La cantante Patrizia Laquidara, in collaborazione con gli Hotel Rif, ha dedicato il suo terzo album Il canto dell'anguana a questa creatura mitologica, in particolare nella canzone Nota d'Anguana.
  • La Piana delle Anguane è una fiaba musicale di Angela Citterio e Stefano Zeni su libretto di Raffaella Benetti.

domenica 8 dicembre 2019

Angelo della morte

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L'Angelo della morte (o angelo sterminatore o angelo distruttore) è una figura soprannaturale che ricorre nella Bibbia e nelle tradizioni delle religioni abramitiche.

Islam

Nella tradizione coranica l'angelo della morte è Azrael.

Cristianesimo

Nella teologia cristiana l'Arcangelo Michele è l'angelo della morte che conduce le anime nella luce santa.

Ebraismo

Nelle scritture rabbiniche sono nominati diversi angeli della morte:
  • Adriel
  • Apollyon-Abaddon
  • Azrael
  • Gabriele
  • Hemah
  • Kafziel
  • Kezef
  • Leviatano
  • Malach ha-mavet
  • Mashhit
  • Metatron
  • Samael
  • Yehudiah
  • Yetzer hara

sabato 7 dicembre 2019

Anfesibena

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L'anfesibena o anfisbena è un mitico serpente dotato di due teste, una ad ogni estremità del corpo, e di occhi che brillano come lampade. Secondo il mito greco, l'anfisbena fu generata dal sangue gocciolato dalla testa della gorgone Medusa quando Perseo volò, stringendola in pugno, sopra il deserto libico.
L'anfesibena come creatura mitologica e leggendaria è stata citata da Marco Anneo Lucano e Plinio il Vecchio. Viene citata, inoltre, da Dante nel canto 24 dell'Inferno e da Borges nel suo Manuale di zoologia fantastica. È stata citata anche da Francesco Guccini nel suo ultimo album L'ultima Thule.
Il nome deriva dal lat. amphisbaena, gr. ἀμϕίσβαινα, composto di ἀμϕι- «anfi-» e βαίνω «andare», quindi che significa "che va in due direzioni".






venerdì 6 dicembre 2019

Amomongo

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Amomongo è una creatura scimmiesca appartenente al folklore filippino. L'etimo è probabilmente da ricercarsi nella lingua hiligaynon, in cui la parola Amó vuol significare "scimmia".
Descritto nei racconti dei nativi come un essere ricoperto di peluria bruna, con delle unghie affilate e molto lunghe, dalle fattezze umane e scimmiesche tali da renderlo un uomo scimmia.
I più scettici, soprattutto immigranti dal Sud-Est asiatico e nuove generazioni di filippini, credono sia solo una leggenda dovuta al fatto che nelle foreste inesplorate non è facile trovare scimmie molto feroci che attaccano l'uomo.
Gli abitanti di La Castellana e del Negros Occidental si rifanno ad alcuni racconti popolari narrando di una creatura scimmiesca selvaggia che vivrebbe nelle grotte del Monte Kanlaon.

Fatti di cronaca

A supporto dell'esistenza di questa creatura v'è stata un'aggressione molto cruenta e feroce ai danni di due contadini nei pressi di una foresta in compagnia delle loro capre e pollame. La testimonianza è stata shoccante, i due uomini hanno asserito di essere stati attaccati proprio dall'Amomongo, che una volta contusi avrebbe preso il loro bestiame squartandolo per mangiarne le interiora.
L'aggressione avvenuta nella provincia di Visayas non è stata la prima. Per un breve periodo si ricorda infatti di un primate molto grosso e feroce non bene identificato che attaccò alcune fattorie facendo sparire il bestiame.
A Barangay Camalubalo, dopo l'uccisione di 126 papere nei cui cadaveri erano state trovate ferite laceranti e interiora mancanti, si era parlato di Amomongo. Allarme anche lanciato dalle autorità locali, che però al cessare delle uccisioni smentirono la versione iniziale sulla creatura avendo la prova tramite alcune autopsie che il misterioso predatore era un cane randagio.

 
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