giovedì 24 giugno 2021

Teoria della Terra cava

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Sotto l'espressione di teoria della Terra cava è raccolto un filone di diverse teorie formulate da pensatori in varie epoche storiche, secondo cui il pianeta Terra sarebbe cavo al proprio interno. Secondo alcune di queste teorie, sotto la superficie terrestre vi sarebbero altre superfici concentriche, che potrebbero a loro volta essere abitate o abitabili.
Questa teoria fu formulata in termini scientifici a partire dal XVII secolo, per essere resa popolare nei secoli successivi da romanzi fantastici che la sfruttavano come artificio narrativo. Pur essendo ampiamente confutata dalla scienza moderna (geologia, geofisica e astrofisica) e quindi relegata alla pseudoscienza, ancora oggi la teoria della Terra cava trova un certo seguito presso alcuni sostenitori di teorie del complotto.
Sin dai tempi antichi diverse teorie hanno sostenuto l'esistenza di regni e territori sotterranei, sia come teorie relative a ipotetici veri territori sia come metafore per condizioni dello spirito (si pensi all'opera di Platone e al mito della caverna). Alcune di queste teorie col tempo sono andate a costituire le basi per luoghi concettuali, quali l'Ade della mitologia greca, lo Svartálfaheimr della mitologia norrena, lo Sheol ebraico o l'inferno cristiano.
Edmund Halley nell'opera Philosophical Transactions of Royal Society of London (1692) propose l'idea che la Terra fosse formata da un guscio esterno spesso 800 km, con due altri gusci interni concentrici e un nocciolo interno. Questi gusci avrebbero avuto le dimensioni dei pianeti Venere, Marte e Mercurio, e sarebbero separati da atmosfera. Ogni guscio avrebbe i propri poli magnetici, e i vari gusci ruoterebbero a velocità differenti.
Halley propose questa teoria per cercare di spiegare alcuni risultati anomali ottenuti dalla bussola, per poi spingersi a teorizzare che l'atmosfera interna fosse luminescente, che i continenti interni fossero abitati e che i gas sfuggiti dai passaggi ai poli fossero la causa dell'aurora boreale.
Lo scrittore di fantascienza L. Sprague de Camp ed il divulgatore Willy Ley hanno sostenuto nel documentario Lands Beyond del 1952 che anche Eulero avrebbe proposto l'idea di una terra cava, ma senza strati multipli; in compenso, al centro della cavità vi sarebbe un sole di 1000 km di diametro, che illuminerebbe l'interno e sosterrebbe una civiltà avanzata. Il documentario tuttavia non riporta fonti attendibili e anzi, nella Lettera alla principessa tedesca Eulero descrive un esperimento mentale che postula una Terra solida.
De Camp e Ley affermano inoltre che sir John Leslie avrebbe espanso l'idea di Eulero, immaginando non uno ma due soli (Plutone e Proserpina, secondo i nomi presi dal mito greco). Leslie in realtà propose la teoria della Terra cava nel 1829, nel trattato Elements of Natural Philosophy (pp. 449–453), ma non menziona soli interni.
Nel 1818 John Cleves Symmes, Jr. avanzò l'ipotesi che la Terra sia formata da un guscio cavo di 1300 km di spessore, con due cavità di 2300 km di diametro su entrambi i poli geografici. Oltre alla crosta esterna ci sarebbero quattro gusci interni, anch'essi con aperture ai poli. Symmes ottenne grande rilievo come uno dei primi e più famosi assertori della teoria della Terra cava e fu il primo a proporre una spedizione alla ricerca del foro che sarebbe collocato al Polo Nord, che venne sostenuta di fronte al Congresso degli Stati Uniti da parte del senatore Richard M. Johnson il 28 gennaio 1823. Portò avanti il progetto con l'aiuto del pioniere James McBride, ma il neoeletto presidente statunitense Andrew Jackson lo bloccò e Symmes morì nel 1829 poco dopo tale rifiuto.
Anche Jeremiah N. Reynolds, seguace della teoria, propugnò l'organizzazione di una spedizione alla ricerca del passaggio. Reynolds arrivò ad organizzare una spedizione nell'Antartico, col sostegno del presidente Adams, ma la spedizione si concluse in un disastro. Reynolds non riuscì a partecipare alla Spedizione Wilkes del 1838-1842, nonostante quell'impresa fosse in parte dovuta alla sua opera di convincimento, dato che nelle sue battaglie aveva offeso troppe persone coinvolte nel viaggio.
Nonostante Symmes non abbia mai scritto un libro su queste sue teorie, esistono diversi testi sulla sua opera: tra questi vi è il saggio di McBride Symmes' Theory of Concentric Spheres (1826). Anche Reynolds nel 1827 pubblicò Remarks of Symmes' Theory Which Appeared in the American Quarterly Review. Nel 1868, il professor W.F. Lyons pubblicò The Hollow Globe, sostenendo una teoria simile a quella di Symmes ma senza accreditarlo: il figlio di J.C. Symmer, Americus Symmes, pubblicò allora un testo per rivendicare le origini della teoria, The Symmes' Theory of Concentric Spheres.
Nel 1871 sir Edward Bulwer-Lytton, scrittore, politico ed esoterista, pubblicò un romanzo oggi considerato anticipatore del genere fantascientifico, La razza ventura (The Coming Race, 1871, ripubblicato come Vril, The Power of the Coming Race, 1871), in cui sosteneva che all'interno della Terra si trovasse una razza di superuomini sopravvissuti a cataclismi mitologici. John Uri Lloyd, farmacologo ed erborista, pubblicò nel 1895 il romanzo Etidorhpa, dove descrisse un viaggio immaginario fino al centro della Terra a partire dalle caverne del Kentucky, tentando di giustificare scientificamente la possibilità di tale viaggio (Jules Verne aveva già utilizzato l'idea trent'anni prima, nel 1864, per il suo celebre romanzo avventuroso Viaggio al centro della Terra).
La teoria arrivò fino all'inizio del XX secolo, quando William Reed, scrisse Phantom of the Poles (1906), sostenendo la teoria di una terra cava ma senza soli o secondi gusci. Reed portò a sostegno i racconti di alcuni famosi esploratori dell'epoca, tra cui Louis Bernacchi, Fridtjof Nansen, Karl Mauch, Adolphus W. Greely, Allen Henry e altri. Sulla base di queste osservazioni, Reed sostenne l'esistenza di un grande mare di acqua dolce che si estendeva oltre quello che avrebbe dovuto essere il Polo Nord. Da questi resoconti, Reed arrivò a sostenere che i Poli non fossero mai stati in realtà scoperti, semplicemente perché non esistono: al loro posto si troverebbe un enorme buco con il passaggio al Continente Interno.
Le acque marine si sarebbero riversate all'interno correndo lungo la superficie. In seguito Marshall Gardner scrisse A Journey to the Earth's Interior (1913, in edizione ampliata nel 1920). Gardner sosteneva l'esistenza di un sole all'interno della terra, e arrivò a costruire un modello brevettato della sua idea di Terra. Gardner citò Symmes, ma non Reed. Reed e Gardner ripresero alcuni dubbi espressi dagli esploratori polari, stupiti di trovare enormi iceberg di acqua dolce e non salata.
La risposta data da entrambi gli studiosi fu formulata in questi termini: gli iceberg sono d'acqua dolce perché sono formati dalle acque dei fiumi del continente interno. Quando Robert B.Cook rinvenne negli strati glaciali i resti di mammuth perfettamente conservati, Marshall Gardner affermò che non era possibile che un reperto fosse rimasto integro così a lungo, e che quelli trovati sarebbero stati i resti di creature morte di recente dopo essere sfuggite dal Continente interno.
Altri scrittori hanno sostenuto che nel territorio sotterraneo abitino creature di grande saggezza. L'Antartide, il Polo Nord, il Tibet, il Perù, e il Monte Shasta in California, Stati Uniti, sono stati di volta in volta identificati come punti di ingresso a questi regni sotterranei, dove si troverebbero la città mitologica di Agarttha, o addirittura delle basi di alcune razze aliene. Le idee di Reed e Gardner vennero riprese nel 1969 nel libro The Hollow Earth (nell'edizione italiana Il grande ignoto), a nome di un sedicente Dr Raymond W. Bernard che però ignorava totalmente il lavoro di Symmes.
Bernard aggiunse anche alcune idee peculiari, sostenendo che gli UFO proverrebbero dal Continente Interno, e che le nebulose ad anello proverebbero l'esistenza di mondi cavi. Un articolo di Martin Gardner rivelò che lo pseudonimo "Bernard" era usato da Walter Siegmeister, ma solo con il libro di Walter Kafton-Minkel Subterranean Worlds: 100,000 years of dragons, dwarfs, the dead, lost races & UFOs from inside the Earth nel 1989 emerse la storia di Bernard/Siegmeister. Le idee di Siegmeister furono riprese negli scritti di David Hatcher Childress. Ispirandosi alle teorie della Terra cava sono state proposte megastrutture che ne riprendono alcune caratteristiche, come la Sfera di Dyson o il Globus Cassus.
Nel corso della seconda metà del XX secolo, quando la teoria godeva di discreta notorietà ma era già stata ampiamente smentita, vennero pubblicati numerosi testi che riportavano varie versioni di questa teoria, di volta in volta integrandole con nuove "rivelazioni".
Il valore scientifico di queste pubblicazioni è nullo, e si tratta principalmente di opere a carattere pseudoscientifico o fantastico, nate sull'onda dell'ascesa alla moda della letteratura del mistero e della fantascienza. Queste storie avventurose possono essere viste come una variante del tema del "mondo perduto", che fu popolare nella letteratura vittoriana a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Willis George Emerson, nell'opera Il Dio fumoso (The Smoky God - A voyage to the inner World, 1908), ha riportato una storia che gli sarebbe stata riferita da un pescatore norvegese di nome Olaf Jansen, il quale avrebbe raggiunto con suo padre e la sua barca il continente interno, dove rimasero per due anni visitando le città del regno che vi si trovava (identificato in opere successive con Agarthi) e da cui uscirono dalla parte opposta, al Polo Sud. Il padre sarebbe rimasto ucciso durante il ritorno, il figlio ricoverato come pazzo. Il resoconto sarebbe stato dato dal figlio, che dopo la dimissione dal sanatorio si sarebbe stabilito in California, e che novantenne avrebbe deciso di rendere pubblica la vicenda. Il racconto di Emerson è considerato una delle prime fonti della credenza sulle civiltà sotterranee.
Dal 1945 al 1949 la rivista pulp di fantascienza Amazing Stories sostenne l'idea di una Terra cava: il curatore editoriale Ray Palmer pubblicò una serie di storie di Richard Sharpe Shaver in cui veniva presentata come realistica la storia di una razza superiore preistorica che sarebbe sopravvissuta nelle cavità della Terra. I discendenti di questa razza, noti come Dero vivrebbero nelle caverne usando macchine fantastiche abbandonate da razze antiche per tormentare coloro che vivono in superficie. In seguito alle affermazioni di Shaver, supportate solo da ipotetiche "voci", migliaia di persone scrissero al giornale affermando di sentire "voci infernali" provenienti da sottoterra. L'argomento venne ripreso anche in seguito e quella di Shaver non fu l'unica pretesa "storia vera" sulla Terra cava pubblicata dalla rivista (tra il 1947 e il 1948 fu pubblicata anche la storia su un manoscritto che descrive "Rainbow City", una favolosa città collocata sotto le distese ghiacciate dell'Antartide, da cui proverrebbero i dischi volanti).
Nel 1959 Francis Amadeo Giannini pubblicò Worlds beyond the Poles: Physical Continuity of the Universe, in cui sosteneva che nel 1928 le spedizioni polari statunitensi avessero trovato delle terre sconosciute al di là dei poli, e che nel 1956 un'unità della Marina avesse raggiunto il continente interno. Non vi sono prove a sostegno di queste affermazioni, che senza dubbio sarebbero state riportate nei dettagliati resoconti delle spedizioni americane.
Alcuni autori invece di sostenere la teoria di un globo cavo sul cui esterno giace il mondo come lo conosciamo (teoria della Terra convessa), hanno sostenuto una teoria opposta secondo cui l'umanità vivrebbe nel lato interno, dando vita alla teoria della Terra concava. La superficie della Terra, secondo questa teoria, somiglierebbe all'interno di una Sfera di Dyson. Anche questa teoria, come la precedente, è stata smentita dai fatti, ed in particolare dalle esplorazioni spaziali del XX secolo.
Cyrus Teed, un eccentrico studioso di New York, propose la teoria della Terra concava nel 1869, definendo questa teoria come "Cosmogonia Cellulare". Teed fondò una setta, denominata Koreshan Unity basata su questa idea, che definì Koreshanesimo. Una colonia di Koreshani venne fondata a Estero, in Florida, ed è oggi preservata come sito storico nonostante non vi siano più seguaci viventi. I Koreshani sostenevano di aver verificato sperimentalmente la concavità della curvatura terrestre usando uno strumento detto "rettilineatore" sulle coste della Florida.
Diversi autori tedeschi del XX secolo (tra cui Peter Bender, Johannes Lang, Karl Neupert e Fritz Braun), hanno pubblicato opere in sostegno della teoria della terra concava (Hohlweltlehre). La teoria è oggi sostenuta da pochi. Lo studioso egiziano Mostafa A. Abdelkader ha pubblicato diverse ricerche in cui ha stilato una mappa dettagliata della Terra concava.
In un capitolo del suo libro On the Wild Side (1992), Martin Gardner ha esaminato il modello di Abdelkader: secondo Gardner, questa teoria presupporrebbe che i raggi luminosi viaggino in percorsi circolari, rallentando con l'avvicinarsi del centro della sfera dove si trova il Sole. L'energia non potrebbe raggiungere il centro della cavità, che corrisponde ad un punto a distanza infinita dalla Terra. Gardner sottolinea che "molti matematici credono che un modello di universo capovolto, con leggi fisiche adeguatamente corrette, è empiricamente inconfutabile". Tuttavia, Gardner stesso respinge la teoria sulla base del Rasoio di Occam.
Da un punto di vista logico, è possibile applicare una trasformazione matematica al nostro sistema di coordinate in modo che l'esterno della terra diventi l'interno e viceversa: queste trasformazioni verrebbero poi compensate da adeguate modifiche alle leggi fisiche oggi note, ma si tratterebbe comunque di puri sofismi e speculazioni logiche.
Un essere all'interno di una Terra cava non riceverebbe una spinta gravitazionale verso la superficie: la teoria della gravitazione prevede che una persona all'interno della sfera sarebbe praticamente senza peso. Questo fatto fu dimostrato per la prima volta da Newton, il cui teorema del guscio sferico prevede che la forza gravitazionale sia pari a zero ovunque all'interno di un guscio solido sfericamente simmetrico, indipendentemente dallo spessore del guscio.
Una debole forza gravitazionale deriverebbe dalla non perfetta sfericità della Terra, e dalla forza di marea, dovuta alla Luna. Anche la forza centrifuga contribuirebbe alla formazione di una gravità, che tuttavia all'equatore sarebbe pari a solo un trecentesimo della gravità normale.
La teoria risulta fallace anche per il fatto che una terra prevalentemente cava avrebbe una massa molto inferiore a quella sperimentalmente osservata. Inoltre una Terra cava collasserebbe sotto il suo stesso peso, sbriciolandosi e creando una seconda Terra, più piccola della prima, e piena.
La teoria della Terra cava non è compatibile con il modello della tettonica delle placche in quanto i fori di entrata alla cavità, posizionati ai poli, si sarebbero dovuti spostare nel corso delle ere dalla Pangea alla posizione attuale.
Le aperture in prossimità dei Poli previste dalla teoria dovrebbero essere presenti nelle immagini rilevate dai satelliti, ma ciò non avviene.
Gli studiosi L. Sprague de Camp e Willy Ley hanno sostenuto che anche Eulero avrebbe proposto l'idea di una terra cava con un piccolo Sole al centro di circa 1000 km di raggio (sembrerebbero però smentiti dallo stesso Eulero). Questa stella, date le dimensioni ridotte, dovrebbe essere una nana bianca ed avrebbe una massa simile a quella del nostro Sole, sufficiente a far implodere la Terra.

  • Nel romanzo del 1741 Il viaggio sotterraneo di Niels Klim (Nicolai Klimii iter subterraneum) di Ludvig Holberg, Niels Klim cade in una caverna mentre l'esplorava e trascorre molti anni a vivere sia in un globo più piccolo all'interno della terra, sia sulla superficie interna del guscio esterno.
  • Icosaméron (1788) di Giacomo Casanova è una storia di 5 volumi, 1 800 pagine, di fratello e sorella che cadono all'interno della Terra scoprendo l'utopia sotterranea dei Mégamicri, una razza di nani multicolori ed ermafroditi.
  • Un romanzo precursore della fantascienza dal nome Symzonia: A Voyage of Discovery di un certo "Capitano Adam Seaborn" apparve alle stampe nel 1823. Esso riflette ovviamente le idee di John Cleves Symmes, Jr. e alcuni ritennero Symmes il vero autore, che è accreditato in tal modo in una recente ristampa. Altri non sono d'accordo. Alcuni ricercatori dicono che il romanzo fa una voluta satira delle idee di Symmes, e pensano di avere identificato l'autore come uno scrittore statunitense, Nathanial Ames, che scrisse altre opere, tra le quali una che avrebbe potuto fornire ispirazione per Moby Dick.
  • Edgar Allan Poe usò l'idea per il suo romanzo Storia di Arthur Gordon Pym (The Narrative of Arthur Gordon Pym of Nantucket, 1838). Ne fece riferimento anche in Manoscritto trovato in una bottiglia (Ms. found in a bottle, 1833) e L'incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall (The unparalleled adventure of one Hans Pfaall).
  • Jules Verne, che nelle proprie opere non si allontanava spesso dai limiti della plausibilità scientifica, utilizzò l'idea di una Terra cava nel suo romanzo del 1864 Viaggio al centro della Terra.
  • Il romanzo di James De Mille A Strange Manuscript Found in a Copper Cylinder (1888) è una satira vittoriana di una società invertita all'interno della Terra cava.
  • Il racconto fantastico Il dio fumoso (The Smoky God, 1908) di Willis George Emerson narra le avventure di un certo Olaf Jansen che viaggio all'interno, trovò una civiltà avanzata e se ne andò. Alcuni hanno ritenuto il romanzo un resoconto veritiero.
  • Edgar Rice Burroughs scrisse storie avventurose del mondo interno di Pellucidar (tra cui, ad un certo punto, la visita del suo personaggio Tarzan). Benché la superficie interna della Terra avesse un'estensione ben più piccola dell'esterno, Pellucidar ha oceani in corrispondenza dei continenti sulla superficie esterna, e viceversa; in tal modo il mondo interno ha una superficie occupata da terre emerse più grande di quello esterno. È abitato da esseri umani primitivi e creature estinte sulla superficie esterna, tra cui i Mahar, creature simili a pterodattili con poteri psichici. Pellucidar presenta un sole interno che non tramonta mai, per cui gli abitanti non hanno mai sviluppato la nozione del tempo.
  • Il racconto horror Il tumulo (The Mound, 1930) di Howard Phillips Lovecraft narra di immensi paesaggi e di terribili esseri che vivono da tempi remotissimi nel sottosuolo all'insaputa di tutti, riprendendo in parte le teorie qui sopra riportate.
Nel 1965 Guido Crepax crea il personaggio di Valentina, la cui storia si intreccia perennemente con quella di Philip Rembrandt, detto Neutron, discendente meticcio dell'antico popolo dei Sotterranei o ciechi cavalieri degli abissi, ancora attivo a 20 chilometri all'interno del globo, luogo dove si svolgeranno alcune ambientazioni del fumetto, per prima ne I sotterranei, in Valentina del 1968. In realtà negli intenti di Crepax, il mezzosangue sotterraneo Philip Rembrandt avrebbe dovuto essere il protagonista della serie, inizialmente pubblicata sul periodico Linus dal maggio 1965, ma il grande successo del personaggio femminile cambiò i piani dei lavori che seguirono fin dalla terza puntata.
Nella serie a fumetti Martin Mystère, in particolare nell'albo n. 115bis intitolato "Al centro della Terra" il protagonista entra all'interno della Terra cava tramite un'apertura al Polo Nord, e vi trova una società evoluta quasi al pari di quella esterna, in cui un generale nazista - ivi speditovi da Adolf Hitler per appurare la veridicità della teoria - ha preso il potere ed ha instaurato un regime dittatoriale. Il protagonista riesce a fuggire ed elabora la teoria che la Terra non sia cava ma che il passaggio al Polo Nord conduca invece ad un'altra dimensione simile a quella terrestre.
Esiste anche una teoria riguardante la Luna, che sarebbe cava e all'interno ospiterebbe vita intelligente.
L'uso più noto di questa teoria è il romanzo di H. G. Wells I primi uomini sulla Luna (The First Men in the Moon, 1901). L'idea venne ripresa da Edgar Rice Burroughs nei romanzi brevi La fanciulla lunare (The Moon Maid, 1923) e Gli uomini della Luna (The Moon Men, 1925) (ed. it. Il popolo della Luna).
Quell'orribile forza (That Hideous Strength, 1946) di C.S. Lewis è ambientato sulla Terra, ma prevede l'esistenza di una luna cava abitata dai Sulva, in cui si svolge una titanica lotta tra il Bene e il Male.
Questo sottogenere è svanito dopo la conquista lunare del 1969.

mercoledì 23 giugno 2021

Asura

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Asura (devanāgarī: असुर) è un termine del sanscrito vedico che indica, nel Vedismo, una classe particolare degli Dèi.

Etimologia e corrispondenze

La derivazione del termine Asura è dubbia, probabilmente deriva dal termine aśu che indica "respiro", "spirito vitale" oppure dal termine as che indica l'"esistere".
Interessante è la presenza nella mitologia scandinava di una classe di dei (gli Æsir) con funzioni e prerogative simili, ugualmente in lotta con la classe avversaria dei Vanir. Interessante è notare come in lingua etrusca il termine Aesar significhi divinità, da cui poi il termine Cesare dei Romani, la personificazione della divinità.
Con il termine Asura vengono indicati nel Ṛgveda (testo vedico risalente tra il XX e il XV secolo a.C.) varie divinità tra cui: Savitar (I, 35, 10), Varuṇa (I, 24, 14), Rudra (II, 1, 6), Indra (I, 174,1), Agni (V, 12, 1) e Soma (IX, 72,1).
Successivamente alcuni di questi Dèi primordiali verranno detronizzati dai Deva (देव); questi ultimi con il tempo acquisiranno connotazioni positive, attribuendo invece caratteri demoniaci agli antichi Asura.
Da tenere presente, tuttavia, che nei più antichi inni del Ṛgveda i termini Deva e Asura sono intercambiabili, come nel seguente passo:
(SA)
«hiraṇyasto asuraḥ sunītaḥ sumṛḍīkaḥ svavavāṃ yātv arvāṅ apasedhan rakṣaso yātudhānān asthād devaḥ pratidoṣam gṛṇānaḥ»
(IT)
«Asura dalle mani d'oro, dalla corretta guida, colui che è misericordioso, che aiuta, vieni verso di noi. Respingendo i demoni e gli stregoni, emergi dal buio Deva da tutti invocato.»
(Ṛgveda, I, 35)



È nel Śatapatha Brāhmaṇa (IX, 5,1, 12 e sgg., risalente a circa l'VIII secolo a.C.) che in ambito tardo vedico si trova una prima spiegazione della detronizzazione degli Asura a vantaggio dei Deva. Secondo questo testo ambedue le classi degli Dèi furono originati dallo stesso principio, Prajāpati, e dotati sia della parola vera che di quella falsa, ma se i Deva scelsero il "vero", gli Asura gli preferirono il "falso".
Questo sviluppo verso l'opposizione delle due classi di divinità (asura e deva) è comprensibile alla luce di una caratteristica posseduta dai soli asura rispetto ai deva: un particolare potere generato dalla loro misteriosa natura etica (vedi il ruolo di Varuna nel Ṛgveda). Con il tramonto del periodo vedico, la natura misteriosa degli asura si trasformò in "potere malefico" facendo decadere gli asura al rango di demòni.
In un'accezione piuttosto tarda il termine Asura viene indicato come "A-sura" ovvero privo di divinità e opposto ad essa (Nirukta, III,2,7).
Il termine Asura possiede nell'avestico Ahura il suo corrispettivo. Ma lo sviluppo nella cultura iranica risulterà opposto: saranno i Daēva ad acquisire le caratteristiche demoniache mentre gli Ahura manterranno i loro connotati solari.
In questa opposizione Raffaele Pettazzoni ricorda, nel 1920, l'ipotesi interpretativa da lui considerata "estrema" dell'orientalista tedesco del XIX secolo Martin Haug (1827-1876) il quale ha ritenuto di scorgere una scissione iniziale tra clan indoari sfociata in culti diversi che avrebbero poi determinato la nascita dello zoroastrismo. Difatti Ahura Mazdā è il dio unico dello zoroastrismo, e, secondo questa ipotesi, per infondere una connotazione negativa gli hindu in una fase successiva hanno chiamato Asura le divinità demoniache e negative.

Gli asura nell'antroposofia steineriana

Il filosofo ed esoterista Rudolf Steiner, indica, nell'elaborazione delle sue dottrine, con il nome di asura quell'antica forza demoniaca risalente ad epoche primordiali, distinta da quella più recente di Lucifero, e da quella di Arimane (o Satana). Si tratterebbe di entità in grado di sviluppare il male «con una forza anche più intensa di quella delle potenze sataniche nell'epoca atlantica, o degli spiriti luciferici nell'epoca lemurica». Secondo Steiner, il loro influsso sull'umanità, che finora non si è ancora esplicato, comincerebbe già nella nostra epoca a far sentire i suoi primi effetti, che consistono in un ottenebramento della coscienza dell'Io, inducendo l'uomo a credere di essere soltanto il risultato di eventi fisici o puramente materiali, e soprattutto a vivere come se egli lo fosse:
«L'uomo non saprà nulla e non vorrà saper più nulla di un mondo spirituale. Non si limiterà ad insegnare che le più alte idee morali umane sono soltanto sviluppi superiori degli impulsi animali; non si limiterà ad insegnare che il pensiero umano è soltanto una trasformazione di ciò che anche l'animale possiede; non si limiterà ad insegnare che l'uomo è affine all'animale in ciò che concerne la sua figura e che anche tutta la sua entità discende dall'animale; bensì prenderà questa concezione sul serio e vivrà conforme ad essa: [... ] gli uomini vivranno anche come animali e si sprofonderanno negli istinti e nelle passioni puramente animali. E in molte cose che qui non è il caso di descrivere, in molte delle selvagge orge di vana sensualità che oggi soprattutto nelle grandi città vanno affermandosi, noi già vediamo risplendere i grotteschi inferni di quegli spiriti che designiamo come asurici.»
(Rudolf Steiner, Influssi luciferici, arimanici, asurici, conferenza tenuta il 22 marzo 1909)





martedì 22 giugno 2021

Alchimia

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L'alchimia è un antico sistema filosofico esoterico che si espresse attraverso il linguaggio di svariate discipline come la chimica, la fisica, l'astrologia, la metallurgia e la medicina lasciando numerose tracce nella storia dell'arte. Il pensiero alchemico è altresì considerato da molti il precursore della chimica moderna prima della nascita del metodo scientifico.
Diversi sono i grandi obiettivi che si proponevano gli alchimisti: conquistare l'onniscienza, ovvero raggiungere il massimo della conoscenza in tutti i campi della scienza; creare la panacea universale, un rimedio cioè per curare tutte le malattie, generare e prolungare indefinitamente la vita; la trasmutazione delle sostanze e dei metalli; la ricerca della pietra filosofale. In realtà, però, nessun alchimista ha mai dichiarato quali fossero le finalità dell'alchimia: secondo alcuni lo scopo era mistico e l'esercizio di una filosofia (scienza, in termini moderni) era propedeutico al raggiungimento di uno stato metafisico di conoscenza. Per una interpretazione più grossolana e popolare la creazione della pietra filosofale, sostanza di tipo etereo, era considerata il fine dell'alchimia, ma anche qui il termine sembra più metaforico che reale.
Oltre ad essere una disciplina fisica e chimica, l'alchimia implicava un'esperienza di crescita o meglio un processo di liberazione spirituale dell'operatore. In quest'ottica la scienza alchemica viene a rappresentare una conoscenza metafisica e filosofica, assumendo connotati mistici e soteriologici, nel senso che i processi e i simboli alchemici, oltre al significato materiale, relativo alla trasformazione fisica, possiedono un significato interiore, relativo allo sviluppo spirituale. Ad esempio, la comune interpretazione che vede nel piombo e nell'oro nient'altro che i corrispettivi materiali è da considerarsi un equivoco assolutamente riduttivo.
Il termine alchimia deriva dall'arabo al-khīmiyya o al-khīmiyya (الكيمياء o الخيمياء), composto dell'articolo determinativo al- e della parola kīmiyya che significa "chimica" e che a sua volta, sembrerebbe discendere dal termine greco khymeia (χυμεία) che significa "fondere", "colare insieme", "saldare", "allegare", ecc. (da khumatos, "che è stato colato, un lingotto"). Un'altra etimologia collega la parola con Al Kemi, che significa "l'arte egizia", dato che gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ed erano considerati potenti maghi in tutto il mondo antico. Il vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che significa "succo per fare l'oro".
L'alchimia è una scienza esoterica il cui primo fine era trasformare il piombo, ovvero ciò che è negativo, in oro, ovvero ciò che è positivo nell'uomo, per fargli riscoprire la sua vera “natura interna”, il proprio Dio. Gli alchimisti cercavano di nascondersi, di rendersi occulti usando allegorie, per preservare le loro conoscenze da quanti erano ancora impreparati a comprenderle e risultavano perciò esposti al pericolo di farne un cattivo uso.
Per comprendere l'alchimia, bisogna considerare come la conversione di una sostanza in un'altra, che formò la base della metallurgia fin dal suo apparire verso la fine del Neolitico, veniva spiegata, in una cultura poco interessata agli aspetti puramente materiali della fisica e della chimica, come risultante dal concorso di più cause. Nei tempi remoti, una fisica priva di una componente metafisica sarebbe stata parziale ed incompleta al pari di una metafisica sprovvista di manifestazione fisica. Pertanto, per gli alchimisti non vi fu ragione alcuna di separare la dimensione materiale da quella simbolica o filosofica.
La trasmutazione dei metalli di base in oro (ad esempio con la pietra filosofale o grande elisir o quintessenza o pietra dei filosofi o tintura rossa) simboleggia un tentativo di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini dell'esistenza. Gli alchimisti credevano che l'intero universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l'oro, per la sua intrinseca natura di incorruttibilità, era considerato la sostanza che più si avvicinava alla perfezione. Era anche logico pensare che riuscendo a svelare il segreto dell'immutabilità dell'oro si sarebbe ottenuta la chiave per vincere le malattie ed il decadimento organico; da ciò l'intrecciarsi di tematiche chimiche, spirituali ed astrologiche che furono caratteristiche dell'alchimia medievale.
La scienza dell'alchimia ebbe inoltre una notevole evoluzione nel tempo, iniziando quasi come un'appendice metallurgico-medicinale della religione, maturando in un ricco coacervo di studi, trasformandosi in scienza sapienziale, ed alla fine fornendo alcune delle fondamentali conoscenze empiriche nel campo della chimica e della medicina moderne, le quali tuttavia sono state interpretate anche come una sua forma di decadenza.
«A far nascere la chimica moderna non è stata questa alchimia, con la quale tale scienza non ha alcun rapporto: è stata una deformazione e deviazione di essa nel senso più rigoroso del termine, a cui dette luogo, forse a partire dal Medioevo, l'incomprensione di alcune persone, le quali, incapaci di penetrare il senso vero dei simboli, presero tutto alla lettera e credendo trattarsi solo di operazioni materiali si dettero ad un più o meno disordinato sperimentare. Proprio queste persone, chiamate ironicamente "soffiatori" e "bruciatori di carbone" dagli alchimisti veri, furono gli autentici precursori dei chimici attuali: ed è così che la scienza moderna si è costruita per mezzo di residui di scienze antiche, con materiali respinti da quest'ultime e abbandonati agli ignoranti e ai "profani".»
(René Guénon, La crisi del mondo moderno, trad. it., pag. 76, Roma, Mediterranee, 1972)
Fino al XVIII secolo, l'alchimia era considerata una scienza razionale in Europa; per esempio, Isaac Newton dedicò molto più tempo allo studio dell'alchimia piuttosto che a quello dell'ottica o della fisica per le quali divenne famoso. Tuttavia Newton mantenne sempre un notevole riserbo intorno ai suoi studi alchemici, e non pubblicò mai opere sull'argomento. Fu l'economista John Maynard Keynes che nel 1936 rese pubblici manoscritti newtoniani sull'alchimia, dei quali era entrato in possesso ad un'asta.
Altri eminenti alchimisti del mondo occidentale furono Ruggero Bacone, il Parmigianino, Thomas Browne, e non ultimo Cagliostro. Si interessarono di alchimia anche San Tommaso d'Aquino e Giordano Bruno.
Il declino dell'alchimia iniziò nel XVIII secolo con la nascita della chimica moderna, che si limitò ad una struttura più concreta e misurabile matematicamente per comprendere le trasmutazioni della materia, e la medicina, con un nuovo disegno dell'universo basato sul materialismo razionale.
La storia dell'alchimia è diventata un prolifico campo per speculazioni accademiche. Via via che si riteneva di poter decifrare l'ermetico linguaggio degli alchimisti, gli storici hanno cominciato a trovare connessioni intellettuali tra quella disciplina ed altre componenti della storia culturale occidentale, come le società esoteriche, ad esempio quella dei Rosa Croce, la stregoneria e naturalmente l'evoluzione della scienza e della filosofia.
L'opus alchemicum per ottenere la pietra filosofale avveniva mediante sette procedimenti, divisi in quattro operazioni, Putrefazione, Calcinazione, Distillazione e Sublimazione, e tre fasi, Soluzione, Coagulazione e Tintura.
Attraverso queste operazioni la "materia prima", mescolata con lo zolfo ed il mercurio e scaldata nella fornace (atanor), si trasformerebbe gradualmente, passando attraverso vari stadi, contraddistinti dal colore assunto dalla materia durante la trasmutazione.
Il numero di queste fasi, variabile da tre a dodici a seconda degli autori di trattati alchimistici, è legato al significato magico dei numeri.
I tre stadi fondamentali sono:
  • Nigredo o opera al nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendosi;
  • Albedo o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi;
  • Rubedo o opera al rosso, che rappresenta lo stadio in cui si ricompone, fissandosi.
Si tratta, letteralmente, di "zolfo e mercurio", cioè, nel linguaggio simbolico dell'alchimia, di due essenze primordiali viste nel quadro di un sistema dualistico che ritiene qualsiasi materiale come miscela di questi due componenti, vale a dire di un elemento "in combustione" (zolfo Sulphur.svg) e di uno "volatile" (mercurio Mercury symbol.svg), dotati di gradi diversi di purezza e in un diverso rapporto di mescolanza tra loro.
Da Paracelso (1493-1541) venne poi aggiunto un terzo elemento, il sal (il sale Line within circle.svg), che doveva costituire la tangibilità: quando il legno è in combustione, la fiamma prende origine dal sulphur, il mercurius trapassa in evaporazione, mentre il sal ne è la cenere residua.
L'universo alchemico è pervaso di simboli, che, intrecciandosi in mutue relazioni, permeano le varie operazioni e gli ingredienti costitutivi del processo per ottenere la pietra filosofale.
Così per esempio l'oro e l'argento acquisiscono nell'iconografia alchemica i tratti simbolici del Sole e della Luna, della luce e delle tenebre e del principio maschile e femminile, che si uniscono (sizigia) nella coniunctio oppositorum della Grande Opera (Rebis).
A parte i simboli degli elementi primati, vale a dire i sette metalli corrispondenti ai sette pianeti dell'astrologia classica, l'iconografia alchemica è ricca di simboli che rimandano a strumenti e tecniche di trasformazione della materia la quale, è bene ricordarlo, non è mai identificata dagli alchimisti con la "materia volgare". In altre parole gli alchimisti si riferivano, con le loro allegorie, alla trasformazione psichica e spirituale dell'essere umano, che in seguito ad una serie di progressivi processi di perfezionamento giungeva a trasformare se stesso da vile piombo in "Oro filosofico".
Il Rosarium philosophorum attribuito ad Arnaldo da Villanova, il Commentarius attribuito a Raimondo Lullo, la Duodecim Claves philosophicæ attribuita a Basilio Valentino sono tra le opere che hanno ispirato, nei secoli, il maggior numero di interpretazioni iconografiche.
Gli elementi cosmici avevano grande importanza non solo per la loro influenza sui processi alchemici, ma anche per il parallelismo che li legava agli elementi naturali, in base al principio analogico dell'ermetismo secondo cui «ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto».
Tradizionalmente, ognuno dei sette corpi celesti del sistema solare conosciuti dagli antichi era associato con un determinato metallo.
La lista del dominio dei corpi celesti sui metalli è la seguente:
  • Il Sole (Sun symbol.svg) governa l'Oro
  • La Luna (simbolo Luna) è connessa con l'Argento
  • Mercurio (Mercury symbol.svg), Mercurio
  • Venere (Venus symbol.svg), Rame
  • Marte (Mars symbol.svg), Ferro
  • Giove (Jupiter symbol.svg), Stagno
  • Saturno (Saturn symbol.svg), Piombo
Sia i metalli che i corpi celesti erano in relazione con l'anatomia umana e le sette viscere dell'uomo.
Nelle illustrazioni dei trattati medievali e di epoca rinascimentale compaiono spesso figure animali e fantastiche. I tre principali stadi attraverso i quali la materia si trasformava, la nigredo, l'albedo e la rubedo erano rispettivamente simboleggiati dal corvo, dal cigno e dalla fenice.
Quest'ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarna il principio che «nulla si crea e nulla si distrugge», tema centrale della speculazione alchimistica.
Era inoltre sempre la fenice a deporre l'uovo cosmico, che a sua volta raffigurava il contenitore in cui era posta la sostanza da trasformare.
Anche il serpente ouroboros, che si mangia la coda, ricorre spesso nelle raffigurazioni delle opere alchemiche, in quanto simbolo della ciclicità del tempo e dell'"Uno il Tutto" ("En to Pan").
L'alchimia abbraccia alcune tradizioni filosofiche che si sono propagate per quattro millenni e tre continenti, e la loro generale inclinazione per un linguaggio criptico e simbolico rende difficile tracciare le loro mutue influenze e relazioni.
Si possono distinguere almeno due grandi canali, che sembrano essere in gran parte indipendenti, almeno nelle tappe più remote: l'alchimia orientale, attiva in Cina e nella zona della sua influenza culturale, e l'alchimia occidentale, il cui centro nei millenni è slittato tra Egitto, Grecia, Roma, il mondo islamico ed alla fine l'Europa. L'alchimia cinese fu strettamente connessa al Taoismo, mentre quella occidentale sviluppò un proprio sistema filosofico, connesso solo superficialmente con le maggiori religioni occidentali. Se queste due tipologie abbiano avuto una comune origine e fino a che punto si siano influenzate l'una con l'altra è tuttora oggetto di questione.
Mentre quella occidentale fu più concentrata sulla trasmutazione dei metalli, l'alchimia cinese ebbe una maggiore connessione con la medicina. La pietra filosofale degli alchimisti europei può essere comparata con l'elisir dell'immortalità cercato dagli alchimisti cinesi. Comunque, da un punto di vista ermetico, questi due interessi non erano separati e la pietra dei filosofi era spesso equiparata all'elisir di lunga vita.
La Cina appare il centro di una tradizione alchemica molto antica, risalente forse al IV-III secolo a.C., ma documentata con sicurezza per la prima volta nel Ts'an T'ung Ch'i, scritto verso il 142 a.C. da Wei Po-Yang, sotto forma di commentario all'I-Ching, Libro delle Mutazioni. In questa opera, classico del Canone taoista, l'autore afferma che i contenuti del Libro delle Mutazioni, delle dottrine taoiste e dei procedimenti alchemici siano variazioni di un'unica materia sotto il travestimento di nomi diversi. Egli fonda il processo alchemico sulle dottrine dei cinque stati di mutamento, erroneamente chiamati "elementi" (acqua, fuoco, legno, metallo e terra) e dei due contrari (yin e yang): di questi due, il primo è associato alla luna ed il secondo al sole, e dalla loro dinamica si originano gli elementi. Ogni elemento combinato con yang differirebbe da quello combinato con yin, nel senso che il primo è attivo e maschile, il secondo passivo e femminile. Il testo, di non facile interpretazione, per le sue interferenze con dottrine cosmologiche e magiche, presenta una concezione evolutiva dei metalli e il loro trasferimento su piani non sperimentali, ora psichici, ora cosmici. Nel IV secolo l'alchimia ha un nuovo grande maestro in Ko Hung, detto Pao-p'u-tzu, che aggiunge alle tecniche indicate alcuni particolari metodi taoisti destinati alla conquista dell'immortalità. Questo fu l'avvio per una sempre più stretta connessione con forme taoiste di medicina tradizionale cinese ed una ricca fioritura di opere fino al XIII secolo.
Le scuole di alchimia cinese, pur avendo come obiettivo comune la ricerca dell'immortalità, si differenziavano per i metodi di ricerca:
  • Gli alchimisti della scuola esterna si occupavano prevalentemente della ricerca dell'elisir di lunga vita attraverso la produzione di rimedi, elisir e pillole dell'immortalità, le cui componenti erano in gran parte sostanze vegetali e in misura minore sostanze animali e minerali.
  • Gli alchimisti della scuola interna, invece, ricercavano l'immortalità attraverso l'utilizzo di pratiche fisiche e mentali che provocassero una trasmutazione del corpo, consentendo al praticante di vivere indefinitamente. Il corpo stesso del praticante veniva concepito come un laboratorio alchemico e l'elisir di lunga vita scaturiva teoricamente dalla distillazione di sostanze corporee, prodotte attraverso l'utilizzo delle funzioni vitali (respirazione, circolazione, funzionamento endocrino, etc..) che venivano guidate dall'alchimista.
La medicina tradizionale cinese ha ereditato dall'alchimia esterna le basi di farmacologia tradizionale e dall'alchimia interna la parte relativa al Qi Gong ed alle ginnastiche mediche. In queste discipline molti dei termini utilizzati sono di chiara derivazione alchemica.
L'alchimia giocò un ruolo di spicco fin dalle origini del pensiero indiano. Gianluca Magi nota come:
«L'idea di uccidere i metalli vivi per farli rinascere nobili, metafora del tentativo esoterico di trasmutazione spirituale dell'Io che viene ucciso per far rinascere il Sé della coscienza pura, è presente in India fin dall'età vedica. Ciò per dire che l'alchimia indiana, Rasayāna ovvero il «Veicolo mercuriale», non fu né una scienza empirica né una proto-chimica, bensì una scienza soteriologica per fare del corpo e della mente il proprio laboratorio, per sperimentare un altro piano di realtà in cui si diventa pietre filosofali, ovvero pietre vive. [...] Molto probabilmente gli esperimenti dell'alchimia tradizionale condussero alla scoperta di molti fenomeni chimici, ma agli inizi non ne parlò perché erano considerati di secondaria importanza: il fine reale era la trasmutazione interiore dell'uomo, la sua rinascita e Liberazione. La stessa trasmutazione del mercurio in oro è del tutto marginale rispetto a ciò che l'alchimista indiano chiama la condizione di vita senza morte (amṛtattva) (da cui deriva il greco 'ambrosia', il cibo degli dèi che rende immortali), lo stato del liberato in vita, jīvanmukta
(Gianluca Magi. 'Uscite dal sogno della veglia. Viaggio attraverso le filosofie indiane della Liberazione, Edizioni della Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa, Rimini 2008, p. 67.)
A questa prima fase soteriologica del pensiero alchemico indiano, ne seguì una seconda – descritta da al-Biruni, scienziato e viaggiatore persiano dell'XI secolo –, dovuta all'influsso musulmano, che portò a numerose scoperte chimiche importanti. A partire dal XIV secolo:
«gli alchimisti indiani iniziarono quasi esclusivamente a dedicarsi alla preparazione di medicine metalliche o minerali. Ciò che in precedenza era un'operazione d'introversione che dava valore solo ai risultati raggiunti attraverso il coinvolgimento personale (alchimia), cedeva il passo necessariamente a un atteggiamento di estroversione che implicava l'impegno a rimanere il più possibile distaccato dall'esperimento per conseguire risultati oggettivi (atteggiamento scientifico)»
(Gianluca Magi, op. cit., p. 68.)
Il padre dell'alchimia indiana è considerato Śrīman Nāgārjuna Siddha (XIII secolo, o anteriore), figura semileggendaria, ritenuto l'autore di alcuni testi alchemici quali il trattato di magia Kakṣapuṭa Tantra, quello sul mercurio Rasendramangalam e il Susruta Samhita. Il migliore esempio di un testo basato su questa scienza è il Vaishashik Darshana di Kaṇāda, che si ritiene abbia introdotto in oriente la teoria atomica.
Gli alchimisti occidentali generalmente fanno risalire l'origine della loro arte all'antico Egitto. Metallurgia e misticismo erano inesorabilmente legati insieme nel mondo antico, in cui una cosa come la trasformazione dell'oro grezzo in un metallo scintillante doveva sembrare un atto governato da regole misteriose.
La città di Alessandria in Egitto fu un centro di conoscenza alchemica, e conservò la propria preminenza fino al declino della cultura egiziana antica. Sfortunatamente non esistono documenti originali egizi sull'alchimia. Questi scritti, qualora fossero esistiti, andarono perduti nell'incendio della Biblioteca di Alessandria, nel 391. L'alchimia egiziana è per lo più conosciuta attraverso le opere di antichi filosofi greci, sopravvissute solamente in traduzioni islamiche.
La leggenda vuole che il fondatore dell'alchimia egiziana fosse il dio Thot, chiamato Ermes-Thoth o Ermes il tre volte grande (Ermete Trismegisto) dai Greci. Secondo la leggenda il dio avrebbe scritto i quarantadue libri della conoscenza, che avrebbero coperto tutti i campi dello scibile, fra cui anche l'alchimia. Il simbolo di Ermes era il caduceo, che divenne uno dei principali simboli alchemici. La Tavola di smeraldo di Ermes Trismegistus, che è nota solamente attraverso traduzioni greche ed arabe, è generalmente considerata la base per la pratica e la filosofia alchemica occidentale.
Le dottrine alchimistiche della scuola greca passarono attraverso tre fasi evolutive: l'alchimia come tecnica, cioè l'arte prechimica degli artigiani egizi, l'alchimia come filosofia ed infine quella religiosa. I Greci si appropriarono delle dottrine ermetiche degli Egiziani, mescolandole, nell'ambiente sincretistico della cultura alessandrina, con le filosofie del Pitagorismo e della scuola ionica e successivamente dello Gnosticismo. La filosofia pitagorica consiste essenzialmente nella credenza che i numeri governino l'universo e che siano l'essenza di tutte le cose, dal suono alle forme.
Il pensiero della scuola ionica era basato sulla ricerca di un principio unico e originario per tutti i fenomeni naturali; questa filosofia, i cui esponenti principali furono Talete ed Anassimandro, fu poi sviluppata da Platone ed Aristotele, le cui opere finirono per diventare parte integrante dell'alchimia. Si delinea, come base della nuova scienza, la nozione di una materia prima che forma l'universo, e che può essere spiegata solamente attraverso attente esplorazioni filosofiche. Un concetto molto importante, introdotto in quel tempo da Empedocle, è che tutte le cose nell'universo erano formate solamente da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. A questi elementi Aristotele aggiunge l'etere, la materia di cui sono formati i cieli e che viene denominata quintessenza. La terza fase si differenzia dalla precedente di speculazione filosofica per le caratteristiche di una religione esoterica, per l'abbondanza di rituali misteriosi e per il linguaggio. Nei primi secoli dell'età imperiale, in età ellenistica, si sviluppò una letteratura di carattere filosofico-soteriologico-religiosa, di vario carattere, accomunata dalla pretesa rivelazione da parte del dio Thot-Ermete, da cui il nome di letteratura ermetica. Il supporto dottrinale di questa letteratura è una forma di metafisica che si rifà al Neoplatonismo ed al Neopitagorismo.
Nel II secolo sarebbero stati scritti anche gli Oracoli caldaici, dei quali sono pervenuti solo frammenti, che presentano molte analogie con gli scritti ermetici. In questo momento storico, quindi, si sarebbe operata una fusione tra il patrimonio filosofico greco e la gnosi ermetica, nella quale la grande opera assume connotati di tecnica tesa alla realizzazione in senso interiore e cosmico.
Tra gli alchimisti ellenistici vanno citati la figura storica-leggendaria di Maria l'ebrea e quelle di Bolo di Mende e Zosimo di Panopoli, il primo autore che abbia scritto opere alchemiche in modo sistematico e firmando la propria creazione.
La distruzione del Serapeo e della Biblioteca di Alessandria segnò la fine del centro culturale greco, spostando il processo dello sviluppo alchemico verso il Vicino Oriente. L'alchimia islamica è molto meglio conosciuta perché meglio documentata e molti dei testi antichi giunti sino a noi si sono preservati come traduzioni islamiche.
Alchimisti islamici come al-Razī (in latino Rasis o Rhazes) diedero un contributo fondamentale alle scoperte chimiche, come la tecnica della distillazione, e ai loro esperimenti si devono l'acido muriatico (l'antico nome dell'acido cloridrico), l'acido solforico e l'acido nitrico e l'uranio, oltre alla soda (al-natrun) e potassio (al-qali), da cui derivano i nomi internazionali di sodio e potassio, Natrium e Kalium. L'apporto di nomenclatura alchimistica a tutta la posteriore cultura occidentale è di origine araba: termini arabi sono infatti alchimia, atanor (fornace), azoth (forma corrotta da al-zawq, 'mercurio'), alcool (da al-kohl, indicante una polvere per il trucco ricavata dall''antimonio'), elisir (da al-iksīr, "pietra" filosofale) e alambicco. La scoperta che l'acqua regia, un composto di acido nitrico e muriatico, potesse dissolvere il metallo nobile - l'oro - accese l'immaginazione degli alchimisti per il millennio a venire. L'alchimia islamica inoltre sostenne la possibilità di poter mutare il ferro in platino.
I filosofi islamici diedero anche grandi contributi all'ermetismo alchemico. Al riguardo la più grande e influente figura è probabilmente Jābir b. Ḥayyān (in arabo جابر إبن حيان, il Geber o Geberus dei Latini). Questo importante alchimista, nato agli inizi dell'VIII secolo, fu il primo, a quanto sembra, ad aver analizzato gli elementi secondo le quattro qualità base di caldo, freddo, secco e umido. Jâbir ipotizzò che, siccome in ogni metallo due di queste qualità erano interne e due esterne, mescolando le qualità di un metallo, si sarebbe ottenuto un altro metallo. La grande serie di scritti che gli vengono attribuiti esercitò un'enorme influenza sulle correnti alchimistiche europee.
Altri alchimisti di rilevante importanza furono al-Skahin e al-Khamhoji, noti per la scoperta della dissoluzione del potassio a contatto con l'esano.
Dopo essere caduta alquanto in disuso durante l'alto Medioevo, l'Occidente riprende contatto con la tradizione alchemica greca attraverso gli Arabi. L'incontro tra la cultura alchemica araba ed il mondo latino avviene per la prima volta in Spagna, probabilmente ad opera di Gerberto di Aurillac, che più tardi divenne Papa Silvestro II, (morto nel 1003). Nel XII secolo va ricordata la figura del più importante dei traduttori di opere arabe, Gerardo da Cremona, che interpretò Averroè, tradusse l'Almagesto, e forse alcune opere di Razes e Geberus.
Il rientro vero e proprio dell'alchimia in Europa viene in genere fatto risalire al 1144, quando Roberto di Chester tradusse dall'arabo il Liber de compositione alchimiae, un libro dai forti connotati iniziatici, mistici e esoterici, nel quale un saggio, Morieno, erede del sapere di Ermete Trismegisto, insegna al Re Calid.
Il materiale alchimistico dei testi arabi verrà rielaborato durante tutto il XIII secolo. Alberto Magno (1193-1280) affronta la tematica alchemica nel De mirabilibus mundi e nel Liber de Alchemia di incerta attribuzione. A Tommaso d'Aquino (1225-1274) vengono attribuiti alcuni opuscoli alchemici, nei quali è dichiarata la possibilità della produzione dell'oro e dell'argento.
Il primo vero alchimista dell'Europa medievale deve essere considerato Ruggero Bacone (1241-1294) un Francescano che esplorò i campi dell'ottica e della linguistica oltre agli studi alchemici. Le sue opere, il Breve Breviarium, il Tractatus trium verborum e lo Speculum Alchimiae, oltre ai numerosi pseudo-epigrafi a lui attribuiti, furono utilizzate dagli alchimisti dal XV al XIX secolo.
Alla fine del XIII secolo l'alchimia si sviluppò in un sistema strutturato di credenze, grazie anche all'opera di Arnaldo da Villanova (ca. 1240-ca. 1312), con il suo Rosarium philosophorum, e soprattutto con le opere apocrife in materia attribuite a Raimondo Lullo (1235-1315), che divenne presto una leggenda per la sua presunta abilità alchemica.
Nel XIV secolo l'alchimia ebbe una flessione a causa dell'editto di Papa Giovanni XXII (Spondent Pariter) che vietava la pratica alchemica, fatto che scoraggiò gli alchimisti appartenenti alla Chiesa dal continuare gli esperimenti.
L'alchimia fu comunque tenuta viva da uomini come Nicolas Flamel, il quale è degno di nota solamente perché fu uno dei pochi alchimisti a scrivere in questi tempi travagliati. Flamel visse dal 1330 al 1419 e sarebbe servito da archetipo per la fase successiva della pratica alchemica. Il suo unico interesse per l'alchimia ruotava intorno alla ricerca della pietra filosofale; in anni di paziente lavoro riuscì a tradurre il mitico Libro di Abramo l'ebreo, che avrebbe acquistato nel 1357, e che gli avrebbe rivelato i segreti per la costruzione della pietra dei filosofi. Leggenda vuole che abbia raggiunto l'immortalità insieme alla moglie Perenelle.
Nell'alto Medioevo gli alchimisti si concentrarono nella ricerca dell'elisir della giovinezza e della pietra filosofale, credendo che fossero entità separate. In quel periodo molti di loro interpretavano la purificazione dell'anima in connessione con la trasmutazione del piombo in oro (nella quale credevano che il mercurio giocasse un ruolo cruciale). Questi individui erano visti come maghi e incantatori da molti, e furono spesso perseguitati per le loro pratiche.
Nel contesto delle idee del Cinquecento è impossibile delimitare una disciplina scientifica dall'altra, come anche tracciare molte linee di separazione tra il complesso delle scienze da un lato e la riflessione speculativa e magico-astrologica dall'altro. In questo periodo magia e medicina, alchimia e scienze naturali e addirittura astrologia e astronomia operano in una sorta di simbiosi, legate le une alle altre in modo spesso inestricabile.
Agli inizi del XVI secolo uno dei maggiori interpreti di questo coacervo di discipline scientifiche fu il medico, astrologo, filosofo e alchimista Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim, 1486-1535. Costui credeva di essere un mago e di essere capace di evocare gli spiriti. La sua influenza fu di modesta entità, ma come Flamel, produsse opere, fra le quali il De occulta philosophia, alle quali fecero riferimento tutti gli alchimisti posteriori. Ancora come Flamel fece molto per cambiare l'alchimia da una filosofia mistica ad una magia occultista. Inoltre mantenne vive le filosofie degli antichi alchimisti, che includevano scienza sperimentale, numerologia, ecc., aggiungendovi la teoria magica, che rinforzava l'idea di alchimia come credenza occultista.
Il nome più importante di questo periodo è, senza dubbio, Paracelso, (Theophrastus Bombastus von Hohenheim, 1493-1541), il quale diede una nuova forma all'alchimia, spazzando via un certo occultismo che si era accumulato negli anni e promuovendo l'utilizzo di osservazioni empiriche ed esperimenti tesi a comprendere il corpo umano. Rigettò le tradizioni gnostiche e le teorie magiche, pur mantenendo molto delle filosofie ermetiche, neoplatoniche e pitagoriche. In particolare si concentrò sullo sviluppo medicinale dell'alchimia, ponendo ai margini della dottrina la ricerca metallurgica sui metalli preziosi.
Per Paracelso l'alchimia era la scienza della trasformazione dei metalli reperibili in natura per produrre composti utili per l'umanità. La iatrochimica di Paracelso era basata sulla teoria che il corpo umano fosse un sistema chimico nel quale giocano un ruolo fondamentale i due tradizionali principi degli alchimisti, e cioè lo zolfo ed il mercurio, ai quali lo scienziato ne aggiunse un terzo: il sale. Paracelso era convinto che l'origine delle malattie fosse da ricercare nello squilibrio di questi principi chimici e non dalla disarmonia degli umori, come pensavano i galenici. Quindi, secondo lui, la salute poteva essere ristabilita utilizzando rimedi di natura minerale e non di natura organica.
È in questo periodo che viene pubblicata la prima storia dell'alchimia, nel 1561 a Parigi. L'autore è Robert Duval.
Anche molti artisti, come per esempio il Parmigianino, e persino personalità politiche del periodo si interessarono all'alchimia. Tra questi: Caterina Sforza, Francesco I de' Medici, nel cui studiolo di Palazzo Vecchio fece dipingere allegorie alchimistiche da Giovanni Stradano, e Cosimo I de' Medici.
In Inghilterra, l'alchimia nel XVI secolo è spesso associata al dottor John Dee (1527-1608), meglio conosciuto per il suo ruolo di astrologo, crittografo ed in generale "consulente scientifico" della regina Elisabetta I d'Inghilterra. Dee si interessò anche di alchimia tanto da scrivere un libro sull'argomento (Monas Hieroglyphica, 1564) influenzato dalla Cabala.
Il declino dell'alchimia in Occidente fu causato dalla nascita della scienza moderna con i suoi richiami a rigorose sperimentazioni scientifiche ed al concetto di materialismo.
Nel XVII secolo Robert Boyle (1627-1691) diede l'avvio al metodo scientifico nelle investigazioni chimiche, alla base di un nuovo approccio alla comprensione della trasformazione della materia, che di fatto rivelò la futilità delle ricerche alchemiche della pietra filosofale.
Anche gli enormi passi avanti compiuti dalla medicina nel periodo seguente la iatrochimica di Paracelso, supportati dagli sviluppi paralleli della chimica organica, diedero un duro colpo alle speranze dell'alchimia di reperire elisir miracolosi, mostrando l'inefficacia se non la tossicità dei suoi rimedi.
Ridotta ad astruso sistema filosofico, distante dalle pressanti faccende del mondo moderno, l'Ars magna subì il fato comune ad altre discipline esoteriche quali l'astrologia e la cabala; esclusa dagli studi universitari, l'alchimia venne banalizzata, ridotta ai suoi procedimenti materiali, e messa al bando dagli scienziati quale epitome della superstizione.
A livello popolare, tuttavia, l'alchimista era ancora considerato come il depositario di grandi saperi arcani. Facendo leva sulla credulità popolare, molti imbroglioni si attribuirono titoli di guaritore e per dimostrare effettive capacità produssero manuali manoscritti che imitavano, nel gergo e nelle illustrazioni, i trattati di famosi autori alchemici (in tal modo, nacquero anche i cosiddetti "erbari dei falsi alchimisti",come ad esempio l'erbario di Ulisse Aldovrandi o l'Erbario di Trento che solo di recente hanno iniziato ad essere analizzati in modo attento dagli studiosi.
Dopo aver goduto per millenni di un grande prestigio intellettuale e materiale, l'alchimia scomparve in tal modo dalla gran parte del pensiero occidentale, per tornare, però, ad essere approfondita nelle opere di pensatori come lo psicoanalista Carl Gustav Jung, oppure di insigni studiosi di occultismo come Julius Evola o Giuliano Kremmerz.
Il simbolismo alchemico è stato occasionalmente utilizzato nel XX secolo dagli psicoanalisti, uno dei quali, Jung, ha riesaminato la teoria ed il simbolismo alchemico ed ha iniziato a mettere in luce il significato intrinseco del lavoro alchemico come ricerca spirituale.
L'esposizione junghiana della teoria dei rapporti intercorrenti tra alchimia ed inconscio si trova in varie sue opere che abbracciano un arco di tempo che va dai primi anni 1940 a praticamente fino alla sua morte avvenuta nel 1961:
  • Psicologia e alchimia (1944)
  • Psicologia del transfert (1946)
  • Saggi sull'alchimia (1948)
  • Mysterium Coniunctionis (1956).
La tesi dello psicoanalista svizzero consiste nell'identificazione delle analogie esistenti tra i processi alchemici e quelli legati alla sfera dell'immaginazione ed in particolare a quella onirica.
Secondo Jung, le fasi attraverso le quali avverrebbe l'opus alchemicum avrebbero una corrispondenza nel processo di individuazione, inteso come consapevolezza della propria individualità e scoperta dell'essere interiore. Mentre l'alchimia non sarebbe altro che la proiezione nel mondo materiale degli archetipi dell'inconscio collettivo, il procedimento per ottenere la pietra filosofale rappresenterebbe l'itinerario psichico che conduce alla coscienza di sé ed alla liberazione dell'io dai conflitti interiori. La legittimità di tale interpretazione è però discutibile, in quanto appare molto distante, se non addirittura opposta, rispetto ai presupposti e agli scopi del percorso alchemico così come presentato dalla tradizione.

lunedì 21 giugno 2021

È possibile che, se gli alieni esistono, non abbiano visitato il nostro pianeta perché si potrebbero essere evoluti in condizioni diverse e quindi riterrebbero che la terra sarebbe inospitale per la vita?

Gli elementi chimici più diffusi nell'Universo in ordine sono Idrogeno, Elio, Ossigeno, Carbonio.



Quindi parebbe scontato che la vita , qualora ci sia in uno sperduto pianeta dell'Universo, si sia formata e sviluppata in condizioni simili a ciò che è avvenuto sulla Terra.

Credo pertanto, qualora fosse avvenuto di alieni in visita sulla Terra, non avrebbero avuto problemi a stabilirsi .

Viste le distanze siderali e le tecnologie in gioco per viaggiare nell'Universo, credo non ci sia stato mai alcun atterraggio alieno sulla Terra, almeno fino a oggi.



domenica 20 giugno 2021

Cosa stavano cercando di ottenere gli alchimisti?

Volevano arrivare all'oro- questo è il loro primo desiderio – ma




Nell'alchimia spirituale, questo è visto come trasformare il "piombo" (personalità) di una persona in "oro" spirituale. Gli alchimisti parlavano di anatomia occulta umana. L'energia che circonda il corpo superandone i confini è nota come “aura” e le connessioni nervose a livello sottile, spesso chiamate “chakra”, sono due esempi di questa anatomia segreta. L'anatomia occulta è un tipo di anatomia umana che non è visibile.

È molto INTERESSANTE - perché c'è anche il significato indù di questo ...

Ed è strabiliante...


 
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