L'alchimia è un antico sistema
filosofico esoterico che si espresse attraverso il linguaggio di
svariate discipline come la chimica, la fisica, l'astrologia, la
metallurgia e la medicina lasciando numerose tracce nella storia
dell'arte. Il pensiero alchemico è altresì considerato da molti il
precursore della chimica moderna prima della nascita del metodo
scientifico.
Diversi sono i grandi obiettivi che si
proponevano gli alchimisti: conquistare l'onniscienza, ovvero
raggiungere il massimo della conoscenza in tutti i campi della
scienza; creare la panacea universale, un rimedio cioè per curare
tutte le malattie, generare e prolungare indefinitamente la vita; la
trasmutazione delle sostanze e dei metalli; la ricerca della pietra
filosofale. In realtà, però, nessun alchimista ha mai dichiarato
quali fossero le finalità dell'alchimia: secondo alcuni lo scopo era
mistico e l'esercizio di una filosofia (scienza, in termini
moderni) era propedeutico al raggiungimento di uno stato metafisico
di conoscenza. Per una interpretazione più grossolana e popolare la
creazione della pietra filosofale, sostanza di tipo etereo, era
considerata il fine dell'alchimia, ma anche qui il termine sembra più
metaforico che reale.
Oltre ad essere una disciplina fisica e
chimica, l'alchimia implicava un'esperienza di crescita o meglio un
processo di liberazione spirituale dell'operatore. In quest'ottica la
scienza alchemica viene a rappresentare una conoscenza metafisica e
filosofica, assumendo connotati mistici e soteriologici, nel senso
che i processi e i simboli alchemici, oltre al significato materiale,
relativo alla trasformazione fisica, possiedono un significato
interiore, relativo allo sviluppo spirituale. Ad esempio, la comune
interpretazione che vede nel piombo e nell'oro nient'altro che i
corrispettivi materiali è da considerarsi un equivoco assolutamente
riduttivo.
Il termine alchimia deriva
dall'arabo al-khīmiyya o al-khīmiyya (الكيمياء
o الخيمياء),
composto dell'articolo determinativo al- e della parola
kīmiyya che significa "chimica" e che a sua volta,
sembrerebbe discendere dal termine greco khymeia (χυμεία)
che significa "fondere", "colare insieme",
"saldare", "allegare", ecc. (da khumatos,
"che è stato colato, un lingotto"). Un'altra etimologia
collega la parola con Al Kemi, che significa "l'arte egizia",
dato che gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ed
erano considerati potenti maghi in tutto il mondo antico. Il vocabolo
potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che
significa "succo per fare l'oro".
L'alchimia è una scienza esoterica il
cui primo fine era trasformare il piombo, ovvero ciò che è
negativo, in oro, ovvero ciò che è positivo nell'uomo, per fargli
riscoprire la sua vera “natura interna”, il proprio Dio. Gli
alchimisti cercavano di nascondersi, di rendersi occulti usando
allegorie, per preservare le loro conoscenze da quanti erano ancora
impreparati a comprenderle e risultavano perciò esposti al pericolo
di farne un cattivo uso.
Per comprendere l'alchimia, bisogna
considerare come la conversione di una sostanza in un'altra, che
formò la base della metallurgia fin dal suo apparire verso la fine
del Neolitico, veniva spiegata, in una cultura poco interessata agli
aspetti puramente materiali della fisica e della chimica, come
risultante dal concorso di più cause. Nei tempi remoti, una fisica
priva di una componente metafisica sarebbe stata parziale ed
incompleta al pari di una metafisica sprovvista di manifestazione
fisica. Pertanto, per gli alchimisti non vi fu ragione alcuna di
separare la dimensione materiale da quella simbolica o filosofica.
La trasmutazione dei metalli di base in
oro (ad esempio con la pietra filosofale o grande elisir
o quintessenza o pietra dei filosofi o tintura
rossa) simboleggia un tentativo di arrivare alla perfezione e
superare gli ultimi confini dell'esistenza. Gli alchimisti credevano
che l'intero universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione,
e l'oro, per la sua intrinseca natura di incorruttibilità, era
considerato la sostanza che più si avvicinava alla perfezione. Era
anche logico pensare che riuscendo a svelare il segreto
dell'immutabilità dell'oro si sarebbe ottenuta la chiave per vincere
le malattie ed il decadimento organico; da ciò l'intrecciarsi di
tematiche chimiche, spirituali ed astrologiche che furono caratteristiche dell'alchimia medievale.
La scienza dell'alchimia ebbe inoltre una notevole evoluzione nel
tempo, iniziando quasi come un'appendice metallurgico-medicinale
della religione, maturando in un ricco coacervo di studi,
trasformandosi in scienza sapienziale, ed alla fine fornendo alcune
delle fondamentali conoscenze empiriche nel campo della chimica e
della medicina moderne, le quali tuttavia sono state interpretate
anche come una sua forma di decadenza.
«A far nascere la chimica
moderna non è stata questa alchimia, con la quale tale scienza
non ha alcun rapporto: è stata una deformazione e deviazione di
essa nel senso più rigoroso del termine, a cui dette luogo, forse
a partire dal Medioevo, l'incomprensione di alcune persone, le
quali, incapaci di penetrare il senso vero dei simboli, presero
tutto alla lettera e credendo trattarsi solo di operazioni
materiali si dettero ad un più o meno disordinato sperimentare.
Proprio queste persone, chiamate ironicamente "soffiatori"
e "bruciatori di carbone" dagli alchimisti veri, furono
gli autentici precursori dei chimici attuali: ed è così che la
scienza moderna si è costruita per mezzo di residui di scienze
antiche, con materiali respinti da quest'ultime e abbandonati agli
ignoranti e ai "profani".»
|
(René Guénon, La crisi del mondo moderno, trad. it., pag. 76, Roma, Mediterranee, 1972) |
Fino al XVIII secolo, l'alchimia era
considerata una scienza razionale in Europa; per esempio, Isaac
Newton dedicò molto più tempo allo studio dell'alchimia piuttosto
che a quello dell'ottica o della fisica per le quali divenne famoso.
Tuttavia Newton mantenne sempre un notevole riserbo intorno ai suoi
studi alchemici, e non pubblicò mai opere sull'argomento. Fu
l'economista John Maynard Keynes che nel 1936 rese pubblici
manoscritti newtoniani sull'alchimia, dei quali era entrato in
possesso ad un'asta.
Altri eminenti alchimisti del mondo
occidentale furono Ruggero Bacone, il Parmigianino, Thomas Browne, e
non ultimo Cagliostro. Si interessarono di alchimia anche San Tommaso
d'Aquino e Giordano Bruno.
Il declino dell'alchimia iniziò nel
XVIII secolo con la nascita della chimica moderna, che si limitò ad
una struttura più concreta e misurabile matematicamente per
comprendere le trasmutazioni della materia, e la medicina, con un
nuovo disegno dell'universo basato sul materialismo razionale.
La storia dell'alchimia è diventata un
prolifico campo per speculazioni accademiche. Via via che si riteneva
di poter decifrare l'ermetico linguaggio degli alchimisti, gli
storici hanno cominciato a trovare connessioni intellettuali tra
quella disciplina ed altre componenti della storia culturale
occidentale, come le società esoteriche, ad esempio quella dei Rosa
Croce, la stregoneria e naturalmente l'evoluzione della scienza e
della filosofia.
L'opus alchemicum per ottenere
la pietra filosofale avveniva mediante sette procedimenti, divisi in
quattro operazioni, Putrefazione, Calcinazione, Distillazione e
Sublimazione, e tre fasi, Soluzione, Coagulazione e Tintura.
Attraverso queste operazioni la
"materia prima", mescolata con lo zolfo ed il mercurio e
scaldata nella fornace (atanor), si trasformerebbe
gradualmente, passando attraverso vari stadi, contraddistinti dal
colore assunto dalla materia durante la trasmutazione.
Il numero di queste fasi, variabile da
tre a dodici a seconda degli autori di trattati alchimistici, è
legato al significato magico dei numeri.
I tre stadi fondamentali sono:- Nigredo o opera al nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendosi;
- Albedo o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi;
- Rubedo o opera al rosso, che rappresenta lo stadio in cui si ricompone, fissandosi.
Si tratta, letteralmente, di "zolfo
e mercurio", cioè, nel linguaggio simbolico dell'alchimia, di
due essenze primordiali viste nel quadro di un sistema dualistico che
ritiene qualsiasi materiale come miscela di questi due componenti,
vale a dire di un elemento "in combustione" (zolfo
)
e di uno "volatile" (mercurio
),
dotati di gradi diversi di purezza e in un diverso rapporto di
mescolanza tra loro.
Da Paracelso (1493-1541) venne poi
aggiunto un terzo elemento, il sal (il sale
),
che doveva costituire la tangibilità: quando il legno è in
combustione, la fiamma prende origine dal sulphur, il
mercurius trapassa in evaporazione, mentre il sal ne è
la cenere residua.
L'universo alchemico è pervaso di
simboli, che, intrecciandosi in mutue relazioni, permeano le varie
operazioni e gli ingredienti costitutivi del processo per ottenere la
pietra filosofale.
Così per esempio l'oro e l'argento
acquisiscono nell'iconografia alchemica i tratti simbolici del Sole e
della Luna, della luce e delle tenebre e del principio maschile e
femminile, che si uniscono (sizigia) nella coniunctio oppositorum
della Grande Opera (Rebis).
A parte i simboli degli elementi
primati, vale a dire i sette metalli corrispondenti ai sette pianeti
dell'astrologia classica, l'iconografia alchemica è ricca di simboli
che rimandano a strumenti e tecniche di trasformazione della materia
la quale, è bene ricordarlo, non è mai identificata dagli
alchimisti con la "materia volgare". In altre parole gli
alchimisti si riferivano, con le loro allegorie, alla trasformazione
psichica e spirituale dell'essere umano, che in seguito ad una serie
di progressivi processi di perfezionamento giungeva a trasformare se
stesso da vile piombo in "Oro filosofico".
Il Rosarium philosophorum
attribuito ad Arnaldo da Villanova, il Commentarius attribuito
a Raimondo Lullo, la Duodecim Claves philosophicæ attribuita
a Basilio Valentino sono tra le opere che hanno ispirato, nei secoli,
il maggior numero di interpretazioni iconografiche.
Gli elementi cosmici avevano grande
importanza non solo per la loro influenza sui processi alchemici, ma
anche per il parallelismo che li legava agli elementi naturali, in
base al principio analogico dell'ermetismo secondo cui «ciò che sta
in basso è come ciò che sta in alto».
Tradizionalmente, ognuno dei sette
corpi celesti del sistema solare conosciuti dagli antichi era
associato con un determinato metallo.
La lista del dominio dei corpi celesti
sui metalli è la seguente:
Sia i metalli che i corpi celesti erano
in relazione con l'anatomia umana e le sette viscere dell'uomo.
Nelle illustrazioni dei trattati
medievali e di epoca rinascimentale compaiono spesso figure animali e
fantastiche. I tre principali stadi attraverso i quali la materia si
trasformava, la nigredo, l'albedo e la rubedo
erano rispettivamente simboleggiati dal corvo, dal cigno e dalla
fenice.
Quest'ultima, per la sua capacità di
rinascere dalle proprie ceneri, incarna il principio che «nulla si
crea e nulla si distrugge», tema centrale della speculazione
alchimistica.
Era inoltre sempre la fenice a deporre
l'uovo cosmico, che a sua volta raffigurava il contenitore in cui era
posta la sostanza da trasformare.
Anche il serpente ouroboros, che
si mangia la coda, ricorre spesso nelle raffigurazioni delle opere
alchemiche, in quanto simbolo della ciclicità del tempo e dell'"Uno
il Tutto" ("En to Pan").
L'alchimia abbraccia alcune tradizioni
filosofiche che si sono propagate per quattro millenni e tre
continenti, e la loro generale inclinazione per un linguaggio
criptico e simbolico rende difficile tracciare le loro mutue
influenze e relazioni.
Si possono distinguere almeno due
grandi canali, che sembrano essere in gran parte indipendenti, almeno
nelle tappe più remote: l'alchimia orientale, attiva in Cina e nella
zona della sua influenza culturale, e l'alchimia occidentale, il cui
centro nei millenni è slittato tra Egitto, Grecia, Roma, il mondo
islamico ed alla fine l'Europa. L'alchimia cinese fu strettamente
connessa al Taoismo, mentre quella occidentale sviluppò un proprio
sistema filosofico, connesso solo superficialmente con le maggiori
religioni occidentali. Se queste due tipologie abbiano avuto una
comune origine e fino a che punto si siano influenzate l'una con
l'altra è tuttora oggetto di questione.
Mentre quella occidentale fu più
concentrata sulla trasmutazione dei metalli, l'alchimia cinese ebbe
una maggiore connessione con la medicina. La pietra filosofale degli
alchimisti europei può essere comparata con l'elisir
dell'immortalità cercato dagli alchimisti cinesi. Comunque, da un
punto di vista ermetico, questi due interessi non erano separati e la
pietra dei filosofi era spesso equiparata all'elisir di lunga vita.
La Cina appare il centro di una
tradizione alchemica molto antica, risalente forse al IV-III secolo
a.C., ma documentata con sicurezza per la prima volta nel Ts'an
T'ung Ch'i, scritto verso il 142 a.C. da Wei Po-Yang, sotto forma
di commentario all'I-Ching, Libro delle Mutazioni. In questa
opera, classico del Canone taoista, l'autore afferma che i contenuti
del Libro delle Mutazioni, delle dottrine taoiste e dei procedimenti
alchemici siano variazioni di un'unica materia sotto il travestimento
di nomi diversi. Egli fonda il processo alchemico sulle dottrine dei
cinque stati di mutamento, erroneamente chiamati "elementi"
(acqua, fuoco, legno, metallo e terra) e dei due contrari (yin
e yang): di questi due, il primo è associato alla luna ed il
secondo al sole, e dalla loro dinamica si originano gli elementi.
Ogni elemento combinato con yang differirebbe da quello
combinato con yin, nel senso che il primo è attivo e
maschile, il secondo passivo e femminile. Il testo, di non facile
interpretazione, per le sue interferenze con dottrine cosmologiche e
magiche, presenta una concezione evolutiva dei metalli e il loro
trasferimento su piani non sperimentali, ora psichici, ora cosmici.
Nel IV secolo l'alchimia ha un nuovo grande maestro in Ko Hung, detto
Pao-p'u-tzu, che aggiunge alle tecniche indicate alcuni particolari
metodi taoisti destinati alla conquista dell'immortalità. Questo fu
l'avvio per una sempre più stretta connessione con forme taoiste di
medicina tradizionale cinese ed una ricca fioritura di opere fino al
XIII secolo.
Le scuole di alchimia cinese, pur
avendo come obiettivo comune la ricerca dell'immortalità, si
differenziavano per i metodi di ricerca:
- Gli alchimisti della scuola esterna si occupavano prevalentemente della ricerca dell'elisir di lunga vita attraverso la produzione di rimedi, elisir e pillole dell'immortalità, le cui componenti erano in gran parte sostanze vegetali e in misura minore sostanze animali e minerali.
- Gli alchimisti della scuola interna, invece, ricercavano l'immortalità attraverso l'utilizzo di pratiche fisiche e mentali che provocassero una trasmutazione del corpo, consentendo al praticante di vivere indefinitamente. Il corpo stesso del praticante veniva concepito come un laboratorio alchemico e l'elisir di lunga vita scaturiva teoricamente dalla distillazione di sostanze corporee, prodotte attraverso l'utilizzo delle funzioni vitali (respirazione, circolazione, funzionamento endocrino, etc..) che venivano guidate dall'alchimista.
La medicina tradizionale cinese ha
ereditato dall'alchimia esterna le basi di farmacologia tradizionale
e dall'alchimia interna la parte relativa al Qi Gong ed alle
ginnastiche mediche. In queste discipline molti dei termini
utilizzati sono di chiara derivazione alchemica.
L'alchimia giocò un ruolo di spicco
fin dalle origini del pensiero indiano. Gianluca Magi nota come:
«L'idea di uccidere i
metalli vivi per farli rinascere nobili, metafora del tentativo
esoterico di trasmutazione spirituale dell'Io che viene ucciso per
far rinascere il Sé della coscienza pura, è presente in India
fin dall'età vedica. Ciò per dire che l'alchimia indiana,
Rasayāna ovvero il «Veicolo mercuriale», non fu né una scienza
empirica né una proto-chimica, bensì una scienza soteriologica
per fare del corpo e della mente il proprio laboratorio, per
sperimentare un altro piano di realtà in cui si diventa pietre
filosofali, ovvero pietre vive. [...] Molto probabilmente gli
esperimenti dell'alchimia tradizionale condussero alla scoperta di
molti fenomeni chimici, ma agli inizi non ne parlò perché erano
considerati di secondaria importanza: il fine reale era la
trasmutazione interiore dell'uomo, la sua rinascita e Liberazione.
La stessa trasmutazione del mercurio in oro è del tutto marginale
rispetto a ciò che l'alchimista indiano chiama la condizione di
vita senza morte (amṛtattva) (da cui deriva il greco
'ambrosia', il cibo degli dèi che rende immortali), lo stato del
liberato in vita, jīvanmukta.»
|
(Gianluca Magi.
'Uscite dal sogno della veglia. Viaggio
attraverso le filosofie indiane della Liberazione,
Edizioni della Scuola Superiore di Filosofia Orientale e
Comparativa, Rimini 2008, p. 67.)
|
A questa prima fase soteriologica del
pensiero alchemico indiano, ne seguì una seconda – descritta da
al-Biruni, scienziato e viaggiatore persiano dell'XI secolo –,
dovuta all'influsso musulmano, che portò a numerose scoperte
chimiche importanti. A partire dal XIV secolo:
«gli alchimisti indiani
iniziarono quasi esclusivamente a dedicarsi alla preparazione di
medicine metalliche o minerali. Ciò che in precedenza era
un'operazione d'introversione che dava valore solo ai risultati
raggiunti attraverso il coinvolgimento personale (alchimia),
cedeva il passo necessariamente a un atteggiamento di
estroversione che implicava l'impegno a rimanere il più possibile
distaccato dall'esperimento per conseguire risultati oggettivi
(atteggiamento scientifico)»
|
(Gianluca Magi,
op. cit., p. 68.)
|
Il padre dell'alchimia indiana è
considerato Śrīman Nāgārjuna Siddha (XIII secolo, o anteriore),
figura semileggendaria, ritenuto l'autore di alcuni testi alchemici
quali il trattato di magia Kakṣapuṭa Tantra, quello sul
mercurio Rasendramangalam e il Susruta Samhita. Il
migliore esempio di un testo basato su questa scienza è il
Vaishashik Darshana di Kaṇāda, che si ritiene abbia
introdotto in oriente la teoria atomica.
Gli alchimisti occidentali generalmente
fanno risalire l'origine della loro arte all'antico Egitto.
Metallurgia e misticismo erano inesorabilmente legati insieme nel
mondo antico, in cui una cosa come la trasformazione dell'oro grezzo
in un metallo scintillante doveva sembrare un atto governato da
regole misteriose.
La città di Alessandria in Egitto fu
un centro di conoscenza alchemica, e conservò la propria preminenza
fino al declino della cultura egiziana antica. Sfortunatamente non
esistono documenti originali egizi sull'alchimia. Questi scritti,
qualora fossero esistiti, andarono perduti nell'incendio della
Biblioteca di Alessandria, nel 391. L'alchimia egiziana è per lo più
conosciuta attraverso le opere di antichi filosofi greci,
sopravvissute solamente in traduzioni islamiche.
La leggenda vuole che il fondatore
dell'alchimia egiziana fosse il dio Thot, chiamato Ermes-Thoth o
Ermes il tre volte grande (Ermete Trismegisto) dai Greci.
Secondo la leggenda il dio avrebbe scritto i quarantadue libri della
conoscenza, che avrebbero coperto tutti i campi dello scibile, fra
cui anche l'alchimia. Il simbolo di Ermes era il caduceo, che divenne
uno dei principali simboli alchemici. La Tavola di smeraldo di
Ermes Trismegistus, che è nota solamente attraverso traduzioni
greche ed arabe, è generalmente considerata la base per la pratica e
la filosofia alchemica occidentale.
Le dottrine alchimistiche della scuola
greca passarono attraverso tre fasi evolutive: l'alchimia come
tecnica, cioè l'arte prechimica degli artigiani egizi, l'alchimia
come filosofia ed infine quella religiosa. I Greci si appropriarono
delle dottrine ermetiche degli Egiziani, mescolandole, nell'ambiente
sincretistico della cultura alessandrina, con le filosofie del
Pitagorismo e della scuola ionica e successivamente dello
Gnosticismo. La filosofia pitagorica consiste essenzialmente nella
credenza che i numeri governino l'universo e che siano l'essenza di
tutte le cose, dal suono alle forme.
Il pensiero della scuola ionica era
basato sulla ricerca di un principio unico e originario per tutti i
fenomeni naturali; questa filosofia, i cui esponenti principali
furono Talete ed Anassimandro, fu poi sviluppata da Platone ed
Aristotele, le cui opere finirono per diventare parte integrante
dell'alchimia. Si delinea, come base della nuova scienza, la nozione
di una materia prima che forma l'universo, e che può essere spiegata
solamente attraverso attente esplorazioni filosofiche. Un concetto
molto importante, introdotto in quel tempo da Empedocle, è che tutte
le cose nell'universo erano formate solamente da quattro elementi:
terra, aria, acqua e fuoco. A questi elementi
Aristotele aggiunge l'etere, la materia di cui sono formati i cieli e
che viene denominata quintessenza. La terza fase si differenzia dalla
precedente di speculazione filosofica per le caratteristiche di una
religione esoterica, per l'abbondanza di rituali misteriosi e per il
linguaggio. Nei primi secoli dell'età imperiale, in età
ellenistica, si sviluppò una letteratura di carattere
filosofico-soteriologico-religiosa, di vario carattere, accomunata
dalla pretesa rivelazione da parte del dio Thot-Ermete, da cui il
nome di letteratura ermetica. Il supporto dottrinale di questa
letteratura è una forma di metafisica che si rifà al Neoplatonismo
ed al Neopitagorismo.
Nel II secolo sarebbero stati scritti
anche gli Oracoli caldaici, dei quali sono pervenuti solo
frammenti, che presentano molte analogie con gli scritti ermetici. In
questo momento storico, quindi, si sarebbe operata una fusione tra il
patrimonio filosofico greco e la gnosi ermetica, nella quale la
grande opera assume connotati di tecnica tesa alla
realizzazione in senso interiore e cosmico.
Tra gli alchimisti ellenistici vanno
citati la figura storica-leggendaria di Maria l'ebrea e quelle di
Bolo di Mende e Zosimo di Panopoli, il primo autore che abbia scritto
opere alchemiche in modo sistematico e firmando la propria creazione.
La distruzione del Serapeo e della
Biblioteca di Alessandria segnò la fine del centro culturale greco,
spostando il processo dello sviluppo alchemico verso il Vicino
Oriente. L'alchimia islamica è molto meglio conosciuta perché
meglio documentata e molti dei testi antichi giunti sino a noi si
sono preservati come traduzioni islamiche.
Alchimisti islamici come al-Razī (in
latino Rasis o Rhazes) diedero un contributo fondamentale alle
scoperte chimiche, come la tecnica della distillazione, e ai loro
esperimenti si devono l'acido muriatico (l'antico nome dell'acido
cloridrico), l'acido solforico e l'acido nitrico e l'uranio, oltre
alla soda (al-natrun) e potassio (al-qali), da cui
derivano i nomi internazionali di sodio e potassio, Natrium e
Kalium. L'apporto di nomenclatura alchimistica a tutta la
posteriore cultura occidentale è di origine araba: termini arabi
sono infatti alchimia, atanor (fornace), azoth
(forma corrotta da al-zawq, 'mercurio'), alcool (da
al-kohl, indicante una polvere per il trucco ricavata
dall''antimonio'), elisir (da al-iksīr, "pietra"
filosofale) e alambicco. La scoperta che l'acqua regia, un
composto di acido nitrico e muriatico, potesse dissolvere il metallo
nobile - l'oro - accese l'immaginazione degli alchimisti per il
millennio a venire. L'alchimia islamica inoltre sostenne la
possibilità di poter mutare il ferro in platino.
I filosofi islamici diedero anche
grandi contributi all'ermetismo alchemico. Al riguardo la più grande
e influente figura è probabilmente Jābir b. Ḥayyān (in arabo
جابر إبن حيان, il Geber
o Geberus dei Latini). Questo importante alchimista, nato agli inizi
dell'VIII secolo, fu il primo, a quanto sembra, ad aver analizzato
gli elementi secondo le quattro qualità base di caldo,
freddo, secco e umido. Jâbir ipotizzò che,
siccome in ogni metallo due di queste qualità erano interne e due
esterne, mescolando le qualità di un metallo, si sarebbe ottenuto un
altro metallo. La grande serie di scritti che gli vengono attribuiti
esercitò un'enorme influenza sulle correnti alchimistiche europee.
Altri alchimisti di rilevante
importanza furono al-Skahin e al-Khamhoji, noti per la scoperta della
dissoluzione del potassio a contatto con l'esano.
Dopo essere caduta alquanto in disuso
durante l'alto Medioevo, l'Occidente riprende contatto con la
tradizione alchemica greca attraverso gli Arabi. L'incontro tra la
cultura alchemica araba ed il mondo latino avviene per la prima volta
in Spagna, probabilmente ad opera di Gerberto di Aurillac, che più
tardi divenne Papa Silvestro II, (morto nel 1003). Nel XII secolo va
ricordata la figura del più importante dei traduttori di opere
arabe, Gerardo da Cremona, che interpretò Averroè, tradusse
l'Almagesto, e forse alcune opere di Razes e Geberus.
Il rientro vero e proprio dell'alchimia
in Europa viene in genere fatto risalire al 1144, quando Roberto di
Chester tradusse dall'arabo il Liber de compositione alchimiae,
un libro dai forti connotati iniziatici, mistici e esoterici, nel
quale un saggio, Morieno, erede del sapere di Ermete Trismegisto,
insegna al Re Calid.
Il materiale alchimistico dei testi
arabi verrà rielaborato durante tutto il XIII secolo. Alberto Magno
(1193-1280) affronta la tematica alchemica nel De mirabilibus
mundi e nel Liber de Alchemia di incerta attribuzione. A
Tommaso d'Aquino (1225-1274) vengono attribuiti alcuni opuscoli
alchemici, nei quali è dichiarata la possibilità della produzione
dell'oro e dell'argento.
Il primo vero alchimista dell'Europa
medievale deve essere considerato Ruggero Bacone (1241-1294) un
Francescano che esplorò i campi dell'ottica e della linguistica
oltre agli studi alchemici. Le sue opere, il Breve Breviarium,
il Tractatus trium verborum e lo Speculum Alchimiae,
oltre ai numerosi pseudo-epigrafi a lui attribuiti, furono utilizzate
dagli alchimisti dal XV al XIX secolo.
Alla fine del XIII secolo l'alchimia si
sviluppò in un sistema strutturato di credenze, grazie anche
all'opera di Arnaldo da Villanova (ca. 1240-ca. 1312), con il suo
Rosarium philosophorum, e soprattutto con le opere apocrife in
materia attribuite a Raimondo Lullo (1235-1315), che divenne presto
una leggenda per la sua presunta abilità alchemica.
Nel XIV secolo l'alchimia ebbe una
flessione a causa dell'editto di Papa Giovanni XXII (Spondent
Pariter) che vietava la pratica alchemica, fatto che scoraggiò
gli alchimisti appartenenti alla Chiesa dal continuare gli
esperimenti.
L'alchimia fu comunque tenuta viva da
uomini come Nicolas Flamel, il quale è degno di nota solamente
perché fu uno dei pochi alchimisti a scrivere in questi tempi
travagliati. Flamel visse dal 1330 al 1419 e sarebbe servito da
archetipo per la fase successiva della pratica alchemica. Il suo
unico interesse per l'alchimia ruotava intorno alla ricerca della
pietra filosofale; in anni di paziente lavoro riuscì a tradurre il
mitico Libro di Abramo l'ebreo, che avrebbe acquistato nel
1357, e che gli avrebbe rivelato i segreti per la costruzione della
pietra dei filosofi. Leggenda vuole che abbia raggiunto l'immortalità
insieme alla moglie Perenelle.
Nell'alto Medioevo gli alchimisti si
concentrarono nella ricerca dell'elisir della giovinezza e della
pietra filosofale, credendo che fossero entità separate. In quel
periodo molti di loro interpretavano la purificazione dell'anima in
connessione con la trasmutazione del piombo in oro (nella quale
credevano che il mercurio giocasse un ruolo cruciale). Questi
individui erano visti come maghi e incantatori da molti, e furono
spesso perseguitati per le loro pratiche.
Nel contesto delle idee del Cinquecento
è impossibile delimitare una disciplina scientifica dall'altra, come
anche tracciare molte linee di separazione tra il complesso delle
scienze da un lato e la riflessione speculativa e magico-astrologica
dall'altro. In questo periodo magia e medicina, alchimia e scienze
naturali e addirittura astrologia e astronomia operano in una sorta
di simbiosi, legate le une alle altre in modo spesso inestricabile.
Agli inizi del XVI secolo uno dei
maggiori interpreti di questo coacervo di discipline scientifiche fu
il medico, astrologo, filosofo e alchimista Heinrich Cornelius
Agrippa von Nettesheim, 1486-1535. Costui credeva di essere un mago e
di essere capace di evocare gli spiriti. La sua influenza fu di
modesta entità, ma come Flamel, produsse opere, fra le quali il De
occulta philosophia, alle quali fecero riferimento tutti gli
alchimisti posteriori. Ancora come Flamel fece molto per cambiare
l'alchimia da una filosofia mistica ad una magia occultista. Inoltre
mantenne vive le filosofie degli antichi alchimisti, che includevano
scienza sperimentale, numerologia, ecc., aggiungendovi la teoria
magica, che rinforzava l'idea di alchimia come credenza occultista.
Il nome più importante di questo
periodo è, senza dubbio, Paracelso, (Theophrastus Bombastus von
Hohenheim, 1493-1541), il quale diede una nuova forma all'alchimia,
spazzando via un certo occultismo che si era accumulato negli anni e
promuovendo l'utilizzo di osservazioni empiriche ed esperimenti tesi
a comprendere il corpo umano. Rigettò le tradizioni gnostiche e le
teorie magiche, pur mantenendo molto delle filosofie ermetiche,
neoplatoniche e pitagoriche. In particolare si concentrò sullo
sviluppo medicinale dell'alchimia, ponendo ai margini della dottrina
la ricerca metallurgica sui metalli preziosi.
Per Paracelso l'alchimia era la scienza
della trasformazione dei metalli reperibili in natura per produrre
composti utili per l'umanità. La iatrochimica di Paracelso era
basata sulla teoria che il corpo umano fosse un sistema chimico nel
quale giocano un ruolo fondamentale i due tradizionali principi degli
alchimisti, e cioè lo zolfo ed il mercurio, ai quali lo scienziato
ne aggiunse un terzo: il sale. Paracelso era convinto che l'origine
delle malattie fosse da ricercare nello squilibrio di questi principi
chimici e non dalla disarmonia degli umori, come pensavano i
galenici. Quindi, secondo lui, la salute poteva essere ristabilita
utilizzando rimedi di natura minerale e non di natura organica.
È in questo periodo che viene
pubblicata la prima storia dell'alchimia, nel 1561 a Parigi. L'autore
è Robert Duval.
Anche molti artisti, come per esempio
il Parmigianino, e persino personalità politiche del periodo si
interessarono all'alchimia. Tra questi: Caterina Sforza, Francesco I
de' Medici, nel cui studiolo di Palazzo Vecchio fece dipingere
allegorie alchimistiche da Giovanni Stradano, e Cosimo I de' Medici.
In Inghilterra, l'alchimia nel XVI
secolo è spesso associata al dottor John Dee (1527-1608), meglio
conosciuto per il suo ruolo di astrologo, crittografo ed in generale
"consulente scientifico" della regina Elisabetta I
d'Inghilterra. Dee si interessò anche di alchimia tanto da scrivere
un libro sull'argomento (Monas Hieroglyphica, 1564)
influenzato dalla Cabala.
Il declino dell'alchimia in Occidente
fu causato dalla nascita della scienza moderna con i suoi richiami a
rigorose sperimentazioni scientifiche ed al concetto di materialismo.
Nel XVII secolo Robert Boyle
(1627-1691) diede l'avvio al metodo scientifico nelle investigazioni
chimiche, alla base di un nuovo approccio alla comprensione della
trasformazione della materia, che di fatto rivelò la futilità delle
ricerche alchemiche della pietra filosofale.
Anche gli enormi passi avanti compiuti
dalla medicina nel periodo seguente la iatrochimica di Paracelso,
supportati dagli sviluppi paralleli della chimica organica, diedero
un duro colpo alle speranze dell'alchimia di reperire elisir
miracolosi, mostrando l'inefficacia se non la tossicità dei suoi
rimedi.
Ridotta ad astruso sistema filosofico,
distante dalle pressanti faccende del mondo moderno, l'Ars magna
subì il fato comune ad altre discipline esoteriche quali
l'astrologia e la cabala; esclusa dagli studi universitari,
l'alchimia venne banalizzata, ridotta ai suoi procedimenti materiali,
e messa al bando dagli scienziati quale epitome della superstizione.
A livello popolare, tuttavia,
l'alchimista era ancora considerato come il depositario di grandi
saperi arcani. Facendo leva sulla credulità popolare, molti
imbroglioni si attribuirono titoli di guaritore e per dimostrare
effettive capacità produssero manuali manoscritti che imitavano, nel
gergo e nelle illustrazioni, i trattati di famosi autori alchemici
(in tal modo, nacquero anche i cosiddetti "erbari dei falsi
alchimisti",come ad esempio l'erbario di Ulisse Aldovrandi o
l'Erbario di Trento che solo di recente hanno iniziato ad essere
analizzati in modo attento dagli studiosi.
Dopo aver goduto per millenni di un
grande prestigio intellettuale e materiale, l'alchimia scomparve in
tal modo dalla gran parte del pensiero occidentale, per tornare,
però, ad essere approfondita nelle opere di pensatori come lo
psicoanalista Carl Gustav Jung, oppure di insigni studiosi di
occultismo come Julius Evola o Giuliano Kremmerz.
Il simbolismo alchemico è stato
occasionalmente utilizzato nel XX secolo dagli psicoanalisti, uno dei
quali, Jung, ha riesaminato la teoria ed il simbolismo alchemico ed
ha iniziato a mettere in luce il significato intrinseco del lavoro
alchemico come ricerca spirituale.
L'esposizione junghiana della teoria
dei rapporti intercorrenti tra alchimia ed inconscio si trova in
varie sue opere che abbracciano un arco di tempo che va dai primi
anni 1940 a praticamente fino alla sua morte avvenuta nel 1961:
- Psicologia e alchimia (1944)
- Psicologia del transfert (1946)
- Saggi sull'alchimia (1948)
- Mysterium Coniunctionis (1956).
La tesi dello psicoanalista svizzero
consiste nell'identificazione delle analogie esistenti tra i processi
alchemici e quelli legati alla sfera dell'immaginazione ed in
particolare a quella onirica.
Secondo Jung, le fasi attraverso le
quali avverrebbe l'opus alchemicum avrebbero una
corrispondenza nel processo di individuazione, inteso come
consapevolezza della propria individualità e scoperta dell'essere
interiore. Mentre l'alchimia non sarebbe altro che la proiezione nel
mondo materiale degli archetipi dell'inconscio collettivo, il
procedimento per ottenere la pietra filosofale rappresenterebbe
l'itinerario psichico che conduce alla coscienza di sé ed alla
liberazione dell'io dai conflitti interiori. La legittimità di tale
interpretazione è però discutibile, in quanto appare molto
distante, se non addirittura opposta, rispetto ai presupposti e agli
scopi del percorso alchemico così come presentato dalla tradizione.
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