Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo
Pietro Antonio Matteo Franco Balsamo, noto con il nome di
Alessandro, conte di Cagliostro o più semplicemente
Cagliostro (Palermo, 2 giugno 1743 – San Leo, 26 agosto
1795), è stato un avventuriero, esoterista e alchimista italiano.
Dopo una vita errabonda nelle varie
corti europee, fu condannato dalla Chiesa cattolica al carcere a vita
per eresia e rinchiuso nella fortezza di San Leo.
Giuseppe Balsamo nacque a Palermo il 2
giugno 1743, figlio di Pietro Balsamo, un venditore palermitano di
stoffe, e di Felicita Bracconeri, fu battezzato l'8 giugno 1743 con i
nomi di Giuseppe, Giovanni Battista, Vincenzo, Pietro, Antonio e
Matteo.
Il padre morì poco tempo dopo la sua
nascita e Giuseppe fu accolto nell'istituto per orfani di San Rocco
dove compì i primi studi, seguito dalla cura degli Scolopi. Da quel
collegio Giuseppe fuggì più volte, a testimonianza di un carattere
giudicato ribelle a ogni educazione; per questo motivo la famiglia
pensò bene di affidarlo, nel 1756, al convento dei Fatebenefratelli
di Caltagirone affinché vi temperasse l'indole e vi imparasse un
mestiere. Così, nel convento che era annesso all'Ospedale dello
Spirito Santo, Giuseppe si interessò di erbe medicinali, delle loro
proprietà e delle tisane utilizzate dalla medicina dell'epoca; una
conoscenza che gli tornerà utile negli anni a venire.
Non è chiaro se scappò anche dal
convento o se semplicemente ne fu dimesso; in ogni caso, tornato a
Palermo, si recò poi a Messina, dove avrebbe conosciuto un certo
Altotas, forse un greco-levante, con il quale avrebbe viaggiato in
Egitto, a Rodi e a Malta, e che Cagliostro indicò come suo primo
maestro, che l'avrebbe introdotto nel 1766 nell'Ordine dei Cavalieri
di Malta. Queste notizie furono fornite da Cagliostro in un suo
Memoriale del 1786, ma sulla figura dell'Altotas la storia non
ha mai fatto alcuna luce.
Nel 1768 il Balsamo è a Roma e vi è
arrestato per una rissa nella Locanda del Sole, in piazza del
Pantheon: dopo tre giorni, è rilasciato grazie all'intervento del
cardinale Orsini, il maggiordomo del quale, don Antonio Ovis, aveva
nel frattempo conosciuto. È ancora nel 1768, il 21 aprile, che
Balsamo si sposa nella chiesa di San Salvatore in Campo con Lorenza
Serafina Feliciani, una bella ragazza nata l'8 aprile 1751,
analfabeta, figlia di un fonditore di bronzo.
Il certificato di matrimonio è tuttora
conservato e attesta che il Nostro si chiama effettivamente Giuseppe
Balsamo ed è figlio del fu Pietro, palermitano: non vi è traccia di
alcun titolo nobiliare, né in particolare del nome di Cagliostro.
A Roma il Balsamo, discreto
disegnatore, vive falsificando documenti, diplomi e sigilli, oltre ad
alcune millantate onorificenze, come il titolo di "Colonnello
del Re di Prussia", peraltro mai ricevute, in complicità con
due conterranei, un sedicente marchese Alliata e un certo Ottavio
Nicastro, che morirà impiccato per aver ucciso l'amante. È proprio
quest'ultimo, insieme con il suocero di Balsamo, a denunciarlo come
falsario e allora Giuseppe e Lorenza, con il marchese, abbandonano
Roma per un lungo viaggio che li porta fino a Bergamo: qui,
continuando la prediletta attività di truffatori, vengono entrambi
arrestati, mentre l'Alliata riesce ancora a fuggire. Rilasciati, si
trasferiscono in Francia - ad Aix-en-Provence conoscono Giacomo
Casanova, che definisce Balsamo «un genio fannullone che preferisce
una vita di vagabondo a un'esistenza laboriosa» - e ad Antibes,
dove, con i proventi della prostituzione di Lorenza, si procurano il
denaro per raggiungere Barcellona nel 1769.
Anche qui Lorenza viene spinta dal
marito nell'accogliente letto di ricchi personaggi: insieme con uno
di questi, un tale marchese di Fontanar, raggiungono alla fine
dell'anno Madrid: mantenuti nel palazzo del marchese, cercano intanto
di guadagnare l'amicizia di influenti personalità della capitale
spagnola. Cacciati alla fine di casa, nel 1770 si trasferiscono a
Lisbona, dove Lorenza diviene l'amante del banchiere Anselmo La Cruz.
L'anno dopo la coppia è a Londra: qui
Balsamo cerca perfino di guadagnarsi la vita onestamente disegnando
pergamene, ma con poco successo e ancor meno profitto; perciò, con
la complicità di un altro sedicente marchese, un siciliano di nome
Vivona, organizza un ricatto ai danni di un ingenuo quacchero che,
spinto ad amoreggiare dalla compiacente Lorenza, viene sorpreso da
Balsamo che, fingendosi scandalizzato per il tradimento della moglie,
pretende che il suo onore debba essere risarcito soltanto con
un'abbondante somma di denaro. Derubato però dall'infido complice,
il Balsamo, rimasto insolvente con la padrona di casa, deve fare la
conoscenza anche delle galere londinesi; ma il ricco sir Edward
Hales, convinto da Lorenza, lo tira fuori dal carcere pagandogli i
debiti e, illudendosi che Balsamo sia un bravo pittore, lo incarica
di decorargli alcune sale del suo castello: naturalmente, veduti i
disastrosi risultati dell'improvvisato affrescatore, lo caccia via,
senza immaginare che l'italiano, tra una maldestra pennellata e
l'altra, gli ha intanto sedotto la figlia.
Seguendo un vecchio copione, emigrano
nuovamente: imbarcati il 15 settembre 1772 per la Francia, durante il
viaggio conoscono l'avvocato francese Duplessis, amministratore dei
beni della marchesa de Prie e, sulla traccia di quello stesso
copione, giunti a Parigi e alloggiati nel palazzo de Prie, Lorenza
diviene l'amante prezzolata del Duplessis sotto lo sguardo
compiaciuto del disinvolto marito. Ma questa volta si assiste a un
colpo di scena: Lorenza sembra voler cambiar vita, sistemarsi con
quell'avvocato che, oltre a godere di notevoli rendite, appare
perfino innamorato di lei. Rompe così con Balsamo e, se pure non
convive apertamente col Duplessis, perché una tale iniziativa, per
una donna legalmente coniugata, avrebbe costituito un reato, va però
ad abitare in un alloggio pagato dall'avvocato e, con l'approvazione
della marchesa, denuncia Balsamo per sfruttamento della
prostituzione.
A seguito della controdenuncia del
Balsamo per abbandono del tetto coniugale, Lorenza è arrestata e
passa quattro mesi nelle carceri parigine di Sainte-Pelagie; pur di
uscirne, nel giugno del 1773, ritira la denuncia e ritorna con
Balsamo. Nuovi viaggi: Belgio, Germania, Italia, Malta, Spagna e
infine, nel luglio 1776, nuovamente a Londra.
Adottando in questo periodo il nome di
Alessandro di Cagliostro, a Londra la sua vita non mutò: entrò e
uscì dal carcere a causa di diverse truffe consumate - predizioni
sui numeri estratti nel gioco del lotto o sottrazione di gioielli ai
cui proprietari faceva credere di aumentarne il valore grazie alle
proprietà miracolose di una polvere di sua invenzione - finché, il
12 aprile 1776 (o 1777) fu iniziato in Massoneria nella loggia
"L'Espérance", appartenente al Rito della Stretta
Osservanza, che si riuniva in una taverna di Soho.
Passati nei Paesi Bassi, i due coniugi
(sua moglie sarebbe stata iniziata con lui) sono accolti a L'Aia
nella loggia L'Indissoluble; sembra che il suo lunghissimo
discorso, tenuto in una lingua in cui sono presenti parole di tutta
l'Europa senza che nessuna sia pronunciata correttamente, abbia avuto
grande successo e anche la moglie, da quel momento chiamata Serafina,
contessa di Cagliostro, è riconosciuta come massone. Ma era tempo di
frequentare paesi nuovi: nel 1779 sono in Germania e poi in
Curlandia, parte dell'attuale Lettonia, nella capitale Mitau, oggi
Jelgava. Spacciatosi per colonnello spagnolo, tiene riunioni in cui
fa credere di appartenere a una società segreta, organizzata secondo
cinque livelli di elevazione spirituale, di avere e di far avere
visioni mediante l'idromanzia, di evocare spiriti, di essere un
sapiente la cui conoscenza si trovava In verbis, in herbis, in
lapidibus, nelle parole, nelle erbe e nelle pietre, il motto
della sua setta. Semianalfabeta e improvvisatore, commette
inevitabili errori di gusto, come quando dichiarò di essere in grado
di soddisfare, con un sortilegio, qualunque desiderio sessuale o
quando sostenne di essere figlio di un angelo.
A San Pietroburgo viene diffidato
dall'ambasciatore di Spagna a spacciarsi per spagnolo e un suo
documento, col quale voleva attestarsi come un Rosacroce, viene
riconosciuto per falso. Si presenta anche come taumaturgo e ha
l'accortezza di non farsi pagare dai poveri - solo dai ricchi - e se
non ottiene nessuna guarigione, si guadagna simpatia e popolarità;
ma basta l'inimicizia o l'incredulità di un potente per costringere
i due italiani a partire: e così, nel maggio 1780, Cagliostro e
Lorenza sono a Varsavia. Il massone, appassionato di alchimia,
principe Adam Pininsky, lo ospita illudendosi che Cagliostro sia in
grado di trasformare il piombo in oro: a questo scopo gli affianca il
confratello massone August Moszynsky negli esperimenti di
laboratorio. Questi pubblicherà nel 1786 un libretto sulle
esperienze alchemiche del Nostro, riferendo come Cagliostro ottenesse
l'oro dal piombo semplicemente sostituendo il recipiente contenente
il piombo con un altro eguale contenente l'oro.
A questo prevedibile infortunio si
aggiunge quello scoperto ai danni di una ragazza, da lui sessualmente
molestata, con la quale si era altresì accordato per la riuscita di
altrimenti improbabili evocazioni spiritiche. L'esperienza polacca,
come consuetudine, si conclude con la partenza improvvisa, il 26
giugno 1780, per la Francia. A Strasburgo si accontenta di fingersi
medico: se le sue tisane a base di erbe, la cui ricetta si è
conservata, si rivelano semplici placebo, le guarigioni di
cancrene ottenute bevendo liquori sono naturalmente fantasie
propalate da lui stesso, che ottenevano tuttavia l'unico effetto che
realmente gli premesse: presentarsi al pubblico di tutta l'Europa
come l'unico uomo capace di risolvere - a pagamento - qualsiasi
problema. E la sua fama toccò il culmine proprio in quel decennio
del secolo.
Louis René Édouard de Rohan, creato
cardinale il 1º giugno 1778 da Pio VI, era stato a lungo
ambasciatore di Francia a Vienna dove commise una grave gaffe
diplomatica: descrisse l'imperatrice Maria Teresa d'Austria come
un'insopportabile ipocrita in una lettera inviata al duca
d'Aiguillon. Così, quando Luigi XVI e Maria Antonietta salirono sul
trono francese, nel 1774, il Rohan perdette il posto di ambasciatore
ma non il consueto buonumore, dal momento che le sue rendite
continuarono ad aumentare ugualmente e le sue avventure galanti
rimasero numerose.
Il cardinale, che passava buona parte
dell'anno a Strasburgo, saputo della presenza in città di
Cagliostro, lo invitò a palazzo e ne fu conquistato. Appassionato di
alchimia, credette di ravvisare in Cagliostro un maestro; ritenendolo
un infallibile medico, lo condusse con sé a Parigi perché si
prendesse cura del cugino, il maresciallo Charles de Rohan, il quale,
comunque, guarì senza dover ricorrere alle sue medicine.
Anni dopo Cagliostro cercherà di
servirsi dell'influenza del cardinale per far legittimare dal papa,
come fosse un qualsiasi Ordine religioso, il proprio "Rito
Egizio", una curiosa specie di Ordine massonico-religioso, che
egli dirà di aver fondato a Bordeaux nel 1784.
A conclusione del solito lungo tour
che doveva portarlo in Inghilterra attraverso Napoli, Roma e la Costa
Azzurra, giunto a Bordeaux l'8 novembre 1783, in maggio si ammalò e,
forse in un delirio febbrile, come è scritto nel Compendio
del suo processo, «si vide prendere per il collo da due Persone,
strascinare e trasportare in un profondo sotterraneo. Aperta quivi
una porta, fu introdotto in un luogo delizioso come un Salone Regio,
tutto illuminato, in cui si celebrava una gran festa da molte persone
tutte vestite in abito talare, fra le quali riconobbe diversi de'
suoi Figli Massonici già morti. Credette allora di aver finiti li
guai di questo mondo e di trovarsi in Paradiso. Gli fu presentato un
Abito talare bianco, ed una Spada, fabbricata come quella che suol
rappresentarsi in mano dell'Angelo Sterminatore. Andò innanzi ed
abbagliato da una gran luce, si prostrò e ringraziò l'Ente Supremo
di averlo fatto pervenire alla felicità; ma sentì da un'incognita
voce rispondersi: Questo è il presente che avrai; ti bisogna
ancor travagliare molto; e qui terminò la Visione».
Dopo questa visione, Cagliostro fondò
la Massoneria di Rito Egizio. Si elegge Gran Cofto e crea la
moglie - ora chiamata principessa Serafina e Regina di Saba - Grande
Maestra del Rito d'adozione, cioè della Loggia riservata alle donne;
fatta risalire l'origine di tale massoneria ai profeti biblici Enoch
ed Elia, secondo una tradizione che vedeva nell'intervento di quei
due profeti la premessa a un radicale mutamento della vita, con la
successiva venuta di un "papa angelico" o dello stesso
Cristo, Cagliostro sosteneva che scopo del Rito Egizio fosse la
rigenerazione fisica e spirituale dell'uomo, il suo ritorno alla
condizione precedente alla caduta provocata dal peccato originale,
ottenuta, dal Gran Cofto e dai dodici Maestri che lo avrebbero
assistito, con ottanta giorni di attività iniziatiche.
Per i nuovi aderenti, naturalmente, i
tempi per raggiungere la perfezione sarebbero stati molto più
lunghi: solo al dodicesimo anno di appartenenza, sarebbero potuti
diventare maestri e prendersi cura dei nuovi iniziati. Ma solo lui,
il Gran Cofto, rimaneva depositario di un mysterium magnum il
cui contenuto è rimasto effettivamente avvolto nel mistero.
Con questo ambizioso programma Lorenza
e Cagliostro, il quale per l'occasione si fa chiamare conte Phenix,
giungono il 20 ottobre 1784 a Lione, dove esistono numerose Logge
massoniche; Cagliostro riesce a procurarsi fra di esse i dodici
maestri che gli abbisognavano subito e, comprato un terreno
nell'attuale avenue Morand, provvede a far costruire la sede della
sua Loggia, "La sagesse triomphante". I lavori erano ancora
in corso quando i due coniugi partirono per Parigi, decisi a
raggiungere il traguardo finale: il riconoscimento, da parte della
Chiesa cattolica, del suo Rito Egizio.
Giunti a Parigi il 30 gennaio 1785,
prendono un alloggio nel Palais Royal, di proprietà del duca Luigi
Filippo II di Borbone-Orléans (1747-1793), Gran Maestro della
Massoneria francese e futuro Filippo Egalité, fondano in fretta due
Logge, una per gli uomini e l'altra per le donne, entrambe
frequentate da aristocratici.
È nota la vicenda passata alla storia
come lo scandalo della collana: nel 1774 il gioielliere di corte
Boehmer aveva realizzato una elaboratissima collana di diamanti, del
valore di 1.600.000 livres - pari a circa 500 kg d'oro - una
somma che forse solo una regina avrebbe potuto spendere, ma Maria
Antonietta rifiutò l'acquisto. A questo punto entrarono in gioco due
avventurieri, il conte e la contessa De la Motte, che organizzarono
una truffa ai danni del cardinale de Rohan, facendogli credere che in
realtà Maria Antonietta desiderava acquistare la collana. Il
cardinale si sentiva in debito verso la regina a causa della gaffe da
lui commessa nei confronti di Maria Teresa d'Austria, sua madre. Si
convinse che tramite la collana avrebbe potuto riconquistare
l'amicizia di Maria Antonietta. La coppia convinse il cardinale a
farsi garante presso il gioielliere per conto della regina.
La collana, consegnata
dall'inconsapevole cardinale a un complice dei due aristocratici
imbroglioni, finì nelle mani del conte De la Motte, che cercò di
venderla, smembrata, in Inghilterra ma la truffa fu scoperta e i
colpevoli arrestati: la contessa De la Motte, per attenuare le sue
responsabilità, accusò Cagliostro di essere l'ideatore del raggiro.
Arrestato con la moglie il 22 agosto 1785, Cagliostro fu incarcerato
nella Bastiglia.
Fu difeso dai migliori avvocati di
Parigi, uno dei quali lo aiutò a scrivere in francese un suo
Memoriale, di fatto la storia della sua vita, dalla nascita al
suo arresto. Il 31 maggio 1786 il Parlamento di Parigi riconobbe
l'innocenza dei due italiani, insieme con quella del cardinale, ma
una lettre de cachet del re ordinò loro di lasciare Parigi
entro otto giorni e la Francia entro venti; e così, il 19 giugno,
Lorenza e Giuseppe s'imbarcarono da Boulogne per Dover (Inghilterra).
Il primo novembre 1786, a Londra,
Cagliostro è ricevuto in visita nella Loggia "Antiquity".
In Inghilterra dovette fronteggiare una campagna di stampa scatenata
contro di lui dal Courier de l'Europe, un giornale controllato
dal governo francese, che per tre mesi rivangò il burrascoso passato
di Giuseppe Balsamo e di Lorenza Feliciani, le loro origini oscure,
l'uso di molti nomi e di molti titoli, i veri e presunti imbrogli e i
non rari arresti; Cagliostro, nel novembre 1786, rispose con la
Lettera del conte di Cagliostro al popolo inglese per servire in
seguito alle sue memorie in cui ammetteva: «non sono conte, né
marchese, né capitano. La mia vera qualifica è inferiore o
superiore a quelle che mi sono state date? È ciò che forse un
giorno il pubblico saprà! Intanto, non mi si può rimproverare
d'aver fatto quel che fanno i viaggiatori che vogliono mantenere
l'anonimato. Gli stessi motivi che mi hanno indotto ad attribuirmi
vari titoli, mi hanno condotto a cambiare più volte il mio nome
[...] Nessun registro di polizia, nessuna testimonianza, nessuna
inchiesta della polizia della Bastiglia, nessun rapporto informativo,
nessuna prova hanno potuto stabilire che io sia quel Balsamo! Nego di
essere Balsamo!».
Intanto intorno a Balsamo si va facendo
il vuoto: lasciata Londra per Hammersmith nel marzo del 1787, dà
lezioni di alchimia e subisce altri infortuni: un suo allievo
sostituisce, a sua insaputa, il metallo che Cagliostro doveva
"trasmutare" con del semplice tabacco e stranamente la
trasmutazione si verifica lo stesso, con gran scandalo dell'allievo
che gli rinfaccia la truffa, mentre intanto i suoi collaboratori
massoni di Lione lo rimproverano di spendere per sé il denaro della
Loggia. È nuovamente tempo di cambiare aria: il 5 aprile 1787,
questa volta senza la moglie, raggiunge Bienne, in Svizzera.
Mentre è ospite del banchiere Sarasin,
Lorenza, che è rimasta a Londra per liquidare i beni lì posseduti,
viene avvicinata dal giornalista del Courier de l'Europe, al
quale raccontò di maltrattamenti subiti dal marito e degli
impedimenti che lui le poneva di professare la religione cattolica.
Una volta raggiunto Cagliostro in Svizzera, Lorenza ritrattò tutto
pubblicamente ma tutto riconfermò in una lettera spedita ai
genitori, a Roma, lettera che verrà mostrata come prova a carico di
Cagliostro durante il processo.
Nello stesso periodo in cui Balsamo era
in Svizzera, Goethe, nel suo lungo viaggio in Italia, il 2 aprile
sbarcava a Palermo proveniente da Napoli; curioso di raccogliere
notizie di prima mano sulle origini del nostro famosissimo
avventuriero, contattò il barone Antonio Vivona, rappresentante
legale della Francia in Sicilia, dal quale prese visione dell'albero
genealogico della famiglia Balsamo e della «perfetta identità di
Cagliostro e Balsamo».
Goethe, che scrive di considerare
Cagliostro «un briccone» e le sue avventure delle «ciurmerie»,
volle rendere visita alla madre e alla sorella, spacciandosi per «un
inglese che doveva portare ai familiari notizie di Cagliostro, giunto
di recente a Londra».
«Abitavano in una misera casa di
Palermo, composta di un solo grande locale, ma pulita, abitata dalla
madre, dalla sorella di Giuseppe, vedova, e dai suoi tre figli. La
sorella si lamentò di Giuseppe, che le doveva da anni una forte
somma: da «quando era partito in gran fretta da Palermo, ella aveva
riscattato per lui certi oggetti impegnati, ma da quel momento non si
era fatto più vivo e non le aveva mandato né denaro né sussidi di
alcun genere sebbene, a quanto si diceva, possedesse grandi ricchezze
e conducesse una vita principesca. Ella chiedeva perciò se potevo
prometterle, tornando in patria, di rammentargli con garbo quel
debito e ottenere che le concedesse un aiuto finanziario».
Gli consegnarono una lettera per
Cagliostro e, nel congedarsi, la madre lo pregò di dire al figlio
«quanto mi hanno resa felice le notizie che Ella ci ha portato. Gli
dica che lo tengo chiuso nel mio cuore così - e a questo punto
spalancò le braccia e se le strinse al petto - che ogni giorno nelle
mie devozioni prego per lui Dio e la Santa Vergine, che gli mando la
mia benedizione, insieme a sua moglie, e che prima di morire vorrei
solo che questi occhi, che tante lacrime hanno versato per amor suo,
lo potessero rivedere». Lo invitarono a tornare a Palermo per la
festa di Santa Rosalia - «gli mostreremo ogni cosa, andremo a
sederci nel palco per ammirare meglio il corteo; e come gli piacerà
il grande carro e soprattutto la fantastica luminaria!» e, quando fu
uscito, «corsero sul balcone della cucina che dava sulla strada, mi
chiamarono e mi fecero grandi cenni di saluto».
Goethe non li rivedrà più ma mandò
poi, di sua tasca, la somma richiesta dalla sorella, 14 once d'oro, e
pubblicò un ritratto di Cagliostro nell'opera Der Grosskophta.
Intanto Balsamo, in Svizzera, litiga
con uno degli ultimi amici rimastigli, il pittore Loutherbourg, che
lo accusa di insidiargli la moglie; si guadagna da vivere facendo il
guaritore ma l'ambiente della cittadina svizzera è troppo angusto
per lui, abituato a ben altri palcoscenici: il 23 luglio 1788 parte
con Lorenza per Aix-les-Bains, di qui vanno a Torino ma ne vengono
immediatamente espulsi e allora si recano a Genova passando, in
settembre, per Venezia, poi per Verona e di qui nei territori
imperiali, soggiornando un mese a Rovereto per poi raggiungere la
città di Trento il 21 novembre.
A Trento è ben accolto dallo stesso
principe-vescovo, Pietro Vigilio Thun, ed egli stesso mostra grande
deferenza nei confronti della confessione cattolica; giustificò la
sua appartenenza alla Massoneria, spiegando di non averla mai
considerata contraria alla fede religiosa e si dichiarò pronto ad
andare a Roma, purché munito di salvacondotto. Il vescovo di Trento
si premura di scrivere alla Curia romana una lettera. Nella missiva,
datata 25 marzo 1789 e indirizzata al cardinale Ignazio Boncompagni
Ludovisi, il vescovo sostiene che Cagliostro si è ravveduto e che la
moglie «se ne vive in continui mentali spasimi, ardendo da un canto
di costì rivedere il cadente quasi ottuagenario genitore, e
dall'altro temendo che l'intollerante consorte non torni, non
esaudito, nel pristino disordine, con evidente pericolo di perdervi
l'anima». E al vescovo trentino il cardinale risponde il 4 aprile
che «non avendo il signor Cagliostro alcun pregiudizio nello Stato
Pontificio, non ha Egli bisogno del salvacondotto». Rassicurato da
questa lettera e comunque provvisto di un salvacondotto rilasciatogli
dal vescovo Thun, oltre che di lettere di raccomandazione indirizzate
a vari cardinali romani, il 17 maggio Cagliostro parte da Trento con
Lorenza e dopo dieci giorni giunge a Roma.
Alloggia dapprima in una locanda in
piazza di Spagna e poi presso i parenti della moglie a Campo de'
Fiori. Se il suo scopo era quello di ottenere un'udienza dal papa,
non fu accontentato e si comportò inizialmente con molta prudenza,
come sapesse di essere spiato e temesse improvvisi pericoli; pensò
anche di tornare in Francia, e a questo scopo indirizzò un Memoriale
all'Assemblea francese. Fu però sequestrato, non appena consegnato
alla posta, dalla gendarmeria romana.
Avvicinato un giorno da due spie dello Stato Pontificio, tali
Matteo Berardi e Carlo Antonini, che gli chiesero di accoglierli
nella Massoneria, Cagliostro, senza sospettare di nulla, fece loro
compiere le cerimonie iniziatiche, violando così la norma dello
Stato pontificio che vietava, pena la morte, l'organizzazione di
società massoniche. I due iniziati, soddisfatti di quanto avevano
visto e ascoltato, sparirono prima di versare la quota di adesione.
Curiosamente, Cagliostro riuscì ad affiliare alla Massoneria un
frate cappuccino, Francesco Giuseppe da San Maurizio.In settembre, la moglie Lorenza
denunciò Cagliostro al parroco di Santa Caterina della Rota, e la
denuncia venne trasmessa il 5 dicembre all'Inquisizione: all'ultimo
momento, Lorenza si era rifiutata di firmarla, ma venne ugualmente
acquisita; il 27 novembre il padre di Lorenza, Giuseppe Feliciani e
la spia Carlo Antonini avevano già denunciato Cagliostro. La
decisione dell'arresto di Cagliostro - ma furono arrestati anche la
moglie e fra' Giuseppe - fu presa ai massimi livelli, dopo una
riunione del papa Pio VI con il Segretario di Stato e altri
cardinali: nella notte del 27 dicembre 1789 Cagliostro viene
rinchiuso in Castel Sant'Angelo, Lorenza nel convento di
Sant'Apollonia a Trastevere e il cappuccino nel convento dell'Ara
Coeli.
Le imputazioni contro Cagliostro sono
gravissime: consistono nell'esercizio dell'attività di massone, di
magia, di bestemmie contro Dio, Cristo, la Madonna, i santi, contro i
culti della religione cattolica, di lenocinio, di falso, di truffa,
di calunnia e di pubblicazione di scritti sediziosi: se provate,
comporterebbero la pena di morte. Esse sono fondate in gran parte
sulle dichiarazioni della moglie e su scritti e dichiarazioni
rilasciate nel corso degli anni da Cagliostro; la linea difensiva
dell'avvocato di Balsamo, Carlo Costantini, consiste nel far
considerare il suo assistito un semplice ciarlatano, in modo da
eliminare tanto ogni credibilità che ogni serietà su quanto
Cagliostro avesse mai scritto e sostenuto, relativamente almeno alle
sue posizioni ideologiche, che sono quelle considerate di maggiore
gravità, dal momento che esse pongono Cagliostro nella posizione di
eresiarca; per il resto, occorre far passare Lorenza come una
prostituta, una donna immorale e pertanto inattendibile: lei,
«moglie, complice impunita e prostituta non può sicuramente
somministrare non già una prova, ma nemmeno un indizio per aprire
l'inquisizione», dal momento che, secondo la difesa di Balsamo, ella
intenderebbe accusare il marito per ricrearsi un'innocenza che non
può appartenerle perché, se fosse vero quanto sostiene, anch'ella
sarebbe colpevole quanto il marito.
Stabilito che gli ordinari rituali
massonici sono di per sé suscettibili dell'accusa di eresia, quelli
della Massoneria Egizia di Cagliostro sono giudicati certamente
eretici e a conferma di questo assunto, negli interrogatori Balsamo
viene trascinato in discussioni teologiche: l'ignoranza di Balsamo
intorno alle nozioni più elementari di catechismo finisce per
aggravare, agli occhi dei giudici del Sant'Uffizio, la sua posizione.
Consapevole della situazione disperata in cui si trova, il 14
dicembre 1790 Cagliostro scrive al papa:
«Beatissimo
Padre,
Giuseppe Balsamo, proteso ai piedi
della S. V., reo di essere fondatore di una società massonica
(senza però che sapesse che sì fatte società fossero proibite
dalla Santa Sede) alla quale società diede una Costituzione non
composta da lui, ma cavata da un libro manoscritto che gli venne
alle mani in Inghilterra, sotto il nome di Giorgio Cofton, purgato
da lui, come credette da tutto ciò che vi era di cattivo, e ben
si persuadeva di averlo fatto quanto bastasse perché, data da
leggere la detta costituzione al cardinal di Rohan e
all'arcivescovo di Bourges, non fu da essi avvertito che vi fosse
dentro qualche cosa di male, ma fu soltanto dal secondo
consigliato a levarvi le due quarantene per la rigenerazione
fisica e morale come due inezie, delle quali due pratiche perciò
non ne ha mai fatto uso.
Ora, istruito dal P. Contarini che
nella costituzione suddetta vi sono cose cattive e contrarie alla
S. Fede Cattolica, da lui ritenuta mai sempre fermamente nel
cuore, egli le detesta e si protesta disposto ad abiurarle tutte
nella maniera che gli sarà imposta dal S. Tribunale, ed a subire
quelle pene che merita il suo gravissimo fallo; e pentito di vero
cuore ne domanda umilmente perdono al Signore e lo spera dalla sua
infinita misericordia, benché se ne riconosca indegno.
Indi, rivolto alla Paterna clemenza
della Santità Vostra, implora con calde lagrime pietà solamente
per l'anima sua, supplicandola di dar rimedio allo scandalo
gravissimo da lui dato al Mondo, ancorché questo si debba fare
con lo strazio più crudele e pubblico della sua persona.
Della Santità Vostra
indegnissimo figlio Giuseppe Balsamo peccatore pentito.»
|
Il 7 aprile 1791 il Sant'Uffizio emise la sentenza:
«Giuseppe Balsamo reo confesso e
respettivamente convinto di più delitti, è incorso nelle censure
e pene tutte promulgate contro gli eretici formali, dommatizzanti,
eresiarchi, maestri e seguaci della magia superstiziosa, come pur
nelle censure e pene stabilite tanto nelle Costituzioni
Apostoliche di Clemente XII e Benedetto XIV contro quelli che in
qualunque modo favoriscono e promuovono le società e conventicole
de' Liberi Muratori, quanto nell'Editto di Segreteria di Stato
contro quelli che di ciò si rendano debitori in Roma o in alcun
luogo del Dominio Pontificio.
A titolo però di grazia speciale,
gli si commuta la pena della consegna al braccio secolare nel
carcere perpetuo in una qualche fortezza, ove dovrà essere
strettamente custodito, senza speranza di grazia. E fatta da lui
l'abjura come eretico formale nel luogo della sua attual
detenzione, venga assoluto dalle censure, ingiungendogli le dovute
salutari penitenze.
Il libro manoscritto che ha per titolo Maçonnerie Égyptienne
sia solennemente condannato come contenente riti, proposizioni,
dottrina e sistema che spiana una larga strada alla sedizione, ed
è distruttivo della religion cristiana, superstizioso, blasfemo,
empio ed ereticale. E questo libro stesso sia pubblicamente
bruciato dal ministro di giustizia insieme cogl'istromenti
appartenenti alla medesima setta. Con una nuova Costituzione
Apostolica si confermeranno e rimuoveranno non meno le
Costituzioni de' Pontefici Predecessori, quanto anche l'accennato
Editto di Segreteria di Stato proibitivi delle Società e
Conventicole de' Liberi Muratori, facendosi nominatamente menzione
della Setta Egiziana, e dell'altra volgarmente chiamata degli
Illuminati, con stabilirsi contro tutte le più gravi pene
corporali e segnatamente quelle degli eretici contro chiunque o si
ascriverà o presterà a favore di tali sette.» |
Il cappuccino Francesco Giuseppe di San
Maurizio è condannato a dieci anni, da scontare nel suo convento
dell'Ara Coeli; Lorenza, la cui testimonianza è stata determinante
per la condanna di Cagliostro, è assolta: rimase tuttavia per
quindici anni nello stesso convento di Sant'Apollonia. Dal 1806 fu la
portinaia del Collegio Germanico di piazza Sant'Apollinare, dove morì
d'infarto l'11 maggio 1810.
Dopo aver abiurato il 13 aprile 1791,
Cagliostro venne trasferito a San Leo, nell'Appennino
tosco-romagnolo, per esservi rinchiuso nella storica Rocca
(progettata nel XV secolo da Francesco di Giorgio Martini per conto
di Federico da Montefeltro). Vi arriva il 20 aprile e l'11 settembre
viene trasferito dalla già misera cella cui era stato assegnato,
nella peggiore che si fosse potuta ricavare: chiamata il Pozzetto,
perché priva di porta - il detenuto fu calato da una botola del
soffitto - di dieci metri quadrati, munita di una finestrella appena
più larga di una feritoia, con una triplice serie di sbarre da cui
si potevano vedere le due chiese di San Leo e a stento un fazzoletto
di cielo.
Probabilmente per impietosire e
acquisirsi la nomea di pentito, mostrò all'inizio della prigionia
grande devozione, espressa da continue preghiere e frequenti digiuni:
dipinge sul muro immagini religiose e ritrae se stesso, che si batte
il petto in segno di contrizione e tiene nell'altra mano un
crocefisso; disegna anche una Maddalena in penitenza. Ma iniziò
presto a dare segni di instabilità psichica, segnata da violente
ribellioni e da crisi mistiche, nella tremenda solitudine di quel
buco oscuro ed umido. Il mondo è tutto nella vaga immagine del
guardiano che dal soffitto gli cala il cibo due volte al giorno, nel
tavolaccio dove sta sdraiato quasi tutte le ore di un giorno che poco
o nulla si differenzia dalla notte, nella finestrella a cui a volte
si aggrappa e urla una disperazione a cui è negata ogni pietà.
Quando ha di questi sfoghi, si materializzano i guardiani dal
soffitto per riportarlo alla calma pestandolo.
Dalla disperazione all'ebetudine, dalla
rabbia all'apatia e alle illusioni: nel dicembre del 1793
ottiene il permesso di scrivere al Papa. Spera di convincerlo del suo
pentimento, ma vi scrive di avere visioni che lo fanno ritenere un
santo, scelto da Dio perché predichi al mondo la necessità di un
generale ravvedimento. Naturalmente, non viene preso sul serio e
continua a dipingere, ora immagini devote, ora blasfeme, seguendo le
diverse ispirazioni della speranza e della rabbia impotente.
Solo la morte può liberarlo dal
carcere e quella, finalmente, giunge pietosa: il 23 agosto 1795
è trovato semiparalizzato nel suo tavolaccio. Scrive il cappellano
della fortezza, fra' Cristoforo da Cicerchia: «Restò in quello
stato apoplettico per tre giorni, ne' quali sempre apparve ostinato
negli errori suoi, non volendo sentir parlare né di penitenza né di
confessione. Infine de' quali tre giorni Dio benedetto giustamente
sdegnato contro un empio, che ne aveva arrogantemente violate le
sante leggi, lo abbandonò al suo peccato ed in esso miseramente lo
lasciò morire; esempio terribile per tutti coloro che si abbandonano
alla intemperanza de' piaceri in questo mondo, e ai deliri della
moderna filosofia. La sera del 26 fu tolto dalla sua prigione per
ordine de' suoi superiori, e fu trasportato al ponente della spianata
di questa fortezza di S. Leo, ed ivi fu sepolto come un infedele,
indegno dei suffragi di Santa Chiesa, a cui non aveva quell'infelice
voluto mai credere». Cagliostro morì dunque il 26 agosto 1795,
verso le 22.30; fu sepolto senza cassa, nella nuda terra e senza
alcuna indicazione, con un fazzoletto sul volto e un sasso sotto la
testa, ma del luogo si conservò memoria per qualche tempo: le truppe
polacche, alleate dei francesi, che nel dicembre del 1797
conquistarono senza incontrare resistenza la Rocca, liberando i
prigionieri, scoprirono
anche il cadavere, dandogli forse una più decorosa sepoltura e forse
anche conservando qualche reliquia. Un uomo locale, che
aveva assistito da bambino alla tumulazione e alla estumulazione da
parte dei mercenari, ci riporta che questi ultimi conservarono il
cranio e lo usarono come coppa per bere alcolici.
Il suo nome è diventato sinonimo di "avventuriero" e
"imbroglione".Alcune ricerche testimoniano invece la
chiara distinzione tra le persone del palermitano Giuseppe Balsamo e
del conte Alessandro di Cagliostro, di origine portoghese, e vedono
quest'ultimo ricoprire il ruolo di un grande maestro della storia,
colui che introdusse il motto Libertà, Uguaglianza, Fratellanza,
divenuto poi il simbolo della rivoluzione francese.
La confusione tra i due personaggi fu
voluta dai nemici di Cagliostro, in primis l'Inquisizione, che
pagarono Balsamo e sua moglie per recitare il ruolo di Cagliostro
come un impostore truffaldino e screditarlo così agli occhi del
popolo. Ma Cagliostro disse e ripeté sempre: «Io non sono Balsamo».
Nessuno ha infatti mai dimostrato che Balsamo e Cagliostro fossero la
stessa persona.
Cagliostro si pone sulla scia di altre
grandi figure che hanno tentato di rivoluzionare la visione delle
cose cercando di restituire dignità all'essere umano, come ad
esempio Giordano Bruno. Per tale ragione l'Inquisizione fece il
possibile per arginare la grande risonanza che il messaggio di
Cagliostro stava riscuotendo in Europa, ma invece che scegliere
direttamente la via dell'assassinio, che lo avrebbe reso martire alla
storia, utilizzò inizialmente la strategia del discredito tramite la
figura di Giuseppe Balsamo. Tale discredito sussiste infatti ancora
oggi.
Disse Cagliostro a proposito di se stesso al Procuratore generale
di Parigi nel 1786:
« La verità su di me non sarà
mai scritta, perché nessuno la conosce.
Io non sono di nessuna epoca e di
nessun luogo; al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere
spirituale vive la sua eterna esistenza e se mi immergo nel mio
pensiero rifacendo il corso degli anni, se proietto il mio spirito
verso un modo di vivere lontano da colui che voi percepite, io
divento colui che desidero.
Partecipando coscientemente
all'essere assoluto, regolo la mia azione secondo il meglio che mi
circonda. [...]
Io sono colui che è.
Non ho che un padre; diverse
circostanze della mia vita mi hanno fatto giungere a questa grande
e commovente verità; ma i misteri di questa origine e i rapporti
che mi uniscono a questo padre sconosciuto, sono e restano i miei
segreti. [...]
Ma ecco: sono nobile e viandante, io
parlo e le vostre anime attente ne riconosceranno le antiche
parole, una voce che è in voi e che taceva da molto tempo
risponde alla chiamata della mia; io agisco e la pace rinviene nei
vostri cuori, la salute nei vostri cuori, la speranza e il
coraggio nelle vostre anime.
Tutti gli uomini sono miei fratelli,
tutti i paesi mi sono cari, io li percorro ovunque, affinché lo
Spirito possa discendere da una strada e venire verso di noi.
Io non domando ai Re, di cui
rispetto la potenza, che l'ospitalità sulle loro terre e, quando
questa mi è accordata, passo, facendo attorno a me il più bene
possibile: ma non faccio che passare. Sono un nobile viandante?
[...]
Io sono Cagliostro. »
|
Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo
Pietro Antonio Matteo Franco Balsamo, noto con il nome di
Alessandro, conte di Cagliostro o più semplicemente
Cagliostro (Palermo, 2 giugno 1743 – San Leo, 26 agosto
1795), è stato un avventuriero, esoterista e alchimista italiano.
Dopo una vita errabonda nelle varie
corti europee, fu condannato dalla Chiesa cattolica al carcere a vita
per eresia e rinchiuso nella fortezza di San Leo.
Giuseppe Balsamo nacque a Palermo il 2
giugno 1743, figlio di Pietro Balsamo, un venditore palermitano di
stoffe, e di Felicita Bracconeri, fu battezzato l'8 giugno 1743 con i
nomi di Giuseppe, Giovanni Battista, Vincenzo, Pietro, Antonio e
Matteo.
Il padre morì poco tempo dopo la sua
nascita e Giuseppe fu accolto nell'istituto per orfani di San Rocco
dove compì i primi studi, seguito dalla cura degli Scolopi. Da quel
collegio Giuseppe fuggì più volte, a testimonianza di un carattere
giudicato ribelle a ogni educazione; per questo motivo la famiglia
pensò bene di affidarlo, nel 1756, al convento dei Fatebenefratelli
di Caltagirone affinché vi temperasse l'indole e vi imparasse un
mestiere. Così, nel convento che era annesso all'Ospedale dello
Spirito Santo, Giuseppe si interessò di erbe medicinali, delle loro
proprietà e delle tisane utilizzate dalla medicina dell'epoca; una
conoscenza che gli tornerà utile negli anni a venire.
Non è chiaro se scappò anche dal
convento o se semplicemente ne fu dimesso; in ogni caso, tornato a
Palermo, si recò poi a Messina, dove avrebbe conosciuto un certo
Altotas, forse un greco-levante, con il quale avrebbe viaggiato in
Egitto, a Rodi e a Malta, e che Cagliostro indicò come suo primo
maestro, che l'avrebbe introdotto nel 1766 nell'Ordine dei Cavalieri
di Malta. Queste notizie furono fornite da Cagliostro in un suo
Memoriale del 1786, ma sulla figura dell'Altotas la storia non
ha mai fatto alcuna luce.
Nel 1768 il Balsamo è a Roma e vi è
arrestato per una rissa nella Locanda del Sole, in piazza del
Pantheon: dopo tre giorni, è rilasciato grazie all'intervento del
cardinale Orsini, il maggiordomo del quale, don Antonio Ovis, aveva
nel frattempo conosciuto. È ancora nel 1768, il 21 aprile, che
Balsamo si sposa nella chiesa di San Salvatore in Campo con Lorenza
Serafina Feliciani, una bella ragazza nata l'8 aprile 1751,
analfabeta, figlia di un fonditore di bronzo.
Il certificato di matrimonio è tuttora
conservato e attesta che il Nostro si chiama effettivamente Giuseppe
Balsamo ed è figlio del fu Pietro, palermitano: non vi è traccia di
alcun titolo nobiliare, né in particolare del nome di Cagliostro.
A Roma il Balsamo, discreto
disegnatore, vive falsificando documenti, diplomi e sigilli, oltre ad
alcune millantate onorificenze, come il titolo di "Colonnello
del Re di Prussia", peraltro mai ricevute, in complicità con
due conterranei, un sedicente marchese Alliata e un certo Ottavio
Nicastro, che morirà impiccato per aver ucciso l'amante. È proprio
quest'ultimo, insieme con il suocero di Balsamo, a denunciarlo come
falsario e allora Giuseppe e Lorenza, con il marchese, abbandonano
Roma per un lungo viaggio che li porta fino a Bergamo: qui,
continuando la prediletta attività di truffatori, vengono entrambi
arrestati, mentre l'Alliata riesce ancora a fuggire. Rilasciati, si
trasferiscono in Francia - ad Aix-en-Provence conoscono Giacomo
Casanova, che definisce Balsamo «un genio fannullone che preferisce
una vita di vagabondo a un'esistenza laboriosa» - e ad Antibes,
dove, con i proventi della prostituzione di Lorenza, si procurano il
denaro per raggiungere Barcellona nel 1769.
Anche qui Lorenza viene spinta dal
marito nell'accogliente letto di ricchi personaggi: insieme con uno
di questi, un tale marchese di Fontanar, raggiungono alla fine
dell'anno Madrid: mantenuti nel palazzo del marchese, cercano intanto
di guadagnare l'amicizia di influenti personalità della capitale
spagnola. Cacciati alla fine di casa, nel 1770 si trasferiscono a
Lisbona, dove Lorenza diviene l'amante del banchiere Anselmo La Cruz.
L'anno dopo la coppia è a Londra: qui
Balsamo cerca perfino di guadagnarsi la vita onestamente disegnando
pergamene, ma con poco successo e ancor meno profitto; perciò, con
la complicità di un altro sedicente marchese, un siciliano di nome
Vivona, organizza un ricatto ai danni di un ingenuo quacchero che,
spinto ad amoreggiare dalla compiacente Lorenza, viene sorpreso da
Balsamo che, fingendosi scandalizzato per il tradimento della moglie,
pretende che il suo onore debba essere risarcito soltanto con
un'abbondante somma di denaro. Derubato però dall'infido complice,
il Balsamo, rimasto insolvente con la padrona di casa, deve fare la
conoscenza anche delle galere londinesi; ma il ricco sir Edward
Hales, convinto da Lorenza, lo tira fuori dal carcere pagandogli i
debiti e, illudendosi che Balsamo sia un bravo pittore, lo incarica
di decorargli alcune sale del suo castello: naturalmente, veduti i
disastrosi risultati dell'improvvisato affrescatore, lo caccia via,
senza immaginare che l'italiano, tra una maldestra pennellata e
l'altra, gli ha intanto sedotto la figlia.
Seguendo un vecchio copione, emigrano
nuovamente: imbarcati il 15 settembre 1772 per la Francia, durante il
viaggio conoscono l'avvocato francese Duplessis, amministratore dei
beni della marchesa de Prie e, sulla traccia di quello stesso
copione, giunti a Parigi e alloggiati nel palazzo de Prie, Lorenza
diviene l'amante prezzolata del Duplessis sotto lo sguardo
compiaciuto del disinvolto marito. Ma questa volta si assiste a un
colpo di scena: Lorenza sembra voler cambiar vita, sistemarsi con
quell'avvocato che, oltre a godere di notevoli rendite, appare
perfino innamorato di lei. Rompe così con Balsamo e, se pure non
convive apertamente col Duplessis, perché una tale iniziativa, per
una donna legalmente coniugata, avrebbe costituito un reato, va però
ad abitare in un alloggio pagato dall'avvocato e, con l'approvazione
della marchesa, denuncia Balsamo per sfruttamento della
prostituzione.
A seguito della controdenuncia del
Balsamo per abbandono del tetto coniugale, Lorenza è arrestata e
passa quattro mesi nelle carceri parigine di Sainte-Pelagie; pur di
uscirne, nel giugno del 1773, ritira la denuncia e ritorna con
Balsamo. Nuovi viaggi: Belgio, Germania, Italia, Malta, Spagna e
infine, nel luglio 1776, nuovamente a Londra.
Adottando in questo periodo il nome di
Alessandro di Cagliostro, a Londra la sua vita non mutò: entrò e
uscì dal carcere a causa di diverse truffe consumate - predizioni
sui numeri estratti nel gioco del lotto o sottrazione di gioielli ai
cui proprietari faceva credere di aumentarne il valore grazie alle
proprietà miracolose di una polvere di sua invenzione - finché, il
12 aprile 1776 (o 1777) fu iniziato in Massoneria nella loggia
"L'Espérance", appartenente al Rito della Stretta
Osservanza, che si riuniva in una taverna di Soho.
Passati nei Paesi Bassi, i due coniugi
(sua moglie sarebbe stata iniziata con lui) sono accolti a L'Aia
nella loggia L'Indissoluble; sembra che il suo lunghissimo
discorso, tenuto in una lingua in cui sono presenti parole di tutta
l'Europa senza che nessuna sia pronunciata correttamente, abbia avuto
grande successo e anche la moglie, da quel momento chiamata Serafina,
contessa di Cagliostro, è riconosciuta come massone. Ma era tempo di
frequentare paesi nuovi: nel 1779 sono in Germania e poi in
Curlandia, parte dell'attuale Lettonia, nella capitale Mitau, oggi
Jelgava. Spacciatosi per colonnello spagnolo, tiene riunioni in cui
fa credere di appartenere a una società segreta, organizzata secondo
cinque livelli di elevazione spirituale, di avere e di far avere
visioni mediante l'idromanzia, di evocare spiriti, di essere un
sapiente la cui conoscenza si trovava In verbis, in herbis, in
lapidibus, nelle parole, nelle erbe e nelle pietre, il motto
della sua setta. Semianalfabeta e improvvisatore, commette
inevitabili errori di gusto, come quando dichiarò di essere in grado
di soddisfare, con un sortilegio, qualunque desiderio sessuale o
quando sostenne di essere figlio di un angelo.
A San Pietroburgo viene diffidato
dall'ambasciatore di Spagna a spacciarsi per spagnolo e un suo
documento, col quale voleva attestarsi come un Rosacroce, viene
riconosciuto per falso. Si presenta anche come taumaturgo e ha
l'accortezza di non farsi pagare dai poveri - solo dai ricchi - e se
non ottiene nessuna guarigione, si guadagna simpatia e popolarità;
ma basta l'inimicizia o l'incredulità di un potente per costringere
i due italiani a partire: e così, nel maggio 1780, Cagliostro e
Lorenza sono a Varsavia. Il massone, appassionato di alchimia,
principe Adam Pininsky, lo ospita illudendosi che Cagliostro sia in
grado di trasformare il piombo in oro: a questo scopo gli affianca il
confratello massone August Moszynsky negli esperimenti di
laboratorio. Questi pubblicherà nel 1786 un libretto sulle
esperienze alchemiche del Nostro, riferendo come Cagliostro ottenesse
l'oro dal piombo semplicemente sostituendo il recipiente contenente
il piombo con un altro eguale contenente l'oro.
A questo prevedibile infortunio si
aggiunge quello scoperto ai danni di una ragazza, da lui sessualmente
molestata, con la quale si era altresì accordato per la riuscita di
altrimenti improbabili evocazioni spiritiche. L'esperienza polacca,
come consuetudine, si conclude con la partenza improvvisa, il 26
giugno 1780, per la Francia. A Strasburgo si accontenta di fingersi
medico: se le sue tisane a base di erbe, la cui ricetta si è
conservata, si rivelano semplici placebo, le guarigioni di
cancrene ottenute bevendo liquori sono naturalmente fantasie
propalate da lui stesso, che ottenevano tuttavia l'unico effetto che
realmente gli premesse: presentarsi al pubblico di tutta l'Europa
come l'unico uomo capace di risolvere - a pagamento - qualsiasi
problema. E la sua fama toccò il culmine proprio in quel decennio
del secolo.
Louis René Édouard de Rohan, creato
cardinale il 1º giugno 1778 da Pio VI, era stato a lungo
ambasciatore di Francia a Vienna dove commise una grave gaffe
diplomatica: descrisse l'imperatrice Maria Teresa d'Austria come
un'insopportabile ipocrita in una lettera inviata al duca
d'Aiguillon. Così, quando Luigi XVI e Maria Antonietta salirono sul
trono francese, nel 1774, il Rohan perdette il posto di ambasciatore
ma non il consueto buonumore, dal momento che le sue rendite
continuarono ad aumentare ugualmente e le sue avventure galanti
rimasero numerose.
Il cardinale, che passava buona parte
dell'anno a Strasburgo, saputo della presenza in città di
Cagliostro, lo invitò a palazzo e ne fu conquistato. Appassionato di
alchimia, credette di ravvisare in Cagliostro un maestro; ritenendolo
un infallibile medico, lo condusse con sé a Parigi perché si
prendesse cura del cugino, il maresciallo Charles de Rohan, il quale,
comunque, guarì senza dover ricorrere alle sue medicine.
Anni dopo Cagliostro cercherà di
servirsi dell'influenza del cardinale per far legittimare dal papa,
come fosse un qualsiasi Ordine religioso, il proprio "Rito
Egizio", una curiosa specie di Ordine massonico-religioso, che
egli dirà di aver fondato a Bordeaux nel 1784.
A conclusione del solito lungo tour
che doveva portarlo in Inghilterra attraverso Napoli, Roma e la Costa
Azzurra, giunto a Bordeaux l'8 novembre 1783, in maggio si ammalò e,
forse in un delirio febbrile, come è scritto nel Compendio
del suo processo, «si vide prendere per il collo da due Persone,
strascinare e trasportare in un profondo sotterraneo. Aperta quivi
una porta, fu introdotto in un luogo delizioso come un Salone Regio,
tutto illuminato, in cui si celebrava una gran festa da molte persone
tutte vestite in abito talare, fra le quali riconobbe diversi de'
suoi Figli Massonici già morti. Credette allora di aver finiti li
guai di questo mondo e di trovarsi in Paradiso. Gli fu presentato un
Abito talare bianco, ed una Spada, fabbricata come quella che suol
rappresentarsi in mano dell'Angelo Sterminatore. Andò innanzi ed
abbagliato da una gran luce, si prostrò e ringraziò l'Ente Supremo
di averlo fatto pervenire alla felicità; ma sentì da un'incognita
voce rispondersi: Questo è il presente che avrai; ti bisogna
ancor travagliare molto; e qui terminò la Visione».
Dopo questa visione, Cagliostro fondò
la Massoneria di Rito Egizio. Si elegge Gran Cofto e crea la
moglie - ora chiamata principessa Serafina e Regina di Saba - Grande
Maestra del Rito d'adozione, cioè della Loggia riservata alle donne;
fatta risalire l'origine di tale massoneria ai profeti biblici Enoch
ed Elia, secondo una tradizione che vedeva nell'intervento di quei
due profeti la premessa a un radicale mutamento della vita, con la
successiva venuta di un "papa angelico" o dello stesso
Cristo, Cagliostro sosteneva che scopo del Rito Egizio fosse la
rigenerazione fisica e spirituale dell'uomo, il suo ritorno alla
condizione precedente alla caduta provocata dal peccato originale,
ottenuta, dal Gran Cofto e dai dodici Maestri che lo avrebbero
assistito, con ottanta giorni di attività iniziatiche.
Per i nuovi aderenti, naturalmente, i
tempi per raggiungere la perfezione sarebbero stati molto più
lunghi: solo al dodicesimo anno di appartenenza, sarebbero potuti
diventare maestri e prendersi cura dei nuovi iniziati. Ma solo lui,
il Gran Cofto, rimaneva depositario di un mysterium magnum il
cui contenuto è rimasto effettivamente avvolto nel mistero.
Con questo ambizioso programma Lorenza
e Cagliostro, il quale per l'occasione si fa chiamare conte Phenix,
giungono il 20 ottobre 1784 a Lione, dove esistono numerose Logge
massoniche; Cagliostro riesce a procurarsi fra di esse i dodici
maestri che gli abbisognavano subito e, comprato un terreno
nell'attuale avenue Morand, provvede a far costruire la sede della
sua Loggia, "La sagesse triomphante". I lavori erano ancora
in corso quando i due coniugi partirono per Parigi, decisi a
raggiungere il traguardo finale: il riconoscimento, da parte della
Chiesa cattolica, del suo Rito Egizio.
Giunti a Parigi il 30 gennaio 1785,
prendono un alloggio nel Palais Royal, di proprietà del duca Luigi
Filippo II di Borbone-Orléans (1747-1793), Gran Maestro della
Massoneria francese e futuro Filippo Egalité, fondano in fretta due
Logge, una per gli uomini e l'altra per le donne, entrambe
frequentate da aristocratici.
È nota la vicenda passata alla storia
come lo scandalo della collana: nel 1774 il gioielliere di corte
Boehmer aveva realizzato una elaboratissima collana di diamanti, del
valore di 1.600.000 livres - pari a circa 500 kg d'oro - una
somma che forse solo una regina avrebbe potuto spendere, ma Maria
Antonietta rifiutò l'acquisto. A questo punto entrarono in gioco due
avventurieri, il conte e la contessa De la Motte, che organizzarono
una truffa ai danni del cardinale de Rohan, facendogli credere che in
realtà Maria Antonietta desiderava acquistare la collana. Il
cardinale si sentiva in debito verso la regina a causa della gaffe da
lui commessa nei confronti di Maria Teresa d'Austria, sua madre. Si
convinse che tramite la collana avrebbe potuto riconquistare
l'amicizia di Maria Antonietta. La coppia convinse il cardinale a
farsi garante presso il gioielliere per conto della regina.
La collana, consegnata
dall'inconsapevole cardinale a un complice dei due aristocratici
imbroglioni, finì nelle mani del conte De la Motte, che cercò di
venderla, smembrata, in Inghilterra ma la truffa fu scoperta e i
colpevoli arrestati: la contessa De la Motte, per attenuare le sue
responsabilità, accusò Cagliostro di essere l'ideatore del raggiro.
Arrestato con la moglie il 22 agosto 1785, Cagliostro fu incarcerato
nella Bastiglia.
Fu difeso dai migliori avvocati di
Parigi, uno dei quali lo aiutò a scrivere in francese un suo
Memoriale, di fatto la storia della sua vita, dalla nascita al
suo arresto. Il 31 maggio 1786 il Parlamento di Parigi riconobbe
l'innocenza dei due italiani, insieme con quella del cardinale, ma
una lettre de cachet del re ordinò loro di lasciare Parigi
entro otto giorni e la Francia entro venti; e così, il 19 giugno,
Lorenza e Giuseppe s'imbarcarono da Boulogne per Dover (Inghilterra).
Il primo novembre 1786, a Londra,
Cagliostro è ricevuto in visita nella Loggia "Antiquity".
In Inghilterra dovette fronteggiare una campagna di stampa scatenata
contro di lui dal Courier de l'Europe, un giornale controllato
dal governo francese, che per tre mesi rivangò il burrascoso passato
di Giuseppe Balsamo e di Lorenza Feliciani, le loro origini oscure,
l'uso di molti nomi e di molti titoli, i veri e presunti imbrogli e i
non rari arresti; Cagliostro, nel novembre 1786, rispose con la
Lettera del conte di Cagliostro al popolo inglese per servire in
seguito alle sue memorie in cui ammetteva: «non sono conte, né
marchese, né capitano. La mia vera qualifica è inferiore o
superiore a quelle che mi sono state date? È ciò che forse un
giorno il pubblico saprà! Intanto, non mi si può rimproverare
d'aver fatto quel che fanno i viaggiatori che vogliono mantenere
l'anonimato. Gli stessi motivi che mi hanno indotto ad attribuirmi
vari titoli, mi hanno condotto a cambiare più volte il mio nome
[...] Nessun registro di polizia, nessuna testimonianza, nessuna
inchiesta della polizia della Bastiglia, nessun rapporto informativo,
nessuna prova hanno potuto stabilire che io sia quel Balsamo! Nego di
essere Balsamo!».
Intanto intorno a Balsamo si va facendo
il vuoto: lasciata Londra per Hammersmith nel marzo del 1787, dà
lezioni di alchimia e subisce altri infortuni: un suo allievo
sostituisce, a sua insaputa, il metallo che Cagliostro doveva
"trasmutare" con del semplice tabacco e stranamente la
trasmutazione si verifica lo stesso, con gran scandalo dell'allievo
che gli rinfaccia la truffa, mentre intanto i suoi collaboratori
massoni di Lione lo rimproverano di spendere per sé il denaro della
Loggia. È nuovamente tempo di cambiare aria: il 5 aprile 1787,
questa volta senza la moglie, raggiunge Bienne, in Svizzera.
Mentre è ospite del banchiere Sarasin,
Lorenza, che è rimasta a Londra per liquidare i beni lì posseduti,
viene avvicinata dal giornalista del Courier de l'Europe, al
quale raccontò di maltrattamenti subiti dal marito e degli
impedimenti che lui le poneva di professare la religione cattolica.
Una volta raggiunto Cagliostro in Svizzera, Lorenza ritrattò tutto
pubblicamente ma tutto riconfermò in una lettera spedita ai
genitori, a Roma, lettera che verrà mostrata come prova a carico di
Cagliostro durante il processo.
Nello stesso periodo in cui Balsamo era
in Svizzera, Goethe, nel suo lungo viaggio in Italia, il 2 aprile
sbarcava a Palermo proveniente da Napoli; curioso di raccogliere
notizie di prima mano sulle origini del nostro famosissimo
avventuriero, contattò il barone Antonio Vivona, rappresentante
legale della Francia in Sicilia, dal quale prese visione dell'albero
genealogico della famiglia Balsamo e della «perfetta identità di
Cagliostro e Balsamo».
Goethe, che scrive di considerare
Cagliostro «un briccone» e le sue avventure delle «ciurmerie»,
volle rendere visita alla madre e alla sorella, spacciandosi per «un
inglese che doveva portare ai familiari notizie di Cagliostro, giunto
di recente a Londra».
«Abitavano in una misera casa di
Palermo, composta di un solo grande locale, ma pulita, abitata dalla
madre, dalla sorella di Giuseppe, vedova, e dai suoi tre figli. La
sorella si lamentò di Giuseppe, che le doveva da anni una forte
somma: da «quando era partito in gran fretta da Palermo, ella aveva
riscattato per lui certi oggetti impegnati, ma da quel momento non si
era fatto più vivo e non le aveva mandato né denaro né sussidi di
alcun genere sebbene, a quanto si diceva, possedesse grandi ricchezze
e conducesse una vita principesca. Ella chiedeva perciò se potevo
prometterle, tornando in patria, di rammentargli con garbo quel
debito e ottenere che le concedesse un aiuto finanziario».
Gli consegnarono una lettera per
Cagliostro e, nel congedarsi, la madre lo pregò di dire al figlio
«quanto mi hanno resa felice le notizie che Ella ci ha portato. Gli
dica che lo tengo chiuso nel mio cuore così - e a questo punto
spalancò le braccia e se le strinse al petto - che ogni giorno nelle
mie devozioni prego per lui Dio e la Santa Vergine, che gli mando la
mia benedizione, insieme a sua moglie, e che prima di morire vorrei
solo che questi occhi, che tante lacrime hanno versato per amor suo,
lo potessero rivedere». Lo invitarono a tornare a Palermo per la
festa di Santa Rosalia - «gli mostreremo ogni cosa, andremo a
sederci nel palco per ammirare meglio il corteo; e come gli piacerà
il grande carro e soprattutto la fantastica luminaria!» e, quando fu
uscito, «corsero sul balcone della cucina che dava sulla strada, mi
chiamarono e mi fecero grandi cenni di saluto».
Goethe non li rivedrà più ma mandò
poi, di sua tasca, la somma richiesta dalla sorella, 14 once d'oro, e
pubblicò un ritratto di Cagliostro nell'opera Der Grosskophta.
Intanto Balsamo, in Svizzera, litiga
con uno degli ultimi amici rimastigli, il pittore Loutherbourg, che
lo accusa di insidiargli la moglie; si guadagna da vivere facendo il
guaritore ma l'ambiente della cittadina svizzera è troppo angusto
per lui, abituato a ben altri palcoscenici: il 23 luglio 1788 parte
con Lorenza per Aix-les-Bains, di qui vanno a Torino ma ne vengono
immediatamente espulsi e allora si recano a Genova passando, in
settembre, per Venezia, poi per Verona e di qui nei territori
imperiali, soggiornando un mese a Rovereto per poi raggiungere la
città di Trento il 21 novembre.
A Trento è ben accolto dallo stesso
principe-vescovo, Pietro Vigilio Thun, ed egli stesso mostra grande
deferenza nei confronti della confessione cattolica; giustificò la
sua appartenenza alla Massoneria, spiegando di non averla mai
considerata contraria alla fede religiosa e si dichiarò pronto ad
andare a Roma, purché munito di salvacondotto. Il vescovo di Trento
si premura di scrivere alla Curia romana una lettera. Nella missiva,
datata 25 marzo 1789 e indirizzata al cardinale Ignazio Boncompagni
Ludovisi, il vescovo sostiene che Cagliostro si è ravveduto e che la
moglie «se ne vive in continui mentali spasimi, ardendo da un canto
di costì rivedere il cadente quasi ottuagenario genitore, e
dall'altro temendo che l'intollerante consorte non torni, non
esaudito, nel pristino disordine, con evidente pericolo di perdervi
l'anima». E al vescovo trentino il cardinale risponde il 4 aprile
che «non avendo il signor Cagliostro alcun pregiudizio nello Stato
Pontificio, non ha Egli bisogno del salvacondotto». Rassicurato da
questa lettera e comunque provvisto di un salvacondotto rilasciatogli
dal vescovo Thun, oltre che di lettere di raccomandazione indirizzate
a vari cardinali romani, il 17 maggio Cagliostro parte da Trento con
Lorenza e dopo dieci giorni giunge a Roma.
Alloggia dapprima in una locanda in
piazza di Spagna e poi presso i parenti della moglie a Campo de'
Fiori. Se il suo scopo era quello di ottenere un'udienza dal papa,
non fu accontentato e si comportò inizialmente con molta prudenza,
come sapesse di essere spiato e temesse improvvisi pericoli; pensò
anche di tornare in Francia, e a questo scopo indirizzò un Memoriale
all'Assemblea francese. Fu però sequestrato, non appena consegnato
alla posta, dalla gendarmeria romana.
Avvicinato un giorno da due spie dello Stato Pontificio, tali
Matteo Berardi e Carlo Antonini, che gli chiesero di accoglierli
nella Massoneria, Cagliostro, senza sospettare di nulla, fece loro
compiere le cerimonie iniziatiche, violando così la norma dello
Stato pontificio che vietava, pena la morte, l'organizzazione di
società massoniche. I due iniziati, soddisfatti di quanto avevano
visto e ascoltato, sparirono prima di versare la quota di adesione.
Curiosamente, Cagliostro riuscì ad affiliare alla Massoneria un
frate cappuccino, Francesco Giuseppe da San Maurizio.In settembre, la moglie Lorenza
denunciò Cagliostro al parroco di Santa Caterina della Rota, e la
denuncia venne trasmessa il 5 dicembre all'Inquisizione: all'ultimo
momento, Lorenza si era rifiutata di firmarla, ma venne ugualmente
acquisita; il 27 novembre il padre di Lorenza, Giuseppe Feliciani e
la spia Carlo Antonini avevano già denunciato Cagliostro. La
decisione dell'arresto di Cagliostro - ma furono arrestati anche la
moglie e fra' Giuseppe - fu presa ai massimi livelli, dopo una
riunione del papa Pio VI con il Segretario di Stato e altri
cardinali: nella notte del 27 dicembre 1789 Cagliostro viene
rinchiuso in Castel Sant'Angelo, Lorenza nel convento di
Sant'Apollonia a Trastevere e il cappuccino nel convento dell'Ara
Coeli.
Le imputazioni contro Cagliostro sono
gravissime: consistono nell'esercizio dell'attività di massone, di
magia, di bestemmie contro Dio, Cristo, la Madonna, i santi, contro i
culti della religione cattolica, di lenocinio, di falso, di truffa,
di calunnia e di pubblicazione di scritti sediziosi: se provate,
comporterebbero la pena di morte. Esse sono fondate in gran parte
sulle dichiarazioni della moglie e su scritti e dichiarazioni
rilasciate nel corso degli anni da Cagliostro; la linea difensiva
dell'avvocato di Balsamo, Carlo Costantini, consiste nel far
considerare il suo assistito un semplice ciarlatano, in modo da
eliminare tanto ogni credibilità che ogni serietà su quanto
Cagliostro avesse mai scritto e sostenuto, relativamente almeno alle
sue posizioni ideologiche, che sono quelle considerate di maggiore
gravità, dal momento che esse pongono Cagliostro nella posizione di
eresiarca; per il resto, occorre far passare Lorenza come una
prostituta, una donna immorale e pertanto inattendibile: lei,
«moglie, complice impunita e prostituta non può sicuramente
somministrare non già una prova, ma nemmeno un indizio per aprire
l'inquisizione», dal momento che, secondo la difesa di Balsamo, ella
intenderebbe accusare il marito per ricrearsi un'innocenza che non
può appartenerle perché, se fosse vero quanto sostiene, anch'ella
sarebbe colpevole quanto il marito.
Stabilito che gli ordinari rituali
massonici sono di per sé suscettibili dell'accusa di eresia, quelli
della Massoneria Egizia di Cagliostro sono giudicati certamente
eretici e a conferma di questo assunto, negli interrogatori Balsamo
viene trascinato in discussioni teologiche: l'ignoranza di Balsamo
intorno alle nozioni più elementari di catechismo finisce per
aggravare, agli occhi dei giudici del Sant'Uffizio, la sua posizione.
Consapevole della situazione disperata in cui si trova, il 14
dicembre 1790 Cagliostro scrive al papa:
«Beatissimo
Padre,
Giuseppe Balsamo, proteso ai piedi
della S. V., reo di essere fondatore di una società massonica
(senza però che sapesse che sì fatte società fossero proibite
dalla Santa Sede) alla quale società diede una Costituzione non
composta da lui, ma cavata da un libro manoscritto che gli venne
alle mani in Inghilterra, sotto il nome di Giorgio Cofton, purgato
da lui, come credette da tutto ciò che vi era di cattivo, e ben
si persuadeva di averlo fatto quanto bastasse perché, data da
leggere la detta costituzione al cardinal di Rohan e
all'arcivescovo di Bourges, non fu da essi avvertito che vi fosse
dentro qualche cosa di male, ma fu soltanto dal secondo
consigliato a levarvi le due quarantene per la rigenerazione
fisica e morale come due inezie, delle quali due pratiche perciò
non ne ha mai fatto uso.
Ora, istruito dal P. Contarini che
nella costituzione suddetta vi sono cose cattive e contrarie alla
S. Fede Cattolica, da lui ritenuta mai sempre fermamente nel
cuore, egli le detesta e si protesta disposto ad abiurarle tutte
nella maniera che gli sarà imposta dal S. Tribunale, ed a subire
quelle pene che merita il suo gravissimo fallo; e pentito di vero
cuore ne domanda umilmente perdono al Signore e lo spera dalla sua
infinita misericordia, benché se ne riconosca indegno.
Indi, rivolto alla Paterna clemenza
della Santità Vostra, implora con calde lagrime pietà solamente
per l'anima sua, supplicandola di dar rimedio allo scandalo
gravissimo da lui dato al Mondo, ancorché questo si debba fare
con lo strazio più crudele e pubblico della sua persona.
Della Santità Vostra
indegnissimo figlio Giuseppe Balsamo peccatore pentito.»
|
Il 7 aprile 1791
il Sant'Uffizio emise la sentenza:
«Giuseppe Balsamo reo confesso e
respettivamente convinto di più delitti, è incorso nelle censure
e pene tutte promulgate contro gli eretici formali, dommatizzanti,
eresiarchi, maestri e seguaci della magia superstiziosa, come pur
nelle censure e pene stabilite tanto nelle Costituzioni
Apostoliche di Clemente XII e Benedetto XIV contro quelli che in
qualunque modo favoriscono e promuovono le società e conventicole
de' Liberi Muratori, quanto nell'Editto di Segreteria di Stato
contro quelli che di ciò si rendano debitori in Roma o in alcun
luogo del Dominio Pontificio.
A titolo però di grazia speciale,
gli si commuta la pena della consegna al braccio secolare nel
carcere perpetuo in una qualche fortezza, ove dovrà essere
strettamente custodito, senza speranza di grazia. E fatta da lui
l'abjura come eretico formale nel luogo della sua attual
detenzione, venga assoluto dalle censure, ingiungendogli le dovute
salutari penitenze.
Il libro manoscritto che ha per titolo Maçonnerie Égyptienne
sia solennemente condannato come contenente riti, proposizioni,
dottrina e sistema che spiana una larga strada alla sedizione, ed
è distruttivo della religion cristiana, superstizioso, blasfemo,
empio ed ereticale. E questo libro stesso sia pubblicamente
bruciato dal ministro di giustizia insieme cogl'istromenti
appartenenti alla medesima setta. Con una nuova Costituzione
Apostolica si confermeranno e rimuoveranno non meno le
Costituzioni de' Pontefici Predecessori, quanto anche l'accennato
Editto di Segreteria di Stato proibitivi delle Società e
Conventicole de' Liberi Muratori, facendosi nominatamente menzione
della Setta Egiziana, e dell'altra volgarmente chiamata degli
Illuminati, con stabilirsi contro tutte le più gravi pene
corporali e segnatamente quelle degli eretici contro chiunque o si
ascriverà o presterà a favore di tali sette.» |
Il cappuccino Francesco Giuseppe di San
Maurizio è condannato a dieci anni, da scontare nel suo convento
dell'Ara Coeli; Lorenza, la cui testimonianza è stata determinante
per la condanna di Cagliostro, è assolta: rimase tuttavia per
quindici anni nello stesso convento di Sant'Apollonia. Dal 1806 fu la
portinaia del Collegio Germanico di piazza Sant'Apollinare, dove morì
d'infarto l'11 maggio 1810.
Dopo aver abiurato il 13 aprile 1791,
Cagliostro venne trasferito a San Leo, nell'Appennino
tosco-romagnolo, per esservi rinchiuso nella storica Rocca
(progettata nel XV secolo da Francesco di Giorgio Martini per conto
di Federico da Montefeltro). Vi arriva il 20 aprile e l'11 settembre
viene trasferito dalla già misera cella cui era stato assegnato,
nella peggiore che si fosse potuta ricavare: chiamata il Pozzetto,
perché priva di porta - il detenuto fu calato da una botola del
soffitto - di dieci metri quadrati, munita di una finestrella appena
più larga di una feritoia, con una triplice serie di sbarre da cui
si potevano vedere le due chiese di San Leo e a stento un fazzoletto
di cielo.
Probabilmente per impietosire e
acquisirsi la nomea di pentito, mostrò all'inizio della prigionia
grande devozione, espressa da continue preghiere e frequenti digiuni:
dipinge sul muro immagini religiose e ritrae se stesso, che si batte
il petto in segno di contrizione e tiene nell'altra mano un
crocefisso; disegna anche una Maddalena in penitenza. Ma iniziò
presto a dare segni di instabilità psichica, segnata da violente
ribellioni e da crisi mistiche, nella tremenda solitudine di quel
buco oscuro ed umido. Il mondo è tutto nella vaga immagine del
guardiano che dal soffitto gli cala il cibo due volte al giorno, nel
tavolaccio dove sta sdraiato quasi tutte le ore di un giorno che poco
o nulla si differenzia dalla notte, nella finestrella a cui a volte
si aggrappa e urla una disperazione a cui è negata ogni pietà.
Quando ha di questi sfoghi, si materializzano i guardiani dal
soffitto per riportarlo alla calma pestandolo.
Dalla disperazione all'ebetudine, dalla
rabbia all'apatia e alle illusioni: nel dicembre del 1793
ottiene il permesso di scrivere al Papa. Spera di convincerlo del suo
pentimento, ma vi scrive di avere visioni che lo fanno ritenere un
santo, scelto da Dio perché predichi al mondo la necessità di un
generale ravvedimento. Naturalmente, non viene preso sul serio e
continua a dipingere, ora immagini devote, ora blasfeme, seguendo le
diverse ispirazioni della speranza e della rabbia impotente.
Solo la morte può liberarlo dal
carcere e quella, finalmente, giunge pietosa: il 23 agosto 1795
è trovato semiparalizzato nel suo tavolaccio. Scrive il cappellano
della fortezza, fra' Cristoforo da Cicerchia: «Restò in quello
stato apoplettico per tre giorni, ne' quali sempre apparve ostinato
negli errori suoi, non volendo sentir parlare né di penitenza né di
confessione. Infine de' quali tre giorni Dio benedetto giustamente
sdegnato contro un empio, che ne aveva arrogantemente violate le
sante leggi, lo abbandonò al suo peccato ed in esso miseramente lo
lasciò morire; esempio terribile per tutti coloro che si abbandonano
alla intemperanza de' piaceri in questo mondo, e ai deliri della
moderna filosofia. La sera del 26 fu tolto dalla sua prigione per
ordine de' suoi superiori, e fu trasportato al ponente della spianata
di questa fortezza di S. Leo, ed ivi fu sepolto come un infedele,
indegno dei suffragi di Santa Chiesa, a cui non aveva quell'infelice
voluto mai credere». Cagliostro morì dunque il 26 agosto 1795,
verso le 22.30; fu sepolto senza cassa, nella nuda terra e senza
alcuna indicazione, con un fazzoletto sul volto e un sasso sotto la
testa, ma del luogo si conservò memoria per qualche tempo: le truppe
polacche, alleate dei francesi, che nel dicembre del 1797
conquistarono senza incontrare resistenza la Rocca, liberando i
prigionieri, scoprirono
anche il cadavere, dandogli forse una più decorosa sepoltura e forse
anche conservando qualche reliquia. Un uomo locale, che
aveva assistito da bambino alla tumulazione e alla estumulazione da
parte dei mercenari, ci riporta che questi ultimi conservarono il
cranio e lo usarono come coppa per bere alcolici.
Il suo nome è diventato sinonimo di "avventuriero" e
"imbroglione".Alcune ricerche testimoniano invece la
chiara distinzione tra le persone del palermitano Giuseppe Balsamo e
del conte Alessandro di Cagliostro, di origine portoghese, e vedono
quest'ultimo ricoprire il ruolo di un grande maestro della storia,
colui che introdusse il motto Libertà, Uguaglianza, Fratellanza,
divenuto poi il simbolo della rivoluzione francese.
La confusione tra i due personaggi fu
voluta dai nemici di Cagliostro, in primis l'Inquisizione, che
pagarono Balsamo e sua moglie per recitare il ruolo di Cagliostro
come un impostore truffaldino e screditarlo così agli occhi del
popolo. Ma Cagliostro disse e ripeté sempre: «Io non sono Balsamo».
Nessuno ha infatti mai dimostrato che Balsamo e Cagliostro fossero la
stessa persona.
Cagliostro si pone sulla scia di altre
grandi figure che hanno tentato di rivoluzionare la visione delle
cose cercando di restituire dignità all'essere umano, come ad
esempio Giordano Bruno. Per tale ragione l'Inquisizione fece il
possibile per arginare la grande risonanza che il messaggio di
Cagliostro stava riscuotendo in Europa, ma invece che scegliere
direttamente la via dell'assassinio, che lo avrebbe reso martire alla
storia, utilizzò inizialmente la strategia del discredito tramite la
figura di Giuseppe Balsamo. Tale discredito sussiste infatti ancora
oggi.
Disse Cagliostro a proposito di se stesso al Procuratore generale
di Parigi nel 1786:
« La verità su di me non sarà
mai scritta, perché nessuno la conosce.
Io non sono di nessuna epoca e di
nessun luogo; al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere
spirituale vive la sua eterna esistenza e se mi immergo nel mio
pensiero rifacendo il corso degli anni, se proietto il mio spirito
verso un modo di vivere lontano da colui che voi percepite, io
divento colui che desidero.
Partecipando coscientemente
all'essere assoluto, regolo la mia azione secondo il meglio che mi
circonda. [...]
Io sono colui che è.
Non ho che un padre; diverse
circostanze della mia vita mi hanno fatto giungere a questa grande
e commovente verità; ma i misteri di questa origine e i rapporti
che mi uniscono a questo padre sconosciuto, sono e restano i miei
segreti. [...]
Ma ecco: sono nobile e viandante, io
parlo e le vostre anime attente ne riconosceranno le antiche
parole, una voce che è in voi e che taceva da molto tempo
risponde alla chiamata della mia; io agisco e la pace rinviene nei
vostri cuori, la salute nei vostri cuori, la speranza e il
coraggio nelle vostre anime.
Tutti gli uomini sono miei fratelli,
tutti i paesi mi sono cari, io li percorro ovunque, affinché lo
Spirito possa discendere da una strada e venire verso di noi.
Io non domando ai Re, di cui
rispetto la potenza, che l'ospitalità sulle loro terre e, quando
questa mi è accordata, passo, facendo attorno a me il più bene
possibile: ma non faccio che passare. Sono un nobile viandante?
[...]
Io sono Cagliostro. »
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