La negromanzia o necromanzia
(dal greco
νεκρομαντεία, nekromanteía,
composto di νεκρός «morto» e μαντεία «predizione») è
una forma di divinazione, in cui i praticanti (detti necromanti)
cercano di evocare spiriti e defunti.
A partire dal medioevo, la negromanzia
è stata associata sovente alla magia oscura e all'evocazione di
demonî in genere.
Letteralmente "necromanzia" è
la magia operata sulla morte - μαντεία (divinazione,
magia) sul νεκρός, (morto); "negromanzia",
invece, è un calco latino, che sostituisce a νεκρός il
lemma niger (gen. nigri), da intendersi come "magia
nera". I termini sono spesso erroneamente confusi, generando un
circolo vizioso semantico e relativa confusione, soprattutto in
letteratura, per esempio nella narrativa fantasy.
Sinonimo di negromanzia è psicomanzia
(dal greco "ψυχο-, psycho-":
anima).
Il Libro dei morti egizio è
spesso erroneamente considerato come un antico testo di negromanzia:
in realtà il suo scopo non era quello di richiamare un defunto
dall'aldilà, quanto piuttosto di agevolarne il passaggio verso
l'altro mondo.
La Bibbia contiene numerosi riferimenti
alla negromanzia. Nel Deuteronomio il popolo di Israele è
messo in guardia dalle pratiche negromantiche degli abitanti di
Canaan. In un altro passaggio il re d'Israele Saul chiede alla Strega
di Endor di invocare lo spirito di Samuele, da cui però ottiene solo
un presagio di morte e distruzione imminenti (1Sam 28,7-25).
Si ritiene che la negromanzia fosse
molto diffusa anche in Caldea, in Etruria e a Babilonia. I negromanti
babilonesi erano chiamati Manzazuu o Sha'etemmu, e gli
spiriti che essi invocavano erano detti Etemmu. Lo storico
Strabone la cita come principale arte divinatoria dei persiani.
Nel paganesimo scandinavo pre-cristiano
esisteva la pratica di sedere sul tumulo, che
consentiva di mettersi in contatto col defunto.
Il rosacrociano Robert Fludd, nel XVII
secolo, descrive la negromanzia (Ars Goetia) come un commercio
con spiriti impuri.
Nel mondo moderno sono praticate
tecniche di divinazione chiaramente correlate alla negromanzia,
mentre lo spiritismo, fondato da Allan Kardec nel XIX secolo, non è
una forma di negromanzia, perché condanna la divinazione. Il
channeling consente, secondo i suoi fautori, di mettersi in
contatto con creature soprannaturali, che includono gli spiriti dei
defunti. All'interno del Vudù, ancora praticato a Haiti e in altri
luoghi, esistono pratiche riconducibili a forme di negromanzia.
Il tema della catabasi dell'eroe, che
si spinge negli inferi per ottenere servigi o conoscenza dai defunti,
ricorre nella letteratura almeno dall'Odissea, in cui Ulisse
si reca nell'Ade e tenta di mettersi in contatto con lo spirito
dell'indovino Tiresia, usando gli incantesimi appresi da Circe.
La discesa all'Ade di Ulisse è
replicata da quella di Enea nell'Averno, nell'Eneide di
Virgilio. Nell'anti-Eneide per eccellenza, la Pharsalia,
Lucano inserisce un episodio di negromanzia: la maga tessala Eritto,
riesumando il cadavere di un soldato morto in battaglia, gli fa
predire la futura distruzione di Roma.
La tradizione letteraria della
negromanzia propriamente detta si perde nella storia medievale e
nella letteratura ottocentesca, ad esempio nel mito di Faust.
Dalla tradizione letteraria, il tema è
passato direttamente alla letteratura di genere, come il fantasy (ad
esempio nel Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, o The
Summoning di Kelley Armstrong).
Tra i numerosissimi riferimenti nella
cultura di massa e nella pop music contemporanea, nel brano The
Necromancer del trio canadese Rush, pubblicato nell'album Caress
of Steel del 1975, l'antagonista citato nel testo della canzone è
un negromante.
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