domenica 6 febbraio 2022

Dottrina delle segnature

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La dottrina delle segnature (dal latino signatura, cioè «firma») è un'antica forma di conoscenza che studia l'aspetto, o appunto il «segno», con cui ogni elemento naturale di origine animale, vegetale o minerale si presenta, svelando per analogia la sua funzione terapeutica delle parti del corpo umano più simili ad esso.
Sviluppata da medici, botanici e alchimisti durante il Medioevo e il Rinascimento, tale dottrina si basava sulla corrispondenza ermetico-filosofica tra macrocosmo e microcosmo, ravvisando un rapporto di simpatia ovvero di affinità tra il mondo e l'essere umano, per cui ad esempio una noce ha una relazione occulta col cervello per via della loro somiglianza, o la forma di un fagiolo con quella dei reni.
Lo studio, applicato soprattutto alle piante medicinali, si estendeva ai nessi tra sagome, colori, odori, posizioni, tempi di manifestazione, caratteri, esiti patologici, temi astrali, temperamenti umorali, e diverse altre qualità, ritenute socciacenti a un comune archetipo spirituale.

Storia
Sin dai tempi antichi, l'uso delle piante medicinali faceva parte di quel complesso di conoscenze magico-religiose, diffuse in Egitto, Medio Oriente, India, Cina, che concepivano il cosmo come un organismo vivente, le cui parti, astrale, minerale, vegetale, animale, risultavano connesse da fenomeni di «simpatia» universale (dal greco syn-patheia, «sentire insieme»).
Il mondo greco riprese queste dottrine, sia nella riflessione teorica di Platone e Aristotele, sia nella pratica medica di Ippocrate e Galeno. Il termine greco pharmakon («rimedio») è stato associato in proposito all'egiziano phrt nt hk, così come lo stesso egiziano kmt («nero») avrebbe dato luogo al greco khemia («magia nera»), e attraverso questo all'arabo al-kimiya («alchimia»).
Un altro fra i più autorevoli medici e botanici greci fu Dioscoride, autore di un trattato, De materia medica, che ricollega l'origine dei farmaci alla storia della creazione del cosmo, offrendo una teoria completa per la quale ad esempio i profumi discendono dall'età dell'Oro, e i minerali da quella del Ferro. I primi, associati al caldo, venivano prescritti per il trattamento dell'umidità in eccesso come nei disturbi ginecologici, i secondi, associati al freddo, per contrastare gli eccessi di calore come le infiammazioni della pelle. Le varie sostanze, dagli effetti ora terapeutici ora velenosi a seconda del principio contraria contrariis curantur, furono da lui in tal modo organizzate in base alla loro somiglianza con i sintomi del corpo umano.
In ambito romano anche Plinio il Vecchio accennò alla dottrina delle segnature, pur senza enunciarla, nella sua Naturalis historia.
Nella tarda antichità una nuova tradizione alchemica si sviluppò nel contesto filosofico del neoplatonismo e dell'ermetismo, attingendo alle dottrine orientali delle religioni rivelate, come la kabbalah, il misticismo cristiano, l'alchimia islamica, prendendo coscienza come «la divina Provvidenza avesse stabilito per l'uomo di venire sopraffatto dalle malattie, ma allo stesso tempo che si dedicasse a coltivare le piante appropriate per curare tutti i suoi mali».

Medioevo
I botanici medievali rielaborarono la dottrina delle segnature a partire dagli insegnamenti di Dioscoride e Galeno, sostenendo che le erbe somiglianti a certe parti del corpo potessero trattare i disturbi di quelle stesse parti.
La medicina del tempo si mosse in particolare in due direzioni: una, su base astrologica, cercava di individuare le piante più idonee alla cura con l'ausilio delle stelle, l'altra mirava a definire le loro proprietà terapeutiche a seconda della forma delle foglie, del colore, delle appendici, dei succhi, e così via.
Pur occupandosene in maniera preponderante, lo studio delle «segnature» non si limitava alle piante medicinali, catalogandole negli erbari, ma poteva estendersi a tutti i contesti naturali di interesse enciclopedico, anche a bestiari e lapidari in cui rispettivamente venivano descritte le virtù di animali e minerali.
Secondo il pensiero medievale, infatti, tutto nel creato reca un'impronta, una «firma» incisa da Dio che ne è l'autore, acquisendo significato alla luce della cosmogonia rappresentata nella Genesi. Ogni dato assurge a simbolo, ogni essere dell'universo, fatto secondo la dottrina cristiana per servire l'uomo, ha un valore intrinseco portando scritta su di sé la propria funzione spirituale risanante: la sua sola esistenza dimostra quello che è, e quale sia il suo scopo, da decifrare con la semplice osservazione scevra da pregiudizi.

Dal Rinascimento all'età moderna
La dottrina delle segnature fu ripresa ed esplicitamente teorizzata nel Rinascimento da autori come Cornelio Agrippa (1486–1535), Otto Brunfels (1488-1534), Leonhart Fuchs (1501-1566), Nicholas Culpeper (1616-1654), e in particolare Oswald Croll (1560-1609) con il suo Tractatus de signaturis.

Paracelso
La figura dominante di questo periodo rimane comunque quella di Paracelso (1493-1541), profondamente cristiano, ma anche erudito in tradizioni alchemiche, pensiero greco e mitologia germanica. Opponendosi alla logica di Aristotele e alla medicina di Galeno, che intese rifondare su basi chimiche sviluppando la cosiddetta «iatrochimica», egli sostenne espressamente la dottrina delle segnature, affermando come «tutto ciò che la natura dà alla luce, si forma secondo l'essenza della virtù inerente ad essa».
L'aspetto esteriore è quindi l'espressione perfetta e inseparabile di una funzione interiore. Le piante di lattice ad esempio sono tali in quanto aumentano il latte nelle donne o il potere seminale negli uomini; le piante carnose o crassulanti, specie se cresciute in ambienti aridi o rocciosi, hanno la capacità di rimettere in carne gli emaciati; le piante con foglie a forma di cuore, polmone o fegato curano le malattie corrispondenti a questi organi, e così via.
Secondo Paracelso, questo potere delle piante risiede in un'essenza vitale che egli chiama «Archeo» o arcano, forza spirituale da intendere come il respiro di Dio o anche «quintessenza», letteralmente ciò che si ottiene dopo una distillazione o una sublimazione ripetute cinque volte; le forme secche delle piante invece rappresentavano per lui soltanto la materia inerte.
Poiché la malattia per Paracelso è il risultato di una forza maligna che attacca dall'esterno gli Archei di un organo, il trattamento mirerà a ripristinare l'essenza malata con la somministrazione di un arcano della stessa tipologia di quello colpito. A differenza del principio contraria contrariis curantur («i contrari vengono curati con i contrari») la guarigione paracelsiana avviene per effetto di un'azione simile al morbo: similia similibus curantur («i simili si curino coi simili»). Un male causato da un veleno deve essere trattato cioè da un veleno affine, convertito in medicamento tramite preparazioni alchemiche: la differenza tra rimedio e veleno risiede unicamente nella preparazione e nel dosaggio. In tal modo egli fece da precursore della moderna omeopatia, affermando:
«Nessuna malattia può guarire per contrapposizione, ma solo grazie al suo simile.»
(Paracelso)

Giambattista Della Porta
Alla fine del Cinquecento la dottrina delle segnature raggiunse infine la sua massima formulazione con la Fitognomica di Giovambattista Della Porta (1535–1615), autore di una sorta di «fisiognomica» delle piante, da lui messe in parallelo con le caratteristiche del corpo umano, e le cui fenomenologie sono chiavi indicative o «firme» delle loro proprietà medicamentose. In questa sua opera del 1588 (Phytognomonica) Della Porta indagò a lungo la vasta rete di corrispondenze segrete e simpatie occulte che intrecciano il mondo, e collegano non solo piante e uomini, ma anche minerali, animali, uomini, luoghi, stagioni, astri.
Gli elementi del regno vegetale compongono per Della Porta un sistema di segni visivi che consente al medico di individuare i rimedi più appropriati a seconda in particolare della loro localizzazione geografica: una determinata regione in cui si verifica una specifica malattia ospiterà la crescita delle piante più idonee a debellarla.

Ulteriori sviluppi
Dopo il XVI secolo, con l'emergere di un'impostazione sempre più materialistica nella filosofia della natura, la dottrina delle segnature conoscerà un progressivo declino, ad eccezione di voci isolate come quella di Jakob Boehme (1575–1624) che nel 1621 scrisse il trattato De Signatura Rerum, o di William Coles.
Agli inizi dell'Ottocento le segnature furono in parte riscoperte da Samuel Hahnemann, che tuttavia le mise in relazione con i sintomi delle malattie anziché con le forme fisiche del corpo umano, ponendo il criterio della similitudine a fondamento della sua nuova medicina detta perciò «omeopatica», essendo basata sulla legge di analogia tra potere tossico e potere curativo della stessa sostanza.
La dottrina delle segnature venne infine rivalutata nel Novecento da Edward Bach, scopritore degli omonimi fiori, che attraverso la chiaroveggenza abbinò i suoi trentotto rimedi floreali ad altrettante disarmonie della personalità umana, sulla base della somiglianza tra le caratteristiche morfologiche delle piante e gli stati d'animo squilibrati.

Esempi di segnature
Di seguito alcuni fra i numerosi esempi di segnature delle piante ricorrenti in erboristeria:
  • asplenio (Asplenium trichomanes), usato nei trattamenti della milza;
  • celidonia (Chelidonium majus), usata nel trattamento dell'ittero, a causa del colore del suo lattice;
  • dentaria (Cardamine bulbifera), così chiamata per lenire il mal di denti;
  • erba saetta (Sagittaria sagittifolia), così chiamata perché le sue foglie a forma di freccia si riteneva potessero applicarsi alle ferite di quest'arma;
  • fiordaliso (Centaurea cyanus), il cui colore azzurro veniva indicato per le affezioni degli occhi blu;
  • le epatiche, comprendenti le Marchantiophyta o l'erba trinità (Hepatica nobilis), usate per i problemi al fegato;
  • euphrasia, per i disturbi degli occhi;
  • polmonaria (Pulmonaria officinalis), usata nelle affezioni dei polmoni;
  • salvastrella o pimpinella (Sanguisorba officinalis), a cui erano attribuite proprietà emostatiche, per il suo colore rosso ritenuto capace di assorbire il sangue, da cui il suo nome;
  • stregona dei boschi (Stachys sylvatica), a cui sono attribuite qualità antisettiche;
  • ranuncolo favagello (Ranunculus ficaria), la cui radice rossa veniva utilizzata contro le malattie del sangue, emorroidi, vene ipertrofiche, e così via;
  • viperina azzurra (Echium vulgare), impiegata per curare i morsi di serpente, perché i suoi semi presentano una certa somiglianza con la testa di una vipera.
Nomenclatura
Le nomenclature adoperate per le segnature rivelavano in genere l'uso, o l'organo del corpo, a cui erano destinate.
Uno dei dibattiti in voga durante il Medioevo e il Rinascimento riguardava in particolare il rapporto tra linguaggio e realtà, ovvero se la parola sia semplicemente un segno arbitrario dell'ente a cui si riferisce, secondo la tradizione aristotelica, oppure se essa esprima e possieda l'essenza stessa dell'oggetto nominato, evocandone il potere, come sostenevano Plotino e i neoplatonici. In termini linguistici si trattava cioè della possibile divergenza, o viceversa dell'identificazione, tra il significato e il significante: nel pensiero magico e occulto una siffatta distinzione non esiste, essendo le parole ritenute equivalenti ai contenuti, potendo persino sostituirli.
Un nome in tal caso avrebbe efficacia da sé, ad esempio l'ematite, ritenuta in grado di fermare le emorragie, avrebbe sortito i suoi effetti semplicemente nominandola, per via della forza ispiratrice della sua radice etimologica.[9] La dottrina delle segnature poteva acquisire così, soprattutto in Paracelso, la possibilità di accedere non solo a un sistema di corrispondenze del simile col simile, ma di spingersi fino a una sorta di fusione cosmica: dove i logici vedevano semplicemente un nesso di analogia, i paracelsiani intuivano un principio di identità entro un gioco di rimandi dalle potenzialità infinite.
Le varie terminologie delle segnature usate all'incirca fino al XVIII secolo, quali «coda di volpe», «erba del diavolo», «zampa di allodola», «zoccolo di Venere», «barba di Giove», «dente di leone», ecc. furono infine rimpiazzate da una nomenclatura meno suggestiva e da una classificazione razionale di cui si avvertiva l'esigenza a seguito dell'arrivo in Europa di nuove specie di piante, erbe e semi, provenienti dalle moderne esplorazioni geografiche.
Il sistema di Linneo venne incontro a questa esigenza, fornendo non solo un dizionario, ma anche una grammatica della botanica, in grado di rendere conto di tutte le varietà conosciute e sconosciute, con due sole parole latine composte da meno di 12 lettere ciascuna, che evitando l'eccesso di consonanti risuonassero armoniose all'udito. Linneo raggiunse l'obiettivo di riuscire a dedurre da una foglia o da un frutto l'intero albero o la pianta corrispondente, sebbene basando una tale capacità non più sulle virtù della magia popolare, ma sulla logica di un'«algebra floreale». Il suo successo restò tuttavia limitato all'ambito di una natura intesa come un insieme di specie fisse: l'avvento del darwinismo l'avrebbe rimesso in discussione.





sabato 5 febbraio 2022

Amuleto





Per amuleto si intende un qualunque oggetto utilizzato per superstizione, credendolo un "difensore" da mali o pericoli o per propiziarsi la fortuna.

Caratteristiche

L'etimologia della parola è incerta. Potrebbe derivare dal latino a-molior (allontanare, tener lungi), o dal greco amulon, un "specie di focaccia" che si soleva offrire sugli altari o sulle tombe per rendersi propizi gli dei e gli spiriti dei trapassati. Sinonimo di "amuleto" è anche la parola talismano, che deriva dal persiano telsaman (o tilsaman), "figura magica" o "oroscopo", che gli arabi presero dal greco telesmena, "completo", nome dato alle statue delle divinità pagane consacrate con operazioni di teurgia nel Basso Impero, che furono considerate come malefiche (nel XVI secolo si indicarono "talismani" i sacerdoti idolatri e i musulmani).
Gli amuleti includono: gemme o semplici pietre, statue, monete, illustrazioni, pendenti, anelli, piante, animali, ecc.; anche frasi pronunciate in alcune occasioni: per esempio vade retro Satana (dal latino, "va indietro, Satana", "indietreggia, Satana"), per cacciare il diavolo o la cattiva sorte. I primi amuleti utilizzati dagli uomini primitivi - per lo più cacciatori - venivano ricavati da ossa, denti o corna di animali, e davano al possessore un senso di sicurezza e fiducia nel proprio destino.

Gli amuleti nel mondo

Gli amuleti variano considerevolmente a seconda del loro periodo storico e posto d'origine. Tuttavia, nei vari tipi di società, gli oggetti religiosi vengono comunemente utilizzati come amuleti, siano questi la figura di un dio o semplicemente alcuni simboli che rappresentano le divinità (quali la croce per i cristiani o "l'occhio di Horus" per gli antichi Egizi). In Thailandia si può vedere la gente comune con più di un Buddha che pende dal collo; in Bolivia e in alcune zone dell'Argentina il dio Ekeko fornisce una "protezione standard", offrendogli almeno una banconota per ottenere fortuna e benessere.
Ogni segno zodiacale ha una gemma corrispondente che funge da amuleto, ma queste pietre variano secondo le differenti tradizioni.
Un'antica tradizione cinese insegna a catturare un grillo vivo e tenerlo in una scatola di vimini per attirare la buona sorte (questa tradizione si estende anche alle Filippine). Sempre in Cina si possono spargere le monete sul pavimento per "attirare" il denaro; il riso, inoltre, ha una reputazione come elemento portante di buona fortuna.
Controversie possono nascere per quanto riguarda le tartarughe e il cactus: alcuni li considerano favorevoli, mentre altri ritengono che siano ostacoli all'interno della casa.
Sin dal Medioevo, nella cultura occidentale, il pentagramma, o "stella a cinque punte" (il numero 5 rappresenta l'uomo, il microcosmo) è stato considerato come talismano per attirare soldi o amore, per proteggere contro l'invidia, la sfortuna o altre disgrazie. Anche il pentacolo (dal greco Panta, che significa tutto, universale e Kleos che significa azione gloriosa) è conosciuto come un "potente" amuleto, utilizzato nelle invocazioni e negli scongiuri contro gli spiriti. Altri simboli, come i "quadrati magici" o i segni cabalistici, sono stati utilizzati sia come segni positivi che negativi.
Per quanto riguarda la tradizione ebraica, l'uso di amuleti è molto interessante: in molti musei esistono esempi di amuleti dell'era di Salomone. Un amuleto poco conosciuto, ma molto utilizzato nella tradizione ebraica, è il kimiyah o "testo dell'angelo". Si tratta dei nomi degli angeli, o alcune frasi della Torah, scritte su pergamene quadrate da scrivani rabbinici. La pergamena è custodita in un contenitore d'argento ed è portata direttamente sul corpo. È impressionante notare quanto siano simili le tradizioni riguardo agli amuleti, tra ebrei e buddisti.
In Africa e nei Caraibi, credenze religiose come Vudù, Umbanda, Quimbanda e Santería utilizzano spesso disegni come amuleti; queste religioni, inoltre, tengono conto del colore della fiamma delle candele, perché ogni colore caratterizza un effetto differente dell'attrazione o della repulsione. Un'altra forma popolare di amuleto che ha le sue origini nel vudù haitiano e nell'hoodoo louisianese è il sacchettino talismanico (gris-gris o mojo).
Profumi ed essenze (come incenso, mirra, ecc.) sono utilizzati allo scopo di attrarre o respingere.
Le leggende popolari hanno spesso attribuito "poteri magici" a insoliti oggetti, come la placenta o il piede del coniglio; il possesso di questi oggetti rafforzava le abilità magiche dei loro proprietari.
In Europa centrale la gente credeva che l'aglio o un crocifisso tenesse lontani i vampiri.
Gli antichi egizi avevano molti amuleti che utilizzavano per occasioni e necessità differenti; spesso rappresentavano figura di un dio o l'Ankh, una croce ansata che rappresentava il simbolo della vita eterna, e l'Udjat, l'occhio di Horus simbolo di rigenerazione. Anche la figura dello scarabeo, rappresentante il dio Khepri, è diventata un comune amuleto, e anche nel mondo occidentale ha trovato molti "sostenitori". Molto diffusi erano anche lo shen e il Nodo di Iside.
Per gli antichi scandinavi, anglosassoni e tedeschi (ma anche per alcuni credenti neopagani) il simbolo runico Eoh protegge dalla malvagità e dalla stregoneria; in alcuni paesi il rune non-alfabetico, che rappresenta il martello di Thor, offre protezione contro i ladri.
Dagli antichi Celti deriva la credenza che il trovare un trifoglio con quattro foglie, sia segno di buona fortuna. Anche i coralli e il ferro di cavallo sono considerati dei portafortuna.
In India, il suono di piccole campane mosse dal vento o appese sopra porte o finestre, fanno fuggire gli spiriti maligni.
In Giappone i templi shintoisti preparano piccoli sacchetti di stoffa colorata chiamati omamori, dedicati alla protezione di molti aspetti della vita (amore, denaro, studio, eccetera).
Oltre a questo, nella città di Takayama sono diffusi i sarubobo.
Il buddismo ha un'antica tradizione di talismani. Nel secondo secolo dopo Cristo, i Greci hanno cominciato ad intagliare le immagini reali del Buddha che venivano vendute ai nativi dell'India. Nel primo periodo del buddismo, poco dopo la morte del Buddha nel 485, erano di uso comune amuleti con simboli buddisti (ad esempio le orme del Buddha).
Un altro aspetto degli amuleti si collega con la demonologia e l'idolatria del demonio: l'uso del crocifisso capovolto o del pentacolo invertito sono necessari per mettersi in comunicazione con i demoni.
I cristiani copti usavano tatuaggi come amuleti protettivi; i Tuareg li usano ancora, così come gli aborigeni canadesi, che portano il totem del loro clan tatuato sul corpo. La maggior parte dei laici buddisti tailandesi sono tatuati con immagini sacre buddiste, e anche i monaci utilizzano questa pratica di protezione spirituale. L'unica regola, come per i talismani e gli amuleti ebrei, è che tali simboli possono essere applicati soltanto alla parte superiore del corpo, fra la parte inferiore del collo ed il girovita.

Apuleio

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Lucio Apuleio (Madaura, 125 – 170 circa) è stato uno scrittore, sacerdote, filosofo e mago romano di scuola platonica.
È noto in particolare per la composizione del romanzo Le metamorfosi (o Asino d'oro). Il prenome Lucio, come tradotto dai codici, risulta sospetto, a causa dell'omonimia con il protagonista-narratore di quest'opera.

Biografia

Nascita e formazione

Apuleio nacque intorno al 125 presso Madaura, un piccolo ma importante centro situato nella provincia romana della Numidia.
La sua famiglia, di etnia berbera, era benestante ed influente: il padre fu duumviro, la più alta magistratura municipale, e lasciò ai suoi due figli una consistente eredità di quasi due milioni di sesterzi; Apuleio consumerà la sua parte in viaggi. I primi studi grammaticali e retorici li segue a Cartagine. Qui Apuleio approfondisce poesia, geometria, musica, e soprattutto filosofia, i cui studi sono terminati successivamente ad Atene. S'interessa anche dei riti misterici: a Cartagine dei misteri di Esculapio, il corrispettivo romano del dio greco della medicina e della guarigione Asclepio, e ad Atene dei misteri eleusini.

Viaggi

(LA)
« utpote peregrinationis cupiens impedimentum matrimoni aliquantisper recusaueram »
(IT)
« bramoso com'ero di viaggiare, respinsi per qualche tempo l'impaccio del matrimonio »
(Lucio Apuleio, Apologia o Pro se de magia, LXXIII, 7)



Apuleio è un grande amante dei viaggi: brillante conferenziere e curioso d'ogni scienza, filosofia o culto, è a lungo una specie di clericus vagans del suo tempo. Alcune tappe del suo pellegrinaggio segnano particolarmente il suo vissuto e la sua sensibilità. Recatosi a Roma, è iniziato al culto di Osiride e di Iside e intraprende con successo la carriera dell'avvocato. Prosegue per l'Egitto, Samo (isola natale di Pitagora), Gerapoli e l'Oriente. Qui approfondisce la sua cultura filosofica e religiosa.

Il processo per magia

(LA)
« Aggredior enim iam ad ipsum crimen magiae »
(IT)
« Eccomi così arrivato all'accusa di magia »
(Lucio Apuleio, Apologia o Pro se de magia, XXV, 5)



Sulla via di Alessandria, Apuleio sosta a Oea (l'odierna Tripoli), dove si imbatte in un vecchio compagno di studi, Ponziano, che lo trattiene offrendogli ospitalità. La madre di Ponziano, Emilia Pudentilla è vedova, non bella, ma particolarmente benestante. Pudentilla vuole sposarsi con Apuleio, perché fidato amico e, in quanto filosofo, indifferente alla ricchezza. Apuleio, inizialmente ritroso, cede alle insistenze della donna e si uniscono in matrimonio. Dì lì a breve, Ponziano muore e i parenti di Pudentilla, per timore di perdere la ricca eredità, accusano Apuleio di aver sedotto la vedova con incantesimi e magie per estorcerle il lascito; vorrebbero accusarlo di aver ucciso Ponziano ma non hanno prove a sufficienza. Dunque rimane l'accusa di magia: viene accusato non di usare la magia sporadicamente ma di farne un uso costante e di esercitare la professione di mago (tale reato veniva punito con la pena capitale).
È avviato un processo a suo carico, che viene celebrato a Sabratha, in Tripolitania, di fronte al proconsole romano Claudio Massimo, si suppone tra la fine del 158 e gli inizi del 159. Questa bega legale espone Apuleio addirittura alla pena capitale, in osservanza della lex Cornelia de sicariis et veneficis emanata dal dittatore Silla nell'81 a.C. Anche grazie all'orazione difensiva, poi pubblicata col titolo di Apologia o Pro se de magia, Apuleio viene assolto, o almeno così si può dedurre dal tono trionfale nella stessa.

Gli ultimi anni

Per merito delle sue pubblicazioni, Apuleio riscuote grande fama di filosofo platonico. Ritornato a Cartagine, la sua gloria viene riconosciuta con la sua investitura a sacerdos provinciae ("sacerdote della provincia"), una carica di grande prestigio religioso e civile: gli è affidato il culto dell'imperatore e di Roma, ma anche funzioni di governo e di rappresentanza. Muore dopo il 170, anno a cui risalgono le ultime notizie a suo riguardo. Ma probabilmente le Metamorfosi contengono allusioni o riferimenti ad un rescritto di Marco Aurelio e Commodo del 177 e ciò sposterebbe la data di composizione dell'opera e quindi della morte dell'autore circa al 180.

Stile e linguaggio

Apuleio usa uno stile prosastico ibrido: da un lato è manieristico, imitazione dello stile dell'età repubblicana (da qui, l'uso di termini, che si rifanno alla poetica di Catullo), e di arcaismi; dall'altro è innovativo, ricorrendo a termini del dialetto latino africano e neologismi, ai quali si aggiunge l'uso di espressioni colloquiali e gergali.
Ne Le metamorfosi, si fa più marcata la distanza dal modello ciceroniano di concinnitas e l'avvicinamento ad una maggiore suggestività, realizzata attraverso la musicalità, il ritmo e le figure sonore.
Apuleio è, inoltre, seguace della Seconda sofistica (conosciuta anche come Nuova sofistica e Neosofistica), un movimento culturale sviluppatosi in Grecia tra il II secolo e il VI secolo che riprende l'uso della dialettica e della retorica sofistica, della forma; ma abbandonandone i temi filosofici ed etici, il contenuto. Apuleio si distingue, infatti, per la sua abilità retorica. Ne dà prova nelle sue conferenze, verbalizzate nei Florida, di quand'è viaggiatore, come nel discorso difensivo, rivisto e trascritto nell'Apologia, di quando è più maturo.

Rapporto tra magia e filosofia

Il II secolo, età in cui visse Apuleio, è segnato da una profonda crisi spirituale. Il cosmopolitismo si afferma nell'Impero romano e decade il valore della cittadinanza romana, che legava il civis romanus alla res publica. Questa tendenza centrifuga favorisce un conseguente riflusso nel privato, concentrando l'attenzione sulle problematiche e sugli affanni che più interessano l'individuo, come la paura della morte e della perdita dell'«io». Per trovar conforto da queste angosce, l'uomo del II secolo adotta un atteggiamento sempre più rivolto al misticismo, che interessa tutti i campi culturali.
All'interno di questo contesto, Apuleio aderì al medioplatonismo, che ben incorpora tutte le tendenze della sua epoca. Il medioplatonismo è una corrente filosofica sviluppatasi tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C., che riprende le dottrine non scritte di Platone. Esso, talvolta, si rivolge anche ad altre tradizioni di pensiero, come il pitagorismo e l'orfismo, che vertono su un forte misticismo in grado di spingersi oltre un'indagine puramente materiale della realtà.
La componente mistica è fondamentale nella visione medioplatonica: essa è la via di separazione dal proprio corpo che costringe l'anima come in una prigione, e della conseguente ascensione verso il divino. Apuleio dimostra la sua adesione a questa corrente filosofica in modi diversi. I primi riscontri si trovano nel trattato filosofico De deo Socratis, che espone la sua visione filosofica in relazione a quella socratica, quindi nella dottrina demonologica esposta da Apuleio. Allo stesso modo, manifestazione dell'affiliazione dell'autore col medioplatonismo è anche il suo forte interesse per la magia, i rituali e i culti misterici. Gran parte della sua formazione è sicuramente dedicata, infatti, ai misteri di Esculapio e ai misteri eleusini. La stessa vicenda di Lucio, il protagonista de Le metamorfosi, riconosciuta come fortemente autobiografica, conferma la sua dedizione alla magia.

Le opere

Apuleio scrisse moltissimo, in versi e in prosa, in greco e in latino ma molti dei suoi scritti sono andati perduti; quelli pervenuti sono Le metamorfosi e alcune opere minori.

Le metamorfosi

L'opera maggiore di Apuleio è certamente Le metamorfosi, unico romanzo in lingua latina risalente all'epoca romana pervenutoci integralmente. È diviso in 11 libri. L'opera è conosciuta anche col titolo L'asino d'oro, indicato da sant'Agostino in De civitate Dei XVIII, 18. La trama del romanzo presenta notevoli somiglianze con un'operetta greca Lucio o l'asino conservata tra quelle di Luciano di Samosata (il neosofista contemporaneo di Apuleio), le due opere probabilmente sono da ricondurre ad una fonte comune. Importante nelle Metamorfosi è il rapporto dell'autore con la tradizione della fabula Milesia. Apuleio fa spesso riferimento a tale genere letterario, fin dalle prime parole del proemio rivolte al lettore.

Opere minori

Apuleio è autore di diversi scritti di filosofia e retorica, di inferiore rilevanza letteraria rispetto a Le metamorfosi. Alcuni di questi non sono pervenuti all'età moderna.

Opere pervenute

Le opere pervenute all'età moderna sono filosofiche e retoriche.
Quelle di argomento filosofico:
  • De mundo, rifacimento d'ispirazione stoica dell'omonimo trattato pseudoaristotelico e risalenti al periodo della giovinezza.
  • De Platone et eius dogmate ("Su Platone e la sua dottrina"), sintesi della fisica e dell'etica di Platone. Si suppone dovesse esser seguita da una logica, probabilmente Perì ermeneias. Emergono le teorie misteriche ed iniziatiche proprie di Apuleio.
  • De deo Socratis ("Sul demone di Socrate"), trattato filosofico che esamina la teoria demonologica di Socrate e ne espone una propria in modo articolato. È influenzato dalle filosofie orientali: i demoni assumono forma angelica di intermediari tra gli dèi e gli uomini e presiedono a rivelazioni e presagi.
Quelle di argomento retorico:
  • Apologia o Pro se de magia liber, trascrizione del discorso difensivo, successivamente rielaborato e diviso in due libri, pronunciato al processo per magia del 158. Costituisce l'unica orazione giudiziaria di età imperiale a noi pervenuta. l'opera è suddivisa in due parti: nella prima parte Apuleio si dedica ad un excursus sulla magia affermando che per alcuni popoli il mago era considerato un sacerdote, mentre nella seconda parte ritorna sulla questione di Pudentilla e inizia la sua apologia spiegando la questione dal suo punto di vista. Per quanto riguarda lo stile, nell'opera si rintracciano tutte le tecniche compositive di Apuleio: folgorazioni, sospensioni, parallelismi, allitterazioni ed altre nuove espressioni. C'è un largo uso dell'ironia e altre tecniche oratorie di gusto neosofistico. Per quanto riguarda i contenuti, lo scritto è fortemente autobiografico, grande fonte, quindi, di informazioni riguardo alla vita dell'autore. Il carattere autobiografico è, tuttavia, romanzato: la figura dell'autore appare emblematica, quasi mitica. L'orazione è incentrata a marcare la differenza d'intenti tra filosofia e magia: riflessione, purificazione e innalzamento spirituale, la prima; danno alle altre persone, la seconda.
  • Florida ("Fiori vari", quindi florilegio, in cui si rintraccia l'etimologia di "antologia"), raccolta in 4 libri di 23 estratti di declamazioni epidittiche, discorsi tenuti durante i suoi pellegrinaggi, specialmente a Roma e Cartagine. Emerge una grande varietà di tematiche. Vi è, però, un maggior interesse per l'aspetto formale: Apuleio vuole ottenere il plauso del pubblico.

Opere pervenute parzialmente o non pervenute

Ad Apuleio sono ascritte diverse opere andate perdute. Queste interessavano diversi campi culturali: cultura generale (Quaestiones conviviales, De republica, De proverbiis, Epitome historiarum), scienza (De arboribus, De piscibus, De re rustica, Naturales quaestiones, De musica, De arithmetica) e letteratura (Ludicra, Hymni in Aesculapium e Carmina amatoria, di cui rimangono conservati solo due epigrammi in Apologia 9). A queste opere vanno aggiunte una traduzione del Fedone e de La Repubblica platoniche, la traduzione de L'arte aritmetica di Nicomaco di Gerasa e Hermagoras, ritenuto da molti un romanzo.

Pseudo Apuleio

Vi è, inoltre, in corpus di opere di discussa ascrivibilità (lo "Pseudo Apuleio"), che si sospettano non autentiche ma solo legate alla fama di Apuleio taumaturgo e guaritore.
Tra queste, il trattatello di logica Perì hermeneias, che forse doveva seguire il De Platone et eius dogmǎte, Physiognomonĭa, De remediis salutaribus e De herbarum virtutibus.

Fortuna

Apuleio godette di un'eccezionale fama già da vivo: sappiamo di due statue erettegli dai Cartaginesi e di altre anche altrove (ne parla lui stesso in Florida 16), e disponiamo della lapide del basamento di una statua a lui dedicata dai suoi concittadini di Madaura. L'Africa dell'ultimo paganesimo esaltò Apuleio per il profondo afflato religioso del libro X delle Metamorfosi e per le sue virtù di mago e taumaturgo, contrapponendo i suoi miracoli, e quelli di Apollonio di Tiana, ai miracoli di Cristo. All'inizio del V secolo Apuleio diventa bersaglio dell'apologetica cristiana. La voce meno ostile è quella dell'africano Agostino, che proprio a Madaura studia fino ai sedici anni (Confessiones). Agostino non mostra di credere ad Apuleio mago, né ai suoi miracoli (Epistulae 138), rispetta e combatte l'Apuleio filosofo neoplatonico e la sua teoria dei demoni, apprezza molto però lo scrittore e il retore e soprattutto battezza le Metamorfosi col titolo L'Asino d'oro, titolo con cui il romanzo è conosciuto nel Medioevo.
Per secoli di Apuleio si lessero solo le opere filosofiche, finché con l'Umanesimo l'interesse si spostò sulle Metamorfosi. Il vero riscopritore delle Metamorfosi è Boccaccio, che copia il romanzo già intorno al 1338. La prima traduzione in volgare del romanzo apuleiano fu del Boiardo nel Quattrocento, seguita dalla rielaborazione dei primi dieci libri dal Firenzuola col titolo di L'Asino d'oro (1525). Non solo in Italia, ma in tutta l'Europa le Metamorfosi si diffusero in ottime e numerosissime traduzioni, esercitando un influsso senza confronti per vastità, consistenza e continuità sulle singole narrative nazionali: oltre alla novellistica, da ricordare anche i romanzi picareschi e, in età romantica, quelli di magia e visionari.

venerdì 4 febbraio 2022

Aradia, o il Vangelo delle Streghe





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Aradia, o il Vangelo delle Streghe è un libro scritto nel 1899 da Charles Godfrey Leland. Il libro è un tentativo di descrivere le credenze e i rituali di una oscura tradizione religiosa stregonesca toscana che, afferma Leland, era sopravvissuta per secoli fino alla scoperta della sua esistenza nel decennio del 1890. Vari studiosi hanno contestato la veridicità di tale affermazione. In ogni caso il libro è diventato uno dei testi da cui almeno in parte hanno tratto ispirazione i movimenti neopagani della Wicca e della Stregheria.
Il testo ha una struttura mista. Parte di esso si propone come la traduzione inglese, per mano dell'autore, di un manoscritto originale italiano, il cosiddetto Vangelo. Leland riferisce di averlo ricevuto dalla sua principale fonte di informazioni sulle tradizioni della stregoneria italiana, una donna che lo scrittore chiama Maddalena. Il resto del materiale è il frutto delle ricerche di Leland sul folklore e sulle tradizioni italiane, tra cui altre informazioni fornite da Maddalena. Leland venne a conoscenza dell'esistenza del Vangelo nel 1886 ma Maddalena impiegò undici anni per procurargliene una copia. Dopo aver tradotto e sistemato il materiale occorsero altri due anni per la sua pubblicazione. I quindici capitoli descrivono le origini, le credenze, i rituali e gli incantesimi tradizionali della stregoneria pagana italiana. La figura centrale di quella religione è la Dea Aradia, venuta sulla terra per insegnare la pratica della stregoneria ai contadini perché si opponessero ai signori feudali e alla Chiesa Cattolica Romana.
L'opera di Leland restò poco conosciuta fino agli anni cinquanta, quando iniziarono a essere discusse anche varie altre teorie sulla sopravvivenza di rituali pagani. Aradia iniziò a essere valutato nel più ampio contesto di tali teorie e affermazioni. Gli studiosi sono divisi; alcuni valutano false le affermazioni di Leland sulle origini del manoscritto, mentre altri ne sostengono l'autenticità e lo considerano una documentazione unica sulle credenze popolari. Oltre ad aver attirato l'attenzione degli studiosi, Aradia iniziò a occupare un ruolo importante nella tradizione della Wicca gardneriana e dei suoi rami collaterali, sia perché fu usata come mezzo di prova della sopravvivenza in Europa della tradizione pagana, sia perché alcuni passaggi del primo capitolo del libro furono impiegati come ispirazione per scrivere alcuni testi di quella religione. A seguito del rinnovato interesse nei confronti del testo, questo è diventato di facile reperibilità grazie a numerose ristampe presso vari editori.

Le origini e le pubblicazioni

Charles Godfrey Leland era uno scrittore e studioso del folklore statunitense e trascorse vari anni a Firenze compiendo studi e ricerche sul folklore italiano. Aradia è uno dei frutti di tali ricerche. Anche se il nome a cui generalmente ci si riferisce quando si parla di Aradia è quello di Leland, il manoscritto che ne costituisce il corpo centrale viene attribuito alle ricerche di una donna italiana che Leland e la sua biografa, la nipote Elizabeth Robins Pennell, chiamano Maddalena. Secondo lo studioso del folklore Roma Lister, contemporaneo e amico di Leland, il vero nome di Maddalena era Margherita Taleni o Zaleni, e si trattava di una "strega" fiorentina che sosteneva di essere di discendenza etrusca e di conoscere gli antichi rituali.
Maddalena, nella corrispondenza con Leland, si firmava "Maddalena Talenti".
Leland dice di aver incontrato Maddalena nel 1886 e che per diversi anni essa divenne la sua principale fonte per quanto riguardava il folklore italiano. La descrive come un'appartenente a una tradizione magica che stava per scomparire; scrive che "grazie alla sua lunga pratica... aveva capito perfettamente quello che volevo e come riuscire a carpirlo da quelle come lei." Ricevette dalla donna diverse centinaia di pagine di materiale, che incluse nei suoi libri Etruscan Roman Remains in Popular Tradition, Legends of Florence Collected From the People e infine Aradia. Leland scrisse che aveva "capito che esisteva un manoscritto che fissava i principi della dottrina della stregoneria italiana" nel 1886 e aveva pregato Maddalena di trovarlo. Undici anni dopo, il 1º gennaio 1897, Leland ricevette una copia del Vangelo per posta. Il testo era scritto a mano da Maddalena e si convinse di essere entrato in possesso di un documento autentico dell'"Antica religione" delle streghe, spiegando però di non sapere se provenisse da fonti orali o scritte. La corrispondenza tra Maddalena e lo scrittore rivela che ella intendeva sposarsi ed emigrare negli Stati Uniti e che il Vangelo fu l'ultima cosa che Leland ricevette da lei.
La traduzione e rielaborazione di Leland fu completata all'inizio del 1897 e presentata a David Nutt per la pubblicazione. Trascorsero due anni, alla fine dei quali Leland scrisse a Nutt chiedendo la restituzione del manoscritto per poterlo presentare a un'altra casa editrice. La richiesta spinse Nutt ad accettare di pubblicare il libro, che uscì nel luglio 1899 con una piccola tiratura. Lo scrittore seguace della Wicca Raymond Buckland sostiene di essere stato il primo a ristampare il libro nel 1968 con la sua casa editrice "Buckland Museum of Witchcraft press", ma in realtà una ristampa britannica era stata fatta all'inizio degli anni sessanta dai due "Wiccens" Charles Cardell ("Rex Nemorensis") e Mary Cardell. Da allora il testo è stato ripetutamente dato alle stampe da diversi editori.
Solo negli anni ottanta -novanta del Novecento il libro venne tradotto dall'inglese in italiano in copie ciclostilate, circolanti tra gli appassionati, per infine venire pubblicato per la prima volta anche nel nostro paese.

Contenuto

Leland scrive che, dopo undici anni di ricerche, non fu sorpreso dai contenuti del Vangelo. Era abbastanza precisamente quanto si aspettava, eccetto il fatto che non pensava includesse dei passaggi in "prosa-poesia". Nell'appendice Leland commenta "Credo anche che in questo Vangelo delle streghe ci sia un credibile abbozzo perlomeno della dottrina e dei riti osservati durante i sabba. Adoravano divinità proibite e praticavano riti vietati, ispirati tanto a una forma di ribellione contro la società quanto alle loro passioni personali".
Il risultato finale del lavoro di Leland fu un volume di piccole dimensioni. Organizzò il materiale in quindici capitoli, aggiungendo una breve prefazione e un'appendice finale. La versione pubblicata include anche delle note e, in vari passi, anche il testo italiano originale che aveva tradotto. La maggior parte del testo di Aradia si compone di incantesimi, benedizioni e formule rituali, ma comprende anche racconti e miti che suggeriscono vi sia un'influenza sia dell'antica mitologia romana che del cattolicesimo. Tra i protagonisti dei miti vi sono Diana, una divinità solare chiamata Lucifero, il Caino della Bibbia, una divinità lunare e la figura messianica di Aradia. La stregoneria del "Vangelo delle streghe" è sia un formulario per lanciare incantesimi che il testo di una sorta di "contro-religione" anti-gerarchica in opposizione alla Chiesa Cattolica.

Tematiche

Interi capitoli di Aradia sono dedicati a rituali e formule magiche. Tra questi incantesimi per ottenere l'amore (Capitolo VI), una scongiurazione da recitare quando si trova una pietra bucata o una pietra rotonda per trasformarla in un amuleto per ottenere il favore di Diana (Capitolo IV), e il modo per consacrare farina e altri alimenti per una festa rituale in onore di Diana, Aradia e Caino (Capitolo II). La parte narrativa occupa la minoranza del testo e si compone di brevi racconti e leggende sulla nascita della religione delle streghe e sulle gesta dei loro dei. Leland riassume questi miti nell'appendice, scrivendo "Diana è la Regina delle Streghe; è associata a Erodiade (Aradia) nelle sue relazioni con la stregoneria; generò un figlio da suo fratello il Sole (Lucifero); come divinità lunare è in qualche modo associata a Caino, che è prigioniero sulla luna. Le streghe di un tempo erano persone oppresse dal regime feudale che tentavano di vendicarsi in ogni modo e che facevano orge in onore di Diana che la Chiesa definiva come l'eredità di Satana". Diana non è l'unica dea delle streghe ma nel capitolo III è presentata come una divinità creatrice che si divide tra luce e oscurità. Dopo aver generato Lucifero, Diana lo seduce assumendo la forma di un gatto, e finendo poi per generare Aradia, la loro figlia. Diana dimostra la potenza delle sue arti magiche creando "i cieli, le stelle e la pioggia" e diventando la "Regina delle Streghe".
Il capitolo I presenta le prime streghe come schiave che sono sfuggite ai propri padroni che iniziano delle nuove vite come "ladre e persone malvagie". Diana manda loro sua figlia Aradia per insegnare a queste ex schiave la stregoneria, della quale possono usare la potenza per "distruggere la malvagia stirpe degli oppressori". Le allieve di Aradia diventano così le prime streghe e perpetueranno quindi l'eredità di Diana. Leland fu colpito da questa cosmogonia: "in tutte le altre Scritture di tutti i popoli è l'uomo... a creare l'universo; Nella società delle streghe è la femmina a rappresentare il principio fondamentale".

La struttura

Aradia è composto di quindici capitoli, i primi dieci dei quali sono presentati come la traduzione di Leland del Vangelo manoscritto datogli da Maddalena. La sezione, composta principalmente da incantesimi e rituali, è anche la fonte della maggior parte dei miti e dei racconti contenuti nel testo. Alla fine del capitolo I c'è il passo in cui Aradia istruisce le sue seguaci su come praticare la stregoneria.
I primi dieci capitoli non sono solo la diretta traduzione del Vangelo; Leland fornisce anche i suoi commenti e annotazioni su alcuni passaggi, mentre il capitolo VII è composto da altro materiale relativo al folklore italiano raccolto da Leland. Il medievalista Robert Mathiesen sostiene polemicamente che in realtà il manoscritto costituisca una parte minore dell'Aradia, dicendo che solo i capitoli I, II e la prima metà del IV corrispondano alla descrizione del manoscritto fatta da Leland, e suggerendo che il resto del materiale provenga da testi diversi raccolti da Leland tramite Maddalena.
I rimanenti cinque capitoli contengono in tutta evidenza altro materiale che Leland credeva avesse una certa attinenza con il Vangelo, acquisito durante la sua ricerca sulla stregoneria italiana, in particolare mentre stava lavorando a Etruscan Roman Remains e Legends of Florence. I temi affrontati in questi capitoli aggiuntivi si differenziano sotto vari profili dai primi dieci, e Leland li include in parte per "confermare il fatto che l'eredità di Diana coesistette per un lungo periodo con la Cristianità".
Il capitolo XV, ad esempio, presenta un incantesimo per evocare Laverna per mezzo dell'utilizzo di un mazzo di carte da gioco. Leland motiva la sua inclusione notando che Diana, come è ritratta nell'Aradia, viene adorata dai fuorilegge e Laverna era le dea romana dei ladri.
In diversi punti Leland lascia il testo italiano che stava traducendo. Secondo Mario Pazzaglini, autore della traduzione del 1999, il testo italiano presenta lettere o parole mancanti ed errori grammaticali ed è scritto in italiano standard invece che nel dialetto locale che sarebbe lecito aspettarsi. Pazzaglini conclude che l'Aradia rappresenta del materiale tradotto in italiano dal dialetto e quindi nuovamente tradotto in inglese, creando così un'accumulazione di testi, alcuni dei quali riportati in modo errato. Leland stesso definì il testo "una raccolta di cerimoniali, incantesimi e testi tradizionali", descrivendo il proprio lavoro come un tentativo di raccogliere materiale "di curiosi e interessanti resti della tradizione orale latina ed etrusca" che temeva sarebbero andati perduti. Non esiste alcuna continuità o coesione narrativa neppure nelle parti che Leland attribuisce al Vangelo. Tale mancanza di coesione, questa "inconsistenza" secondo lo studioso delle religioni Chas S. Clifton è un argomento a sostegno dell'autenticità del testo, dal momento che non mostra di essere stato in alcun modo "aggiustato... per i futuri acquirenti del libro".

Controversie sul testo

Lo scritto di Leland afferma senza alcun dubbio che "Le streghe costituiscono tuttora una frammentata società segreta o setta, che definiscono i seguaci dell'Antica Religione, e che in Romagna ci sono interi paesi in cui tutti gli abitanti sono pagani". Partendo da tale convinzione Leland ipotizzò che "L'esistenza di una religione presuppone la presenza di una Scrittura, e in questo caso si potrebbe ammettere, quasi senza doverlo neppure verificare, che il Vangelo delle Streghe è un'opera davvero antica... con ogni probabilità la traduzione di un qualche testo di epoca latina più o meno tarda."
Le affermazioni di Leland sulla genuinità del manoscritto, o addirittura il fatto stesso che lo abbia effettivamente ricevuto, sono state poste in discussione. Dopo la pubblicazione avvenuta nel 1921 di The Witch-cult in Western Europe di Margaret Murray, che ipotizzava che la caccia alle streghe fosse in realtà stata una persecuzione diretta contro una forma sopravvissuta di religione pagana, nel 1929 il libro della statunitense Theda Kenyon Witches Still Live mise in connessione le tesi della Murray con la religione delle streghe di Aradia. Le argomentazioni portate contro la Murray finirono per comprendere anche argomentazioni che si dirigevano contro Leland. lo studioso della stregoneria Jeffrey Burton Russell dedicò parte del suo libro, pubblicato nel 1980, A History of Witchcraft: Sorcerers, Heretics and Pagans alla confutazione di quanto scritto in Aradia, delle tesi della Murray e de La Sorcière di Jules Michelet (1862), altro testo che teorizzava che la stregoneria fosse in realtà una religione sommersa. A Razor for a Goat dello storico Elliot Rose liquidò Aradia come una raccolta di incantesimi che tentavano senza riuscirci di descrivere una religione. Nel suo Triumph of the Moon lo storico Ronald Hutton riassume la disputa sostenendo che potrebbe avere tre possibili soluzioni:
  1. Il manoscritto del vangelo è il testo autentico di una religione mai fino ad allora scoperta altrimenti.
  2. Maddalena scrisse il testo, con o senza l'aiuto di Leland, prendendo spunto dalla propria esperienza e conoscenza del folklore e della stregoneria.
  3. Il documento è stato interamente scritto da Leland.
Hutton è scettico, non solo riguardo all'esistenza della religione che Aradia sostiene di descrivere, ma anche sull'esistenza di Maddalena, e suggerisce che è più probabile che Leland abbia scritto tutta la storia da solo piuttosto che si sia fatto gabbare così facilmente da una fattucchiera italiana.
Clifton si distacca dalla posizione di Hutton, scrivendo che equivale a un'accusa di "grave truffa letteraria" portata con un argumentum ad ignorantiam perché una delle principali obiezioni di Hutton è che Aradia è diverso da qualsiasi altro testo finora ritrovato della letteratura medievale
Anche Mathiesen rifiuta la terza ipotesi, sostenendo che mentre i brani del libro scritti in inglese erano stati profondamente revisionati durante il processo di scrittura, le parti in italiano, al contrario, quasi non erano state toccate, tranne piccoli ritocchi "esattamente del tipo che avrebbe fatto un correttore di bozze confrontando la propria copia con l'originale". Quest'osservazione porta Mathisen a concludere che Leland stava lavorando su un ancora esistente originale italiano che descrive come "autentico ma non rappresentativo" di una tradizione popolare più vasta. L'antropologa Sabina Magliocco prende in considerazione la prima opzione, ovvero che il manoscritto di Leland descriva una tradizione popolare che fa riferimento a Diana e al culto di Erodiade nel suo articolo Who Was Aradia? The History and Development of a Legend. La Magliocco scrive che Aradia "potrebbe rappresentare la versione del XIX secolo della leggenda dei culti di Erodiade, che incorpora materiali di epoca più tarda, influenzati dal satanismo medievale: la presenza di "Lucifero", il diavolo cristiano, la pratica della magia, le danze eseguite nudi sotto la luna piena".

L'influenza sulla Wicca e sulla Stregheria

La Magliocco definisce Aradia "il primo vero testo della rinascita della stregoneria nel XX secolo" e il libro è in effetti ripetutamente citato come estremamente importante per lo sviluppo del culto Wicca.
Il testo apparentemente conforta la tesi di Margaret Murray che la stregoneria della prima epoca moderna e del Rinascimento rappresenti le usanze sopravvissute di antiche credenze pagane; dopo la pretesa di Gerald Gardner di aver incontrato seguaci della religione delle streghe nell'Inghilterra del XX secolo le opere di Michelet, della Murray e di Leland furono d'aiuto per sostenere perlomeno la possibilità che un simile culto possa essere davvero sopravvissuto.
L'Incarico della Dea, un'importante forma di liturgia usata nei rituali della Wicca, è ispirata al discorso di Aradia presente nel primo capitolo del libro. Parti del discorso comparvero in una delle prime versioni del rituale della Wicca gardneriana. Secondo Doreen Valiente, una delle sacerdotesse del culto gardneriano, Gardner rimase sorpreso del fatto che la Valiente stessa si fosse accorta che il materiale proveniva dal libro di Leland. La Valiente quindi decise di riscrivere il passaggio sia in prosa che in versi, mantenendo comunque la metrica tradizionale di Aradia. Alcune tradizioni Wicca si servono del nome "Aradia", o Diana, per riferirsi alla dea o alla Regina delle Streghe, e Hutton scrive che i primi rituali gardneriani usavano il nome "Airdia", una deformazione di Aradia. Hutton inoltre suggerisce che la ragione per cui la Wicca comprende pratiche di nudità rituale sia uno dei versi presenti in Aradia:
"Sarete liberi della schiavitù!
E così diverrete tutti liberi!
Però uomini e donne
Sarete tutti nudi, per fino.
Che non sarà morto l'ultimo
Degli oppressori e morto..."
Accettando Aradia come l'origine di tale pratica, Robert Chartowich mette in evidenza la traduzione del 1998 di Pazzaglini, argomentando che la nudità rituale nella Wicca derivi dalla cattiva traduzione di queste righe da parte di Leland, che aveva aggiunto la formula "In your rites" (It. Nei vostri riti) in realtà assente.
Esistono peraltro accenni di epoca precedente alla nudità rituale tra le streghe italiane. La storica Ruth Martin afferma che era pratica comune restare "nude con i capelli sciolti sulle spalle" mentre recitavano gli incantesimi. Jeffrey Burton Russell osserva che "Una donna chiamata Marta venne torturata a Firenze verso il 1375; era accusata di aver disposto delle candele intorno a un piatto, di essersi tolta i vestiti e di essere rimasta nuda di fronte al piatto facendo dei gesti magici". Lo storico Franco Mormando così parla di una strega italiana:"Ed ecco che durante le prime ore della notte, questa donna apre la porta che dà sull'orto, esce completamente nuda con i capelli sciolti e inizia a fare gesti magici e recitare incantesimi..."
Aradia non è stata accolto dalla comunità neopagana solo in termini positivi. Clifton sostiene che testi moderni che pretendono di svelare la tradizione stregonesca pagana italiana, ad esempio quelli di Leo Martello e Raven Grimassi, devono essere messi in contrapposizione e confrontati con quanto c'è scritto in Aradia. Inoltre afferma che il cattivo rapporto con Aradia possa essere dovuto a una certa "insicurezza" tra i neopagani riguardo alla pretesa del movimento di interpretare un'autentica religione riemersa dal passato.
La Valiente dà un'altra spiegazione per la reazione negativa di alcuni neopagani nei confronti del testo, ovvero che l'identificazione di Lucifero come Dio delle Streghe presente in Aradia sia una cosa troppo "difficile da digerire" per seguaci della Wicca abituati al paganesimo romantico e moderato di Gardner, e molto determinati a negare qualsiasi relazione tra la stregoneria e il satanismo.
Clifton scrive che Aradia influenzò soprattutto i capi del movimento wiccan degli anni cinquanta e sessanta, ma che al giorno d'oggi il libro non compare più nella lista delle letture consigliate dagli adepti ai neofiti, né viene particolarmente citato nelle opere neopagane di più recente realizzazione. La nuova traduzione inglese del libro del 1988 ha un'introduzione scritta dallo scrittore wiccano Stewart Farrar, che sostiene l'importanza di Aradia scrivendo che "L'abile ricerca di Leland su una tradizione morente ha dato un importante contributo a una che vive ed è in crescita."

giovedì 3 febbraio 2022

Bacchetta magica

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La bacchetta magica è un bastoncino, diritto e sottile, di legno, metallo o altro materiale, approssimativamente lungo 30 cm (1 piede), e con una circonferenza di 25 mm (1 pollice) circa.
Esistono tre tipi di bacchetta magica:
  • la bacchetta magica vera e propria
  • il bastone
  • lo scettro o verga
che hanno lo stesso utilizzo.



 
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