La dottrina delle
segnature (dal latino signatura,
cioè «firma») è un'antica forma di conoscenza che studia
l'aspetto, o appunto il «segno», con cui ogni elemento naturale di
origine animale, vegetale o minerale si presenta, svelando per
analogia la sua funzione terapeutica delle parti del corpo umano più
simili ad esso.
Sviluppata da medici, botanici e
alchimisti durante il Medioevo e il Rinascimento, tale dottrina si
basava sulla corrispondenza ermetico-filosofica tra macrocosmo e
microcosmo, ravvisando un rapporto di simpatia ovvero di affinità
tra il mondo e l'essere umano, per cui ad esempio una noce ha una
relazione occulta col cervello per via della loro somiglianza, o la
forma di un fagiolo con quella dei reni.
Lo studio, applicato soprattutto alle
piante medicinali, si estendeva ai nessi tra sagome, colori, odori,
posizioni, tempi di manifestazione, caratteri, esiti patologici, temi
astrali, temperamenti umorali, e diverse altre qualità, ritenute
socciacenti a un comune archetipo spirituale.
Sin dai tempi antichi, l'uso delle
piante medicinali faceva parte di quel complesso di conoscenze
magico-religiose, diffuse in Egitto, Medio Oriente, India, Cina, che
concepivano il cosmo come un organismo vivente, le cui parti,
astrale, minerale, vegetale, animale, risultavano connesse da
fenomeni di «simpatia» universale (dal greco syn-patheia, «sentire
insieme»).
Il mondo greco riprese queste dottrine,
sia nella riflessione teorica di Platone e Aristotele, sia nella
pratica medica di Ippocrate e Galeno. Il termine greco pharmakon
(«rimedio») è stato associato in proposito all'egiziano phrt nt
hk, così come lo stesso egiziano kmt («nero») avrebbe dato luogo
al greco khemia («magia nera»), e attraverso questo all'arabo
al-kimiya («alchimia»).
Un altro fra i più autorevoli medici e
botanici greci fu Dioscoride, autore di un trattato, De materia
medica, che ricollega l'origine dei farmaci alla storia della
creazione del cosmo, offrendo una teoria completa per la quale ad
esempio i profumi discendono dall'età dell'Oro, e i minerali da
quella del Ferro. I primi, associati al caldo, venivano prescritti
per il trattamento dell'umidità in eccesso come nei disturbi
ginecologici, i secondi, associati al freddo, per contrastare gli
eccessi di calore come le infiammazioni della pelle. Le varie
sostanze, dagli effetti ora terapeutici ora velenosi a seconda del
principio contraria contrariis curantur, furono da lui in tal modo
organizzate in base alla loro somiglianza con i sintomi del corpo
umano.
In ambito romano anche Plinio il
Vecchio accennò alla dottrina delle segnature, pur senza enunciarla,
nella sua Naturalis historia.
Nella tarda antichità una nuova
tradizione alchemica si sviluppò nel contesto filosofico del
neoplatonismo e dell'ermetismo, attingendo alle dottrine orientali
delle religioni rivelate, come la kabbalah, il misticismo cristiano,
l'alchimia islamica, prendendo coscienza come «la divina Provvidenza
avesse stabilito per l'uomo di venire sopraffatto dalle malattie, ma
allo stesso tempo che si dedicasse a coltivare le piante appropriate
per curare tutti i suoi mali».
I botanici medievali rielaborarono la
dottrina delle segnature a partire dagli insegnamenti di Dioscoride e
Galeno, sostenendo che le erbe somiglianti a certe parti del corpo
potessero trattare i disturbi di quelle stesse parti.
La medicina del tempo si mosse in
particolare in due direzioni: una, su base astrologica, cercava di
individuare le piante più idonee alla cura con l'ausilio delle
stelle, l'altra mirava a definire le loro proprietà terapeutiche a
seconda della forma delle foglie, del colore, delle appendici, dei
succhi, e così via.
Pur occupandosene in maniera
preponderante, lo studio delle «segnature» non si limitava alle
piante medicinali, catalogandole negli erbari, ma poteva estendersi a
tutti i contesti naturali di interesse enciclopedico, anche a
bestiari e lapidari in cui rispettivamente venivano descritte le
virtù di animali e minerali.
Secondo il pensiero medievale, infatti,
tutto nel creato reca un'impronta, una «firma» incisa da Dio che ne
è l'autore, acquisendo significato alla luce della cosmogonia
rappresentata nella Genesi. Ogni dato assurge a simbolo, ogni essere
dell'universo, fatto secondo la dottrina cristiana per servire
l'uomo, ha un valore intrinseco portando scritta su di sé la propria
funzione spirituale risanante: la sua sola esistenza dimostra quello
che è, e quale sia il suo scopo, da decifrare con la semplice
osservazione scevra da pregiudizi.
La dottrina delle segnature fu ripresa
ed esplicitamente teorizzata nel Rinascimento da autori come Cornelio
Agrippa (1486–1535), Otto Brunfels (1488-1534), Leonhart Fuchs
(1501-1566), Nicholas Culpeper (1616-1654), e in particolare Oswald
Croll (1560-1609) con il suo Tractatus de signaturis.
La figura dominante di questo periodo
rimane comunque quella di Paracelso (1493-1541), profondamente
cristiano, ma anche erudito in tradizioni alchemiche, pensiero greco
e mitologia germanica. Opponendosi alla logica di Aristotele e alla
medicina di Galeno, che intese rifondare su basi chimiche sviluppando
la cosiddetta «iatrochimica», egli sostenne espressamente la
dottrina delle segnature, affermando come «tutto ciò che la natura
dà alla luce, si forma secondo l'essenza della virtù inerente ad
essa».
L'aspetto esteriore è quindi
l'espressione perfetta e inseparabile di una funzione interiore. Le
piante di lattice ad esempio sono tali in quanto aumentano il latte
nelle donne o il potere seminale negli uomini; le piante carnose o
crassulanti, specie se cresciute in ambienti aridi o rocciosi, hanno
la capacità di rimettere in carne gli emaciati; le piante con foglie
a forma di cuore, polmone o fegato curano le malattie corrispondenti
a questi organi, e così via.
Secondo Paracelso, questo potere delle
piante risiede in un'essenza vitale che egli chiama «Archeo» o
arcano, forza spirituale da intendere come il respiro di Dio o anche
«quintessenza», letteralmente ciò che si ottiene dopo una
distillazione o una sublimazione ripetute cinque volte; le forme
secche delle piante invece rappresentavano per lui soltanto la
materia inerte.
Poiché la malattia per Paracelso è il
risultato di una forza maligna che attacca dall'esterno gli Archei di
un organo, il trattamento mirerà a ripristinare l'essenza malata con
la somministrazione di un arcano della stessa tipologia di quello
colpito. A differenza del principio contraria contrariis curantur («i
contrari vengono curati con i contrari») la guarigione paracelsiana
avviene per effetto di un'azione simile al morbo: similia similibus
curantur («i simili si curino coi simili»). Un male causato da un
veleno deve essere trattato cioè da un veleno affine, convertito in
medicamento tramite preparazioni alchemiche: la differenza tra
rimedio e veleno risiede unicamente nella preparazione e nel
dosaggio. In tal modo egli fece da precursore della moderna
omeopatia, affermando:
«Nessuna malattia può guarire per contrapposizione, ma solo
grazie al suo simile.» |
(Paracelso) |
Alla fine del Cinquecento la dottrina
delle segnature raggiunse infine la sua massima formulazione con la
Fitognomica di Giovambattista Della Porta (1535–1615), autore di
una sorta di «fisiognomica» delle piante, da lui messe in parallelo
con le caratteristiche del corpo umano, e le cui fenomenologie sono
chiavi indicative o «firme» delle loro proprietà medicamentose. In
questa sua opera del 1588 (Phytognomonica) Della Porta indagò a
lungo la vasta rete di corrispondenze segrete e simpatie occulte che
intrecciano il mondo, e collegano non solo piante e uomini, ma anche
minerali, animali, uomini, luoghi, stagioni, astri.
Gli elementi del regno vegetale
compongono per Della Porta un sistema di segni visivi che consente al
medico di individuare i rimedi più appropriati a seconda in
particolare della loro localizzazione geografica: una determinata
regione in cui si verifica una specifica malattia ospiterà la
crescita delle piante più idonee a debellarla.
Dopo il XVI secolo, con l'emergere di
un'impostazione sempre più materialistica nella filosofia della
natura, la dottrina delle segnature conoscerà un progressivo
declino, ad eccezione di voci isolate come quella di Jakob Boehme
(1575–1624) che nel 1621 scrisse il trattato De Signatura Rerum, o
di William Coles.
Agli inizi dell'Ottocento le segnature
furono in parte riscoperte da Samuel Hahnemann, che tuttavia le mise
in relazione con i sintomi delle malattie anziché con le forme
fisiche del corpo umano, ponendo il criterio della similitudine a
fondamento della sua nuova medicina detta perciò «omeopatica»,
essendo basata sulla legge di analogia tra potere tossico e potere
curativo della stessa sostanza.
La dottrina delle segnature venne
infine rivalutata nel Novecento da Edward Bach, scopritore degli
omonimi fiori, che attraverso la chiaroveggenza abbinò i suoi
trentotto rimedi floreali ad altrettante disarmonie della personalità
umana, sulla base della somiglianza tra le caratteristiche
morfologiche delle piante e gli stati d'animo squilibrati.
Di seguito alcuni fra i numerosi esempi
di segnature delle piante ricorrenti in erboristeria:
- asplenio (Asplenium trichomanes), usato nei trattamenti della milza;
- celidonia (Chelidonium majus), usata nel trattamento dell'ittero, a causa del colore del suo lattice;
- dentaria (Cardamine bulbifera), così chiamata per lenire il mal di denti;
- erba saetta (Sagittaria sagittifolia), così chiamata perché le sue foglie a forma di freccia si riteneva potessero applicarsi alle ferite di quest'arma;
- fiordaliso (Centaurea cyanus), il cui colore azzurro veniva indicato per le affezioni degli occhi blu;
- le epatiche, comprendenti le Marchantiophyta o l'erba trinità (Hepatica nobilis), usate per i problemi al fegato;
- euphrasia, per i disturbi degli occhi;
- polmonaria (Pulmonaria officinalis), usata nelle affezioni dei polmoni;
- salvastrella o pimpinella (Sanguisorba officinalis), a cui erano attribuite proprietà emostatiche, per il suo colore rosso ritenuto capace di assorbire il sangue, da cui il suo nome;
- stregona dei boschi (Stachys sylvatica), a cui sono attribuite qualità antisettiche;
- ranuncolo favagello (Ranunculus ficaria), la cui radice rossa veniva utilizzata contro le malattie del sangue, emorroidi, vene ipertrofiche, e così via;
- viperina azzurra (Echium vulgare), impiegata per curare i morsi di serpente, perché i suoi semi presentano una certa somiglianza con la testa di una vipera.
Le nomenclature adoperate per le
segnature rivelavano in genere l'uso, o l'organo del corpo, a cui
erano destinate.
Uno dei dibattiti in voga durante il
Medioevo e il Rinascimento riguardava in particolare il rapporto tra
linguaggio e realtà, ovvero se la parola sia semplicemente un segno
arbitrario dell'ente a cui si riferisce, secondo la tradizione
aristotelica, oppure se essa esprima e possieda l'essenza stessa
dell'oggetto nominato, evocandone il potere, come sostenevano Plotino
e i neoplatonici. In termini linguistici si trattava cioè della
possibile divergenza, o viceversa dell'identificazione, tra il
significato e il significante: nel pensiero magico e occulto una
siffatta distinzione non esiste, essendo le parole ritenute
equivalenti ai contenuti, potendo persino sostituirli.
Un
nome in tal caso avrebbe efficacia da sé, ad esempio l'ematite,
ritenuta in grado di fermare le emorragie, avrebbe sortito i suoi
effetti semplicemente nominandola, per via della forza ispiratrice
della sua radice etimologica.[9] La dottrina delle segnature poteva
acquisire così, soprattutto in Paracelso, la possibilità di
accedere non solo a un sistema di corrispondenze del simile col
simile, ma di spingersi fino a una sorta di fusione cosmica: dove i
logici vedevano semplicemente un nesso di analogia, i paracelsiani
intuivano un principio di identità entro un gioco di rimandi dalle
potenzialità infinite.
Le varie terminologie delle segnature
usate all'incirca fino al XVIII secolo, quali «coda di volpe»,
«erba del diavolo», «zampa di allodola», «zoccolo di Venere»,
«barba di Giove», «dente di leone», ecc. furono infine
rimpiazzate da una nomenclatura meno suggestiva e da una
classificazione razionale di cui si avvertiva l'esigenza a seguito
dell'arrivo in Europa di nuove specie di piante, erbe e semi,
provenienti dalle moderne esplorazioni geografiche.
Il sistema di Linneo venne incontro a
questa esigenza, fornendo non solo un dizionario, ma anche una
grammatica della botanica, in grado di rendere conto di tutte le
varietà conosciute e sconosciute, con due sole parole latine
composte da meno di 12 lettere ciascuna, che evitando l'eccesso di
consonanti risuonassero armoniose all'udito. Linneo raggiunse
l'obiettivo di riuscire a dedurre da una foglia o da un frutto
l'intero albero o la pianta corrispondente, sebbene basando una tale
capacità non più sulle virtù della magia popolare, ma sulla logica
di un'«algebra floreale». Il suo successo restò tuttavia limitato
all'ambito di una natura intesa come un insieme di specie fisse:
l'avvento del darwinismo l'avrebbe rimesso in discussione.
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