Il documentario di Elisa Fuksas 'ALBE —
A Life Beyond Earth' ci accompagna nella periferia di Roma tra chi
spera negli alieni e in una vera e propria redenzione.
Parecchi anni fa (rubando la battuta di
un film), chiedevo a chiunque incontrassi se, trovandosi nel finale
del cult di fantascienza Incontri
ravvicinati del terzo tipo, sarebbe o meno salito sulla
navicella aliena. In base alla risposta, giudicavo se quella certa
persona fosse curiosa dell’ignoto come me, o no.
Il significato che leghiamo a un’entità
extraterrestre non è, però, sempre quello di avventura e
accoglienza che racconta Incontri ravvicinati del terzo tipo.
Anzi: negli ultimi anni, per un nutrito gruppo di persone,
gli alieni sono piuttosto oggetto
di una sorta di cultismo religioso
più o meno intenso —
rappresentano, in altre parole, la specie evoluta “promessa” che
verrà a salvarci dai guai e redimerci dalle nostre esistenze.
La necessità di sentire di appartenere
a qualcosa di superiore è ciò che lega i protagonisti di
ALBE — A Life Beyond Earth, documentario diretto da
Elisa Fuksas e co-prodotto da Tommaso Fagioli che sarà presentato in
anteprima a Roma, Milano e Firenze a partire da oggi.
In ALBE, un gruppo di persone dall’età
e dal vissuto personale disparati si ritrova nella periferia di Roma
per osservare il cielo, per fare sedute spiritiche in cerca di un
contatto, per condividere le esperienze inesplicabili che sentono di
aver vissuto.
Il documentario ritrae le vite reali
dei suoi personaggi come una favola surreale — tra eteree immagini
di periferia romana e video-diari girati con lo smartphone. La
narrazione principale è alternata da brevi momenti di confronto
della regista stessa con un prete, con l’astronauta Chris Hadfield
e con l’astrofisica Amalia Ercoli-Finzi, che offrono un contraltare
significativo: il senso di estasi dell’astronauta nello spazio e
l’entusiasmo dell’astrofisica nell’elencare le ragioni per cui
non è possibile escludere l’esistenza di vita extraterrestre si
tramutano in una fede cieca nei protagonisti del film — per cui
l’alieno non è più una domanda, ma una risposta assoluta. E, come
ha spiegato la regista in un’intervista l’anno scorso, questa
risposta ha anche implicazioni politiche impossibili da ignorare.
Guardando ALBE è inevitabile
chiedersi: come siamo arrivati a far coincidere la mitologia degli
alieni con quella della salvazione? Quand’è che abbiamo smesso di
avere paura degli alieni e iniziato, piuttosto, a desiderare di
essere conquistati?
La risposta è ovviamente complessa e
ha, probabilmente, una radice (comune a tante delle teorie del
complotto contemporanee) nella morte delle grandi ideologie
religiose, politiche e sociali, culminata con la fine degli anni
Settanta. Abbiamo bisogno di qualcosa in cui credere e, per certi
versi, gli alieni sono un’opzione valida come un’altra. Senza
voler scomodare troppa storia contemporanea, però, il fatto che il
rapimento alieno sia stato sostituito in tempi più recenti da una
sorta di “beatificazione” aliena è indicativo, in sé, della
nostra necessità di avere un ruolo positivo, di essere scelti, di
essere speciali, all’interno di questa mitologia specifica.
E, allo stesso tempo, riflette forse il
nostro più profondo senso di inadeguatezza alle emergenze in atto
ora sulla Terra. Confidare nell’intervento alieno, in questo senso,
ci solleva da ogni responsabilità più di qualsiasi altra cosa,
fatta forse eccezione per quello divino.
Il cinema — tanto quello mainstream
che quello sperimentale e documentaristico — ha assegnato ruoli
estremamente diversi all’alieno, nel corso della sua storia. Dalla
metafora socio-politica
di L’invasione degli ultracorpi, alla
funzione antagonista e distruttiva
dei blockbuster d’azione, all’oggetto di mistero e
complotto di X-Files,
alla curiosità per
l’ignoto di Incontri
ravvicinati del terzo tipo, fino alla
metafora sociale di
District 9 e alla malinconia
esistenziale di L’ignoto
spazio profondo.
E, di riflesso, ha raccontato in
qualche modo le persone che credono agli alieni: quando come ribelli
a un dato sistema, quando come complottisti, quando come reazionari
intenti a ristabilire uno status quo, quando come romantici.
ALBE, oggi, ci accompagna con
delicatezza tra chi, in Italia, nelle periferie delle grandi
metropoli, cerca un segno di vita aliena come conferma che non solo
non siamo soli, ma che non siamo neanche perduti. Che siamo ancora
meritevoli di una salvezza che arriva dall’alto — non importa
quanto, ai fatti, le fantasie di salvazione possano apparire spurie
davanti a un mondo che collassa più in fretta che mai.
0 commenti:
Posta un commento