Frasso Telesino, paese in provincia di
Benevento. Una fredda notte autunnale.
Un ragazzo sta procedendo con la sua
auto verso casa dopo aver trascorso la serata in compagnia di amici.
Nei pressi di una curva nota una giovane donna nell’atto di fare
l’autostop. L’ora tarda e la zona isolata lo stupiscono. Ferma
l’auto e le offre un passaggio. La ragazza gli racconta che deve
ritornare a casa dei genitori e che si era attardata per cause non
precisate. Il giovane nota che la ragazza indossa un vestitino
leggero e, sentendo come del gelo, le offre il suo cappotto perché
si copra. Lei accetta e ringrazia con un sorriso. Durante il viaggio,
peraltro breve, la donna non proferisce parola alcuna. Giunti nei
pressi di una casa alla periferia del paese, lei la addita come sua
abitazione. Il giovane accosta, la ragazza scende e dopo averlo
ringraziato s'incammina con passo veloce all’uscio. Estrae le
chiavi dalla tasca ed entra. Andando a casa, e ripensando allo strano
incontro, il giovane si ricorda del cappotto prestato. Ma è tardi e
così si propone di tornare il giorno seguente per recuperarlo. E
così ha fatto.
Qui giunto, lo accolgono quelli che
presume essere i genitori della ragazza ma, alle sue richieste,
questi cadono dalle nuvole. Con grande tristezza e dolore gli
riferiscono che la loro unica figlia era morta pochi mesi prima,
d’estate, in un incidente stradale, occorso proprio al curvone dove
aveva caricato la ragazza. Anche le caratteristiche somatiche,
compreso il vestito che indossava, corrispondevano. Ancora incredulo,
il giovane si reca al cimitero, senza nascondere unitamente alla
curiosità una certa ansia. Sulla tomba della ragazza - la cui foto
corrisponde alla donna da lui incontrata la sera prima - trova il suo
cappotto ben piegato e riposto in un angolo.
A quanti di voi è stato raccontato
questo episodio? Si tratta di una delle storie oggi classificate come
“leggende urbane”, o “metropolitane”, che circolano un po’
ovunque e riscuotono ampio credito presso coloro che le narrano. Si
diffondono di bocca in bocca e, in generale, rappresentano le nostre
paure.
Sull’argomento, nel 1942 la rivista
California Folklore Quarterly pubblica un paio di articoli di Richard
K. Beardsley e Rosalie Hankey , i quali partendo da una tipica storia
di fantasma autostoppista ambientata a San Francisco, cercano di
rispondere ad un quesito spinoso: questo genere di racconto può
essere considerato una leggenda? In poco più di due mesi gli autori
riescono a raccogliere settantanove versioni della storia. Sono così
in grado di affermare che il racconto è diffuso in larga parte degli
Stati Uniti, e presenta le caratteristiche tipiche della leggenda. Ne
individuano anche quattro versioni.
La più classica, riferita alla metà
dei casi raccolti, è quella in cui l’autostoppista rivela il
proprio indirizzo, l’automobilista si reca nel luogo indicato e
solo allora scopre di aver avuto a che fare con un fantasma.
Nella seconda, l’autostoppista è una
vecchia che profetizza un disastro: successive indagini rivelano che
si tratta di una defunta. In un’altra versione, l’incontro non
avviene lungo la strada, ma in un luogo d’intrattenimento, spesso
una sala da ballo: la misteriosa ragazza lascia sulla sua tomba un
oggetto prestatole dall’uomo che ha incontrato, come prova del
fatto che egli ha avuto un’esperienza con una defunta. Nell’ultima
variante, l’autostoppista è identificato con una divinità locale,
nello specifico la dea hawaiana Pele che viaggia sotto forma di
fantasma.
Secondo i due studiosi la prima
versione si avvicina maggiormente a quella da loro considerata la
storia “originale” contenente il seme del motivo. Anche la terza
versione, tra le più diffuse, nonostante le differenze, sarebbe
ricollegabile alla prima. Infatti, inizialmente doveva presentarsi
come una storia di fantasmi completamente diversa, che ad un certo
punto si fonde con quella dell’autostoppista. Le versioni in cui
l’autostoppista non è una ragazza, ma una vecchia veggente che
sparisce misteriosamente, sono concentrate a Chicago e dintorni. In
alcuni casi si hanno suore autostoppiste che predicano la fine della
seconda guerra mondiale, in altri sono annunziate calamità naturali
o epidemie.
I folkloristi americani si sono
interessati per primi alla storia, tant’è che nell’indice dei
motivi folklorici di Stith Thompson essa ha una codifica precisa
E332.3.3.1. Non per nulla il primo libro di Jan Harold
Brunvand, colui che ha fatto conoscere
al grande pubblico le leggende metropolitane, si intitola
The vanishing Hitchiker In seguito,
vista la diffusione della leggenda in numerose nazioni, si sono
affiancati anche gli studiosi europei.
Non ultimo lo storico Cesare Bermani che vi ha dedicato ampio spazio
nel suo libro Il bambino è servito, leggende metropolitane in Italia
(5) ed Emanuela Brunetti, laureatasi nel 1993 in Lettere a Firenze
con una tesi in gran parte imperniata sull’argomento.
E’ importante, a questo punto,
sottolineare che la storia dell’autostoppista fantasma non è
contemporanea per nascita, come rileva proprio la Brunetti. Il motivo
centrale del morto che torna è permeato di tradizioni secolari che,
per mantenere credibilità devono assumere forme nuove. Ecco che
quindi compare l’automobile, il simbolo per eccellenza della
società moderna. Inoltre, mentre il fantasma tradizionale si rivela
subito come tale, il fantasma dell’autostop riesce a mascherarsi da
essere umano. Lo spettro in grado di apparire umano è un elemento
che non diviene popolare prima del XIX secolo. Esaminando alcuni
racconti di matrice ottocentesca possiamo costatare che non ci
troviamo di fronte ad una sola leggenda ma presumibilmente ad una
famiglia di leggende.
Il fantasma al ballo
Ad esempio, il motivo della persona
morta in modo violento o per suicidio che è costretta a vagare fino
a quando il suo ciclo naturale non sia compiuto viene qua associato
alla leggenda dell’autostoppista. Questa variante, come evidenzia
anche Cesare Bermani, è senz’altro la più diffusa in Italia,
nonché in vari paesi latino americani, e presenta molte
caratteristiche in comune col cosiddetto “fantasma al ballo”. Una
versione di questa storia, ambientata a Palermo, la ritroviamo sotto
forma di notizia in prima pagina sul "Mattino dell’Italia
Centrale" del 14 maggio 1948.
“In via Perpignano 33, in una sala
pubblica, si teneva una festa nuziale. Verso le ore 21 fece la sua
apparizione una fanciulla sconosciuta, che nessuno dei due sposi
aveva invitato. Essa aveva i capelli sciolti e indossava un vestito
di seta bianca, con un nastrino azzurro che le legava i capelli, alla
moda di cinque anni fa. La misteriosa fanciulla, che gli invitati
descrissero poi come straordinariamente bella, si fermò nella sala
per una ventina di minuti. Ella stessa invitò uno dei presenti, un
soldato catanese in servizio presso l’11° CAR, a ballare. Il
soldato notò l'estrema freddezza delle mani della fanciulla.
Terminato il ballo, la ragazza se ne andò; il soldato la seguì e si
offrì di accompagnarla.
La ragazza, sempre tacendo, ebbe un
brivido di freddo, e il suo cavaliere premurosamente si tolse il
cappotto e glielo pose sulle spalle. Quando la fanciulla si fermò, i
due erano arrivati innanzi al cancello del Cimitero di Palermo, e il
soldato credette che ella fosse parente del custode. La fanciulla
solo allora pronunziò poche parole a voce bassissima: ‘Vieni a
prendere il cappotto qui domani a mezzogiorno’, e poi si avviò per
il viale del cimitero, lasciando il giovane piuttosto interdetto.”
“L’indomani, presentatosi
all’appuntamento, non vi trovò nessuno, e dal custode apprese che
nessuna ragazza abitava con lui. Già il soldato pensava a uno
scherzo di cattivo genere, quando vide apparire sul viale uno dei
becchini del cimitero che aveva sul braccio il suo cappotto, che
aveva trovato proprio allora abbandonato presso una tomba. In una
tasca del cappotto era un bigliettino che diceva: ‘arrivederci tra
quindici giorni’. Il soldato, recatosi presso la tomba ove era
stato rinvenuto il cappotto, riconobbe con grande meraviglia nella
fotografia, la sua compagna della sera prima.”
“Il soldato è ora a letto - conclude
il giornalista - con la febbre e, man mano che passano i giorni, vede
avvicinarsi con molta preoccupazione il misterioso appuntamento. Egli
si augura che sia la fanciulla a venire a trovare lui sulla terra e
non viceversa.”
E’ interessante notare come questo
presunto fatto di cronaca ricalchi la vicenda narrata nel disco,
inciso agli inizi degli Anni 60, Il soldato e la fantasma del
cantastorie Paolo Garofalo di Paternò, Catania. Il fantasma è una
giovane donna lasciatasi morire per amore, che torna a ballare col
fidanzato per invitarlo a raggiungerla nell’oltretomba. E, dopo
l’incontro, anche il fidanzato muore. La canzone è stata ispirata
da un episodio pubblicato sulla Domenica del Corriere una decina di
anni prima.
Il tema, nelle sue diverse forme,
compare inoltre in numerose opere letterarie. Tra le prime, in ordine
di tempo, troviamo il racconto La sposa di Anfipoli. Nella cerchia
dell'imperatore Adriano c'era un liberto di origine greca, Flegone,
che amava moltissimo le storie di fantasmi. Una sera Flegone raccontò
all'imperatore e ai suoi amici, giurando e spergiurando che era vera,
la strana vicenda di una giovane donna di Corinto che aveva fatto
visita al suo promesso sposo e aveva trascorso con lui alcune ore
d'amore, al termine delle quali gli aveva lasciato il suo velo.
L'uomo aveva poi saputo che in realtà la fidanzata era morta, ma
quella stoffa stava lì a dimostrargli che il suo non era stato
soltanto un sogno. Altri assistettero all’incontro, e a subirne le
conseguenze fu il promesso sposo costretto a seguire nell’aldilà
la sua amata.
Sono passati pressoché duemila anni e
racconti simili continuano a girare il mondo. A metà degli Anni 90
la storia, in una versione contestualizzata, si diffonde in Val
Brembana, nella provincia di Bergamo. Tra i giovani circola con
insistenza la voce che nelle vicinanze della discoteca Snoopy di
Serina, un ragazzo ha offerto un passaggio ad una ragazza stranamente
silenziosa, che si è fatta accompagnare fino a casa, dimenticando
però la borsetta con il portafoglio. Il giorno dopo, nel tentativo
di restituire la borsetta, il ragazzo scoprirà che l’autostoppista
è morta da molto tempo. Secondo Stefania Fumagalli, laureatasi nel
1999 all’Università di Urbino con una tesi interamente dedicata
alla “ragazza dello Snoopy”, è significativo che le versioni
brembane dell’autostoppista fantasma siano localizzate nelle
vicinanze del santuario del Perello, a Rigosa-Sambusita, costruito in
memoria di un’apparizione mariana del 1432 e popolarissimo nella
valle. Tra apparizioni mariane e morti che tornano, del resto, i
rapporti sono tutt’altro che casuali.
All’origine della diffusione delle
storie di autostoppista fantasma in Val Brembana, sempre secondo
Fumagalli, ha contribuito anche la televisione. Dall’analisi
comparata dei racconti e dalle testimonianze da lei raccolte risulta
evidente l’innesto su una versione locale e ottocentesca della
leggenda (il vetturino alle prese con una misteriosa dama in nero)
della storia nota in Francia come “la dama bianca di Palavas”,
divulgata in Italia la sera del 31 ottobre 1994 dalla trasmissione
televisiva Misteri.
Un’altra traccia importante del
percorso seguito dalla leggenda la troviamo in un episodio di una
serie TV all’epoca molto seguita dagli adolescenti,Professione
vacanze, in cui l’incontro del protagonista con il fantasma di una
ragazza si conclude con una sequenza che ripropone lo schema base
delle storie di autostoppista fantasma. L’episodio è stato
trasmesso per la prima volta nell’estate 1994. Le scuole medie e
superiori della zona, conclude Fumagalli, hanno fatto da
catalizzatore all’innesto, grazie anche alle sollecitazioni di
alcuni insegnanti particolarmente attenti alle tematiche del racconto
e della cultura orale.
La sparizione della veggente
C’è un’altra versione, largamente
diffusa negli Stati Uniti, che non sembra aver avuto fino a tempi
recenti diffusione in Italia.
Una strana notizia aveva invaso
numerosi quotidiani nel febbraio 1977. Una catastrofe annunciata da
una misteriosa “vecchina” si sarebbe abbattuta sulla città di
Milano. La profezia sarebbe stata raccolta da numerose persone che
avevano incontrato la donna chi sul taxi, chi sul filobus, chi sulla
metropolitana. Due giovani stavano percorrendo in auto la zona sud
della metropoli lombarda. Mentre transitavano dalle parti di San
Colombano al Lambro, notarono sul ciglio della strada, nella nebbia,
una donna anziana che chiedeva un passaggio. La vecchina fu fatta
accomodare sul sedile posteriore, poi, tra un sospiro e un colpo di
tosse, lanciò la terribile profezia: “Evitate Milano la sera del
27. Ci sarà un terribile terremoto che distruggerà mezza città”.
I due giovani giratisi per guardarla in faccia notarono che la
signora non c'era più, dissolta. Sul sedile era rimasta una carta
d'identità. I giovani si fermarono a bere un brandy per cercare di
rimettersi in sesto. Poi andarono dai carabinieri a raccontare
l’episodio. Le indagini rivelarono che il documento apparteneva ad
una persona morta dieci anni prima! Ma i testimoni del misterioso
incontro sono sempre rimasti nell’ombra e nessuno li ha veramente
conosciuti.
Un episodio analogo accaduto alcuni
mesi nei pressi di Ferrara, anche se non ha avuto gli onori delle
cronache, è parimenti significativo. Durante le piene del Po occorse
tra ottobre e novembre 1976 due ragazze a bordo di una 500, poco dopo
aver attraversato il ponte sul fiume in località Pontelagoscuro, si
imbattono in una donna vestita di nero che fa l’autostop. Appena
fatta salire a bordo l’anziana donna inizia una conversazione
sibillina: “Dopo domani una scossa di terremoto romperà gli argini
e l’acqua inonderà le terre al di qua e al di là del Po”. Detto
questo la vecchietta svanisce nel nulla lasciando di stucco le
ragazze. Un velo sarebbe rimasto sul sedile come prova dell’incontro.
Anche se si diceva che le ragazze avessero riferito il fatto alla
polizia, non fu trovata traccia di alcuna denuncia.
La storia sembra ripetersi intorno alla
metà del gennaio 1981 interessando questa volta Napoli e dintorni,
ovvero tutte le aree colpite dal disastroso sisma del 23 novembre
1980. Secondo la ricostruzione fatta dall’antropologo Paolo
Apolito, una vecchia fermava un’auto per strada, chiedeva un
passaggio e l’otteneva. Nel viaggio invitava a non lamentarsi e
piangere per il 23 novembre perché era ben poco quello che era
successo. Vi sarebbe stato un prossimo cataclisma ben più
distruttivo. Subito dopo chiedeva di scendere e andava via.
L’automobilista che concedeva il passaggio era spesso un
cacciatore. Il cataclisma annunciato era quasi sempre un terremoto,
ma anche un maremoto, un’eruzione vulcanica, la fine del mondo.
In una versione, riferitami come
episodio veramente accaduto, due operai che stavano ritornando dalla
caccia a bordo di una 127 diedero un passaggio ad una vecchietta
vestita di nero con un fagotto bianco. La fecero sedere dietro e dopo
un po’ la vecchina disse loro “di andare a prendere le loro
famiglie e di mettersi in salvo per il giorno 14 febbraio, perché ci
sarebbe stato un gran botto ed un grande polverone”. I due amici si
girarono e si accorsero che la donna era scomparsa; sul sedile era
rimasto il fagotto a dimostrazione che non avevano sognato. In
effetti, quel giorno verso le 20 vi fu una forte scossa, ma per
fortuna molto breve e quindi non rovinosa. La conferma della profezia
diede linfa alla narrazione che moltiplicò la velocità
d’espansione. In molti raccontavano della Vecchia che prevedeva un
altro cataclisma, spesso definitivo, da fine del mondo, per il 7
marzo. Ma i giorni passarono tranquilli, e pian piano anche questa
volta della Vecchia non si seppe più nulla.
Significativo, secondo Apolito, il
contesto metaforico di mediazione tra vivi e morti in cui si svolge
la profezia: non in un posto stabile dei vivi, né in un luogo dei
morti, ma lungo il confine rappresentato dal viaggio, dal viaggiare,
simboli arcaici della morte. “Mi sembra rilevante - prosegue
Apolito - non tanto la profezia in sé, ma la narrazione collettiva
di essa. Le opinioni ufficiali sul terremoto avevano già suscitato
una forte ripresa della parola in funzione esorcizzante: tutti si
raccontavano le cose lette sui giornali o viste in TV, ingabbiando in
una maglia verbale, l’angoscia latente. Quando le fonti ufficiali
divennero assenti, ecco l’emergere di immagini arcaiche. Ciò che
era importante è che si parlava e si allontanava con ciò la paura,
attraverso un ritrovarsi collettivo. D’altra parte la previsione
del giorno e dell’ora esatti era una garanzia che il terremoto non
sarebbe più arrivato all’improvviso. La profezia - conclude
l’antropologo - rivela un meccanismo collettivo di
autorassicurazione e di controllo rituale del tempo.”
Storie analoghe, con protagonisti
diversi quali monaci, angeli o suore, le ritroviamo ambientate un po’
in tutta Europa. Ad esempio, nell’autunno del 1982 si narra di una
mezza dozzina di automobilisti tedeschi che sull’autostrada
Monaco-Salisburgo, avevano preso a bordo un giovane dalla barba
bionda, coi jeans e una casacca che annunciava la fine del mondo per
il 1984, affermando, prima di scomparire dalla vettura, di essere
l’arcangelo Gabriele, “messaggero di Dio”. Della storia si fece
un gran parlare, soprattutto in Baviera, tant’è che l’arcivescovo
di Monaco ritenne necessario esprimere in un comunicato ufficiale di
diffidare di tale presunta manifestazione angelica.
Una sicura evoluzione della versione
più classica, ha iniziato a circolare in Italia, e poi in altri
paesi, poche settimane dopo i tragici eventi dell’11 settembre
2001. Ci riferiamo alla vicenda, raccontata da molti come fatto
realmente accaduto, dell’extracomunitario in coda alle casse di un
ipermercato. Al momento di pagare gli mancano pochi spiccioli. La
signora dietro di lui si offre di venirgli incontro e salda il conto.
L’uomo ringrazia compiaciuto. All’uscita, raggiunge la donna e
per sdebitarsi l’avverte di non recarsi a fare la spesa in quel
centro commerciale nel prossimo fine settimana perché sarebbe
accaduto qualcosa collegato ai recenti atti terroristici. Una
segnalazione raccolta personalmente contiene una variante
interessante.
L’episodio è ambientato all’Iper
di Tortona, in provincia di Alessandria. Una ragazza arrivata alla
cassa ha davanti a lei una vecchina alla quale mancano duemila lire
per pagare per intero la sua spesa. Pur di evitare ulteriori sprechi
di tempo, questa ragazza chiede alla vecchina se poteva mettere di
tasca sua le duemila lire. La vecchina accetta. La ragazza, a sua
volta, si fa fare il conto dalla cassiera, imbusta la spesa e fa per
uscire dal supermercato. All'uscita incontra nuovamente la vecchina
di prima che le dice: “Visto che è stata così gentile e carina le
voglio fare un favore: non venga a fare la spesa qui nei giorni 23 e
24 dicembre... ”, e se ne va.
L’improvvisa sostituzione dell’arabo
con una vecchina potrebbe sembrare casuale e non significativa, ma
accomuna la storia a quella della vecchina che venticinque anni prima
annunciava la distruzione di Milano. L’accostamento tra l’arabo
riconoscente e la vecchina profetizzante non è casuale. E’ la
dimostrazione che le recenti storie riprendono, modernizzandoli,
motivi del folklore tradizionale.
Le storie sinora analizzate sono
espressioni di timore nei confronti di eventi che potrebbero capitare
da un momento all’altro. Il loro racconto, come episodi reali, è
condizionato da un senso latente di inevitabilità. Dobbiamo essere
pronti a tutto, e il fatto che nessuna delle catastrofi sinora
annunciate ha avuto luogo ci fa anche sentire meglio. In questo caso,
la leggenda ha assolto al suo compito.
Leggenda o realtà?
Il confine fra ciò che definiamo
leggenda ed altri generi risulta spesso difficile da delineare.
L’unica cosa certa è che la storia dell’autostoppista fantasma
non è contemporanea nel senso stretto del termine. La sua diffusione
è dimostrata sin dalla fine dell’ottocento se non prima.
Secondo la studiosa inglese Gillian
Bennett è estremamente difficile classificare e schematizzare le
innumerevoli versioni della storia. I racconti non sono creazioni
originali della nostra epoca. Non sono neppure specificatamente
“urbani”, e il termine “leggenda” pone numerosi problemi.
Infatti le narrazioni si presentano sotto forme diverse: notizie,
esperienze vissute, storie incredibili.
Gli autostoppisti fantasma si
manifestano come donne o uomini, giovani o vecchi. Non sono
necessariamente spiriti di defunti, in quanto possono essere
divinità, santi, angeli o esseri fantastici del folklore locale.
Parlano o restano silenziosi. Non fanno obbligatoriamente l’autostop
e non stanno sempre sui bordi di una strada. Lasciano o meno un
oggetto, una traccia. Non sempre spariscono dal veicolo in movimento.
Il conducente può essere da solo o in compagnia di altre persone.
Oltre alle auto, utilizzano autobus, treni, moto, ciclomotori e, nei
racconti più antichi, cavalli e carrozze. La diffusione orale
inoltre è lungi dall’essere l’unico o il principale mezzo di
trasmissione. E’ necessario tener presente il ruolo fondamentale
dei mezzi di informazione, in primis la stampa.
Il ricercatore inglese Michael Goss,
nel tentativo di dimostrare che l’apparizione dell’autostoppista
fantasma è un fenomeno paranormale ha cercato di contattare
testimoni che avessero vissuto direttamente l’esperienza. Al
termine della sua indagine, pubblicata nel libro I fantasmi della
strada , oltre alle numerose versioni che egli stesso definisce di
tipo folklorico, scopre cinque casi credibili di vissuto. Goss riesce
però ad intervistare un solo testimone diretto, Roy Fulton, un
giovane inglese di Dunstable che il 12 ottobre 1979 diede un
passaggio al “suo” fantasma autostoppista. Lo studioso ritiene
tuttavia queste esperienze interpretabili come allucinazioni
oggettivizzate. I vari racconti sembrano inoltre più vicini ad altre
storie fantastiche razionalizzate come quelle riguardanti il
rapimento di donne nei negozi di abbigliamento o i lanci di vipere da
velivoli non meglio identificati, anche se, a differenza di queste
ultime, nel caso dell’autostoppista permane un forte riferimento al
mondo sovrannaturale.
Un caso a tal proposito è emblematico.
Se n’è occupato lo studioso franceseFraderic Dumerchat. Il 20
maggio 1981 quattro giovani, due ragazzi e due ragazze, tra i 17 e i
21 anni tornano con una Renault 5 da Palavas-les-Flots diretti a
Montpellier. A mezzanotte, davanti al ponte dei Quatre-Canaux,
all’altezza di una stazione di servizio, una donna fa l’autostop
al lato della strada. Ha un impermeabile bianco e un foulard dello
stesso colore. L’auto si ferma e il conducente le domanda se va a
Montpellier. La donna, che dimostra una cinquantina d’anni,
annuisce. Sale e si mette dietro tra le due ragazze. Dopo un paio di
chilometri, si mette a urlare: “Attenzione alla curva, attenzione
alla curva!” Superata la curva, a 90 chilometri orari, la donna
scompare dall’auto. I quattro, impressionati dall’episodio, si
recano subito al commissariato di Montpellier dove raccontano il
fatto ancora impauriti. La vicenda farà molto rumore sulla stampa
francese e sarà in seguito a questo caso, da qualcuno spiegato come
una burla, che sui giornali affioreranno analoghe storie, alcune già
in circolazione dagli anni Settanta.
Capita anche che, pur non potendo
rintracciare i conducenti dei veicoli, siano i fantasmi ad avere nome
e cognome. Poco tempo fa, per la precisione a metà marzo 2003, a
Brindisi, a quasi due anni di distanza dalla tragica morte di madre e
figlia che per un errore di manovra finirono in fondo al mare con la
loro vettura, ha circolato con insistenza pressoché ovunque, negli
uffici, scuole, ospedali, questura una storia che si richiama a
quella tragedia. Erano da poco passate le 23 quando una coppia di
brindisini si sarebbe trovata in auto nella zona di Costa Morena,
dove avvenne l’incidente. A bordo strada notano una ragazza: alta,
bruna, coi capelli lisci e molto bella. Questa chiede loro un
passaggio in città. Dice di essere stata lasciata lì dal suo
fidanzato, dopo un litigio. Giunti in città, il conducente chiede
alla ragazza dove avrebbe dovuto lasciarla. “Vicino al cimitero”,
sarebbe stata la secca risposta. Arrivati, la ragazza scende, saluta
e si allontana. I due la seguono con lo sguardo e notano che avrebbe
varcato la soglia del cimitero, malgrado a quell’ora fosse chiuso.
Fu in quel momento che alla coppia ritornò in mente la tragedia
avvenuta nel settembre 2001. A Brindisi la storia è sulla bocca di
tutti, in quanto la comunità intera ricordava Paola Marra, 20 anni,
morta assieme alla madre in circostanze così assurde. Per placare le
voci sempre più insistenti, la Gazzetta del Mezzogiorno dovette
pubblicare un’intervista al padre della ragazza, che chiedeva fosse
rispettato il ricordo della figlia.
Tutto ciò ricorda un altro episodio,
accaduto a Milazzo, in provincia di Messina, nel maggio 1987. Nella
cittadina in molti si raccontavano la storia tant’è che La
Gazzetta del Sud vi dedicò un lungo articolo. Un ragazzo lungo la
strada per Milazzo fu colpito dalla figura di una giovane vestita di
bianco. Tremava dal freddo, così le da un passaggio fino a casa e le
presta il giubbotto. Il giorno dopo tornò a bussare a quella casa.
Gli apre una donna anziana. I particolari che seguono sono i soliti:
lui riconosce la ragazza in una foto, è morta da anni e la donna è
sua madre, sulla tomba della ragazza, il giovane incredulo trova il
suo giubbotto. Anche in questo caso, c’è una storia, vera e
triste, annidata nelle pieghe della memoria della comunità locale
che ha fatto emergere la leggenda. Tutta la cittadina sapeva chi era
la ragazza sul bordo della strada. Si chiamava Paola, soffriva di
depressione e sette anni prima si era tolta la vita. Aveva 22 anni. I
genitori non se ne sono mai data spiegazione, e lo strano racconto ha
fatto loro solo del male.
Come abbiamo visto, la vicenda
dell’autostoppista fantasma si incarna in numerosi generi: storie
raccontate accadute all’“amico dell’amico” (le classiche
leggende metropolitane), voci non confermate, falsi o burle, finzioni
letterarie, cronache giornalistiche, esperienze vissute da un
testimone ben identificato. Queste narrazioni tendono comunque a
costituirsi in un genere leggendario, una mitologia contemporanea,
dove il “sovrannaturale” è decisamente più sollecitato che
nelle leggende contemporanee propriamente dette. Secondo il sociologo
francese Jean-Bruno Renard, la coesistenza dell’esperienza vissuta
e della leggenda pone un problema cruciale: è l’esperienza stessa
all’origine della leggenda o è la leggenda che “chiede”
esperienze? Bertrand Méheust, filosofo e folklorista, propone una
nuova via di ricerca che considera tutte le mitologie come un sistema
d’interazione tra “vissuto” e “rappresentazioni culturali”,
l’assenza dell’uno o dell’altro elemento provoca la morte della
mitologia stessa.