mercoledì 27 luglio 2022

L’AUTOSTOPPISTA FANTASMA: ESPERIENZA SOVRANNATURALE O LEGGENDA METROPOLITANA?

Frasso Telesino, paese in provincia di Benevento. Una fredda notte autunnale.

Un ragazzo sta procedendo con la sua auto verso casa dopo aver trascorso la serata in compagnia di amici. Nei pressi di una curva nota una giovane donna nell’atto di fare l’autostop. L’ora tarda e la zona isolata lo stupiscono. Ferma l’auto e le offre un passaggio. La ragazza gli racconta che deve ritornare a casa dei genitori e che si era attardata per cause non precisate. Il giovane nota che la ragazza indossa un vestitino leggero e, sentendo come del gelo, le offre il suo cappotto perché si copra. Lei accetta e ringrazia con un sorriso. Durante il viaggio, peraltro breve, la donna non proferisce parola alcuna. Giunti nei pressi di una casa alla periferia del paese, lei la addita come sua abitazione. Il giovane accosta, la ragazza scende e dopo averlo ringraziato s'incammina con passo veloce all’uscio. Estrae le chiavi dalla tasca ed entra. Andando a casa, e ripensando allo strano incontro, il giovane si ricorda del cappotto prestato. Ma è tardi e così si propone di tornare il giorno seguente per recuperarlo. E così ha fatto.



Qui giunto, lo accolgono quelli che presume essere i genitori della ragazza ma, alle sue richieste, questi cadono dalle nuvole. Con grande tristezza e dolore gli riferiscono che la loro unica figlia era morta pochi mesi prima, d’estate, in un incidente stradale, occorso proprio al curvone dove aveva caricato la ragazza. Anche le caratteristiche somatiche, compreso il vestito che indossava, corrispondevano. Ancora incredulo, il giovane si reca al cimitero, senza nascondere unitamente alla curiosità una certa ansia. Sulla tomba della ragazza - la cui foto corrisponde alla donna da lui incontrata la sera prima - trova il suo cappotto ben piegato e riposto in un angolo.​

A quanti di voi è stato raccontato questo episodio? Si tratta di una delle storie oggi classificate come “leggende urbane”, o “metropolitane”, che circolano un po’ ovunque e riscuotono ampio credito presso coloro che le narrano. Si diffondono di bocca in bocca e, in generale, rappresentano le nostre paure.

Sull’argomento, nel 1942 la rivista California Folklore Quarterly pubblica un paio di articoli di Richard K. Beardsley e Rosalie Hankey , i quali partendo da una tipica storia di fantasma autostoppista ambientata a San Francisco, cercano di rispondere ad un quesito spinoso: questo genere di racconto può essere considerato una leggenda? In poco più di due mesi gli autori riescono a raccogliere settantanove versioni della storia. Sono così in grado di affermare che il racconto è diffuso in larga parte degli Stati Uniti, e presenta le caratteristiche tipiche della leggenda. Ne individuano anche quattro versioni.​

La più classica, riferita alla metà dei casi raccolti, è quella in cui l’autostoppista rivela il proprio indirizzo, l’automobilista si reca nel luogo indicato e solo allora scopre di aver avuto a che fare con un fantasma.

Nella seconda, l’autostoppista è una vecchia che profetizza un disastro: successive indagini rivelano che si tratta di una defunta. In un’altra versione, l’incontro non avviene lungo la strada, ma in un luogo d’intrattenimento, spesso una sala da ballo: la misteriosa ragazza lascia sulla sua tomba un oggetto prestatole dall’uomo che ha incontrato, come prova del fatto che egli ha avuto un’esperienza con una defunta. Nell’ultima variante, l’autostoppista è identificato con una divinità locale, nello specifico la dea hawaiana Pele che viaggia sotto forma di fantasma.



Secondo i due studiosi la prima versione si avvicina maggiormente a quella da loro considerata la storia “originale” contenente il seme del motivo. Anche la terza versione, tra le più diffuse, nonostante le differenze, sarebbe ricollegabile alla prima. Infatti, inizialmente doveva presentarsi come una storia di fantasmi completamente diversa, che ad un certo punto si fonde con quella dell’autostoppista. Le versioni in cui l’autostoppista non è una ragazza, ma una vecchia veggente che sparisce misteriosamente, sono concentrate a Chicago e dintorni. In alcuni casi si hanno suore autostoppiste che predicano la fine della seconda guerra mondiale, in altri sono annunziate calamità naturali o epidemie.​

I folkloristi americani si sono interessati per primi alla storia, tant’è che nell’indice dei motivi folklorici di Stith Thompson essa ha una codifica precisa E332.3.3.1. Non per nulla il primo libro di Jan Harold

Brunvand, colui che ha fatto conoscere al grande pubblico le leggende metropolitane, si intitola

The vanishing Hitchiker In seguito, vista la diffusione della leggenda in numerose nazioni, si sono

affiancati anche gli studiosi europei. Non ultimo lo storico Cesare Bermani che vi ha dedicato ampio spazio nel suo libro Il bambino è servito, leggende metropolitane in Italia (5) ed Emanuela Brunetti, laureatasi nel 1993 in Lettere a Firenze con una tesi in gran parte imperniata sull’argomento. ​

E’ importante, a questo punto, sottolineare che la storia dell’autostoppista fantasma non è contemporanea per nascita, come rileva proprio la Brunetti. Il motivo centrale del morto che torna è permeato di tradizioni secolari che, per mantenere credibilità devono assumere forme nuove. Ecco che quindi compare l’automobile, il simbolo per eccellenza della società moderna. Inoltre, mentre il fantasma tradizionale si rivela subito come tale, il fantasma dell’autostop riesce a mascherarsi da essere umano. Lo spettro in grado di apparire umano è un elemento che non diviene popolare prima del XIX secolo. Esaminando alcuni racconti di matrice ottocentesca possiamo costatare che non ci troviamo di fronte ad una sola leggenda ma presumibilmente ad una famiglia di leggende.


Il fantasma al ballo

Ad esempio, il motivo della persona morta in modo violento o per suicidio che è costretta a vagare fino a quando il suo ciclo naturale non sia compiuto viene qua associato alla leggenda dell’autostoppista. Questa variante, come evidenzia anche Cesare Bermani, è senz’altro la più diffusa in Italia, nonché in vari paesi latino americani, e presenta molte caratteristiche in comune col cosiddetto “fantasma al ballo”. Una versione di questa storia, ambientata a Palermo, la ritroviamo sotto forma di notizia in prima pagina sul "Mattino dell’Italia Centrale" del 14 maggio 1948.​

“In via Perpignano 33, in una sala pubblica, si teneva una festa nuziale. Verso le ore 21 fece la sua apparizione una fanciulla sconosciuta, che nessuno dei due sposi aveva invitato. Essa aveva i capelli sciolti e indossava un vestito di seta bianca, con un nastrino azzurro che le legava i capelli, alla moda di cinque anni fa. La misteriosa fanciulla, che gli invitati descrissero poi come straordinariamente bella, si fermò nella sala per una ventina di minuti. Ella stessa invitò uno dei presenti, un soldato catanese in servizio presso l’11° CAR, a ballare. Il soldato notò l'estrema freddezza delle mani della fanciulla. Terminato il ballo, la ragazza se ne andò; il soldato la seguì e si offrì di accompagnarla.

La ragazza, sempre tacendo, ebbe un brivido di freddo, e il suo cavaliere premurosamente si tolse il cappotto e glielo pose sulle spalle. Quando la fanciulla si fermò, i due erano arrivati innanzi al cancello del Cimitero di Palermo, e il soldato credette che ella fosse parente del custode. La fanciulla solo allora pronunziò poche parole a voce bassissima: ‘Vieni a prendere il cappotto qui domani a mezzogiorno’, e poi si avviò per il viale del cimitero, lasciando il giovane piuttosto interdetto.”​

“L’indomani, presentatosi all’appuntamento, non vi trovò nessuno, e dal custode apprese che nessuna ragazza abitava con lui. Già il soldato pensava a uno scherzo di cattivo genere, quando vide apparire sul viale uno dei becchini del cimitero che aveva sul braccio il suo cappotto, che aveva trovato proprio allora abbandonato presso una tomba. In una tasca del cappotto era un bigliettino che diceva: ‘arrivederci tra quindici giorni’. Il soldato, recatosi presso la tomba ove era stato rinvenuto il cappotto, riconobbe con grande meraviglia nella fotografia, la sua compagna della sera prima.”​

“Il soldato è ora a letto - conclude il giornalista - con la febbre e, man mano che passano i giorni, vede avvicinarsi con molta preoccupazione il misterioso appuntamento. Egli si augura che sia la fanciulla a venire a trovare lui sulla terra e non viceversa.”


E’ interessante notare come questo presunto fatto di cronaca ricalchi la vicenda narrata nel disco, inciso agli inizi degli Anni 60, Il soldato e la fantasma del cantastorie Paolo Garofalo di Paternò, Catania. Il fantasma è una giovane donna lasciatasi morire per amore, che torna a ballare col fidanzato per invitarlo a raggiungerla nell’oltretomba. E, dopo l’incontro, anche il fidanzato muore. La canzone è stata ispirata da un episodio pubblicato sulla Domenica del Corriere una decina di anni prima.​

Il tema, nelle sue diverse forme, compare inoltre in numerose opere letterarie. Tra le prime, in ordine di tempo, troviamo il racconto La sposa di Anfipoli. Nella cerchia dell'imperatore Adriano c'era un liberto di origine greca, Flegone, che amava moltissimo le storie di fantasmi. Una sera Flegone raccontò all'imperatore e ai suoi amici, giurando e spergiurando che era vera, la strana vicenda di una giovane donna di Corinto che aveva fatto visita al suo promesso sposo e aveva trascorso con lui alcune ore d'amore, al termine delle quali gli aveva lasciato il suo velo. L'uomo aveva poi saputo che in realtà la fidanzata era morta, ma quella stoffa stava lì a dimostrargli che il suo non era stato soltanto un sogno. Altri assistettero all’incontro, e a subirne le conseguenze fu il promesso sposo costretto a seguire nell’aldilà la sua amata.​

Sono passati pressoché duemila anni e racconti simili continuano a girare il mondo. A metà degli Anni 90 la storia, in una versione contestualizzata, si diffonde in Val Brembana, nella provincia di Bergamo. Tra i giovani circola con insistenza la voce che nelle vicinanze della discoteca Snoopy di Serina, un ragazzo ha offerto un passaggio ad una ragazza stranamente silenziosa, che si è fatta accompagnare fino a casa, dimenticando però la borsetta con il portafoglio. Il giorno dopo, nel tentativo di restituire la borsetta, il ragazzo scoprirà che l’autostoppista è morta da molto tempo. Secondo Stefania Fumagalli, laureatasi nel 1999 all’Università di Urbino con una tesi interamente dedicata alla “ragazza dello Snoopy”, è significativo che le versioni brembane dell’autostoppista fantasma siano localizzate nelle vicinanze del santuario del Perello, a Rigosa-Sambusita, costruito in memoria di un’apparizione mariana del 1432 e popolarissimo nella valle. Tra apparizioni mariane e morti che tornano, del resto, i rapporti sono tutt’altro che casuali.​

All’origine della diffusione delle storie di autostoppista fantasma in Val Brembana, sempre secondo Fumagalli, ha contribuito anche la televisione. Dall’analisi comparata dei racconti e dalle testimonianze da lei raccolte risulta evidente l’innesto su una versione locale e ottocentesca della leggenda (il vetturino alle prese con una misteriosa dama in nero) della storia nota in Francia come “la dama bianca di Palavas”, divulgata in Italia la sera del 31 ottobre 1994 dalla trasmissione televisiva Misteri.​

Un’altra traccia importante del percorso seguito dalla leggenda la troviamo in un episodio di una serie TV all’epoca molto seguita dagli adolescenti,Professione vacanze, in cui l’incontro del protagonista con il fantasma di una ragazza si conclude con una sequenza che ripropone lo schema base delle storie di autostoppista fantasma. L’episodio è stato trasmesso per la prima volta nell’estate 1994. Le scuole medie e superiori della zona, conclude Fumagalli, hanno fatto da catalizzatore all’innesto, grazie anche alle sollecitazioni di alcuni insegnanti particolarmente attenti alle tematiche del racconto e della cultura orale.


La sparizione della veggente

C’è un’altra versione, largamente diffusa negli Stati Uniti, che non sembra aver avuto fino a tempi recenti diffusione in Italia.​

Una strana notizia aveva invaso numerosi quotidiani nel febbraio 1977. Una catastrofe annunciata da una misteriosa “vecchina” si sarebbe abbattuta sulla città di Milano. La profezia sarebbe stata raccolta da numerose persone che avevano incontrato la donna chi sul taxi, chi sul filobus, chi sulla metropolitana. Due giovani stavano percorrendo in auto la zona sud della metropoli lombarda. Mentre transitavano dalle parti di San Colombano al Lambro, notarono sul ciglio della strada, nella nebbia, una donna anziana che chiedeva un passaggio. La vecchina fu fatta accomodare sul sedile posteriore, poi, tra un sospiro e un colpo di tosse, lanciò la terribile profezia: “Evitate Milano la sera del 27. Ci sarà un terribile terremoto che distruggerà mezza città”. I due giovani giratisi per guardarla in faccia notarono che la signora non c'era più, dissolta. Sul sedile era rimasta una carta d'identità. I giovani si fermarono a bere un brandy per cercare di rimettersi in sesto. Poi andarono dai carabinieri a raccontare l’episodio. Le indagini rivelarono che il documento apparteneva ad una persona morta dieci anni prima! Ma i testimoni del misterioso incontro sono sempre rimasti nell’ombra e nessuno li ha veramente conosciuti.



Un episodio analogo accaduto alcuni mesi nei pressi di Ferrara, anche se non ha avuto gli onori delle cronache, è parimenti significativo. Durante le piene del Po occorse tra ottobre e novembre 1976 due ragazze a bordo di una 500, poco dopo aver attraversato il ponte sul fiume in località Pontelagoscuro, si imbattono in una donna vestita di nero che fa l’autostop. Appena fatta salire a bordo l’anziana donna inizia una conversazione sibillina: “Dopo domani una scossa di terremoto romperà gli argini e l’acqua inonderà le terre al di qua e al di là del Po”. Detto questo la vecchietta svanisce nel nulla lasciando di stucco le ragazze. Un velo sarebbe rimasto sul sedile come prova dell’incontro. Anche se si diceva che le ragazze avessero riferito il fatto alla polizia, non fu trovata traccia di alcuna denuncia. ​

La storia sembra ripetersi intorno alla metà del gennaio 1981 interessando questa volta Napoli e dintorni, ovvero tutte le aree colpite dal disastroso sisma del 23 novembre 1980. Secondo la ricostruzione fatta dall’antropologo Paolo Apolito, una vecchia fermava un’auto per strada, chiedeva un passaggio e l’otteneva. Nel viaggio invitava a non lamentarsi e piangere per il 23 novembre perché era ben poco quello che era successo. Vi sarebbe stato un prossimo cataclisma ben più distruttivo. Subito dopo chiedeva di scendere e andava via. L’automobilista che concedeva il passaggio era spesso un cacciatore. Il cataclisma annunciato era quasi sempre un terremoto, ma anche un maremoto, un’eruzione vulcanica, la fine del mondo.


In una versione, riferitami come episodio veramente accaduto, due operai che stavano ritornando dalla caccia a bordo di una 127 diedero un passaggio ad una vecchietta vestita di nero con un fagotto bianco. La fecero sedere dietro e dopo un po’ la vecchina disse loro “di andare a prendere le loro famiglie e di mettersi in salvo per il giorno 14 febbraio, perché ci sarebbe stato un gran botto ed un grande polverone”. I due amici si girarono e si accorsero che la donna era scomparsa; sul sedile era rimasto il fagotto a dimostrazione che non avevano sognato. In effetti, quel giorno verso le 20 vi fu una forte scossa, ma per fortuna molto breve e quindi non rovinosa. La conferma della profezia diede linfa alla narrazione che moltiplicò la velocità d’espansione. In molti raccontavano della Vecchia che prevedeva un altro cataclisma, spesso definitivo, da fine del mondo, per il 7 marzo. Ma i giorni passarono tranquilli, e pian piano anche questa volta della Vecchia non si seppe più nulla.​

Significativo, secondo Apolito, il contesto metaforico di mediazione tra vivi e morti in cui si svolge la profezia: non in un posto stabile dei vivi, né in un luogo dei morti, ma lungo il confine rappresentato dal viaggio, dal viaggiare, simboli arcaici della morte. “Mi sembra rilevante - prosegue Apolito - non tanto la profezia in sé, ma la narrazione collettiva di essa. Le opinioni ufficiali sul terremoto avevano già suscitato una forte ripresa della parola in funzione esorcizzante: tutti si raccontavano le cose lette sui giornali o viste in TV, ingabbiando in una maglia verbale, l’angoscia latente. Quando le fonti ufficiali divennero assenti, ecco l’emergere di immagini arcaiche. Ciò che era importante è che si parlava e si allontanava con ciò la paura, attraverso un ritrovarsi collettivo. D’altra parte la previsione del giorno e dell’ora esatti era una garanzia che il terremoto non sarebbe più arrivato all’improvviso. La profezia - conclude l’antropologo - rivela un meccanismo collettivo di autorassicurazione e di controllo rituale del tempo.”


Storie analoghe, con protagonisti diversi quali monaci, angeli o suore, le ritroviamo ambientate un po’ in tutta Europa. Ad esempio, nell’autunno del 1982 si narra di una mezza dozzina di automobilisti tedeschi che sull’autostrada Monaco-Salisburgo, avevano preso a bordo un giovane dalla barba bionda, coi jeans e una casacca che annunciava la fine del mondo per il 1984, affermando, prima di scomparire dalla vettura, di essere l’arcangelo Gabriele, “messaggero di Dio”. Della storia si fece un gran parlare, soprattutto in Baviera, tant’è che l’arcivescovo di Monaco ritenne necessario esprimere in un comunicato ufficiale di diffidare di tale presunta manifestazione angelica. ​

Una sicura evoluzione della versione più classica, ha iniziato a circolare in Italia, e poi in altri paesi, poche settimane dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001. Ci riferiamo alla vicenda, raccontata da molti come fatto realmente accaduto, dell’extracomunitario in coda alle casse di un ipermercato. Al momento di pagare gli mancano pochi spiccioli. La signora dietro di lui si offre di venirgli incontro e salda il conto. L’uomo ringrazia compiaciuto. All’uscita, raggiunge la donna e per sdebitarsi l’avverte di non recarsi a fare la spesa in quel centro commerciale nel prossimo fine settimana perché sarebbe accaduto qualcosa collegato ai recenti atti terroristici. Una segnalazione raccolta personalmente contiene una variante interessante.​

L’episodio è ambientato all’Iper di Tortona, in provincia di Alessandria. Una ragazza arrivata alla cassa ha davanti a lei una vecchina alla quale mancano duemila lire per pagare per intero la sua spesa. Pur di evitare ulteriori sprechi di tempo, questa ragazza chiede alla vecchina se poteva mettere di tasca sua le duemila lire. La vecchina accetta. La ragazza, a sua volta, si fa fare il conto dalla cassiera, imbusta la spesa e fa per uscire dal supermercato. All'uscita incontra nuovamente la vecchina di prima che le dice: “Visto che è stata così gentile e carina le voglio fare un favore: non venga a fare la spesa qui nei giorni 23 e 24 dicembre... ”, e se ne va.



L’improvvisa sostituzione dell’arabo con una vecchina potrebbe sembrare casuale e non significativa, ma accomuna la storia a quella della vecchina che venticinque anni prima annunciava la distruzione di Milano. L’accostamento tra l’arabo riconoscente e la vecchina profetizzante non è casuale. E’ la dimostrazione che le recenti storie riprendono, modernizzandoli, motivi del folklore tradizionale.​

Le storie sinora analizzate sono espressioni di timore nei confronti di eventi che potrebbero capitare da un momento all’altro. Il loro racconto, come episodi reali, è condizionato da un senso latente di inevitabilità. Dobbiamo essere pronti a tutto, e il fatto che nessuna delle catastrofi sinora annunciate ha avuto luogo ci fa anche sentire meglio. In questo caso, la leggenda ha assolto al suo compito.

Leggenda o realtà?

Il confine fra ciò che definiamo leggenda ed altri generi risulta spesso difficile da delineare. L’unica cosa certa è che la storia dell’autostoppista fantasma non è contemporanea nel senso stretto del termine. La sua diffusione è dimostrata sin dalla fine dell’ottocento se non prima.

Secondo la studiosa inglese Gillian Bennett è estremamente difficile classificare e schematizzare le innumerevoli versioni della storia. I racconti non sono creazioni originali della nostra epoca. Non sono neppure specificatamente “urbani”, e il termine “leggenda” pone numerosi problemi. Infatti le narrazioni si presentano sotto forme diverse: notizie, esperienze vissute, storie incredibili.​

Gli autostoppisti fantasma si manifestano come donne o uomini, giovani o vecchi. Non sono necessariamente spiriti di defunti, in quanto possono essere divinità, santi, angeli o esseri fantastici del folklore locale. Parlano o restano silenziosi. Non fanno obbligatoriamente l’autostop e non stanno sempre sui bordi di una strada. Lasciano o meno un oggetto, una traccia. Non sempre spariscono dal veicolo in movimento. Il conducente può essere da solo o in compagnia di altre persone. Oltre alle auto, utilizzano autobus, treni, moto, ciclomotori e, nei racconti più antichi, cavalli e carrozze. La diffusione orale inoltre è lungi dall’essere l’unico o il principale mezzo di trasmissione. E’ necessario tener presente il ruolo fondamentale dei mezzi di informazione, in primis la stampa.


Il ricercatore inglese Michael Goss, nel tentativo di dimostrare che l’apparizione dell’autostoppista fantasma è un fenomeno paranormale ha cercato di contattare testimoni che avessero vissuto direttamente l’esperienza. Al termine della sua indagine, pubblicata nel libro I fantasmi della strada , oltre alle numerose versioni che egli stesso definisce di tipo folklorico, scopre cinque casi credibili di vissuto. Goss riesce però ad intervistare un solo testimone diretto, Roy Fulton, un giovane inglese di Dunstable che il 12 ottobre 1979 diede un passaggio al “suo” fantasma autostoppista. Lo studioso ritiene tuttavia queste esperienze interpretabili come allucinazioni oggettivizzate. I vari racconti sembrano inoltre più vicini ad altre storie fantastiche razionalizzate come quelle riguardanti il rapimento di donne nei negozi di abbigliamento o i lanci di vipere da velivoli non meglio identificati, anche se, a differenza di queste ultime, nel caso dell’autostoppista permane un forte riferimento al mondo sovrannaturale.​

Un caso a tal proposito è emblematico. Se n’è occupato lo studioso franceseFraderic Dumerchat. Il 20 maggio 1981 quattro giovani, due ragazzi e due ragazze, tra i 17 e i 21 anni tornano con una Renault 5 da Palavas-les-Flots diretti a Montpellier. A mezzanotte, davanti al ponte dei Quatre-Canaux, all’altezza di una stazione di servizio, una donna fa l’autostop al lato della strada. Ha un impermeabile bianco e un foulard dello stesso colore. L’auto si ferma e il conducente le domanda se va a Montpellier. La donna, che dimostra una cinquantina d’anni, annuisce. Sale e si mette dietro tra le due ragazze. Dopo un paio di chilometri, si mette a urlare: “Attenzione alla curva, attenzione alla curva!” Superata la curva, a 90 chilometri orari, la donna scompare dall’auto. I quattro, impressionati dall’episodio, si recano subito al commissariato di Montpellier dove raccontano il fatto ancora impauriti. La vicenda farà molto rumore sulla stampa francese e sarà in seguito a questo caso, da qualcuno spiegato come una burla, che sui giornali affioreranno analoghe storie, alcune già in circolazione dagli anni Settanta.


Capita anche che, pur non potendo rintracciare i conducenti dei veicoli, siano i fantasmi ad avere nome e cognome. Poco tempo fa, per la precisione a metà marzo 2003, a Brindisi, a quasi due anni di distanza dalla tragica morte di madre e figlia che per un errore di manovra finirono in fondo al mare con la loro vettura, ha circolato con insistenza pressoché ovunque, negli uffici, scuole, ospedali, questura una storia che si richiama a quella tragedia. Erano da poco passate le 23 quando una coppia di brindisini si sarebbe trovata in auto nella zona di Costa Morena, dove avvenne l’incidente. A bordo strada notano una ragazza: alta, bruna, coi capelli lisci e molto bella. Questa chiede loro un passaggio in città. Dice di essere stata lasciata lì dal suo fidanzato, dopo un litigio. Giunti in città, il conducente chiede alla ragazza dove avrebbe dovuto lasciarla. “Vicino al cimitero”, sarebbe stata la secca risposta. Arrivati, la ragazza scende, saluta e si allontana. I due la seguono con lo sguardo e notano che avrebbe varcato la soglia del cimitero, malgrado a quell’ora fosse chiuso. Fu in quel momento che alla coppia ritornò in mente la tragedia avvenuta nel settembre 2001. A Brindisi la storia è sulla bocca di tutti, in quanto la comunità intera ricordava Paola Marra, 20 anni, morta assieme alla madre in circostanze così assurde. Per placare le voci sempre più insistenti, la Gazzetta del Mezzogiorno dovette pubblicare un’intervista al padre della ragazza, che chiedeva fosse rispettato il ricordo della figlia.​


Tutto ciò ricorda un altro episodio, accaduto a Milazzo, in provincia di Messina, nel maggio 1987. Nella cittadina in molti si raccontavano la storia tant’è che La Gazzetta del Sud vi dedicò un lungo articolo. Un ragazzo lungo la strada per Milazzo fu colpito dalla figura di una giovane vestita di bianco. Tremava dal freddo, così le da un passaggio fino a casa e le presta il giubbotto. Il giorno dopo tornò a bussare a quella casa. Gli apre una donna anziana. I particolari che seguono sono i soliti: lui riconosce la ragazza in una foto, è morta da anni e la donna è sua madre, sulla tomba della ragazza, il giovane incredulo trova il suo giubbotto. Anche in questo caso, c’è una storia, vera e triste, annidata nelle pieghe della memoria della comunità locale che ha fatto emergere la leggenda. Tutta la cittadina sapeva chi era la ragazza sul bordo della strada. Si chiamava Paola, soffriva di depressione e sette anni prima si era tolta la vita. Aveva 22 anni. I genitori non se ne sono mai data spiegazione, e lo strano racconto ha fatto loro solo del male.​

Come abbiamo visto, la vicenda dell’autostoppista fantasma si incarna in numerosi generi: storie raccontate accadute all’“amico dell’amico” (le classiche leggende metropolitane), voci non confermate, falsi o burle, finzioni letterarie, cronache giornalistiche, esperienze vissute da un testimone ben identificato. Queste narrazioni tendono comunque a costituirsi in un genere leggendario, una mitologia contemporanea, dove il “sovrannaturale” è decisamente più sollecitato che nelle leggende contemporanee propriamente dette. Secondo il sociologo francese Jean-Bruno Renard, la coesistenza dell’esperienza vissuta e della leggenda pone un problema cruciale: è l’esperienza stessa all’origine della leggenda o è la leggenda che “chiede” esperienze? Bertrand Méheust, filosofo e folklorista, propone una nuova via di ricerca che considera tutte le mitologie come un sistema d’interazione tra “vissuto” e “rappresentazioni culturali”, l’assenza dell’uno o dell’altro elemento provoca la morte della mitologia stessa.


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