venerdì 15 luglio 2022

Le creature marine più misteriose della storia.

Abbiamo mappato i regni acquatici del nostro pianeta in modo da lasciare ampio spazio a possibili sorprese. E nel corso del tempo in molti, tra questi anche molti scienzia ti,sono andati a cercarle.



Si diceva che il famigerato kraken minacciasse le navi nei mari settentrionali tra la Norvegia e la Groenlandia. Viene comunemente raffigurato come un calamaro o una piovra ma è probabile che queste rappresentazioni siano state influenzate da avvistamenti parziali di balene e squali.

Mostrando un capodoglio, un drago di komodo o un diavolo nero degli abissi a qualcuno per la prima volta si può suscitare la stessa reazione della vista di un personaggio di un film di fantascienza o di un essere mitologico. E quando si tratta di demistificare le espressioni più ostili del nostro pianeta, anche gli scienziati ritengono che siano ancora molte le forme di vita da scoprire.

Un aspetto sembra, tuttavia, invariabile: parlando di enormi creature sconosciute alla scienza, pare che il luogo in cui è maggiormente probabile trovarle sia nelle profondità dell’oceano. Gran parte degli angoli e delle fessure dei nostri oceani sono tuttora inesplorati e, dato che ogni esplorazione delle profondità (luoghi peraltro difficilmente raggiungibili) porta con sé la scoperta di nuove specie, i nostri mari appaiono territori fertili per nuove rivelazioni.


La Carta marina et descriptio septentrionalium terrarum (le convenzioni cartografiche del tempo prevedevano l’uso delle denominazioni in latino) è stata la prima cartina dettagliata della Scandinavia, stampata nel 1539 e creata dal cartografo svedese Olaus Magnus. Rivela la convinzione del tempo per cui ogni animale terrestre avesse un corrispondente marino e che terribili mostri fossero in agguato tra i flutti.

Il mistero che circonda le profondità, abbinato all’immaginazione e alle paure dei navigatori, hanno creato un nutrito cast di creature sottomarine che per secoli hanno terrorizzato le acque della storia.

Alcune di queste leggende sono così intriganti e storicamente tenaci da portare la scienza ad analizzarle a lungo e con attenzione. Alcune possono derivare dall’esagerazione di caratteristiche di animali realmente esistenti mentre altre volte possono essere vere sorprese della natura. Ecco alcuni dei più famosi mostri marini della storia e i loro (eventuali) equivalenti reali.


Cefalopodi giganti.

Per chi solcava i gelidi mari del nord nel Medioevo, il kraken era tutt’altro che una creatura di fantasia. Nata nel mondo della mitologia scandinava, questa creatura – il cui nome deriva dal termine della lingua norrena per “piovra” – dotata di tentacoli sta in agguato nell’oceano tra la Norvegia e la Groenlandia ed emerge per cibarsi degli incauti naviganti che si avventurano nel suo territorio.

La leggenda del kraken era ricca di dettagli: si diceva che si facesse buona pesca nella sua zona perché i pesci erano attratti dai suoi rigurgiti. L’animale in sé (si pensava ce ne fossero almeno due) era immenso, delle dimensioni di un’isola, e confondeva i marinai apparendo e scomparendo tra la nebbia. Le descrizioni del kraken sono una combinazione di creature e dimensioni fantasiose che ricordano le caratteristiche del calamaro gigante, dello squalo elefante, del capodoglio e del granchio.

Un disegno del 1801 di Pierre Denys de Montfort raffigura un’enorme piovra che si diceva avesse attaccato un gruppo di naviganti al largo dell’Angola. Anche per i più grandi cefalopodi queste proporzioni risultano esagerate: i tentacoli del polpo gigante del Pacifico raggiungono al massimo i 4 metri circa di lunghezza.

La sua esistenza non era messa in discussione tra i marinai e anche i naturalisti l’hanno seriamente presa in considerazione: il kraken è menzionato nella prima versione del Systema Naturae – nella categoria Microcosmus marinus – di Carlo Linneo e nella storia naturale norvegese del 1752 in cui l’autore Erik Pontoppidan descrive la creatura come di forma ‘stondata, piatta e piena di braccia o diramazioni’; nello stesso volume vengono citati anche sirene e serpenti marini a conferma del fatto che la conoscenza dei mari a quel tempo era solo abbozzata.

Una mancanza perdonabile: prima dell’epoca dei sommergibili e delle attrezzature da immersione la maggior parte delle idee riguardanti i grandi animali marini si basavano su rapidi avvistamenti in mare o su enormi carcasse rigonfie portate a riva dalla corrente quindi è comprensibile che le prime esplorazioni del mare lasciassero molto spazio alla fantasia. Nelle cartine dell’epoca sono raffigurate acque brulicanti di mostri di ogni tipo che minacciano le navi e i naviganti, una visione che perdurò per molti anni.

Ancora nel 1809, il botanico George Shaw parlava con sobrietà del kraken nelle sue lezioni di zoologia presso la Royal Institution citando parenti europei di questa ‘gigantesca’ specie di seppia (probabilmente lo confuse con un calamaro) nell’Oceano Indiano che probabilmente avevano dato vita alla leggenda per cui ‘Un moderno naturalista sceglie di distinguere questa terribile specie denominandola Seppia gigante e sembra ampiamente disposto a credere a ciò che è stato riportato come effetto delle sue devastazioni’. Continua descrivendo un allora recente attacco a una barca nei ‘mari dell’Africa’ in cui tre marinai sarebbero stati catturati e uccisi dal ‘mostro’. Un tentacolo reciso durante la lotta si dice fosse dello spessore ‘dell’albero di mezzana di una nave e le ventose delle dimensioni di un coperchio’.

Ridimensionando le catture di marinai e i termini di paragone per le dimensioni, le descrizioni successive hanno progressivamente smorzato la rappresentazione sensazionalistica dell’animale fino al punto di renderlo riconoscibile in creature che sappiamo esistere, anche se rimangono oscure.


Questa inquietante immagine dell’artista giapponese del periodo Edo Utagawa Kuniyoshi raffigura un umibozu che emerge dalle acque e incontra 'il marinaio Tokuso'. Esistono svariate rappresentazioni dell’umibozu ma la scura testa stondata e i grandi occhi sono caratteristiche ricorrenti. Tradizionalmente l’umibozu compare quando il mare è calmo e preannuncia tempesta e per questo si ipotizza che la sua leggenda sia legata all’apparizione di cupe nuvole temporalesche o altri fenomeni atmosferici.

Il calamaro gigante, ad esempio – come il suo omologo meridionale, il calamaro colossale, più corto ma più massiccio – mantiene un’aura di mistero essendo stato avvistato vivo solo pochissime volte. Quello che sappiamo deriva dalle informazioni estrapolate dall’analisi di spaventose specie correlate come il calamaro di Humboldt, dalle carcasse rinvenute e dalle cicatrici osservate ad esempio sugli squali e i capodogli che si scontrano con loro negli abissi.

Dotati di ventose dentate, un terribile becco ed enormi occhi, questi invertebrati assomigliano a molte delle descrizioni del kraken. Le proporzioni risultano molto più modeste, tuttavia: il calamaro più grande finora misurato era lungo 13 metri anche se alcuni sostengono che la specie può raggiungere i 27 metri o anche oltre. Rimangono comunque tutte congetture, ovvero, come si addice del resto a un vero mostro marino, non sappiamo veramente cosa potrebbe nascondersi negli abissi.


Manifestazioni sinistre.

Tra i più inquietanti abitanti leggendari del mare c’è l’umibozu giapponese: un essere oscuro che compare nel mare di notte spesso quando le acque diventano agitate. Ha una testa tondeggiante come quella di un monaco buddista da cui il nome che significa ‘sacerdote del mare’; l’umibozu è ampiamente citato nel folklore giapponese a partire dal XVII secolo anche se le sue origini sono incerte.

Secondo la tradizione, l’apparizione dell’umibozu precede una tempesta e la sua leggenda spesso si confonde con quella dei funayurei – le anime dei marinai morti in mare – che presentandosi chiedono un mestolo con il quale poi riempiono di acqua la barca per affondarla. Tra le spiegazioni del fenomeno ci sono le ondate del mare in tempesta, minacciose nuvole mammatus o temporalesche e addirittura miraggi.


Squali giganti

Gli “squali mostro” un tempo erano creature assolutamente reali e forse per questo alcuni continuano a credere alla loro esistenza. Ce ne sono effettivamente di esemplari inquietanti ma probabilmente non il tipo di creature che qualcuno si aspetta. Lo sapremmo, ad esempio, se il megalodonte, lo squalo preistorico di 18 metri con i denti delle dimensioni di piatti da antipasto, fosse ancora in azione dopo 4 milioni di anni dalla sua ultima apparizione nei reperti fossili (il megalodonte è certamente estinto e la colpa potrebbe essere dei grandi squali bianchi).

Segni di morsi sulle carcasse portate a riva e resti sul fondale marino dei grandi denti (a ciclo continuo di crescita e caduta) dimostrerebbero con certezza la presenza nei nostri mari di questo vorace predatore da acque temperate. Tuttavia le acque più fredde e profonde, che ospitano creature più adattabili, potrebbero riservare non poche sorprese.


Uno squalo bocca grande (raramente osservato dal vivo) al largo della costa della California. Pur essendo la specie più piccola tra gli squali filtratori, lo squalo bocca grande è tuttavia un pesce molto grande che raggiunge i cinque metri di lunghezza e, come dice il nome stesso, è dotato di enormi mandibole con decine di file di piccoli denti.

Ne è la prova ad esempio lo squalo bocca grande, un imponente filtratore lungo 5 metri con 50 file di piccoli denti che vive nelle acque tropicali trovato la prima volta impigliato nei cavi di un’imbarcazione di ricerca al largo delle Hawaii nel 1976. Conosciuto solo sulla base degli esemplari rimasti catturati nelle reti, rinvenuti morti e gonfi di acqua o molto raramente osservati in vita, questo curioso lento nuotatore è uno degli strani animali che, nascosti negli abissi, sfuggono alla nostra vista.


Antichi pesci.

Può darsi che plesiosauri e squali giganti non esistano più ma, per avere la riprova che i nostri mari potrebbero ancora ospitare creature considerate estinte da tempo, basta guardare il celacanto. Si pensava che questo strano pesce di quasi 2 metri si fosse estinto insieme ai dinosauri ma nel 1938 ne fu trovato un esemplare vivo al largo della costa del Sudafrica.


Rappresentazione di un celacanto, una specie che suscitò molto interesse quando fu riscoperta nel 1938. Si tratta di un grande pesce predatore dotato di cranio diviso in due parti che gli permette di ingerire grandi prede e che dà alla luce piccoli vivi.

Dotato di una serie di caratteristiche primitive – come cranio diviso in due parti, spina dorsale cava, 8 pinne lobate carnose che si muovono come le zampe degli animali terrestri e occhi molto sensibili alla luce e quindi adatti alla vita nell’oscurità – nel 1998 per il celacanto è stata definita una seconda specie, trovata in Indonesia, che alimenta questa fase di rinascita di una specie che per lungo tempo è stata ritenuta estinta.


Sirene.

A volte, quando una leggenda è ben radicata nella mente dell’osservatore, può bastare una vaga somiglianza per collegarla alla realtà. Questo potrebbe essere stato il caso di Cristoforo Colombo quando, avvicinandosi alla costa della Repubblica Dominicana nel 1493, vide le sirene. “Non sono così belle come si dice”, scrisse sul giornale di bordo, “anzi i loro volti hanno tratti piuttosto mascolini”.


“Tratti mascolini”: un lamantino dell’Oceano Indiano occidentale si offre alla telecamera. Con i suoi lenti movimenti, il lamantino spesso viene inavvertitamente ferito dall’uomo ed è esposto a notevoli minacce.

È quasi certo che le creature che stava descrivendo fossero in realtà lamantini che, tratti del viso a parte, forse differiscono dalle leggendarie sirene anche in altre caratteristiche: sono animali che raggiungono una lunghezza di oltre 3,5 metri e con il loro abbondante strato di grasso arrivano a un peso di 500 kg; presentano un grosso muso con grandi narici che si chiudono sott’acqua, pinne laterali e pinna caudale tondeggiante. Ciononostante l’associazione prese piede tanto che il nome della famiglia del lamantino e del suo cugino del Pacifico, il dugongo, ha assunto il soprannome delle loro controparti mitologiche: sirenii. La parola dugongo in malese significa ‘signora del mare’.


Mostri lacustri

Pochi laghi al mondo hanno una tradizione di mostri acquatici paragonabile a quella di Loch Ness. Questo lago di 37 km di lunghezza, collegato al mare attraverso un sistema di canali che presenta una capacità sufficiente a contenere tutti i laghi e bacini idrici di Inghilterra e Galles, è stato esaminato dai media locali e non in merito alla misteriosa creatura che si dice ospiti da oltre un secolo. I sospetti risalgono ai tempi in cui il missionario cristiano San Columba si dice abbia avuto a che fare con una “bestia acquatica” nel VI secolo ma la saga moderna è iniziata il 2 maggio 1933 quando in un articolo dell’Inverness Courier pubblicò il resoconto di un testimone oculare su un enorme animale che emergeva e si rituffava nelle acque del lago.


Le dimensioni del lago di Loch Ness – quasi 40 km di lunghezza, picchi di profondità di oltre 200 metri, ne rendono difficile l’esplorazione in tutti i suoi punti. È ancora viva la tradizione che racconta di un mostro che ne abiterebbe i fondali; l’ultima immagine a riportare l’attenzione sul tema è stata trovata su Apple maps.

Una, ora famigerata, fotografia che mostrava una creatura dal lungo collo simile a un plesiosauro che emergeva dalle acque seguì l’anno successivo causando una tempesta mediatica. Da allora innumerevoli immagini sensazionalistiche (e di dubbia autenticità) si sono aggiunte ad alimentare le credenze sulla creatura ormai nota con il nome di ‘Nessie’.

La maggior parte degli avvistamenti paragonano la creatura aserpente o a una lucertola d’acqua simile a un plesiosauro, forse un essere dei tempi dei dinosauri che in qualche modo è riuscito a sopravvivere e a prosperare nelle acque ricche di pesci del lago. È un’idea allettante considerando che Loch Ness, che in alcuni punti raggiunge profondità di 220 metri, è notevolmente più profondo della maggior parte del Mare del Nord. Spiegazioni più prosaiche prevedono che potrebbe trattarsi di un grande squalo di acqua dolce, di una seppia particolarmente adattiva, di un tipo di anguilla o addirittura di lontra.


I fotografi e gli scienziati di National Geographic in immersione nelle acque di Loch Ness nel 1977 per esaminare il lago scozzese e i suoi abitanti criptozoologici.

Per un essere che rappresenta la definizione di criptozoologia – accompagnata da una serie di innumerevoli bufale accumulate nella storia, inclusa la foto che sembra stare all’origine di tutto – è stata dedicata una grande attenzione scientifica al determinare la sua esistenza. Alcuni esempi sono gli studi con apparecchi sonar eseguiti dall’Università di Birmingham, un altro studio sponsorizzato dalla BBC e un profilo del DNA del lago eseguito da un team di tre università europee.

Nel 1977 anche National Geographic ha partecipato alle ricerche incaricando il fotografo subacqueo David Doubilet e l’explorer Robert Ballard di condurre uno studio fotografico delle profondità. Ballard avrebbe trovato il Titanic otto anni dopo ma nessuna di queste spedizioni trovò alcuna prova certa sulla presenza di un ‘mostro’ dentro Loch Ness. Tuttavia, nonostante tante teorie confutate, è difficile anche provare la non esistenza della creatura – e la lucrosa tradizione locale su Loch Ness non sembra volersi inabissare nella memoria, per ora.


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