giovedì 14 luglio 2022

Mary Celeste: il mistero della nave fantasma il cui equipaggio svanì nel Nulla.

Sulle cause della sparizione dell’equipaggio e dell’abbandono del brigantino canadese Mary Celeste nel 1872 è stata considerata ogni ipotesi, dalla più fantasiosa alla più realistica. Nonostante ciò, dopo quasi due secoli dalla sua costruzione, la storia della Mary Celeste rimane uno dei più grandi misteri irrisolti del mare.

Sotto, dipinto del 1861 della nave “Amazon”, in seguito Mary Celeste. Autore sconosciuto Immagine di Hautala, Pubblico Dominio.



Costruita nel 1861 a Spencer Island, in Canada, la nave-brigantino venne inizialmente battezzata col nome “Amazon”. In seguito a una serie di vicende sfortunate, tra cui un naufragio e la morte dei primi due capitani che la comandarono, la nave venne acquistata come rottame da Richard Haines, per 1.750 dollari, e riparata per un costo di oltre 8.000 dollari.

Nel 1868, dopo aver preso il vessillo americano ed esser stato registrato al porto di New York, il brigantino venne rinominato “Mary Celeste”. Tuttavia, nell’ottobre 1869, la nave fu sequestrata ad Haines da alcuni creditori; essa venne rivenduta a un consorzio con a capo James H. Winchester, un facoltoso armatore, che ne suddivise la proprietà con altri investitori.

Obiettivo dei suoi nuovi possessori era quello di commerciare con i grandi porti del Mediterraneo, tra cui anche quelli del Mar Ligure; fu così che il 5 Novembre 1872 la nave salpò da Staten Island (New York), diretta verso Genova, con un carico di 1701 barili contenenti alcool denaturato per uso industriale.

Capitano e comproprietario della Mary Celeste divenne Benjamin Spooner Briggs, socio in affari di James H. Winchester.

Sotto, il Capitano della Mary Celeste Benjamin Spooner Briggs. Immagine di zbigniew.czernik, Pubblico Dominio.


Insieme a un piccolo equipaggio composto da sette uomini, Briggs portò con sé anche la moglie, Sarah E. Briggs, e la figlioletta Sophia Matilda, di soli due anni.

Sotto, Sarah. E. Briggs, moglie di Benjamin Briggs. Immagine di Quibik Pubblico Dominio.

Sotto, Sophia Matilda Briggs. Immagine di Quibik, Pubblico Dominio.



Come Sarah E. Briggs scrisse in una lettera indirizzata alla madre, il principio del viaggio sembrò esser favorito dal personale di bordo, definito “tranquillamente capace”. Ben presto però, la rotta della Mary Celeste subì un’improvvisa interruzione che avrebbe condotto lei e il suo equipaggio a un oblio senza fine.

Il 4 Dicembre 1872, il brigantino mercantile Dei Gratia, capitanato da David Reed Morehouse, si trovava a metà strada tra le coste del Portogallo e delle isole Azzorre, dopo una nottata di forti venti e fitte nubi.

Verso le ore tredici, il capitano avvistò una nave a vele spiegate navigare in modo maldestro; quando la Dei Gratia vi si avvicinò, Morehouse si rese conto che questa era in movimento solo grazie alle vele sussidiarie, mentre le altre erano assenti o severamente danneggiate.

Avvicinatisi all’imbarcazione, gli uomini lessero il nome: Mary Celeste.

Quando, col cannocchiale, ne scrutò la superficie, fu per lui probabilmente una grande sorpresa accorgersi della totale assenza dell’equipaggio. La nave era alla deriva; Morehouse inviò il suo primo aiutante Deveau, accompagnato da qualche altro marinaio, a bordo della Mary Celeste, in cerca di qualcuno.



Sebbene sarebbe stato facile presupporre che l’imbarcazione fosse stata lasciata sul posto in seguito a disastri, carneficine, attacchi da parte di pirati o a epidemie, essa non presentava segni di lotta, carenza di viveri, tracce di sangue o che lasciassero pensare a un incendio.

Solo le stive, dove erano contenuti i barili, presentavano una quantità di acqua al loro interno alta circa 1 metro.

Mancava l’unica scialuppa di salvataggio e alcuni oggetti di navigazione, come bussola, mappe nautiche e sestante, ma gli effetti personali del disperso equipaggio e una gran quantità di provviste erano ancora presenti a bordo. Tutto lasciava presupporre che la Mary Celeste fosse stata abbandonata in fretta, ma non a causa di un pericolo esterno, visto che le armi dello stesso capitano Briggs erano ancora presenti sotto il letto della sua cabina.

Naturalmente incuriositi e preoccupati, Deveau e i suoi marinai consultarono quello che era il diario di navigazione; l’ultima annotazione risaliva alle otto del mattino del 25 Novembre, dove venivano segnalati forti raffiche di vento e l’avvistamento dell’isola di Santa Maria, una delle Azzorre.

Dopo una lunga perlustrazione, Deveau tornò a bordo della Dei Gratia, dove riferì a Morehouse tutto ciò che aveva scoperto. Il capitano prese la decisione di scortare il relitto fino a Gibilterra, a seicento miglia nautiche di distanza dal punto del ritrovamento, dove la Dei Gratia attraccò il 12 Dicembre 1872 mentre il brigantino canadese sarebbe giunto il mattino seguente.

Sotto, un dipinto mostra come apparivano le rocce della scogliera frontale di Gibilterra nel XIX secolo, 1810 circa, autore sconosciuto. Immagine di RedCoat, Pubblico Dominio.



Immediatamente sequestrata dal governo inglese al suo arrivo in porto, la Mary Celeste divenne oggetto d’inchiesta per la sparizione del suo equipaggio, aperta dal procuratore generale di Gibilterra, Frederick Solly Flood.

Sotto, incisione della Mary Celeste (1817-1890) come appariva al momento del ritrovamento, autore sconosciuto. Immagine di GianniG64, Pubblico Dominio.


Le cause della mancanza dell’equipaggio a bordo della nave che il procuratore prese in considerazione furono principalmente due: Gli uomini della Mary Celeste potevano essersi ubriacati e ribellati al capitano e alla sua famiglia, massacrandoli tutti per poi fuggire con la scialuppa.

Ciò fu ipotizzato in seguito alla scoperta di una spada macchiata da una sostanza rossastra, che si rivelò però essere ruggine. Vi era inoltre una gran quantità di alcool a bordo, ma l’alta tossicità di quest’ultimo non avrebbe lasciato scampo ai suoi consumatori.

La prima ipotesi era quindi poco attendibile.

In seconda istanza, Flood pensò che Morehouse e Briggs potessero aver concordato una grande frode ai danni delle assicurazioni, inscenando la sparizione dell’equipaggio e la deriva dell’imbarcazione.

Presto anche questa seconda accusa cadde, poiché Briggs era comproprietario del brigantino, e dal suo abbandono avrebbe tratto soltanto una piccola quota di risarcimento.

Senza alcun appiglio plausibile, il procuratore generale giunse infine a sospettare di Morehouse e dei suoi marinai: Potrebbero aver assassinato l’equipaggio della Mary Celeste e aver finto il ritrovamento del relitto alla deriva per incassare la ricompensa.

Senza concrete prove su cosa fosse effettivamente accaduto alla nave e al suo equipaggio, Flood fu costretto a chiudere e ad archiviare il caso Mary Celeste il 25 Febbraio 1873, assegnando a Morehouse un compenso di circa ottomila dollari per il recupero dell’imbarcazione.

Sebbene il caso della Mary Celeste sembrasse destinato a esser dimenticato, qualche anno più tardi, grazie alla penna di Arthur Conan Doyle, la sua storia riguadagnò fama e risonanza.

Sotto, un ritratto fotografico del 1893 di Sir Arthur Conan Doyle scattato da Herbert Rose Barraud. National Portrait Gallery, Londra. Immagine di Scewing, Pubblico Dominio via Wikipedia


Nel suo breve racconto, scritto per il Cornhill Magazine nel Gennaio 1884, Conan Doyle narrò di un membro dell’equipaggio della nave che, pervaso dall’odio per la razza bianca in quanto di origini nere-africane, avrebbe sterminato l’equipaggio della Mary Celeste in seguito a un raptus omicida, per poi fuggire per mezzo di una delle scialuppe.

Oltre a ciò, raccontò di cosa rinvennero gli scopritori del relitto al suo interno; zuppe ancora bollenti, sigari ancora accesi, e rocchetti di fili di seta ancora in piedi su una macchina per il cucito.

Per lungo tempo, il resoconto dello scrittore fu preso per assoluta verità.

Ciò che il grande pubblico di lettori allora non sapeva, era che tale racconto era solo frutto della fantasia di Doyle, e non cronaca reale; inoltre, le vicende facevano parte di un suo scritto di gioventù “J. Habakuk Jephson’s Statement”, al quale modificò nomi e luoghi per prestarli agli eventi della Mary Celeste.

Nonostante questo, l’immaginazione degli appassionati al caso era già scatenata, intenta a imputare il naufragio della Mary Celeste alle cause più eccezionali.

Come nel 1913 quando, sullo Strand Magazine, vennero pubblicate le memorie di un presunto naufrago del brigantino, Abel Fosdyk, amico del capitano Briggs e presumibilmente imbarcatosi di nascosto. Secondo l’uomo, Briggs avrebbe sfidato per gioco l’equipaggio e la sua famiglia a tuffarsi in mare con gli abiti indosso, dopo averlo fatto egli stesso. Mentre lo osservavano da una piattaforma, questa all’improvviso si sarebbe rotta, trascinando tutti in acqua. Poco dopo, un gruppo di squali li avrebbe raggiunti, divorandoli uno a uno.

Unico superstite era Fosdyk, il quale avrebbe galleggiato, appeso a un asse di legno, fino a una spiaggia sulle coste africane.

Sebbene l’articolo avesse fatto sensazione, venne presto smentito da numerose incongruenze con i fatti realmente accaduti e da dettagli tecnici del brigantino totalmente errati, a cominciare dal fatto che nessun tale Abel Fosdyk risultava mai essere esistito e che non vi era alcuna traccia di una piattaforma costruita in aggiunta al ponte della nave.

Sotto, il porto di New York dipinto da George McCord nel XVIII secolo:


Vennero inoltre ipotizzati ammutinamenti, zuffe tra capitano ed equipaggio, disastri climatici, o addirittura che una piovra gigante avesse divorato tutti i presenti sulla nave.

Ad oggi, l’ipotesi più credibile e più sostenuta pare essere collegata ai barili di alcool denaturato; delle 1701 botti presenti nella stiva, nel porto di Genova ne arrivarono vuote ben nove. Secondo lo storico Conrad Byers, Briggs potrebbe essersi accorto di una perdita di materiale da parte delle botti, realizzate in quercia rossa, (e non in quercia bianca come le restanti) dalle cui travi avrebbe potuto facilmente trasudare la sostanza.

Dopo aver annusato nell’aria i vapori sprigionati dai barili ed aver pensato a un imminente pericolo di esplosione, il capitano avrebbe ordinato l’abbandono immediato della Mary Celeste per mezzo della scialuppa di salvataggio. Ma a causa del forte vento e del mare mosso, la scialuppa si sarebbe slegata dalle corde a cui era assicurata, perdendosi e lacerandosi tra le onde del mare in tempesta.

L’unica soluzione sarebbe stata quella di gettarsi in mare; i naufraghi sarebbero quindi morti di senti, dopo chissà quanti giorni trascorsi a galleggiare nelle acque dell’Atlantico.

L’ipotesi di Conrad Byers, riveduta nel 2005 dallo storico Eigel Wiesse e (su suo suggerimento) da un team dell’Università di Londra, avrebbe trovato conferma, ma con una differenza: un incendio si sarebbe realmente potuto sviluppare sull’imbarcazione, per colpa dei vapori trasudati dalle botti.

Tramite alcuni esperimenti, gli studiosi hanno verificato che l’alcool trasportato, l’etanolo, raggiunge il punto d’infiammabilità a soli 13 gradi centigradi, una temperatura molto bassa. Le fiamme avrebbero quindi potuto sprigionarsi nella stiva, spaventando l’equipaggio e inducendolo ad abbandonare in fretta e furia l’imbarcazione, ma senza compromettere l’integrità del legno e dei materiali presenti a bordo.

Questo spiegherebbe come mai la ciurma di Morehouse, durante il suo sopralluogo, non rinvenne alcun segno di combustione dei materiali a bordo.

La nave venne venduta in fretta e furia dal suo proprietario, disposto a rimetterci pur di liberarsi dello scomodo brigantino. Negli anni seguenti nessun marinaio osò più imbarcarsi sulla nave, e l’ultimo dei 17 proprietari, il capitano Gilman Parker, la fece naufragare il 3 Gennaio del 1885 contro una scogliera nei pressi di Haiti. Il capitano sperava di incassare il premio assicurativo, 30.000 dollari dell’epoca paragonabili a quasi un milione di dollari odierni, ma le compagnie portarono lui e i soci in tribunale, e ottennero di non pagare alcun risarcimento.

Viste le peripezie della Mary Celeste, il capitano e i complici vennero graziati dai giudici.

Nel 2001, l’archeologo marino Clive Cussler, seguito da una troupe televisiva, mostrò di aver trovato il relitto della Mary Celeste incagliato nella scogliera di Rochelois. Fu possibile recuperare solo qualche manufatto, poiché la nave era ormai trattenuta da una grande quantità di corallo.

Sotto, gli scogli Rochelois sono ben visibili fra l’isola di Gonâve e la terra di Haiti.

Fotografia NASA:



Nonostante l’entusiasmo iniziale, alcuni test dendocronologici compiuti su assi di legno recuperati dal relitto dal Geological Survey of Canada, mostrarono che il materiale era legno statunitense, non canadese, e non poteva risalire all’epoca di costruzione della Mary Celeste (1861), bensì alla fine del XIX secolo.

Il brigantino Mary Celeste affolla ancora le menti degli appassionati di mistero e di mare, inducendoli a cercare una spiegazione che probabilmente non potrà mai trovare conferma ufficiale.

Dai rapimenti alieni, ai mostri marini, dai duelli fra uomini, alle calamità naturali, tutto è stato vagliato, tutto è stato preso in considerazione, soprattutto in un’epoca, quella Vittoriana, in cui la passione morbosa per il soprannaturale e il mistero sovrastavano il buon senso.

L’equipaggio della nave sarà certo sparito per sempre, inghiottito dal mare, ma la sua storia rimarrà viva, a galla nei libri di storia, fin tanto che la soluzione a questo enigma rimarrà un’incognita ricoperta di salsedine.




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