Tra le tante creature fantastiche di
cui ancora non è stata dimostrata l’esistenza, appartenenti alla
categoria “dinosauri ritenuti estinti” (come il mostro di Loch
Ness giusto per citare il più famoso), troviamo in Africa la
leggenda del Mokele Mbembe, che in lingua lingala significa “colui
che ostacola il corso dei fiumi”. Chiamato dalle popolazioni locali
anche “N’Yamala”, il Mokele Mbembe è una creatura che, secondo
quanto affermano alcuni indigeni della Repubblica del Congo, vivrebbe
a 800 chilometri a nord di Brazzaville, nella regione di Likouala, in
una vasta palude di 130.000 chilometri quadrati.
La prima testimonianza di questo essere
nel mondo occidentale fu data da un missionario francese del XVIII
secolo, l’abate Proyar, che lo descrisse come un ibrido tra un
elefante, un ippopotamo e un leone, con un collo elastico di giraffa
lungo almeno un paio di metri, una testa piccola, una lunghissima
coda da serpente e quattro zampe possenti. Il colore della sua pelle
era grigio/bruno e sembrava completamente liscia, senza alcun tipo di
peluria.
Questo e altri successivi avvistamenti
simili farebbero pensare a un dinosauro di genere Apatosaurus. Tra le
altre cose, esiste una fotografia ritraente un’orma a tre dita,
profonda alcuni centimetri, attribuita proprio al Mokele Mbembe: si
tratterebbe di un’impronta tipica dei dinosauri, ma non dei
sauropodi, che invece erano dotati di arti a cinque dita.
L’attribuzione è disputata dagli studiosi e potrebbe comunque
trattarsi della semplice impronta di un ippopotamo, che il vento ha
modificata nel corso del tempo.
In ogni caso sono stati in molti nel
corso del tempo a credere a questa leggenda e all’esistenza di
questa fantastica creatura, tanto da organizzare svariate spedizioni
alla sua ricerca. Nel 1913, la Germania inviò alcuni uomini, sotto
la guida del barone Von Stein zu Lausnitz, per tracciare una mappa
dettagliata del Camerun, allora colonia tedesca, e del bacino del
fiume Congo: il dettagliato rapporto sulle zone inesplorate delle due
colonie non fu però mai pubblicato, perché la Germania perse il
dominio sulle sue colonie dopo la Prima Guerra Mondiale.
Tempo dopo, lo zoologo Willy Ley
pubblicò sui giornali alcune parti del rapporto di Von Stein, in cui
si parlava di una bestia locale temuta dai pigmei: “Le descrizioni
generali dei nativi convergono tutte su di un unico modello:
l’animale è di colore bruno-grigiastro e possiede una pelle
liscia, le sue dimensioni sono quelle di un elefante o perlomeno di
un ippopotamo. Si dice che abbia un collo lungo e flessibile ed un
solo dente, ma molto grande, alcuni dicono che si tratta di un corno.
Alcuni parlano di una lunga coda muscolosa simile a quella dei
coccodrilli. Le canoe che attraversano il suo territorio sono
destinate ad affondare, l’animale attacca le imbarcazioni e ne
uccide l’equipaggio, ma senza divorarne i corpi. Si dice che vive
nelle grotte e che sale sulla riva in cerca di cibo, la sua dieta è
completamente vegetale. Il suo cibo preferito mi fu mostrato, era una
sorta di liana dotata di grandi fiori bianchi, una linfa lattiginosa
ed un frutto simile per forma ad una mela”.
Altre testimonianza sul Mokele Mbembe
le troviamo nel 1938, allorquando il dottor Leo Von Boxberger disse
di aver perso molti dei dati raccolti sulla creatura, dopo che la sua
flotta fu attaccata nella Guinea Spagnola da un gruppo di Pangwe.
Nel 1976, James H.Poweel, un erpetologo
americano, si recò all’interno della regione per studiare la fauna
del posto. Qui incontrò lo stregone di un piccolo villaggio, cui
avrebbe mostrato le immagini di vari animali: nel vedere quella di un
Diplodocus, lo sciamano vi avrebbe riconosciuto “Mokele Mbembe”
chiamandolo “N’Yamala” e avrebbe aggiunto che esso si cibava
del “cioccolato della giungla”, una pianta che dà grossi frutti
simili alle noci.
Dopo le affermazioni del barone e degli
ultimi due scienziati giunti sul posto, altre spedizioni sono state
effettuate per verificare l’esistenza o meno dell’animale, ma
nessuna ha dato risultati positivi, anche se Ivan Sanderson e Gerard
Russel avrebbero trovato, nel Camerun occidentale, delle grosse
impronte attribuibili alla creatura, poiché in quell’arco di
foresta non vivevano pachidermi.
Nel 1981, un gruppo di scienziati
avrebbe fotografato una strana pista di rami spezzati e di grosse
orme che si dirigeva verso un fiume: questa sarebbe ritenuta una
delle prove più convincenti circa l’esistenza in quel luogo di un
animale di grossa mole.
Due anni più tardi, Marcellin Agnagna
si recò al lago Tele per cercare la creatura; con la sua cinepresa
avrebbe filmato da circa 270 metri di distanza una strana creatura
dal collo sottile e occhi ovali, il collo lungo circa un metro e la
lunghezza totale del corpo forse di 5 metri. Stando ai testimoni la
creatura sarebbe stata visibile per circa venti minuti per poi
scomparire nelle acque torbide della palude. I video e le fotografie
mostrano però soltanto una macchia nera nell’acqua e non
confermano quindi le dichiarazioni di Agnagna.
Tra gli altri avvistamenti e
testimonianze, possiamo citare quelle dei coniugi Regusters, che
dissero di avere visto l’animale muoversi tra i cespugli e poi
immergersi in un fiume, e di Rory Nugent che nel 1992 avrebbe
scattato delle fotografie alla bestia presso il lago Tele.
In merito all’esistenza o meno del
Mokele Mbembe, alcuni studiosi dicono che potrebbe trattarsi di una
specie sconosciuta di varano, simile ai draghi di Komodo, lunghi dai
3 ai 4 metri. Altri fanno riferimento al Varanus priscus o Melagamia,
un varano gigante vissuto nel Pleistocene, ma in Oceania e non in
Africa. Una delle ipotesi più comprovate dagli zoologi è che
l’essere sarebbe in realtà una tartaruga della famiglia dei
Trionichidi, collo lungo, testa piccola, molto aggressivi, però
carnivori e che abbandonano l’ambiente acquatico solo per deporre
le uova. Secondo Klingelhoffer si tratterebbe di una Trionice
africana, ma una Trionice africana non potrebbe mai avere una coda
come quella di un coccodrillo (così definita dalle tribù locali e
da Agnagna), la mole di un ippopotamo e un collo lungo dai 2 ai 3
metri. Un altro elemento discordante è il corno posto sulla testa
del Mokele Mbembe in alcuni avvistamenti, cosa che nessuna Trionice
possiede. Alcune tribù indigene credono nell’esistenza di una
varietà gigante di Trionici che i Bantù chiamano Ndendeki, e dicono
che possano raggiungere anche i 4 metri di diametro.
Il mistero resta tuttora irrisolto: la
caccia è ancora aperta!