lunedì 18 gennaio 2021

Anello temporale

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Un anello temporale, o loop temporale, è un espediente narrativo in cui dei personaggi sono costretti a ripetere esperienze o a rivivere in continuazione vicende già avvenute, in un ciclo continuo che si ripete all'infinito. Il tema è stato frequentemente trattato nella fantascienza.
La validità scientifica dei loop temporali e la loro ammissibilità teorica è stata ipotizzata nel 1937 dal matematico Willem Jacob van Stockum nei risultati delle equazioni di campo della relatività generale, teorizzata nei lavori del matematico Kurt Gödel nel 1949 e successivamente dal fisico Frank Tipler.

Variazioni narrative

Cambiare gli eventi

L'idea di base del loop temporale permette alcuni sviluppi narrativi spesso uilizzati in letteratura o nella cinematografia; se i personaggi imprigionati nel circuito riescono a mantenere la memoria delle esperienze vissute, hanno la possibilità di alterare il flusso degli eventi con il loro comportamento e a volte di interrompere il circuito. Esempi sono i film Ricomincio da capo (Groundhog Day, 1993) e il remake italiano È già ieri oppure il film per la tv 12:01 (1990) o la versione americana in chiave goliardica e adolescenziale Io vengo ogni giorno, o ancora la serie animata Looped - È sempre lunedì, in cui i protagonisti finiscono in un loop temporale che sfrutteranno per divertirsi.

Paranormale

In alcuni casi il loop temporale è causato da eventi paranormali, come la maledizione che colpisce il protagonista del racconto di Stephen King 1408 e dell'omonimo film, costretto per l'eternità in una stanza d'albergo.

Resurrezione

A volte i protagonisti muoiono per risvegliarsi subito dopo, costretti a rivivere nuovamente lo stesso periodo di tempo in un ciclo continuo senza apparente via di uscita, come nel film Nirvana di Gabriele Salvatores dove il protagonista perde la vita, risorge e muore di continuo, poiché personaggio di un videogioco. Altro esempio è il film Edge of Tomorrow - Senza domani, tratto dal manga All You Need Is Kill, dove il protagonista viene ucciso dagli alieni, ma ritorna indietro nel tempo fino a quando non troverà il modo di sopravvivere. Un esempio più recente è il film Auguri per la tua morte, in cui la protagonista muore la sera del suo compleanno e si risveglia "il giorno dopo", in un ciclo continuo che ha lo scopo di farle scoprire l'identità del suo assassino.

Legge universale

Una variazione del tema ipotizza che l'intero universo sia regolato da leggi che impongono la ciclicità: questa è l'idea centrale di romanzi come La legge della creazione (The Ring of Ritornel, 1968) di Charles L. Harness e A Tale of Time City (1987) e Archer's Goon (1984), entrambi scritti da Diana Wynne Jones.




domenica 17 gennaio 2021

Mehen



Mehen è una divinità egizia appartenente alla religione dell'antico Egitto, il benefico dio-serpente, guardiano della barca solare di Ra e il cui nome significa "colui che è arrotolato".
Con le sue spire proteggeva il dio sole avvolgendolo, come uno scudo, nel viaggio notturno nella Duat oppure lo salvava dal malvagio dio Apopi che, serpeggiando, circondava ma senza mai poterlo uccidere perché entrambi rappresentavano l'eterna lotta tra bene e male.
Se Apopi fosse riuscito a fermare la barca di Ra e a rovesciarla il mondo sarebbe finito, tornando nelle tenebre.
Almeno in un'occasione però il guardiano della barca solare fallì il suo compito ed Apopi ingoiò il sole. Ma con l'aiuto di divinità protettrici, Mehen fece uscire Ra da un buco nell'addome di Apopi, come illustrato nella tomba di Ramses IX, consentendo così al dio-sole di terminare il suo tragitto e rinascere.
Del primordiale dio si hanno tracce nei Testi delle piramidi, nei Testi dei sarcofagi e nei papiri fin dall'Antico Regno ma è molto probabile che il suo culto nasca anche prima del Periodo Predinastico.
Nel Nuovo Regno nacque la regola secondo la quale, nel viaggio notturno di Ra poteva partecipare anche il defunto ma solo se esso si trovasse seppellito nelle profondità della terra: nacquero così gli ipogei.
Nelle tombe della Valle dei Re, il dio-serpente, è raffigurato nelle scene dell'Amduat e ancor più in quelle del Libro delle Porte. Queste delimitano le ore della notte, che sono dodici e il testo recita il percorso del dio-sole, accompagnato dal sovrano, nel cielo della notte.
Nell'iconografia annoveriamo le seguenti tombe:
  • Ramses I vi è rappresentata la barca solare di Ra con testa d'ariete, chiamato Auf-Ra, nella III ora del Libro delle Porte. Entrambi sono protetti dal dio Mehen e dalle minori divinità Sia e Heqa;
  • Horemheb anche qui, essendo ben illustrato il Libro delle Porte pur se incompleto, sono numerose le raffigurazioni del serpente Mehen;
  • Seti I splendidamente decorata con i Libri, ha numerose raffigurazioni tratte dal Libro delle Porte tra cui quella in cui Mehen e altre divinità impediscono ad Apopi di ostacolare Ra;
  • Ramses VI dipinta con immagini dalla tecnica perfetta, ha numerose rappresentazioni di Mehen. Nella tomba infatti i testi dei Libri delle Porte, dei Cieli e delle Caverne sono completi;
  • Thutmose III ove sono rappresentate le dodici ore notturne dell'Amduat con la barca di Ra protetta da Mehen.
Quest'ultimo è stato spesso raffigurato perché il viaggio notturno del sole divenne il tema magico-religioso più ricorrente nelle rappresentazioni funerarie.
Il sacro serpente Mehen doveva accuratamente proteggere il viaggio di Ra poiché la fine del mondo era estremamente temuta dagli egizi ed essi, inoltre, viaggiando con il sole, sarebbero rinati sconfiggendo, così, la morte.
E mentre il sovrano, con il dio Ra e le divinità protettrici, si avviava trionfante verso la rinascita sua e dei suoi antenati, altri uomini, nella terra di Kemet, continuavano solo a morire.

Gioco egizio

All'Antico Regno risale anche il gioco "del serpente attorcigliato" che era così strettamente connesso al dio Mehen, da ipotizzare più una funzione religiosa che un passatempo, si pensa infatti fosse un rituale dove tra il dio mehen e il defunto che se avesse vinto la partita si sarebbe salvato dal morso velenoso. Svolgimento del gioco: per scegliere chi dovesse iniziare si lanciavano i dadi e chi faceva il numero maggiore iniziava. Si procede dalla coda alla testa del serpente lanciando i dadi. Arrivati alla testa ci si trasforma in leone o in leonessa a questo punto si ritorna alla coda (trasformandosi il lancio dei dadi vale doppio), il primo ad arrivare alla coda vince.



sabato 16 gennaio 2021

Padre Pio si procurava le stimmate usando acido fenico

 


Ordinava in segreto acido fenico dal farmacista attraverso alcuni bigliettini, chiedeva flaconi di acido fenico e veratrina, sostanze caustiche in grado di procurare bruciature e lesioni sulla pelle. Quando il Santo Uffizio mandò a San Giovanni Rotondo monsignor Raffaele Carlo Rossi per indagare sui sospetti che circondavano le sue stigmate, Padre Pio si difese sostenendo che in realtà intendeva usare tali sostanze per fare uno scherzo ai confratelli, mischiandole al tabacco in modo da farli starnutire.



Agostino Gemelli (foto sopra), il fondatore dell’Università Cattolica di Milano, fu inviato dal Sant’Uffizio per indagare sul frate, si conosce poco dell'incontro, avvenuto nel 1920, le fonti che riferiscono del colloquio narrano di un dialogo teso tra i due, ma tali fonti risalgono ad alcuni anni dopo l'accaduto. Nell'imminenza, invece, nessuno sollevò clamori. Nella prima lettera al Sant'Uffizio Gemelli disse che padre Pio era un uomo di vita encomiabile, ma non gli pareva un mistico. Gemelli suggerì dunque alcuni accertamenti con un metodo di lavoro innovativo per il tempo, ossia con la composizione di una équipe di esperti in teologia, medicina e psicologia. Nel 1926, dopo essere stato raggiunto da alcuni devoti di padre Pio, Gemelli scrisse una nuova lettera al Sant'Uffizio. Questa volta affermò che per lui Padre Pio era "uno psicopatico ignorante e che indulgeva in automutilazione e si procurava artificialmente le stigmate allo scopo di sfruttare la credulità della gente".


venerdì 15 gennaio 2021

Azoth

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L'Azoth (o Azoto), in alchimia, è un solvente o un farmaco universale, affine ad altre sostanze sottili come l'etere o l'alkahest, che si otterrebbe disciogliendo lo spirito vitale nascosto nella materia grossolana. A partire dall'azoth sarebbe stato possibile cristallizzare la pietra filosofale e operare ogni sorta di trasmutazione: esso fu perciò oggetto della visione e delle ricerche di svariati alchimisti.
Simbolizzato a volte dal caduceo, l'azoth riassumeva in sé una formula occulta, o costituiva anche un'espressione poetica per indicare il mercurio, elemento considerato il sostrato primordiale di ogni metallo, come nella terminologia utilizzata da Paracelso:
«Azoth, in Paracelso, significa il Mercurio vivo, estratto da un qualsiasi corpo metallico; più propriamente, è il Mercurio corporeo [...] In Paracelso, indica la Medicina universale [...] che contiene in sé le virtù di ogni altra medicina [...] Si dice che ne portasse sempre un poco con sé, racchiuso nel pomo della spada.»
(Antonio Ricciardi, Commentaria Symbolica, Venetiis, 1591, I, p. 101, dal Dictionarium Paracelsi di Gerardus Dorneus del 1575)

Etimologia

Il termine si presta ad essere ricondotto a diverse etimologie. In quanto vocabolo del latino medievale, esso nasce da un'alterazione di azoch, originariamente derivato secondo gli orientalisti dall'arabo al-zā'būq, che significa appunto «mercurio», oppure dal termine sufi el-dhat, o ez-zat, proveniente dal persiano az-zauth, traducibile con «essenza», «quiddità», o «realtà interiore». In virtù del suo significato, Azoth era usato sostanzialmente quale sinonimo stesso della pietra «nascosta».
Si può tuttavia individuare in Azoth anche un acronimo cabbalistico costituito da 4 lettere (A-Z-Ω-Th):
  • "A" in quanto inizio dell'alfabeto,
  • "Z" in quanto ultima lettera di quello latino,
  • "O" in quanto omega, posta alla fine dell'alfabeto greco,
  • "TO" in quanto lettera finale dell'alfabeto ebraico;
le caratteristiche di contenere in sé l'inizio e la fine di tutto erano quelle attribuite appunto al mercurio, che in quanto veicolo di collegamento fra cielo e terra, era assimilato all'etere filosofico, cioè la sostanza con cui si riteneva intessuta l'Anima del mondo che permeava di sé l'intero universo.
La parola Azoth appare legata anche al suono Ain Soph, che nella cabala ebraica è la sostanza fondamentale generatrice delle dieci Sephirot di cui è composta.
Vi è da aggiungere infine che in alcune lingue, soprattutto slave, ma anche in altre come il francese e l'italiano, Azoth è il nome che designa l'elemento chimico azoto: in questo caso l'etimologia è formata dall'alfa privativo greco α + ζωή, che vuol dire «senza vita», espressione in cui era implicita l'idea di un catalizzatore inerte e tuttavia potenzialmente attivo, in grado di dare vita alla materia se opportunamente trattato al contatto con essa. Come l'azoth, inoltre, il gas che da lui prende il nome è caratterizzato da un ciclo continuo che tutto pervade.

Ricorrenze

La parola ricorre negli scritti dei primi alchimisti, come Zosimo, Maria la Giudea, Olimpiodoro, Jabir ibn Hayyan conosciuto come Geber.
Innumerevoli riferimenti all'Azoth si trovano nei trattati alchemici successivi, come il Liber de compositione alchimiae di Morienus Romanus, lo Speculum Alchimiae di Arnaldo de Villanova, il Liber Azoth di Paracelso, e in tutta la letteratura di ispirazione paracelsiana e rosacrociana. L'alchimista svizzero Paracelso, in particolare, avrebbe conosciuto questo termine dall'insegnamento sufi appreso in Medio Oriente, rendendo poi celebre in Occidente il suo utilizzo come sinonimo di farmaco mercuriale.
Numerosi furono anche i disegni esoterico-allegorici raffiguranti l'Azoth e le modalità di servirsene ai fini della Grande Opera alchemica. Gli esempi principali includono la Monade geroglifica del dottor John Dee (1564), e l'Azoth dei Filosofi di Basilio Valentino, un dialogo pubblicato per la prima volta in latino e in tedesco nel 1613, e quindi in francese nel 1624.
L'occultista francese Eliphas Levi, nella sua opera del 1856 Dogmi e rituali dell'Alta Magia, chiama Azoth l'Anima universale, da lui assimilata ad un sostanza eterica diffusa. Egli ne parla come di un'essenza bipolare, distinguendone due aspetti, uno positivo e l'altro negativo, denominati con i termini ebraici Od (luce attiva) e Ob (forza passiva), i quali trovano una sintesi nell'Aur, e che sarebbe possibile influenzare tramite corrispondenti rituali magici. Nel suo studio dei Tarocchi e della Kabbalah, con cui associò una lettera ebraica ad ogni arcano maggiore, Lévi identificò la carta finale del Mondo con la Taw, designandola Azoth quale nome di Dio compiutamente realizzato.
Analogamente Aleister Crowley attribuiva all'Azoth la capacità di collegare in sé l'inizio e la fine di tutto, come nell'ouroboros, il serpente che si morde la coda in un ciclo continuo.

giovedì 14 gennaio 2021

Amrita

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L'Amrita (in sanscrito «immortale, non morto») nella mitologia induista è l'acqua della vita eterna. Equivalente dell'Haoma dell'antico Iran, l'Amrita era il premio più ambito da demoni e dèi. Essa è etimologicamente assimilabile all'ambrosia del mondo greco e romano.

Il mito

Il dio celeste Indra venne maledetto da un saggio collerico di nome Durvasa, a causa di un'offerta che la divinità aveva trattato con disprezzo. La maledizione indebolì così tutti gli dèi, che divennero vulnerabili ad un attacco degli Asura, i demoni. Il grande Viṣṇu sotto le fattezze di Kurma la tartaruga accorse in aiuto degli dèi, promettendo di ripristinare il loro potere all'unica condizione che seguissero il suo piano.
Anzitutto era necessario abbandonare l'antica rivalità coi demoni e chiedere loro aiuto per creare una bevanda preziosa. Vennero così raccolte erbe e piante che vennero gettate in un mare di latte. Poi venne afferrato il grande serpente Vasuki, arrotolato intorno a una montagna posta sopra il guscio di Viṣṇu - Kurma e tirato con violenza di modo che la montagna, come una zangola, ruotasse su sé stessa e potesse rimestare l'oceano di latte e le erbe. Per la sofferenza il serpente sputò un enorme fiotto di veleno: Viṣṇu, in una versione del mito chiede a Śiva di bere il veleno sino all'ultima goccia prima che tocchi il suolo, in modo da salvare il mondo.
Dopo tutto questo, il mare portò alla luce i suoi preziosi doni. Emersero Surabhi, la vacca sacra in grado di realizzare i desideri, Varuni la dea del vino, l'albero del paradiso Parijata che profumò il mondo, il dio lunare Soma nel sembiante della luna, che successivamente venne ritenuta la dispensa divina per l'Amrita. Inoltre apparvero Lakshmi, assisa sul loto, dea della bellezza, dell'amore e della buona sorte, futura moglie di Viṣṇu e il divino dottore Dhanvantari che reggeva in mano l'Amrita.
Il demone Rahu strappò di mano ad Dhanvantari l'amrita con lo scopo di berla tutta, al fine di essere unico per forza e potenza. Viṣṇu intervenne mentre Rahu sorseggiava il primo sorso: decapitandolo prima che il nettare scendesse nel suo corpo riuscì ad impedire che il demone diventasse invulnerabile.



mercoledì 13 gennaio 2021

Suicidio quantistico

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Il suicidio quantistico è un esperimento mentale nell'ambito della meccanica quantistica.
Fu proposto in maniera indipendente da Hans Moravec nel 1987 e da Bruno Marchal nel 1988, per poi essere ripreso e sviluppato da Max Tegmark nel 1998. L'esperimento cerca di distinguere l'interpretazione di Copenaghen e quella a molti mondi di Hugh Everett III attraverso una variazione dell'esperimento del gatto congetturato da Erwin Schrödinger nel 1935.
Esso consiste, in sintesi, nell'esaminare l'esperimento del gatto di Schrödinger dal punto di vista del gatto. Dall'esperimento è stata ricavata una speculazione metafisica sull'immortalità quantica, secondo la quale l'interpretazione multi-mondo della meccanica quantistica implica l'immortalità degli esseri autocoscienti.

Spiegazione

Un ricercatore si siede di fronte a una pistola carica, il cui grilletto è azionato, oppure no, a seconda del decadimento di alcuni atomi radioattivi.

Prove ripetute dell'esperimento

In ciascuna prova dell'esperimento esiste una possibilità del 50% che la pistola faccia fuoco e che il ricercatore muoia. In accordo con l'interpretazione di Copenaghen, c'è una probabilità del 50% che il ricercatore muoia o che continui a vivere. Se invece si considera l'interpretazione multi-mondo della meccanica quantistica, allora a ogni prova dell'esperimento il ricercatore sarà "sdoppiato" in un mondo in cui continua a vivere e uno in cui muore. Dopo una serie di prove esisteranno molti mondi e il ricercatore cesserà effettivamente di esistere in quelli in cui egli muore.

Il punto di vista del ricercatore

Tuttavia, dal punto di vista delle copie rimaste in vita del ricercatore, l'esperimento continuerà a oltranza senza che egli ne rimanga ucciso, dal momento che a ogni biforcazione sarà in grado di osservare il risultato della prova soltanto nel mondo in cui sarà sopravvissuto a essa e, se la teoria quantistica multi-mondo è corretta, le copie sopravvissute del ricercatore noteranno l'impossibilità di rimanere uccisi nell'esperimento e proveranno a loro stesse di essere "soggettivamente invulnerabili".

Bomba atomica

Un altro esempio è quello in cui il ricercatore si fa esplodere accanto a una bomba nucleare. Sebbene in quasi tutti i multi-mondi possibili l'esplosione nucleare ridurrà in polvere lo sperimentatore, esisterà comunque un piccolo numero di universi alternativi nel quale egli riesce in qualche modo a sopravvivere (ad esempio, grazie a un guasto tecnico oppure a qualche scenario "miracoloso"). Per quanto pochi potranno essere i mondi nei quali lo sperimentatore rimane in vita, ne esisterà sempre e comunque qualcuno.

Immortalità quantistica

L'idea dietro all'immortalità quantistica è che lo sperimentatore rimarrà vivo e in grado di esperire almeno uno tra gli universi nei quali persiste.

Assunti da fare e controversie

Coloro che sostengono questa teoria chiariscono che, sebbene essa sia altamente speculativa, non viola nessuna legge fisica conosciuta; perché funzioni è comunque necessario che:
  1. L'interpretazione multi-mondo della meccanica quantistica (MWI) sia corretta.
  2. Tutti gli scenari nei quali lo sperimentatore (o un'altra entità oggetto dello stesso esperimento) muore contengano comunque un numero qualsivoglia piccolo di sotto-scenari nei quali continua a vivere.
  3. Non morire un certo numero finito di volte equivalga a immortalità.
  4. La coscienza e l'abilità di osservare cessino permanentemente al fuoco della pistola.

Spiegazione

Se l'interpretazione multi-mondo della MQ è corretta, il numero delle copie sopravvissute dello sperimentatore diminuirà del 50% a ogni prova pur senza mai giungere a zero continuando all'infinito il percorso o viaggio dimensionale.

martedì 12 gennaio 2021

Titani

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I Titani (in greco antico: Τιτάνες, Titánes; singolare: Τιτάν) sono, nella mitologia e nella religione greca, gli dèi più antichi (próteroi theoí), nati prima degli Olimpi e generati da Urano (Cielo) e Gea (anche Gaia, Terra). Titanidi erano invece chiamate le loro sorelle, mogli e compagne.
I Titani vengono considerati come le forze primordiali del cosmo, che imperversavano sul mondo prima dell'intervento regolatore ed ordinatore degli dèi olimpici.

Etimologia

L'origine del termine Τιτάνες non è assolutamente certa. Esiodo la fa discendere, ma in modo del tutto fantasioso, dal termine τιταίνειν ("produrre uno sforzo", "tendere in alto") e da τίσις ("vendetta", "punizione") collegandoli alla relazione con Urano, loro padre che li avrebbe chiamati così per disprezzo, per odio.

I Titani nella Teogonia di Esiodo

Nella Teogonia di Esiodo, viene narrato che unendosi a Urano (il Cielo), Gaia (la Terra) genera i sei Titani:
  • Oceano (Ὠκεανός),
  • Coio (Κοῖος, anche Ceo),
  • Creio (Κριός, anche Crio),
  • Iperione (Ύπέριον),
  • Iapeto (Ιαπετός, anche Giapeto),
  • Kronos (Κρόνος, anche Crono);
e le sei Titanidi:
  • Theia (Θεία, anche Teia o Tia),
  • Rea (Ῥέα),
  • Themis (Θέμις, anche Temi),
  • Mnemosyne (Μνημοσύνη, anche Menmosine),
  • Phoibe (Φοίϐη, anche Febe),
  • Tethys (Τηθύς, anche Teti).
Dopo i Titani, l'unione tra Gea e Urano genera i tre Ciclopi (Brontes, Steropes e Arges) e i Centimani (Ecatonchiri): Cotto, Briareo e Gige dalla forza terribile. Urano imprigiona i tre Centimani ed i Ciclopi . La ragione di questo rifiuto risiederebbe secondo alcuni autori nella loro "mostruosità". Gaia allora costruisce una falce dentata e chiede agli altri figli, i Titani, di mettersi contro il volere del padre Urano. Solo l'ultimo dei Titani, Kronos, risponde all'appello della madre: appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Kronos, nascosto lo evira.
Da questo momento inizia il dominio di Kronos il quale, unendosi a Rea, genera: Istie, Demetra, Era, Ade ed Ennosigeo ("Scuotitore della terra", da intendere come Posidone o Poseidone); ma tutti questi figli vengono divorati da Kronos in quanto, avvertito dai genitori Gaia e Urano che uno di questi lo avrebbe spodestato, non vuole cedere il potere regale. Grande sconforto questo stato di cose procura a Rea, la quale, incinta dell'ultimo figlio avuto da Kronos, Zeus, e consigliatasi con gli stessi genitori, decide di partorire nascostamente a Lycto (Creta), consegnando a Kronos una pietra che questi divora pensando fosse il proprio ultimo figlio.
Zeus cresce in forza e intelligenza, fino a che sconfigge il padre Kronos facendogli vomitare gli altri figli che aveva divorato, e il primo oggetto vomitato da Kronos è proprio quella pietra che egli aveva inghiottito scambiandola per Zeus. Quindi Zeus scioglie dalle catene i tre Ciclopi, così costretti dallo stesso Kronos, i quali lo ricambieranno consegnandogli il tuono, il fulmine ed il lampo.

La Titanomachia

La Titanomachia è il nome della lotta tra i Titani residenti sul monte Othrys e gli dèi dell'Olimpo figli di Kronos e di Rea. Zeus coinvolge i Ciclopi e gli Ecatonchiri nella battaglia che diverrà così decisiva e si concluderà con la sconfitta dei titani e la loro segregazione nel Tartaro, chiuso da mura e da porte di bronzo costruite appositamente da Poseidone e guardati a vista dagli stessi tre Centimani.
Sempre nella Teogonia esiodea viene citata la generazione di altri Titani:
  • Ponto (Πόντος, il Mare) genera, forse per partenogenesi o come gli altri successivi a lui, per mezzo dell'unione con Gaia, Nereo (Νηρεύς) detto il "vecchio", divinità marina sincera ed equilibrata; poi, sempre Ponto ma unitosi a Gaia, genera Taumante (Θαῦμας – l'aspetto meraviglioso del mare), quindi Phorcy (Φόρκυς, Phòrkys – l'aspetto mostruoso del mare), Cetó (Κητώ) dalle "belle guance", ed Eurybie (Εὐρύβια – l'aspetto violento del mare);
  • Theia (Θεία, Teia) e Iperione (Ἰαπετός) generano Elios (Ἥλιος, Helios, Sole), Selene (Σελήνη, Luna) e Eós (Ἠώς, Aurora)
  • Phoibe (Φοίβη) e Coio (Κοῖος) generano la dolce Letó (Λητώ, anche Latona) dal peplo azzurro, Asterie (Ἀστερία, anche Asteria) che Perse (Πέρσης) condusse al suo palazzo come consorte;
  • Asterie e Perse generano Ecate (Ἑκάτη); nell'Inno a Ecate, la dea di stirpe titanica che qui possiede un rango particolarmente elevato, assegnatole da Zeus in persona; la sua zona di influenza è la terra, il mare e il cielo dove ella appare a protezione dell'uomo oltre che nel ruolo di intermediaria tra questi e il mondo degli dèi;
  • Iapeto e l'oceanina Climene (Κλυμένη) generano Atlante (Ἄτλας) dal cuore violento, Menetio (Μενοίτιος), Prometeo (Προμηθεύς – "colui che pensa prima") e Epimeteo (Ἐπιμηθεύς – "colui che pensa dopo"): il destino di Atlante e di Menetio sono decisi da Zeus che costringe il primo a sorreggere la volta celeste con la testa e facendo forza sulle braccia, mentre il secondo, per via della sua tracotanza, lo scaglia con il fulmine nell'Erebo.

I Titani nelle altre tradizioni mitologiche greche

  • Diodoro Siculo ( Bibliotheca historica V, 64 e sgg.) riferisce che secondo i Cretesi, i Titani nacquero al tempo dei Cureti. Essi vivevano nei pressi di Cnosso, erano sei maschi (Crono, Iperione, Ceo, Iapeto, Crio, Oceano) e cinque femmine (Rea, Temi, Mnemosine, Febe e Teti), figli di Urano e di Gea, oppure figli di uno dei Cureti andato in sposo a una certa Titaia da cui essi presero il nome. Ognuno di questi Titani ebbe modo di lasciare un dono prezioso in eredità agli uomini conquistando in questo modo un onore imperituro. Crono, dei Titani il più anziano, fu re.
  • Apollonio Rodio (Argonautiche I, 503-506) racconta, per mezzo di Orfeo, come, prima di Crono e Rea, i Titani fossero sudditi del serpente marino Ofione (Ὀφίων) e dell'oceanina Eurinome (Εὐρυνόμη) i quali avevano sede sull'Olimpo, ma questi sovrani dovettero cedere il potere regale rispettivamente a Crono e a Rea dopo essere stati gettati nei flutti dell'Oceano.

Nella cultura di massa

Nell'antichità erano comunque rappresentati uguali agli esseri umani, allo stesso modo degli déi, anziché in forme mostruose come in alcune loro rappresentazioni contemporeanee, come nella saga videoludica di God of War (serie) o il film Disney Hercules (film 1997).




 
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