sabato 20 novembre 2021

La storia di Michele Scoto, mago o ciarlatano?

Alla vivace ed eclettica corte di Federico II, a Palermo, viveva Michele Scoto, una delle figure più conturbanti e misteriose di quegli anni. Sebbene sia spesso ricordato per la sua fama di grnde mago o stregone, Scoto era innanzitutto uno dei più illustri studiosi medievali, le cui estese conoscenze non potevano che affascinare un imperatore curioso come lo Stupor Mundi.

Scopriamo di più su questo personaggio.


Chi era Michele Scoto



Michele Scoto (in inglese Michael Scot) veniva dalla Scozia, come il suo stesso nome suggerisce. Già nella sua terra natia la sua figura era leggendaria, per via di alcuni poteri sovrannaturali che il popolo gli attribuiva, tra cui la capacità di spaccare le montagne e prevedere il futuro.
Al di là delle dicerie che sono giunte sino a noi, Scoto era comunque un personaggio prodigioso. In un’epoca in cui frequentare l’università era il privilegio di un’esigua minoranza, lui studiò in tre delle migliori d’Europa, Oxford, Parigi e Bologna, raccogliendo gran parte delle conoscenze scientifiche, filosofiche e umanistiche disponibili in quell’epoca.

Nonostante il suo grande bagaglio accademico, Michele era insoddisfatto e vagava da una corte all'altra alla ricerca di qualsiasi conoscenza che potesse ampliare la sua ricerca. Alla fine fu attratto dalla corte di Federico II a Palermo, senza dubbio una delle più interessanti per un uomo alla ricerca di conoscenze. Si tratta anche di una testimonianza della posizione della Sicilia nel Medioevo, un polo di grande cultura e scienza in grado di attirare eruditi da ogni parte del mondo.

Il motivo di tale attrattiva, era una corte attiva e stimolante, frequentata da alcuni dei più grandi scienziati e letterati del periodo. La ricerca letteraria portò anche alla fondazione della scuola Poetica Siciliana, la culla della lingua italiana, e il re stesso era un poeta e autore di trattati scientifici.


Federico II di Svevia


Michele Scoto mise tutte le sue conoscenze al servizio di Federico, che lo interpellava per svariate questioni, tra cui le previsioni del futuro. Mediante studi di natura astrologica, infatti, Scoto credeva di poter conoscere in anticipo gli eventi futuri, enunciando profezie su gli esiti delle guerre, i cambiamenti politici e le sorti delle persone.
Tra queste ve ne era una riguardante la morte di Federico, che sarebbe avvenuta in un luogo che aveva il nome di un fiore. Qualche anno dopo il re morì effettivamente in Puglia, a Castel Fiorentino.
Nonostante qualche previsione esatta e qualche fortunata coincidenza, oggi questo tipo di scienza, largamente accettata nel medioevo, ci fa un po’ sorridere. Ciò nonostante le effettive conoscenze, insieme alla fama di grande mago, fecero la fortuna di Michele Scoto.

Oltre alle sue gesta di natura profetica, Scoto si cimentò nella scrittura di alcuni dei testi scientifici più importanti dell’epoca. Nello specifico fu autore del Liber introductorius, che metteva insieme tutto ciò che si sapeva su geografia, medicina, studio dei pianeti e ricerca teologica.
In seguito scrisse il Liber particularis, di natura prettamente religiosa in cui parlava di Dio, del Paradiso e dell’Inferno, e il De secretis naturae, uno dei primi trattati di anatomia e fisiologia umana.

In più a lui si devono le traduzioni in latino dei manoscritti di Averroe', uno dei più noti filosofi arabo-spagnoli, scritte durante un viaggio a Toledo, un altro dei grandi luoghi di aggregazione culturale del medioevo.

Nonostante il suo indiscutibile contributo al progresso scientifico, fu la sua fama di stregone ad essere tramandata ai posteri, forse anche a causa di Dante Alighieri, che nella sua Divina Commedia lo colloca nell’ottavo cerchio dell’Inferno, insieme agli incantatori e ai falsi profeti che affermavano di poter leggere il futuro. Del resto anche l'imperatoreFederico II trova il suo spazio tra gli inferi danteschi.


Gli ultimi anni

Dopo diversi anni trascorsi in Sicilia, a Scoto fu offerto il posto di arivescovo di Cashel in Irlanda che rifiutò con la scusa di non saper parlare l’irlandese. Vista la sua grande propensione per le lingue (parlava correntemente latino, greco, arabo e una lunga serie di dialetti e lingue vernacolari) è probabile che abbia rifiutato il posto per altre ragioni. Il crogiolo culturale che la Sicilia rappresentava, per uno studioso come lui era senza dubbio più stimolante di una remota provincia irlandese.

Alla fine si ritiro' nella sua patria, la Scozia, dove la sua morte rimane ancora avvolta nel mistero. Si racconta che lui stesso predisse la propria fine per mezzo di una “pietra che cade”. Era così grande il suo presentimento che che inizio' ad indossare sempre un casco d'acciaio per proteggersi il cranio. Tuttavia si dice che durante una messa a Melrose si sia tolto rispettosamente l’elmo mentre l’ostia veniva sollevata per la consacrazione. Proprio in quel momento,un pezzo di muratura cadde dal tetto della chiesa, uccidendolo all’istante.

Così finisce la storia di questa figura misteriosa, conosciuta dai grandi autori del medioevo, citata per le sue stregonerie, ma nota a noi soprattutto per il suo contributo alla scienza, sviluppato durante il suo soggiorno a Palermo.


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