La vetrificazione dei forti è
un processo chimico-fisico indotto dall'alta temperatura a cui, in
epoca preistorica, venivano esposti i muri in pietra delle
fortificazioni sommitali europee, secondo un'usanza che si colloca
nell'età del ferro nord-europea.
Il fenomeno fu descritto per la prima
volta nel 1777 da John Williams, uno dei primi geologi britannici, in
base all'evidenza osservabile di grandi residui di roccia
vetrificata, colata come dopo un raffreddamento, ma le questioni
sollevate da questa osservazione sono oggetto di dibattito e di
controversie e rimangono ancora in buona parte inspiegate e aperte
alla discussione scientifica. Gli studiosi, ad esempio, concordano
sul fatto che la vetrificazione dovette avvenire mediante esposizione
a un'intensa fonte di calore già in età preistorica e non in
un'epoca successiva, ma rimangono insolute e dibattute le domande sul
perché le mura fortificate venissero sottoposte a una
"vetrificazione" e sul come questo avvenisse.
In particolare, non è chiaro come venisse prodotta l'esposizione
all'alta temperatura necessaria a determinare la parziale o totale
fusione dell'opera muraria, paragonabile a quella rinvenibile in un
vulcano, i cui effetti si conservano nell'aspetto esteriore di vetro
colato e solidificato per raffreddamento: più nello specifico, si è
appurato che dovrebbe parlarsi di "alte temperature", al
plurale, vista la natura mutevole delle rocce usate, di volta in
volta, nella costruzione dei forte (in genere di provenienza locale),
da cui conseguivano variazioni anche notevoli nelle temperature da
raggiungere, nell'ordine di uno o due centinaia di gradi centigradi.Il fenomeno delle rocce vetrificate
occorre in molti luoghi d'Europa ma la regione in cui doveva essere
più diffuso, e nella quale sopravvivono gli esempi più noti è la
Scozia, la prima regione d'Europa in cui tali resti archeologici
furono rivenuti.
Riguardo alla natura delle rocce, si
trattava, a seconda della disponibilità locale, di rocce
metamorfiche, rocce ignee, o rocce sedimentarie.
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