martedì 14 ottobre 2025

Dalle steppe dell’Eurasia ai templi dell’India, dalla Grecia antica alle Americhe precolombiane, la svastica attraversa la storia come un enigma universale. Simbolo di vita, fortuna e sole molto prima di essere travisato, resta una delle icone più potenti e controverse del patrimonio umano.

Tra i simboli più antichi mai tracciati dall’uomo, la svastica occupa un posto singolare. Oggi, il termine evoca inevitabilmente le ombre del XX secolo, ma la sua storia reale è molto più profonda, vasta e luminosa. In origine, questo motivo geometrico era un emblema di benessere, movimento cosmico e armonia universale: un segno di vita, non di distruzione.

La parola “svastica” deriva dal sanscrito svastika, da su (“buono”) e asti (“essere”), cioè “ciò che è buono” o “portatore di benessere”. Nell’antica India, era considerata un potente talismano di fortuna e prosperità, legato al dio Vishnu, alla dea Lakshmi e al ciclo eterno del cosmo.

Gli archeologi hanno rintracciato la svastica fino al Paleolitico superiore. Uno dei reperti più antichi mai scoperti – un uccello inciso su zanna di mammut ritrovato nel sito di Mezin, in Ucraina – risale a circa 12.000 anni fa.
Il simbolo riappare poi nella cultura di Vinča (Balcani, VI millennio a.C.), su ceramiche, statuette e ornamenti rituali, e in seguito in Mesopotamia, tra i popoli ittiti e nelle civiltà indoeuropee dell’Eurasia.

Il motivo ricorre anche nel mondo ellenico: nella Grecia arcaica, la svastica – detta gammadion – decorava vasi, monete e templi, spesso come simbolo solare o di rotazione celeste. Analoghi segni sono stati trovati sulle ceramiche delle civiltà celtiche, germaniche e persino scandinave, dove rappresentava il movimento del Sole attraverso le stagioni.

Nell’induismo e nel buddismo, la svastica assume un significato cosmico. Il suo movimento rotatorio evoca la ruota del tempo, la ciclicità della vita e il perpetuo rinnovarsi dell’universo.
Sulle soglie dei templi indiani, ancora oggi, la svastica viene tracciata con pigmenti rossi o zafferano per attirare la fortuna e allontanare le forze negative.

Nel buddismo tibetano, la svastica rappresenta il cuore del Buddha e l’armonia delle quattro direzioni; in Cina è un segno di eternità e prosperità. Anche nelle culture amerindie, come quelle navajo e hopi, simboli simili raffiguravano il moto del Sole e l’equilibrio degli elementi.

La diffusione così ampia e spontanea del simbolo – dall’Eurasia alle Americhe, senza contatti diretti tra civiltà – ha spinto gli studiosi a ipotizzare che la svastica risponda a un archetipo universale, una forma primordiale radicata nella percezione del movimento cosmico e dell’energia vitale.

Tutto cambiò nel XX secolo, quando il simbolo fu appropriato e stravolto dal regime nazionalsocialista. Da emblema del Sole e della fortuna, la svastica divenne il marchio di una delle più grandi tragedie della storia moderna. Dopo il 1945, il suo significato originario venne oscurato quasi ovunque in Occidente.

Eppure, nei paesi dell’Asia, la svastica conserva ancora oggi il suo senso autentico. È presente nelle insegne di templi, case, negozi e istituzioni – come la Borsa di Ahmedabad in India o la Camera di Commercio del Nepal – dove continua a essere percepita come segno di equilibrio, successo e buon auspicio.

Come ha fatto un motivo tanto specifico a diffondersi in quasi tutte le culture del pianeta, in epoche così distanti?
Alcuni ricercatori propongono la teoria della memoria collettiva dell’umanità, un codice simbolico condiviso che attraversa i millenni. Altri suggeriscono che la svastica rappresenti un archetipo astronomico, il moto apparente del Sole o delle costellazioni osservate dai primi agricoltori.

Al di là delle ipotesi, la sua onnipresenza resta una delle grandi enigmi della storia culturale: lo stesso segno inciso nelle steppe ucraine, nei templi induisti e nei manufatti dei nativi americani non può che testimoniare un legame profondo tra i popoli e la percezione del cielo, della ciclicità e della vita stessa.

Oggi, studiosi, storici delle religioni e antropologi cercano di restituire alla svastica la sua identità originaria: un segno di luce, di movimento e di armonia cosmica.
Capire la sua vera storia significa ricordare che i simboli non sono intrinsecamente buoni o malvagi: siamo noi, come società, a conferire loro significato.

E forse proprio in questa consapevolezza si cela la più grande lezione della svastica: che la conoscenza del passato può trasformare la paura in comprensione, e il fraintendimento in memoria condivisa.



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