Da Leonardo da Vinci ai manoscritti sanscriti, dagli inventori rinascimentali ai profeti dell’Ottocento: un enigma attraversa i secoli. Come è possibile che culture lontane abbiano immaginato le stesse macchine volanti?
In ogni civiltà, in ogni secolo, l’uomo ha rivolto lo sguardo al cielo chiedendosi come oltrepassarne i confini. Ma un dettaglio affascina storici e antropologi: in culture lontane nello spazio e nel tempo compaiono disegni e descrizioni di macchine volanti sorprendentemente simili tra loro. È solo il frutto di una fantasia universale o il segno di una conoscenza condivisa, dispersa e poi dimenticata?
Nel cuore del Rinascimento, Leonardo da Vinci tracciò con
minuziosa precisione progetti di ali battenti, eliche e alianti. I
suoi taccuini, conservati tra Milano e Londra, testimoniano
un’ossessione quasi mistica per la meccanica del cielo. Le sue
“macchine per volare”, in particolare l’ornitottero e il
celebre elicottero a vite, sembrano precorrere di secoli la
tecnologia aeronautica moderna.
Ma ciò che stupisce è che motivi
simili — ali articolate, rotori a spirale, fusoliere di legno e
stoffa — emergono anche altrove, ben prima e ben dopo Leonardo.
Nei testi vedici e nei poemi epici indiani, come il Mahabharata
e il Ramayana, si trovano dettagliate descrizioni di “carri
volanti” chiamati vimāna. Queste macchine, costruite con
metalli lucenti e capaci di salire “come il sole e il tuono”,
erano guidate da re e divinità. Alcuni passaggi descrivono
addirittura guerre aeree, emissioni di calore e “armi di luce” —
immagini che, lette con occhi moderni, ricordano le cronache di
battaglie futuristiche.
Gli studiosi ortodossi interpretano queste
descrizioni come allegorie spirituali, ma la loro coerenza tecnica
continua a sorprendere anche gli storici della tecnologia.
Nel Medioevo europeo compaiono miniature e incisioni che mostrano dischi, globi e “navi celesti”. In Irlanda, cronache monastiche del IX secolo riportano che “navi d’aria” furono viste galleggiare sopra i monasteri di Clonmacnoise. In Giappone, il Utsuro-bune del 1803 — un misterioso “vaso cavo volante” approdato sulle coste di Hitachi — presenta disegni con oblò e pannelli metallici, simili a capsule moderne.
Dall’altra parte del mondo, nel 1890, l’inventore francese Clément Ader costruiva il suo Éole, un aereo a vapore dalle ali d’uccello, poco prima dei fratelli Wright. Ma già nel 1841, un disegnatore britannico anonimo aveva tracciato in un giornale vittoriano una “macchina volante a elica doppia” che somiglia a un elicottero moderno.
Coincidenze? Forse. Ma la somiglianza tra questi progetti, separati da secoli e continenti, suggerisce una convergenza più profonda.
Gli psicologi junghiani parlerebbero di archetipi tecnologici:
immagini simboliche condivise dall’inconscio collettivo, riemerse
ogni volta che l’umanità si è sentita pronta a superare i propri
limiti.
Gli storici più eterodossi, invece, ipotizzano la
sopravvivenza di una conoscenza frammentaria di civiltà antiche e
avanzate, le cui tracce sarebbero riemerse in epoche successive sotto
forma di “ispirazioni” o sogni.
In effetti, molti inventori — da Leonardo a Nikola Tesla, fino a Konstantin Tsiolkovskij, padre della cosmonautica — hanno dichiarato di “vedere” le proprie invenzioni in sogno, come se fossero rivelazioni più che deduzioni. Una coincidenza poetica che alimenta il sospetto di un filo invisibile tra le epoche.
Che si tratti di fantasia o di eredità perduta, il sogno del volo ha attraversato la storia come un’eco universale. Ogni disegno, ogni macchina immaginata da un visionario del passato, testimonia lo stesso impulso: liberarsi dalla gravità, toccare il cielo, vedere la Terra da un’altra prospettiva.
Forse i “sognatori” di ieri non disegnavano ciò che avevano davanti agli occhi, ma ciò che era già scritto nel destino dell’umanità: la conquista dell’aria, preludio alla conquista delle stelle.
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