Nel 1999, durante lavori agricoli nel villaggio
di Onavas, venne rinvenuto un cimitero
preispanico risalente a circa 1000 anni fa. Gli archeologi
del National Institute of Anthropology and History (INAH)
scoprirono 25 scheletri umani, di cui 13 con
cranio allungato e 5 con modifiche dentali
ornamentali (intarsi di pietre e limature).
La direttrice
degli scavi, Cristina García Moreno, confermò che
si trattava di una deformazione cranica intenzionale,
una pratica culturale ben documentata.
La deformazione artificiale del cranio non è un fenomeno isolato né “alieno”:
Era diffusa in Mesoamerica, Sud America, Egitto, Africa, Europa antica e perfino in alcune tribù asiatiche.
Si otteneva applicando fasce o tavole di legno al capo dei neonati, quando le ossa del cranio erano ancora malleabili.
Lo scopo era simbolico e sociale: indicare appartenenza a un’élite, bellezza, intelligenza o status spirituale superiore.
In pratica, non si trattava di “mutazioni”, ma di modifiche culturali intenzionali al cranio umano.
Autori come Brian Foerster e Lloyd Pye hanno proposto che alcuni crani, soprattutto quelli di Paracas (Perù), non possano essere spiegati con la deformazione artificiale perché:
avrebbero volume cranico maggiore del 25%,
peso superiore del 60%,
e una sola placca parietale invece di due.
Tuttavia, queste affermazioni non sono mai state verificate in studi scientifici sottoposti a peer review. Gli esami genetici successivi hanno mostrato DNA umano, anche se in alcuni casi con caratteristiche genetiche rare (forse dovute all’isolamento o a contaminazioni di laboratorio).
L’INAH e numerosi antropologi fisici hanno ribadito che:
Tutti i teschi di Onavas appartengono a esseri umani appartenenti a culture locali mesoamericane.
Le deformazioni rispecchiano una pratica rituale consolidata, non una mutazione naturale né un’origine extraterrestre.
Le differenze strutturali (spessore, sutura, volume) possono essere spiegate da diversi metodi di deformazione o da errori di interpretazione morfologica.
La combinazione di forme craniche insolite, assenza di spiegazioni immediate e una narrativa che unisce scienza e mito ha reso questi ritrovamenti terreno fertile per teorie alternative:
Alcuni vedono nei teschi allungati una prova di antichi contatti alieni.
Altri li interpretano come simboli di ibridazione genetica o spirituale tra umani e “esseri celesti”.
Altri ancora, più pragmaticamente, vi leggono un segno della ricerca di distinzione sociale delle antiche civiltà.
I teschi di Onavas restano una delle scoperte più
affascinanti dell’archeologia mesoamericana, ma non vi è
alcuna prova credibile di origine extraterrestre.
Ciò che
realmente rivelano non è la presenza di alieni sulla Terra, bensì
la straordinaria varietà culturale e simbolica dell’umanità
antica, capace di modificare persino la propria forma fisica
per esprimere identità, fede e appartenenza.
La scienza continua a indagare; il mistero resta soprattutto nella mente umana, da sempre affascinata dall’ignoto.
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