


Una nuova ricerca firmata da un team di archeologi britannici ha aperto un capitolo inatteso nella saga scientifica di Stonehenge, il monumento neolitico più celebre al mondo. Attraverso sofisticate analisi geologiche condotte sul sito, gli studiosi hanno dimostrato che almeno due delle più imponenti “sarsen stones” – l’Heel Stone e la Stone 16 – non furono trasportate, ma si trovavano già sulla Salisbury Plain da milioni di anni. È una scoperta che sfida uno dei pilastri interpretativi della storia del monumento e obbliga la comunità scientifica a riconsiderare l’ingegneria, le risorse e le motivazioni dei suoi costruttori.
Per decenni, la teoria più accreditata sosteneva che tutte le pietre maggiori fossero state estratte nella zona dei Marlborough Downs, circa 32 chilometri a nord, mentre i blocchi minori – le famose bluestones – fossero stati trasportati dal Galles per oltre 200 chilometri. Un’impresa titanica che, nel corso del Novecento, ha alimentato non solo studi accademici ma anche leggende affascinanti sulle capacità e sulle conoscenze dei popoli del Neolitico.
La ricerca, guidata dall’archeologo Mike Pitts, uno dei pochissimi autorizzati negli ultimi decenni a scavare nell’area di Stonehenge, ha portato alla luce evidenze materiali difficili da contestare: due grandi cavità in prossimità delle pietre indicate, scavate e successivamente riempite, che potrebbero rappresentare l’intervento umano per raddrizzare e posizionare meglio megaliti già presenti sul posto.
Queste due pietre, a differenza delle altre sarsen che formano il cerchio esterno del complesso, non mostrano segni di lavorazione o scolpitura. Sono rimaste nella loro forma naturale, quasi a indicare una fase primitiva del progetto architettonico: contemporaneamente il punto di partenza e di arrivo di una visione cosmologica.
Il loro ruolo, inoltre, è parte integrante dell’iconico allineamento solstiziale di Stonehenge:
l’Heel Stone indica dove sorge il Sole nel solstizio d’estate
la Stone 16 contribuisce ad allineare la visuale verso il tramonto nel solstizio d’inverno
Questo orientamento perfetto verso gli estremi del ciclo solare suggerisce che il cuore astronomico e rituale del monumento fosse già inscritto nel paesaggio naturale, molto prima della posa delle pietre trasportate da lontano.


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Le sarsen stones sono composte da una arenaria silicizzata estremamente dura, un tipo di roccia formatosi nel Miocene e nel Pliocene, quando la Gran Bretagna era un territorio ben diverso dall’attuale. Per decenni gli archeologi hanno creduto che, nel Neolitico, tali pietre fossero quasi introvabili sulla collina di Salisbury, giustificando così il trasporto da altre aree.
Le indagini condotte dal team britannico dipingono invece un quadro radicalmente diverso:
l’arenaria è ancora oggi presente nella piana
i blocchi maggiori risultano affondati nel terreno a causa dei cicli di gelo e disgelo delle ere glaciali
la disponibilità di materiale litico locale era molto più ampia di quanto finora ritenuto
I costruttori di Stonehenge non dovettero necessariamente dipendere da fonti remote: almeno una parte dei megaliti si trovava già a portata di mano, inglobata nel paesaggio dell’epoca.
Stonehenge è un progetto colossale. Basti pensare che alcune sarsen pesano oltre 50 tonnellate: una massa che, anche con le tecnologie moderne, richiederebbe tempo e mezzi specializzati. Fino ad oggi, questa difficoltà apparente ha alimentato narrazioni fantasiose: dagli interventi di società perdute alla partecipazione di intelligenze extraterrestri.
La nuova teoria non elimina l’aura di mistero che circonda Stonehenge, ma la radica più saldamente nell’ingegnosità umana:
uso sapiente di tronchi come rulli
slitte di legno rinforzato
squadre numerose di operatori sincronizzati
profonda conoscenza del terreno e delle forze fisiche
Ancora oggi, esperimenti condotti da archeologi sperimentali dimostrano che con una forza lavoro organizzata e un minimo di tecnica, spostare megastrutture litiche è possibile senza attrezzature moderne.
Stonehenge non nasce monolitico, completo e definito. Le prove archeologiche indicano una sequenza di fasi costruttive lunga quasi seimila anni:
i primi indicatori di attività rituali risalgono all’8000 a.C.
le prime forme di struttura circolare agli inizi del III millennio a.C.
l’assetto megalitico definitivo attorno al 2000 a.C.
Il monumento che osserviamo oggi è, quindi, il risultato di evoluzioni culturali e religiose della comunità neolitica e della prima età del bronzo. In questa prospettiva, Heel Stone e Stone 16 si configurano come l’epicentro di una visione spirituale, attorno alla quale – generazione dopo generazione – si è costruito il complesso circolare.
L’importanza della scoperta non risiede soltanto nella revisione logistica della costruzione. Essa apre uno spiraglio interpretativo sull’identità del monumento:
Stonehenge non è soltanto un’opera umana imposta sul paesaggio.
È un luogo in cui l’uomo ha scelto di riconoscere un nodo di potere naturale sospeso tra cielo e terra.
Il fatto che i primi due megaliti non siano stati mossi dal loro sito originario suggerisce una percezione quasi sacrale della geografia: un riconoscimento di forze ancestrali già presenti nel terreno.
L’annuncio pubblicato su British Archaeology rappresenta un punto di svolta. Tuttavia, alcune domande rimangono aperte:
Perché sono state scelte proprio quelle due pietre come perno astronomico?
Che ruolo ebbero le comunità neolitiche nell’integrare risorse locali e materiali importati dal Galles?
Quale funzione rituale, politica o sociale giustificò un’opera tanto lunga e complessa?
La ricerca di Pitts non fornisce risposte definitive, ma arricchisce la narrazione: Stonehenge è qualcosa di ancora più profondo di ciò che immaginavamo. Non solo una straordinaria impresa tecnica, ma un monumento nato dall’intuizione di un paesaggio speciale e dal desiderio di ordinare l’universo attraverso la pietra.
Oggi possiamo affermare con fiducia che:
una parte di Stonehenge era già lì, incastonata nel suolo da milioni di anni
le prime comunità neolitiche seppero riconoscere e valorizzare quel luogo
il legame tra cielo, terra e pietra fu la scintilla che diede vita al più enigmatico santuario d’Europa
Una rivelazione che non riduce il fascino del sito: lo
amplifica.
Stonehenge conferma ancora una volta
di essere un enigma vivo, un dialogo aperto tra scienza e mito.
E mentre l’archeologia continua a svelarne i segreti, la piana di Salisbury resta il palcoscenico di una storia che non smette di sorprendere.
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